ORA GLI EX-AN LO AMMETTONO: SU BERLUSCONI AVEVA RAGIONE FINI
GRAZIE AL LAVORO DI GIULIA BONGIORNO IN COMMISSIONE GIUSTIZIA OGGI BERLUSCONI NON E’ RIUSCITO A RIMANERE IMPUNITO
Come si dice, il tempo è galantuomo. A tre anni dallo strappo che sancì la fine del berlusconismo di governo, la sentenza Mediaset obbliga a riconsiderare l’ultimo atto di dignità della destra italiana: l’addio al Pdl di Gianfranco Fini, che proprio sul tema della legalità e del rispetto della magistratura, nel luglio del 2010, pose fine al sodalizio con il Cavaliere.
L’ex presidente della Camera si è ritirato dalla scena, dopo un rovescio elettorale senza appello, in gran parte legato all’insuccesso del terzo polo montiano.
Ma la voce che serpeggia tra i suoi vecchi amici, in queste ore, è soltanto una: “Forse aveva ragione lui”.
Se lo raccontano sottovoce i luogotenenti della destra sociale di Alemanno, cancellati da Roma e messi alla porta dagli Azzurri.
E se lo dicono persino quelli di Fratelli d’Italia, che hanno costruito la loro piccola zattera di salvataggio ma sanno che difficilmente sopravviveranno nella nuova fase che si è aperta.
Già , perchè ora che il Cavaliere chiama alla nuova “Guerra dei vent’anni”, non sono immaginabili posizioni terziste: o con lui o contro di lui.
L’idea a cui tre anni fa si erano aggrappati gli ex-An, quella di un sistema berlusconiano riformabile dall’interno, è scomparsa all’improvviso.
E con essa i mille alibi messi insieme nell’aprile del 2010, dopo la direzione del “Che fai, mi cacci”, per giustificare la scelta di fedeltà al Caimano: prima tra tutte, l’irrilevanza o l’inconsistenza dei suoi problemi con la giustizia e la teoria del complotto delle Procure.
Adesso che non è una procura, un tribunale “semplice”, ma una Corte di Cassazione che ha resistito a pressioni inaudite a decretare la colpevolezza del-l’imputato Berlusconi, l’idea che Fini ci avesse visto lungo turba i ragionamenti di quel che resta della destra.
E anche quel che resta della sinistra dovrebbe farci i conti.
Se infatti l’imputato Berlusconi è arrivato al capolinea della sentenza senza beneficiare degli scudi elaborati a dozzine nell’ultima fase della sua permanenza a Palazzo Chigi, lo si deve innanzitutto alla barriera interposta dai finiani, e in particolare da Giulia Buongiorno, nell’ultima e tumultuosa fase del premierato di Berlusconi.
Senza il no sui punti sensibili della riforma della giustizia portata in Parlamento nell’ottobre del 2010, e senza l’opera di contenimento dei “finiani” sul Lodo Alfano, forse anche la storia di questo processo sarebbe stata diversa.
Lo stesso Berlusconi, d’altra parte, lo ha ripetuto in ogni occasione utile: “I nostri sforzi di cambiare la giustizia sono stati puntualmente vanificati perchè Fini e i suoi si sono messi sempre di traverso”.
E allora, forse avevano ragione Fini e i finiani.
Che erano tutt’altro che “traditori”: magari kamikaze, magari troppo in anticipo sui tempi, ma di sicuro più coerenti con la loro storia e più avvertiti degli altri nel prevedere il cupio dissolvi del berlusconismo.
E forse, il momento giusto per staccare definitivamente la spina era quello, nel-l’autunno del 2010, davanti alla evidenza di un premier proteso solo alla tutela delle sue posizioni processuali, delle sue aziende e del suo improponibile stile di vita.
E forse, in quella finestra temporale, si è aperta e chiusa l’ultima opportunità per la destra politica italiana per riconquistarsi un ruolo autonomo sulla scena nazionale.
Oggi, davanti allo stesso bivio c’è il Pd e ci sono le massime istituzioni dello Stato. Devono scegliere se cercare l’estremo compromesso con un leader impresentabile, nel nome di un astratto concetto di “stabilità ”, oppure prendere atto dello stato delle cose e pronunciare il non possumus che due terzi del Paese si aspetta da loro.
Se sceglieranno la prima strada la storia dovrà registrare l’ennesimo paradosso italiano: a recitare la parte degli ultimi giapponesi nel conflitto nucleare che il Cavaliere si prepara a scatenare non saranno gli alleati o ex-alleati della destra, i nipotini di Almirante e di Romualdi, ma i pronipoti di Berlinguer e di Moro.
Che tristezza.
Flavia Perina
(da “il Fatto Quotidiano”)
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