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VEDRO’, FARO’, CADRO’ : CAUSE ED EFFETTI DEL GOVERNO LETTA

Luglio 3rd, 2013 Riccardo Fucile

I CONTINUI RINVII DI DECISIONI ESSENZIALI PORTANO SOLO IMMOBILISMO E ALLA PARALISI DELA POLITICA: TANTO VALE ANDARE A VOTARE

Messa così pare un gioco di parole.
Ma, forse, è meglio dirlo con un sorriso: il governo Letta è nato come il governo “Vedrò” (il nome del suo club culturale bipartisan e politicamente corretto del premier); è cresciuto, se così si può dire, come il governo “Farò”, basato sulla politica del rinvio, di ogni questione cruciale: Imu, Iva, legge elettorale, riforme.
A questo punto resta solo il “Cadrò”.
Nel senso che, se va avanti in questo modo, è solo questione di tempo.
Perchè a forza di fare gli equilibristi prima o poi si cade.
E, diciamoci la verità , non sarebbe neanche un male che la parola tornasse al popolo. Anzi, sarebbe auspicabile.
A questo punto la questione è seria.
Il caso Santanchè non seletta vicepresidente della Camera è emblematico della paralisi di un’elezione che non avverrà  mai.
Col Pdl che terrà  il punto sul suo candidato più inadatto al ruolo, mostrando, per l’ennesima volta, l’irresponsabilità  di chi sta al governo con lo spirito di chi sceglie, prima di tutto, le ragioni della propaganda e non quelle del paese.
E col Pd che non lo voterà  mai, ma senza neanche votare un altro candidato, in nome del bene del governo.
È il segnale che non solo questo assetto — governo e maggioranza — non è un assetto “di servizio”, ma rischia di diventare di “disservizio”.
È, appunto, la paralisi, l’immobilismo.
Poco male se non si elegge un vicepresidente, ma perchè scaricare sulle istituzioni di tutti la propria incapacità  di trovare soluzioni?
È questo il punto: il rinvio sta diventando la regola dell’era Letta.
In nome della stabilità  del governo non si decide su nulla.
È accaduto con l’Imu, il vero ricatto di Berlusconi sul governo.
Invece di scegliere su come abolire la tassa — per tutti o solo per le fasce basse — è stata sospesa di tre mesi.
E lo stesso è accaduto con l’Iva, il cui aumento è stato sospeso sempre di tre mesi.
E lo stesso è accaduto su un altro capitolo, e cioè sulla legge elettorale, la riforma più urgente, spostata alla fine di quel balletto sulle riforme istituzionali che tutti sanno, a partire da Letta, che non porterà  risultati.
Lo so, lo so, conosco l’obiezione: “Se non si fosse fatto così il governo non avrebbe retto”.
Non mi pare convincente, perchè facendo così la crisi è solo rimandata, rinviata appunto. È questione di tempo.
Prima o poi si devono compiere delle scelte.
E allora sarebbe stato meglio farle subito.
A costo di dover tornare a chiedere la fiducia agli italiani.

Alessandro De Angelis

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INDUSTRIA DISTRUTTA, I NUMERI DEL TRACOLLO

Luglio 3rd, 2013 Riccardo Fucile

PERSO IL 15% DELLA BASE PRODUTTIVA: 55 MILA AZIENDE , 539 MILA POSTI, UN QUARTO DELLA PRODUZIONE. DAL 2008, PIL GIÙ DELL’8,6%

