Agosto 3rd, 2013 Riccardo Fucile
PRONTO IL PIANO B: UN LETTA BIS SENZA PDL PER LA LEGGE ELETTORALE
“Si smetta di tirare in ballo il Quirinale in modo improprio e ricattatorio”. Per questo il premier ascolterà con “grande attenzione toni e contenuti dei discorsi che si terranno alla manifestazione del Pdl”.
Altrimenti, Enrico Letta è pronto a trarne le conseguenze. Tanto che non è affatto escluso un incontro al Colle già domani.
È un avvertimento pesante quello che il premier lascia trapelare all’Ansa al termine di una giornata drammatica, l’ennesima.
È il segnale che c’è un “piano b” se non riesce il contenimento dell’escalation berlusconiana.
Chi immagina una discesa in campo contro Renzi, mentre il Pdl trascina il paese ad elezioni anticipate sbaglia, spiegano i fedelissimi.
È un governo “per la legge elettorale”, guidato dallo stesso, l’idea su cui il Quirinale avrebbe già allertato palazzo Chigi.
Ecco l’avvertimento.
C’è qualcosa che va oltre l’irritazione per le parole incendiarie, ai limiti dell’eversivo di Sandro Bondi: la minaccia di una “guerra civile”, per non parlare della sfida aperta al Colle.
Nelle parole di Letta c’è l’exit strategy: “Ha deciso di non farsi logorare — racconta un fedelissimo – e se Berlusconi continua a ricattare è Letta a staccare la spina per primo”.
Una posizione nient’affatto tattica. Ma resa necessaria dall’escalation delle ultime ore. Con l’assurda richiesta della “grazia” per Berlusconi.
E la minaccia di trascinare il paese in elezioni anticipate se non sarà trovato un modo per salvare Berlusconi.
Letta per tutta la giornata è stato in collegamento costante col Quirinale.
È concordato l’avvertimento al Pdl. È concordato il passo successivo.
Ed è in un clima di crisi strisciante che il premier informa anche Epifani e soprattutto Angelino Alfano: se Berlusconi — è il suo messaggio – gioca sulla pelle dell’esecutivo è chiaro che il Pd non regge, e che io non mi faccio logorare.
Stavolta Berlusconi ha passato il segno. Per tutta la giornata Angelino prova, insieme a Gianni Letta, a raffreddare gli animi, depotenziando il carattere “eversivo” della manifestazione che non a caso viene spostata da piazza Santi Apostoli — più vicina al Quirinale — a via del Plebiscito.
Proprio per evitare l’Incidente alla fine si è deciso che i ministri non andranno.
È il segnale che le colombe del Pdl sono riuscite a “frenare”.
Ma c’è un motivo se Letta fa sapere la sua posizione quando è chiaro che alla manifestazione non ci saranno i ministri.
Il problema è che, vista da palazzo Chigi, non si capisce cosa davvero voglia fare Berlusconi, e se ha puntato sull’escalation.
Nè le reazioni di Santanchè, ma anche Cicchitto e Brunetta sono all’insegna della tregua.
Ecco la linea, superata la quale, è crisi di governo. Il Quirinale fa sapere al quartier generale berlusconiano che non c’è fretta per l’incontro con i capigruppo del Pdl. Anche perchè non è arrivata la richiesta di un incontro “politico”. Semmai è arrivato un nervoso ricatto.
E Letta fa sapere che “è pronto” a staccare la spina per primo.
Con tutte le conseguenze. Non è un caso che il premier abbia deciso, per la prima volta, di entrare con decisione nel confronto politico da cui è sempre rimasto fuori: “Come quando Grillo parlò di colpo di Stato — dicono a palazzo Chigi — c’è un limite che non si può superare. Attaccare Napolitano significa tradire le ragioni stesse della nascita del governo”.
Lo sa bene Gianni Letta, che ha quasi perso la sua proverbiale calma spiegando al Cavaliere che la posizione di Verdini e Santanchè è folle, perchè non ci sono garanzie che si voti, e può nascere un governo che può far male davvero, proprio nel momento più difficile, tra domiciliari e servizi sociali: “Mattarellum e conflitto di interessi, i numeri li trovano”.
Anche Letta (Gianni) ha parlato per tutta la giornata del “piano b” di Napolitano.
Che a quel punto, e solo a quel punto, potrebbe dimettersi.
Non prima.
(da “Huffington Post“)
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Agosto 3rd, 2013 Riccardo Fucile
“CON QUESTO GOVERNO E CATRICALA’ ALLE COMUNICAZIONI MEDIASET STA ANDANDO BENE, E’ DA FOLLI ARRIVARE ALLA ROTTURA”
Sotto il condannato, la frana. Nell’ora più difficile il Pdl sta già smottando. 
Si ragiona ad horas, in modo confuso.
Sentite Sandro Bondi, falco: “O la politica è capace di trovare delle soluzioni oppure l’Italia rischia davvero una forma di guerra civile dagli esiti imprevedibili per tutti”.
Sì, avete capito bene: guerra civile, se Napolitano non “grazia” Berlusconi.
E adesso sentire Mariastella Gelmini: “Massimo rispetto per il presidente Napolitano. Da parte nostra non c’è alcuna intenzione di fare indebite pressioni: noi chiediamo al capo dello Stato di far rientrare un ordine dello Stato nell’alveo della democrazia liberale”.
Sì, avete capito bene: rispetto. Che è l’opposto della guerra civile.
E’ un Pdl sull’orlo di una crisi di nervi, che nella notte si è confrontato, anzi scontrato, sulla nervosa e quasi isterica escalation prodotta nel corso della riunione coi gruppi parlamentari.
La verità è che una linea non c’è.
C’è la rabbia, la paura, l’orgoglio, l’idea di reagire, di provocare il Pd.
C’è la suggestione delle elezioni, dell’ordalia finale, ma non è un piano. Il Capo è provato, e non ha deciso ancora: “Sta peggio del giorno della sentenza”.
Ecco che la manifestazione, che doveva essere una marcia sul Colle si trasforma in una riunione in piazzetta.
L’appuntamento non è più per domani in piazza Santi Apostoli per poi salire al Quirinale, ma in via del Plebiscito, sotto palazzo Grazioli. Punto.
È il frutto della grande frenata delle colombe.
È stato Gianni Letta, con tutti i ministri del governo a spiegare che la tensione col Colle è alle stelle, e così si rischia di aprire la crisi di governo dagli esiti imprevedibili.
Politici, ma non solo.
È il tasto che riguarda la “sorte delle aziende” quello che usano le colombe per far ragionale il Cavaliere: “Mediaset — ragiona un ex ministro – sta andando bene con questo governo. Di comunicazioni si occupa Catricalà , uomo di Gianni Letta. Solo dei pazzi possono mettere a rischio questa situazione. Se cade il governo fanno un altro governo e il conflitto di interessi in un minuto”.
È in un clima di reciproca diffidenza, accuse, veleni che, con l’ex premier frastornato, è iniziata uno scontro feroce: “Ma non lo capisci — ha detto la Santanchè al Cav — che così ti fottono un’altra volta? Prima ti dicono di stare calmo e di sostenere il governo per tenere buoni i giudici, e invece la sentenza era già scritta. Ora ti dicono di dimetterti, di non fare casino sennò perdi Mediaset. Se li ascolti finirà che tu stai ai domiciliari e ti massacreranno Mediaset”.
Col Capo rientrato a Milano con la figlia Marina — altro segnale della frenata, la sua assenza dalla piazza — sono iniziate le grandi manovre.
Con Alfano che, con Lupi e Quagliariello, è incollato al telefono con Enrico Letta.
Per evitare che il premier, di fronte alle minacce, salga al Colle.
In fondo, finita la messinscena, è agosto.
E il Pdl, assicurano, non aprirà la crisi.
Sull’altro fronte, Verdini, forte anche degli house organ del Cavaliere sta avvelenando i pozzi, con l’idea di far saltare tutto, provocando il Pd: andando avanti così la sinistra non “regge” e si aprirà la crisi. Chissà .
Falchi, colombe, piazze e piazzette. C’è tutto l’animo bipolare del Capo in questa situazione, descritto in queste ore come piegato, infelice, ma con la voglia di spaccare il mondo.
E che nelle ultime ventiquattrore ha rassicurato il governo, poi lo ha minacciato, poi ha convocato la piazza.
Poi è partito per Milano.