La ripresa. Oramai è un essere mitologico il cui avvistamento è predetto di sei mesi in sei mesi da governi e economisti.
Basta poco ad eccitare gli animi: ora c’è una tenuta della produzione industriale a giugno (-0,1%) a far sperare gli ottimisti, che però dimenticano che quel dato è su base mensile, mentre rispetto a un anno fa il calo è del 2%.
“Non sappiamo se siamo alla fine della caduta o all’inizio di una ripresa”, diceva ieri Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma.
Che succede, però, mentre aspettiamo l’unicorno del rilancio?
Il nostro sistema manifatturiero — il secondo in Europa, il settimo nel mondo, con una quota di oltre il 3% sul commercio mondiale — chiude o perde pezzi o finisce in mani straniere (il che vuol dire che gli utili che produrrà  emigreranno nel paese di residenza dei nuovi proprietari): quando e se la domanda ripartirà , in altre parole, non saremo in grado di cavalcarla.
La fotografia l’ha fatta qualche settimana fa il Centro studi di Confindustria e non è piacevole: tra il 2009 e il 2012 è andato distrutto oltre il 15% della base produttiva industriale; nello stesso lasso di tempo sono sparite 55mila aziende, una quarantina al giorno; tra il 2008 e il 2012 i posti di lavoro persi nel solo manifatturiero ammontano a 539mila “e si tratta di un bilancio provvisorio perchè questa crisi non è ancora finita”, dice il vicepresidente di Confindustria Fulvio Conti.
Anche perchè, la stretta del credito sta ormai uccidendo persino le aziende sane, quelle che anche ora farebbero utili.
In generale, sempre secondo le stime del Csc, la produzione industriale italiana nei primi tre mesi del 2013 risultava di quasi il 25% più bassa rispetto a quella del 2008 (prima dell’inizio della crisi), il Prodotto interno lordo era invece inferiore del-l’8,6% a paragone di quello di cinque anni fa, mentre la disoccupazione — come rivelato dall’Istat — ha raggiunto ormai il record da quando esistono le rivelazioni trimestrali (1977): tasso al 12,2%, oltre tre milioni di persone a spasso, il 38,5% nella fascia d’età  15-24.
Com’è chiaro tanto dai dati quanto dall’opinione degli interessati, questa è una crisi di domanda.
Nelle ultime interviste semestrali che la Bce ha fatto alle imprese, la principale preoccupazione degli operatori risulta essere la ricerca di clienti: non la burocrazia e nemmeno la detassazione delle assunzioni, ma trovare a chi vendere.
In Italia, per dire, nel 2012 i consumi finali delle famiglie sono calati del 4,3% (e soprattutto nell’acquisto di beni), gli investimenti fissi lordi sono scesi addirittura dell’8% penalizzando particolarmente mezzi di trasporto, macchinari, attrezzature e costruzioni , l’ossatura del nostro sistema produttivo.
Ovviamente questi numeri hanno effetti anche sulle finanze pubbliche.
Per due motivi: da un lato i numeri del bilancio   — ad esempio deficit e debito   — vengono misurati non tanto in sè, quanto proprio in rapporto al Pil, dall’altro meno ricchezza prodotta significa minori entrate per le casse dello Stato (“il gettito Iva ha avuto un calo indecoroso”, secondo la direttrice del Dipartimento delle Finanze del Tesoro).
E così i vari governi si trovano costretti ad ulteriori manovre correttive di tagli e/o tasse che hanno l’effetto di deprimere ulteriormente l’economia: è tanto vero che secondo il Fondo monetario internazionale il vero punto di equilibrio per il rapporto deficit/Pil italiano arriverà  a metà  del prossimo decennio.
I bilanci pubblici insomma — come ha spiegato ieri anche il sito del Sole 24 Ore con un articolo di Vito Lops — sono le vittime di una crisi che inizia nel settore privato con un’esplosione del debito estero nei paesi periferici, inondati nel decennio scorso dai capitali degli stati del nord (Germania in testa) liberati dal rischio di cambio dall’unione monetaria.
Quando la bomba esplode, viene richiesto l’immediato rientro di quei debiti ed è a questo punto che la faccenda si scarica — attraverso, ad esempio, salvataggi bancari, spesa sociale che sale e Pil che decresce — anche sulle finanze pubbliche.
A questo punto, in Europa, arrivano a finire il lavoro i rigidi vincoli di bilancio europei, sostanzialmente quelli imposti dai paesi creditori ai paesi debitori : pareggio di bilancio, rapida riduzione del debito pubblico.
Questo significa che l’unico soggetto in grado di rilanciare la domanda durante una recessione, lo Stato, non può farlo: prova ne sia che negli anni di crisi (2008-2012) la spesa pubblica per investimenti — quella che più incide su domanda e Pil — è calata addirittura del 35% divenendo in sostanza irrilevante.
Però, dice il ministro, tra qualche mese arriverà  la ripresa.

Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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RICATTI E MINACCE: TUTTI I MESSAGGI DI TOTO’ RIINA ALLA POLITICA

Luglio 3rd, 2013 Riccardo Fucile

CONTINUA A DIPINGERSI COME CAPRO ESPIATORIO EPPURE OGNI VOLTA LANCIA AVVERTIMENTI PER RICORDARE CHE LUI SA TUTTO. E PUà’ PARLARE

A farlo parlare provò, il 22 aprile del ’96, il capo della Direzione Nazionale Antimafia Pierluigi Vigna, accompagnato dal suo vice Piero Grasso.
Ma “Totò ‘u curtu”, scuotendo la testa, lo raggelò: “Parlare? Dottore, la prego, si fermi qui, non la pronunci neanche quella parola. Voi sbagliate persona”.
Si è sempre proposto come il più fedele apostolo dell’omertà .
Eppure Riina Salvatore, classe 1930, da Corleone, una decina di ergastoli sulle spalle (compresi quelli per Capaci, via D’Amelio e le stragi del ’93), negli ultimi vent’anni passati tra l’isolamento del 41-bis e le aule giudiziarie di tutta Italia, di parole ne ha spese tante.
Per ribadire, sostanzialmente, sempre lo stesso concetto: “La verità  è che allo Stato io servo come parafulmine, perchè tutto quello che è successo in Italia alla fine si imputa a Riina”.
L’ossessione del Capo dei Capi, insomma, è una sola: quella di essere un capro espiatorio, una vittima sacrificale di oscuri patti tra politica e magistratura che, come il boss ha spiegato agli agenti del Gom, costituiscono “la vera mafia: si sono coperti tra loro e scaricano ogni responsabilità  sui mafiosi”.
La sua teoria è che i pentiti “dicono fandonie e si prendono per mano”, ovvero concordano le loro deposizioni, come dichiarò fresco di cattura il 9 marzo del ’93 nell’aula bunker dell’Ucciardone.
In quell’occasione venne zittito dall’allora pm Vittorio Teresi.
Ma un anno dopo, a Reggio Calabria, nel processo per l’uccisione del giudice Antonino Scopelliti, il superboss alzò il tiro verso il governo e lo mise in guardia dal “giustizialismo di sinistra”: “Io dico che un governo vale l’altro. Ma c’è sempre il partito. Sono i comunisti che portano avanti queste cose: il signor Violante, il signor Caselli da Palermo. C’è tutta una combriccola… loro portano avanti queste cose. Il governo si deve guardare da questi attacchi comunisti”.
La politica è la sua mania. E ai politici sono rivolti quasi sempre i messaggi dello ‘zu Totò dal carcere. Pochi giorni fa si è professato “di area andreottiana”, eppure il 10 giugno 2008, durante un colloquio in carcere con moglie e figlia, confidò la sua ammirazione per l’allora presidente del Senato: “Schifani è una mente”.
Nel luglio 2010, intercettato in carcere con il figlio, si abbandonò invece a uno sfogo di natura opposta: “Berlusconi, che ci credo poco e niente, la vita che faccio con questo… io mangio come un pazzo e metto su chili”. Pillole di veleno.
Che siano foriere di ricatti oppure di minacce, le parole del Capo dei Capi hanno sempre un significato doppio e usano i codici mafiosi, mescolando abilmente verità  e menzogna.
Come quando, nell’estate 2009, incaricò il suo avvocato Luca Cianferoni di divulgare il suo pensiero sullo stragismo.
“L’ammazzarono loro”, disse, parlando di Paolo Borsellino. E poi — riferendosi agli uomini dello Stato — aggiunse: “Non guardate sempre e solo me, guardatevi dentro anche voi”.
Da allora il leitmotiv del Riina-pensiero è tutto qui: tirarsi fuori dalla carneficina delle stragi e lanciare avvertimenti, per far capire a chi di dovere che lui sa tutto di quel periodo, che se volesse potrebbe parlare, e che il suo preziosissimo silenzio ha sempre un prezzo.
Ma quale? Il 10 marzo 2009, a Firenze, nel processo per la mancata strage dell’Olimpico, il superboss si scatenò: “Nel processo Falcone c’è un aereo nel cielo che vola mentre scoppia la bomba: questo aereo non si può trovare di chi è, e così si condanna Riina perchè fa comodo. E il processo Borsellino? Lì sul monte Pellegrino c’è l’hotel con i servizi segreti, quando scoppia la bomba i servizi scompaiono, però non vengono mai citati perchè si condanna Riina, perchè l’Italia è combinata così”.
Il boss, però, volle far sapere che non ci stava, e da capo dell’Antistato si paragonò all’inquilino del più alto Colle: “Signor Presidente, lei ricorda quando Scalfaro disse ‘Non ci sto’, io ora devo dire lo stesso: non ci sto, non ci sto a queste condanne così, queste sono condanne di Stato fatte a tavolino”.
Qualche tempo fa, dopo un’ennesima condanna all’ergastolo, Riina in carcere è sbottato: “Questi vogliono farmi morire, ma sarò io a far morire loro”.
E come? L’unica arma di un vecchio boss detenuto è la parola.
Proprio quella che lui utilizza con un sapiente dosaggio di messaggi, anche nei confronti dei “servizi”: “Non ho mai sentito parlare dell’esistenza del signor Franco o del signor Carlo — ha dettato a verbale ai pm nisseni —. Io gliel’ho detto: mi chiamo Riina… Riina… questo è Riina, accetta Riina per quello che è…”.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizzo
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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SI ALLONTANA L’IPOTESI DEL VOTO, RESTA IL NODO DELLA SENTENZA SUL CAVALIERE