(da “Huffington Post“)
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Agosto 3rd, 2013 Riccardo Fucile
BRUTTA FIGURA PDL: LA MANIFESTAZIONE DI DOMANI SPOSTATA DA PIAZZA SANTI APOSTOLI (CAPIENTE 25.000 PERSONE) AI GIARDINETTI DI VIA DEL PLEBISCITO (RESIDENZA DI BERLUSCONI)… LA RUSSA E STORACE PRENDONO LE DISTANZE
Si esaspera la polemica politica a due giorni dal pronunciamento della Cassazione sulla sentenza Mediaset, con la conferma della condanna a quattro anni per Silvio Berlusconi per frode fiscale.
Dopo l’ultimatum di venerdì del Pdl – che ha avanzato l’ipotesi di una richiesta di grazia al Colle per Berlusconi e nuove elezioni se non ci sarà una riforma della giustizia -, Sandro Bondi, coordinatore del partito, sabato mattina in una nota lancia parole di fuoco: «O la politica è capace di trovare soluzioni capaci di ripristinare un normale equilibrio fra i poteri dello Stato, e nello stesso tempo rendere possibile l’agibilità politica del leader del maggior partito italiano», scrive l’ex ministro, «oppure l’Italia rischia davvero una forma di guerra civile dagli esiti imprevedibili per tutti». Parole dure, che nel primo pomeriggio vengono criticate a mezzo agenzia di stampa da ambienti del Quirinale (mentre il presidente Napolitano era in viaggio dall’Alto Adige a Roma) che parlano di «dichiarazioni irresponsabili».
Non si fa attendere la controreplica dello stesso Bondi: «Non mi farò chiudere la bocca da nessuno, neppure da un comunicato del Quirinale. E non accetto di essere indicato come un irresponsabile».
«NIENTE AVVENTURISMI»
«La richiesta di grazia è un’irricevibile provocazione, quella di mettere sotto controllo politico la magistratura è altrettanto irricevibile e le parole di Bondi sono al limite dell’eversivo», replica il vice ministro dell’Economia Stefano Fassina a Sky Tg24.
«O il Pdl ritorna nell’alveo della normalità democratica, oppure i suoi ministri che hanno minacciato dimissioni siano conseguenti: si dimettano e il governo cade. Poi il Pdl dovrà spiegare agli italiani che, ancora una volta, antepone gli interessi del suo capo a quelli del Paese».
Ma sulla vicenda pesano anche le parole dell’ex segretario Pierluigi Bersani: «La destra si tolga dalla testa la pia illusione che davanti ad una grande questione democratica possano esserci divisioni o tentennamenti nel Pd».
«COLPO DI SOLE» –
Ironico il commento di Bruno Tabacci, leader del Centro democratico: «Qualcuno chiami un medico per Sandro Bondi che evoca la guerra civile: si tratta di un evidente caso di colpo di sole. Si rintracci lo stesso dottore che calmava Bossi quando parlava di 10 milioni di fucili pronti ad attaccare dalle Alpi».
Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi replica via Fb: «O gli attacchi eversivi di Berlusconi cessano immediatamente o il Pd dovrà rompere con il Pdl. E non è detto che non ci sia altra soluzione che il ritorno alle urne».
LA RUSSA MODERATO
Ignazio La Russa, presidente di Fratelli d’Italia cerca parole più moderate sulla questione grazia: «Rinnovo la mia solidarietà a Silvio Berlusconi. Agli amici di Forza Italia però mi permetto di suggerire sommessamente che quando si avanza l’ipotesi di chiedere la grazia è più producente farlo senza ‘aut aut’ e nei modi e con le forme appropriate. Altrimenti si ottiene al di là delle intenzioni un effetto opposto a quello che si desidera. Anche in termini di comunicazione».
E la butta sull’ironia, via twitter, il leader de La Destra, Francesco Storace: «Bondi annuncia la guerra civile. La domanda è: truppe o troupe?».
L’INVITO DI MONTEZEMOLO
«Se il governo cadrà a causa del PdL, Berlusconi chiuderà la sua carriera politica nel peggiore dei modi» è invece il commento dle presidente di Italia Futura, Luca Cordero di Montezemolo, perchè «è interesse prioritario dell’Italia che questo governo e questo Parlamento vadano avanti e completino il programma».
E ancora: «Berlusconi può uscire bene da questa vicenda se saprà mantenere i nervi saldi, continuare a sostenere il governo Letta lealmente e lavorare alla rifondazione di un’area liberale e moderna di centro destra, di cui l’Italia ha grande bisogno».
LA MANIFESTAZIONE
Intanto Silvio Berlusconi ha lasciato la residenza romana di palazzo Grazioli diretto ad Arcore insieme alla sua assistente e deputata Pdl Maria Rosaria Rossi, la figlia Marina, la fidanzata Francesca Pascale e Fedele Confalonieri.
Difficilmente quindi l’ex premier condannato a 4 anni di reclusione per frode fiscale domenica sarà alla manifestazione a Roma indetta dal partito a suo sostegno, che non si terrà più in piazza Santi Apostoli ma alle 18 in via del Plebiscito.
Ripiegare da una piazza di 25.000 persone ai giardinetti sotto Palazzo Grazioli non è certo un segno di grande mobilitazione del Pdl e il nervosismo dilaga
RIFLETTORI SU NAPOLITANO
È invece tornato a Roma il presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano, come previsto da tempo, al termine di due settimane di vacanza con la moglie Clioè rientrato da Sesto Pusteria.
Intorno a lui nelle prossime 48 ore graviteranno i destini prossimi della politica italiana.
Da lui infatti è previsto che domenica pomeriggio, dopo la manifestazione del Pdl, salgano insieme Schifani e Brunetta: una delle ipotesi che circola negli ambienti vicini al Pdl è che i due chiederanno al presidente informazioni sulla possibilità della richiesta di grazia per Berlusconi.
In caso di parere contrario di Napolitano, i due avrebbero già il mandato del partito a presentare al Capo dello Stato le dimissioni di tutti i parlamentari Pdl aprendo così di fatto la crisi di governo.
E si scoprirà se è un bluff o no.
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Agosto 3rd, 2013 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO FINANZIARIO DELLA CITY: “ORA IL SENATO DOVREBBE CACCIARLO, SE AVESSE UN BRICIOLO DI ONORE SI DIMETTEREBBE”
«Cala il sipario sul buffone di Roma. Dopo il verdetto, il Senato dovrebbe cacciare
Berlusconi», titola il quotidiano finanziario della City per il quale, a questo punto, se Berlusconi avesse «un briciolo di onore, ora si dimetterebbe».
Risparmiando così ai suoi colleghi senatori l’imbarazzo di dover «cacciare un ex primo ministro».
«I giudici di Roma andrebbero lodati per la loro indipendenza» e la loro sentenza dimostra che «nessuno è al di sopra della legge», sostiene il Ft sottolineando come il loro verdetto segni uno «spartiacque nella recente storia d’Italia».
L’editoriale rileva poi come «per alcuni il reato per il quale Berlusconi è stato condannato è in fondo minore rispetto all’enorme ammontare di tasse che lui paga». «Ma – rileva Ft – non è mai giusto ingannare il fisco. Chi legifera ha la specifica responsabilità di dare l’esempio, soprattutto in Italia, dove la diffusa pratica dell’evasione fiscale è una delle principali cause dello sciagurato stato delle finanze pubbliche».
«Berlusconi ha già promesso battaglia e molti dei suoi potrebbero seguirlo.
Ma – conclude l’editoriale – in Italia i tempi sono maturi per la nascita di una partito di destra pronto a disfarsi del frenetico populismo berlusconiano e a convertirsi al liberismo economico. Dopo anni di inefficace protagonismo, il Paese ne trarrà beneficio».
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Agosto 3rd, 2013 Riccardo Fucile
LA SANTANCHE’, SEMPRE ORIGINALE, DOPO IL “SIAMO TUTTE PUTTANE” CONIA IL NUOVO SLOGAN… IL GURU FERRARA SCONSIGLIA DI RINUNCIARE ALLE POLTRONE
Daniela Santanchè ai microfoni di Sky ricorda che “la guerra civile è in corso da 30 anni” e lancia lo slogan per la manifestazione che domAani 4 agosto il Pdl ha indetto in via del Plebiscito a Roma alle 18 a sostegno del condannato Silvio: “Siamo tutti Berlusconi e siamo tutti pregiudicati”.