Luglio 3rd, 2013 Riccardo Fucile

L’UNICO RISCHIO REALE POTREBBE VENIRE DALLA DECISIONE SU MEDIASET

Tra «cabine di regia», «vertici di maggioranza» e «verifiche di governo», la politica sembra davvero tornata indietro di trent’anni.
E non c’è dubbio che ai tempi della Prima Repubblica, con un esecutivo precario, partiti in conflitto e gruppi parlamentari in rivolta, si sarebbe aperta la crisi e probabilmente si sarebbero tenute anche le elezioni.
Ma rispetto al passato, oggi non sono alle viste nè la caduta del governo nè il voto anticipato.
Il primo ad averlo capito è Renzi, il cui nervosismo testimonia la consapevolezza di chi sa che la strada per le urne è sbarrata, di chi è consapevole di avere un unico alleato per ottenerle: Berlusconi.
Solo il Cavaliere potrebbe in teoria essere tentato di far saltare il banco, qualora in autunno la Cassazione confermasse la sentenza di condanna sul caso Mediaset.
Se non fosse che la «golden share» di cui dispone, già  adesso sarebbe difficile da usare e ancor di più lo sarebbe in autunno, quando è previsto lo show down giudiziario.
Per allora, infatti, alle difficoltà  politiche si aggiungerebbero impedimenti tecnici.
Oltre a Napolitano, l’ostacolo sarebbe rappresentato dal voto europeo.
La direttiva comunitaria ha fissato tra il 22 e il 25 maggio 2014 le date per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo nei Paesi dell’Unione: un intralcio di fatto insormontabile per chi mira alla fine anticipata dell’attuale legislatura.
Ragioni procedurali non consentirebbero infatti l’accorpamento delle Politiche con le Europee, se è vero che esiste un solo precedente, nel giugno del 1979, quando comunque i due voti furono sfalsati di una settimana.
Come non bastasse, lo «scudo» del semestre italiano di presidenza europeo dell’anno prossimo allungherebbe la vita al governo fino alla primavera del 2015.
Per questo motivo Renzi scalpita, perciò ripone le ultime speranze in Berlusconi. Altrimenti Letta sarebbe «condannato» ad andare avanti e potrebbe diventare un temibile competitor nella sfida elettorale per Palazzo Chigi.
In modo speculare, i falchi del Pdl vedono in questa prospettiva il definitivo tramonto politico del Cavaliere, perciò nel Pd come nel Pdl gli «stimolatori» del governo cercano l’incidente per sovvertire il gioco e bucare l’ombrello protettivo del Colle.
I focolai in questa fase non si contano, come gli incendi boschivi d’estate.
Ad appiccarne uno (inconsapevolmente) era stato Monti, ma l’ultimatum del Professore – bacchettato da Napolitano – non ha prodotto danni.
Anzi il premier è intervenuto in soccorso di Monti: la convocazione del vertice di domani è stato un modo per tener da conto il senatore a vita, criticato anche dai dirigenti di Scelta civica per la sua sortita.
«Non ci sono alternative al governo», sostiene infatti il capogruppo al Senato Susta, che per sgombrare il campo da interessi personali di Monti, finisce quasi per confermarli: «Semmai aspirasse a incarichi internazionali, comunque gli sarebbe indispensabile l’appoggio del governo».
Più pericolose sono le incursioni che vengono dal Pd e dal Pdl.
Lo scontro sull’elezione della Santanchè alla vicepresidenza della Camera è insidioso, per questo Alfano vuole depotenziarlo, perciò da tempo – mentre continua ad assicurarsi il voto dei centristi – sta cercando un compromesso con i Democratici. Letta e Franceschini sono dell’operazione, ma si scontrano con la realtà  di un partito che è stato capace di azzoppare Marini e Prodi nella corsa al Quirinale, e che difficilmente si può ricompattare nel voto per la pasionaria del Cavaliere.
Al tempo stesso il vicepremier ha intuito che nel Pdl gli avversari della Santanchè vorrebbero per lei la stessa sorte che sotto sotto si augurano anche i falchi, desiderosi di poter fare di «Daniela» una martire delle larghe intese, la Giovanna d’Arco con cui abbattere il governo e gli attuali equilibri nel partito.
Ecco il motivo per cui Alfano lavora per spegnere le fiamme, mentre un altro focolaio rischia di provocare un incendio sul fronte delle riforme, con il ministro Quagliariello accerchiato dalle fiamme di Bondi, Matteoli e Fitto.
In queste condizioni, ai tempi della Prima Repubblica di sicuro si sarebbe già  aperta la crisi e probabilmente si sarebbe andati alle elezioni.
Allora, non oggi.

Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)

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LA GUARDIA DI FINANZA PIOMBA IN REGIONE CAMPANIA, INDAGATI PER PECULATO 57 CONSIGLIERI: “BRUCIATI” DUE MILIONI DI EURO

Luglio 3rd, 2013 Riccardo Fucile

“RIMBORSATI CON SOLDI PUBBLICI ANCHE I GIOCATTOLI, CONTI AL RISTORANTE E REGALI A FIGLI E NIPOTI”