Un motto che richiama il “siamo tutte puttane” evocato da Giuliano Ferrara nel comizio fatto sempre nella Capitale il 25 giugno scorso dopo la condanna dell’ex premier a sette anni per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile.
E proprio Giuliano Ferrara dà consigli a Berlusconi anche in questo caso suggerendo dalle colonne de Il Foglio di non fare passi indietro e quindi di non far cadere il governo: “Che fare ora? Tirare giù tutto o contribuire agli sfascisti della lobby che vuole eterodirigere la sinistra e lo Stato sarebbe assurdo e autolesionistico – scrive il direttore — Accoppiare a una condanna ingiusta una catastrofe politica, che sarebbe sentita come un attentato alla stabilità del Paese e al pallido e non amato tentativo di mettere un argine alla più lunga recessione del dopo guerra, è altamente sconsigliabile”.
(da il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 3rd, 2013 Riccardo Fucile
DUBBI SU DECISIONI CHE SUONINO COME UN QUARTO GRADO DI GIUDIZIO… MA NON SONO ESCLUSE ALTRE STRADE PARLAMENTARI PER ARRIVARE ALLA CLEMENZA
E adesso, com’era scontato aspettarsi, ricomincia anche il tormentone della grazia. 
A evocarla per primi, stavolta, non i giornali di osservanza berlusconiana, ma i militanti del fantomatico «Esercito di Silvio».
Che annunciano un presidio permanente davanti al Quirinale, a partire da lunedì, dal quale far partire una petizione per chiedere a Giorgio Napolitano «la concessione immediata» di un provvedimento di clemenza per il leader del centrodestra.
Una raccolta di firme destinata a dilagare in Italia, si spiega con teatrale metafora guerresca, attraverso gli oltre 500 «reggimenti attivi» che i fan del Cavaliere si dicono sicuri di poter dispiegare.
Se davvero si concretizzerà , per il presidente della Repubblica questa rischia di essere un’iniziativa quantomeno imbarazzante.
Basta riandare a quel che disse il 12 luglio scorso, quando con parole aspre fermò la rincorsa di retroscena su un presunto «piano di salvataggio» per Berlusconi, che sarebbe stato già pronto perfino nei dettagli.
«Queste speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato sono un segno di analfabetismo e di sguaiatezza istituzionale», tagliò corto.
Anzi, aveva aggiunto, «danno il senso di un’assoluta irresponsabilità politica che può soltanto avvelenare il clima della vita pubblica».
Una reazione infastidita, per sottrarre il Colle a una pretesa allora assolutamente fuori luogo (non era ancora cominciato il processo Mediaset in Cassazione) e che appare ancora adesso difficilmente praticabile, per diversi motivi.
Anzitutto, una grazia che intervenisse subito dopo una condanna definitiva si configurerebbe di fatto come un quarto grado di giudizio, tale da smentire e potenzialmente delegittimare la stessa Corte.
E poi, per concedere un provvedimento di clemenza, servono com’è noto certi requisiti minimi (ad esempio un’istruttoria del ministro della Giustizia, almeno un inizio di espiazione della pena, un parere favorevole degli organi penitenziari e dei servizi sociali, ecc.) che in questo caso mancherebbero.
Senza contare che sul Cavaliere pendono comunque alcuni altri processi destinati ad approdare a sentenza definitiva nei prossimi due-tre anni.
Il puro e semplice parlarne, dunque, sembra una pressione sbagliata e indebita, al Quirinale. Perchè alimenta equivoci, ambiguità e un improprio carico di aspettative.
Il discorso potrebbe invece essere diverso, forse, per altre forme di salvacondotto più o meno efficaci (un’amnistia o un indulto sono esclusiva competenza del Parlamento) su cui in queste ore sta almanaccando il centrodestra.
E chissà a che cosa pensavano (anche loro davvero alla grazia tout court?) i capigruppo del Pdl Schifani e Brunetta, quando ieri sera hanno comunicato l’intenzione di salire «a breve» al Quirinale «per chiedere al presidente che sia restituita la libertà » all’ex premier e di «usare i poteri costituzionali per difendere la dialettica democratica alterata da questa sentenza».
Segnali di un partito sotto choc e che ancora deve elaborare il lutto della condanna del capo. Indizi che preoccupano molto Napolitano.
Tanto da indurlo, a tarda sera, a far diramare una nota chiarificatrice: «È la legge a stabilire quali sono i soggetti titolati a presentare la domanda di grazia». Il senso della puntualizzazione è che questa strada, così come la si vorrebbe imboccare, è strettissima e anzi impraticabile perchè, come recita il Codice di procedura penale, la domanda dev’essere sottoscritta «dal condannato o da un suo prossimo congiunto o dal convivente o dal tutore o dal curatore ovvero da un avvocato o procuratore legale».
Non certo da esponenti politici, insomma.
Ma tant’è.
A quella drammatizzazione si accompagna la disponibilità a «dimissioni immediate» che tutti i parlamentari pidiellini – ministri compresi – hanno offerto a Berlusconi, non solo come gesto di solidarietà quanto come uno strumento di minaccia, mentre il leader incitava tutti a prepararci per «elezioni presto».
Il capo dello Stato, che durante il weekend rientrerà a Roma da un breve soggiorno in Alto Adige, affronterà la questione attraverso una serie di incontri e contatti politici.
E se il centrodestra volesse consegnargli le chiavi della legislatura, affidandogli la sorte di Berlusconi, il Pd apparirebbe in mezzo al guado, incertissimo se staccare la spina al governo.
Marzio Breda
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 3rd, 2013 Riccardo Fucile
LE LACRIME DI ALFANO E BRUNETTA E LE FINTE DIMISSIONI DI MINISTRI E PARLAMENTARI
La doccia fredda in una telefonata di pochi minuti. Silvio Berlusconi vuole capire, sondare l’effettiva disponibilità del Colle a concedere la grazia che risolverebbe — almeno per questa condanna — tutti i suoi problemi.
È il tardo pomeriggio e il leader ha già convocato alla Camera i gruppi parlamentari Pdl alle 18, ma arriverà con 55 minuti di ritardo.
Il colloquio telefonico avuto da Gianni Letta (secondo alcuni dallo stesso Berlusconi) col presidente della Repubblica, in vacanza in Alto Adige, dura molto meno.
Ma sono minuti sufficienti a comprendere come non vi siano spiragli. «La grazia non esiste».
La strategia era stata concordata nel lungo vertice durato quasi tutto il giorno a Palazzo Grazioli, presenti i figli Marina e Piersilvio, oltre a Gianni Letta, Alfano, i capigruppo Brunetta e Schifani, Verdini e Santanchè.
Concedere al Quirinale la disponibilità a dimettersi da senatore subito.
Optare per il carcere a settembre, ottenendo in cambio dalla presidenza Napolitano la garanzia che quel giorno stesso pubblicasse il provvedimento di grazia.
Un copione messo a punto al quartier generale per risolvere all’insegna della «pacificazione».
Di più, rafforzata dalla disponibilità di Berlusconi a fare un passo indietro, a ritirarsi dalla leadership diretta.
Inaccettabile per un capo dello Stato con la storia di Giorgio Napolitano, impraticabile in ogni caso per la Presidenza della Repubblica.
La linea il Colle l’ha già ribadita giorni fa, rispondendo a muso duro al direttore di Libero Maurizio Belpietro che la invocava.
Non sussistono le condizioni, tanto più nei confronti di un condannato che ha altri carichi pendenti, altri processi in corso, altre sentenze di primo grado a suo carico.
Per il Cavaliere è la fine, il punto del non ritorno.
Torvo in viso, mascelle rigide, raggiunge Montecitorio, entra da via di Campo Marzio, sono quasi le 19
Va al gruppo, lo attende la standing ovation lunga un minuto dei suoi deputati e senatori.
È il preludio dell’escalation potrebbe portare a dimissioni di massa dei parlamentari, alla crisi, a nuove elezioni. Ma non prima che un passaggio formale venga compiuto.
Domani i capigruppo Brunetta e Schifani saliranno al Colle per formalizzare la richiesta di grazia. Per quelle stesse ore Daniela Santanchè e Denis Verdini hanno pianificato – a dispetto di una Roma in cui sono previsti 40 gradi e già mezza deserta – una manifestazione di piazza, da tenersi alle 18 a Piazza della Repubblica per poi muovere verso Piazza Santi Apostoli.