Due milioni di fondi regionali bruciati per ristoranti, alberghi, regali agli amici, perfino giocattoli per bambini.
Denaro pubblico utilizzato per fini “strettamente privati”. La Guardia di Finanza sta notificando in questi minuti, nella sede dell’assemblea della Regione al Centro Direzionale, 57   inviti a comparire per altrettanti consiglieri o capigruppi di (quasi) tutti i gruppi politici presenti nel grattacielo.
L’accusa: peculato.
Sotto la lente del pm Giancarlo Novelli, e del procuratore aggiunto Francesco Greco, l’impiego dei soldi del cosidetto “Fondo per il funzionamento dei gruppi regionali”. Un tesoretto disperso in mille rivoli , ma soprattutto votato a soddisfare, nella gran parte dei casi, i più personali, futili desideri.
Dai conti del ristorante all’acquisto di giocattoli per figli e nipoti. Tra i pochissimi a non esser investiti dallo scandalo, il presidente Stefano Caldoro.
Anche se tra i consiglieri, e capogruppo che risulta avere intascato più soldi e a dover giustificare di più c’è proprio l’uomo a lui più vicino, Gennaro Salvatore, presidente del gruppo “Caldoro presidente, Nuovo Psi”.
Coinvolti anche tutti gli altri gruppi: Pd, Pdl, Noi sud, Udc, Udeur, Pid.
Anzi, la consulenza preparata dal professore Paolo Barba, per conto della Procura, ha stilato anche una speciale classifica che vede in testa, come percentuale di uso ritenuto ingiustificato e privatistico del denaro, Idv e   Udeur (95 %), e a seguire Nuovo Psi di Salvatore (91 % ) e ancora Pdl (89 %) e Pd   (82 %).
Molta tensione e facce scurissime, in queste ore, in Consiglio.
I finanzieri del Nucleo di polizia Tributaria, guidati dal colonnello Nicola Altiero, stanno procedendo serratamente ma con discrezione, consegnando gli inviti o ai singoli o presso le rispettive segreterie dei gruppi.
Un blitz atteso da mesi, dopo gli scandali che già  avevano investito la stessa assemblea per l’uso del denaro del Fondo Comuniazione, che ha portato anche all’emissione di diverse misure cautelari.

(da “La Repubblica“)

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“MI VOGLIONO TUTTI” E LA SANTANCHE’ SPARISCE: LA FUGA DAL TRANSATLATICO DELLA PITONESSA IN BILICO SUL TACCO 14

Luglio 3rd, 2013 Riccardo Fucile

SANTANCHE’, LA DELUSIONE E LO SFOGO DOPO LA SCONFITTA: “SONO ABITUATA A DARE PIUTTOSTO CHE RICEVERE”