Ancora incerta e da definire ieri a tarda sera. L’intento è quello di «sensibilizzare », diciamo così, la più alta carica dello Stato all’accoglimento della richiesta.
Una pressione che anche Gianni Letta e Angelino Alfano avrebbero sconsigliato di esercitare. Invano, a quanto pare.
Sono gli stessi che durante il vertice del pomeriggio avevano azzardato un suggerimento al capo, quello di giocare d’anticipo e dimettersi da senatore, evitando il voto d’aula a Palazzo Madama dopo la condanna.
Un segnale, anche quello, di disponibilità da recapitare al Colle. Ma Berlusconi non ci sta, lo dice subito, non intende dimettersi.
«Venderò cara la pelle» avverte tutti. E ha aggiunto: «Mi hanno perfino ritirato il passaporto, neanche fossi un criminale comune».
Di Angelino Alfano e del capogruppo Renato Brunetta si ricorderanno le lacrime, durante l’assemblea dei gruppi.
Berlusconi si era commosso a sua volta dopo il lungo applauso. Salvo poi prendere la parola e passare all’attacco. «Non possiamo sottrarci al dovere di una vera riforma della giustizia per questo siamo pronti alle elezioni. Dobbiamo chiederle per vincere e raggiungere i nostri obiettivi.
Ma non siamo precipitosi, riflettiamo sulla strada migliore da percorrere ».
Fa un escursus del «processo farsa», è «innocente», non ha mai commesso reati di frode fiscale. Poi torna alla politica: «L’unica nostra colpa è non aver mai preso il 51 per cento e questo ci ha impedito di fare la riforma liberale, colpa dei veti dei piccoli partiti».
In un gioco delle parti, tuttavia, il Cavaliere appare quasi cauto.
«Riflettiamo se andare davvero a elezioni, come ci converrebbe fare e non abbiamo fatto finora per senso di responsabilità , valutiamo quale sia la soluzione migliore nell’interesse del Paese». Poi però prende la parola il segretario Alfano, proclama sua ennesima dichiarazione d’amore al leader, si commuove, piange e annuncia – come concordato nel vertice ristretto del pomeriggio a Palazzo Grazioli – che lui e gli altri quattro ministri hanno di fatto rassegnato le loro dimissioni nelle sue mani.
Non in quelle del premier Letta, dunque, ma del leader del partito.
«Presidente, se continueranno a offendere la tua storia che è la nostra storia di questi ultimi vent’anni, allora non possiamo accettarlo, noi in te ci riconosciamo» è la giaculatoria del segretario che conclude sulla scia di uno scroscio di applausi.
Dimissioni pro forma dei ministri, dunque.
E i parlamentari? A quel punto intervengono i capigruppo Schifani e Brunetta (anche il capogruppo alla Camera cederà all’emozione, in quei momenti carichi di pathos).
Saranno loro, gli unici a far esplicito riferimento alla grazia che sarà invocata al Quirinale.
Lo faranno nel chiuso dell’assemblea coi parlamentari e poi fuori, parlando coi giornalisti.
«Ci muoveremo a breve con Brunetta perchè ti possa essere restituita nel rispetto della Costituzione quella libertà che ti spetta, presidente – dice Schifani rivolto al Cavaliere – Lo dobbiamo alla tua storia, così da ottenere da Napolitano il ripristino dello stato di democrazia che questa sentenza ha alterato».
Diranno proprio così, «alterazione dello stato di democrazia » e per ciò saliranno al Colle già domani, se il presidente – come sembra – concederà loro l’incontro di ritorno dalle sue vacanze in Alto Adige. Un applauso collettivo conferma la disponibilità di tutti alle dimissioni. Escono d’umore nero soprattutto i ministri, da quell’assemblea, e un po’ tutti i parlamentari.
Col tam tam generale che già indica nel 27 ottobre, in concomitanza col voto in Trentino Alto Adige, la data da cerchiare in rosso per il voto anticipato.
Quirinale permettendo.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Agosto 3rd, 2013 Riccardo Fucile
GRAZIE AL LAVORO DI GIULIA BONGIORNO IN COMMISSIONE GIUSTIZIA OGGI BERLUSCONI NON E’ RIUSCITO A RIMANERE IMPUNITO
Come si dice, il tempo è galantuomo. A tre anni dallo strappo che sancì la fine del
berlusconismo di governo, la sentenza Mediaset obbliga a riconsiderare l’ultimo atto di dignità della destra italiana: l’addio al Pdl di Gianfranco Fini, che proprio sul tema della legalità e del rispetto della magistratura, nel luglio del 2010, pose fine al sodalizio con il Cavaliere.
L’ex presidente della Camera si è ritirato dalla scena, dopo un rovescio elettorale senza appello, in gran parte legato all’insuccesso del terzo polo montiano.
Ma la voce che serpeggia tra i suoi vecchi amici, in queste ore, è soltanto una: “Forse aveva ragione lui”.
Se lo raccontano sottovoce i luogotenenti della destra sociale di Alemanno, cancellati da Roma e messi alla porta dagli Azzurri.
E se lo dicono persino quelli di Fratelli d’Italia, che hanno costruito la loro piccola zattera di salvataggio ma sanno che difficilmente sopravviveranno nella nuova fase che si è aperta.
Già , perchè ora che il Cavaliere chiama alla nuova “Guerra dei vent’anni”, non sono immaginabili posizioni terziste: o con lui o contro di lui.
L’idea a cui tre anni fa si erano aggrappati gli ex-An, quella di un sistema berlusconiano riformabile dall’interno, è scomparsa all’improvviso.
E con essa i mille alibi messi insieme nell’aprile del 2010, dopo la direzione del “Che fai, mi cacci”, per giustificare la scelta di fedeltà al Caimano: prima tra tutte, l’irrilevanza o l’inconsistenza dei suoi problemi con la giustizia e la teoria del complotto delle Procure.
Adesso che non è una procura, un tribunale “semplice”, ma una Corte di Cassazione che ha resistito a pressioni inaudite a decretare la colpevolezza del-l’imputato Berlusconi, l’idea che Fini ci avesse visto lungo turba i ragionamenti di quel che resta della destra.
E anche quel che resta della sinistra dovrebbe farci i conti.
Se infatti l’imputato Berlusconi è arrivato al capolinea della sentenza senza beneficiare degli scudi elaborati a dozzine nell’ultima fase della sua permanenza a Palazzo Chigi, lo si deve innanzitutto alla barriera interposta dai finiani, e in particolare da Giulia Buongiorno, nell’ultima e tumultuosa fase del premierato di Berlusconi.
Senza il no sui punti sensibili della riforma della giustizia portata in Parlamento nell’ottobre del 2010, e senza l’opera di contenimento dei “finiani” sul Lodo Alfano, forse anche la storia di questo processo sarebbe stata diversa.
Lo stesso Berlusconi, d’altra parte, lo ha ripetuto in ogni occasione utile: “I nostri sforzi di cambiare la giustizia sono stati puntualmente vanificati perchè Fini e i suoi si sono messi sempre di traverso”.
E allora, forse avevano ragione Fini e i finiani.
Che erano tutt’altro che “traditori”: magari kamikaze, magari troppo in anticipo sui tempi, ma di sicuro più coerenti con la loro storia e più avvertiti degli altri nel prevedere il cupio dissolvi del berlusconismo.
E forse, il momento giusto per staccare definitivamente la spina era quello, nel-l’autunno del 2010, davanti alla evidenza di un premier proteso solo alla tutela delle sue posizioni processuali, delle sue aziende e del suo improponibile stile di vita.
E forse, in quella finestra temporale, si è aperta e chiusa l’ultima opportunità per la destra politica italiana per riconquistarsi un ruolo autonomo sulla scena nazionale.
Oggi, davanti allo stesso bivio c’è il Pd e ci sono le massime istituzioni dello Stato. Devono scegliere se cercare l’estremo compromesso con un leader impresentabile, nel nome di un astratto concetto di “stabilità ”, oppure prendere atto dello stato delle cose e pronunciare il non possumus che due terzi del Paese si aspetta da loro.
Se sceglieranno la prima strada la storia dovrà registrare l’ennesimo paradosso italiano: a recitare la parte degli ultimi giapponesi nel conflitto nucleare che il Cavaliere si prepara a scatenare non saranno gli alleati o ex-alleati della destra, i nipotini di Almirante e di Romualdi, ma i pronipoti di Berlinguer e di Moro.
Che tristezza.
Flavia Perina
(da “il Fatto Quotidiano”)
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