Alta, in bilico su quel tacco che oggi sarà  stato pure 14, un capolavoro d’equilibrio attraversarci i marmi lucidi del Transatlantico, con i capelli biondi e sciolti sulle spalle, per poi andarsene, sparire.
La «pitonessa», a metà  pomeriggio, è introvabile
L’ultimo soprannome, Daniela Santanchè, e se l’è dato da sola, l’altro giorno. Quando ha cercato di spiegare che nel gran circo politico del Pdl non è nè falco nè colomba, ma piuttosto un rettile, capace di stritolarti e però anche di lasciarsi accarezzare.
«Sì, mi sento una pitonessa» (furbissima, avrà  naturalmente calcolato ogni possibile interpretazione di questa metafora)
Comunque adesso bisogna capire dove sia finita.
Fuori, sul piazzale di Montecitorio, solo il sole a picco e i sampietrini bollenti, l’unica frase che sono riusciti a strapparle è stata una specie di sospiro: «Sono abituata a dare, piuttosto che a ricevere».
Il sorriso solito, ma stavolta un po’ più plastico, immobile, forzato. E anche la voce: non squillante, ma come liscia, incerta.
Su Twitter, quando aveva capito che neppure stavolta sarebbe riuscita a prendersi l’incarico di vicepresidente della Camera, l’unico graffio: «Con questa maggioranza, tutto si rinvia, nulla si decide».
Belle parole: ma dove s’è nascosta?
L’aspetto divertente della politica, qui a Roma, è che nessuno può pensare di fare una cosa, un incontro, una telefonata, in totale segretezza.
Dopo un po’, c’è sempre qualcuno, un’anima pia, un’anima nera, che intuisce, immagina, sa, e avverte. È così anche adesso. Arriva un sms.
Testo: «La “pitonessa” è seduta davanti alla scrivania di Angelino Alfano, al ministero».
Proprio così. Daniela Santanchè è andata a chiedere spiegazioni ad Alfano.
E ci è andata fisicamente.
Colloquio, come si dice in questi casi, riservato. Sui toni, e i contenuti, si può fantasticare in libertà .
Il dato certo è che cinque minuti dopo l’uscita dal ministero della «pitonessa», Alfano si mette a cinguettare con Twitter: «Su Daniela Santanchè, nessun passo indietro. Anzi, si va avanti».
(Ora 17.45, sede del Pdl, via dell’Umiltà , quinto piano ).
Segretaria premurosa: «L’onorevole Santanchè è impegnata ancora per qualche minutino… Posso offrirle un caffè?»
Nessuna particolare agitazione in vista del prossimo trasloco. Aria condizionata bassissima, la stanza del Presidente Berlusconi (alla parete una sua gigantografia, un tristissimo salottino beige, uno spray deodorante accanto a un ficus benjamin secco) trasformata in sala d’attesa.
L’attesa dura mezz’ora.
Poi dal corridoio arriva il rumore secco d’un passo di carica ed entra la Santanchè, che nel frattempo ha rimesso su lo sguardo raggiante d’ordinanza, la caratteristica smorfia che è un miscuglio di spavalderia e ironia, ecco di nuovo la vera Santanchè che siete abituati a vedere a «Porta a porta», da Santoro, o quando alza il dito medio per salutare i manifestanti, quando fa jogging con la fidanzata del capo, quando per il capo presidia il palazzo di Giustizia di Milano, quando scende dal Suv ed entra al Billionaire del suo amico e socio Flavio Briatore.
«Telefonate, telefonate e ancora telefonate. Mi spiace averla fatta aspettare» (mano tra i capelli, tailleur sobrio, girocollo in verità  molto chic).
Sembra di ottimo umore…
«Cosa dovrei fare? Arrendermi? Non ci penso proprio. Io vado avanti e non arretro di un centimetro. E poi, dico: lo ha visto il fiume di dichiarazioni, no?».
Tutto il partito è con lei, da Alfano alla Calabria.
«E Brunetta? C’è pure Brunetta, eh? …E la Gelmini… Lo so, lo so… certo, non c’erano dubbi, tutto il partito è schierato. A questo punto il problema devono sbrogliarselo quelli lì».
Quelli del Pd?
«Loro, e anche gli altri… Compresi Sel e il Movimento 5 Stelle».
Possibile che su questa storia, su questa fibrillazione lunga e imprevista, il governo possa addirittura rischiare qualcosa?
«Eh…».
Sapete quando la Santanchè fa gli occhioni e allarga le braccia, e sembra che stia per dirti qualcosa che però non può proprio dire. Intanto siamo arrivati all’ascensore.
«Mi cercano tutti, mi vogliono tutti. I giornali e i tigì vogliono sapere, vogliono capire. Prima, quando sono arrivata, giù al portone, mi sono addirittura trovata uno con una telecamera che, senza darmi tempo di fiatare, me l’ha subito puntata addosso… No, dico: calma, eh?».
Ad osservarla mentre fa graziosamente ciao e le porte dell’ascensore si chiudono, s’intuisce perfettamente l’uso quasi scientifico che fa della celebrità .
La capacità  di esserci e non esserci, di scomparire e riapparire, di rivelarsi cinica e diplomatica, ruvida e poi anche improvvisamente simpatica (un sabato mattina, l’anno scorso, nei giorni più cupi del Pdl, rispose al cellulare ansimando: «No, aspetti, non pensi male… non pensi che la Santanchè è operativa anche quando… è che sono a Cortina e sto facendo sci di fondo»).
Due settimane fa, insieme a Verdini e Capezzone, tre giorni chiusa ad Arcore con Berlusconi per mettere a punto nuove strategie, ragionare sul filo dell’orizzonte, immaginare un ritorno a Forza Italia, passare in rassegna le truppe parlamentari e stabilire di chi potersi fidare, e di chi no.
Negli equilibri di potere d’un partito particolare come il Pdl, quel weekend fu un segnale preciso. Alle 19, ne arriva un altro.
La «pitonessa» esce dalla sede del partito e sale in macchina. Va all’aeroporto, torna ad Arcore.
C’è Berlusconi che l’aspetta a cena (superfluo, o forse no, ricordare di quando, nel 2008, candidata con La Destra, lo accusò: «Silvio vuole le donne solo orizzontali»).

Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera“)

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