Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
IL RELATORE DELLA LEGGE SEVERINO CASSA L’INTERPRETAZIONE DELL’ESPONENTE PDL
Il presidente della commissione Giustizia del Senato aveva ventilato l’ipotesi che lo stop all’inserimento in lista del Cavaliere in caso di nuove elezioni potesse essere superato da un ricorso amministrativo: “Qualora l’aula non si dovesse pronunciare sulla decadenza in ragione dell’eventuale caduta del governo e dello scioglimento del Parlamento — ha osservato Nitto Palma – la Corte d’appello potrebbe assumere il provvedimento indicato, fermo restando che comunque sarebbe percorribile un ricorso al Tar nel cui ambito si possono sollevare tutte le questioni giuridiche già sollevate in giunta”.
“Non sa ciò di cui parla”, risponde Ceccanti. Che spiega: “Nel caso delle elezioni politiche conta sempre e solo il testo unico della Camera nel 1957. Dunque, se l’ufficio elettorale circoscrizionale dovesse dichiarare qualcuno incandidabile, l’unico ricorso potrebbe essere fatto all’ufficio elettorale centrale, che deve decidere prima della chiusura delle liste”.
Nel Pdl era circolata un’ipotesi: il ricorso al Tar avrebbe reso intanto Berlusconi candidabile, e la sua elezione sarebbe stata sub-judice in attesa della sentenza, con tempi destinati ad allungarsi anche in virtù di un possibile successivo ricorso al Consiglio di Stato.
Una soluzione priva di fondamento?
“Assolutamente sì — spiega il professore — su questo la legge è chiara”. In effetti il combinato disposto della Severino e del testo unico delle leggi elettorali non sembra lasciare spazio ad equivoci.
Recita l’articolo due, terzo comma, della legge promossa dall’esecutivo tecnico: “Per i ricorsi avverso le decisioni di cui al comma 2 trova applicazione l’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361”.
Che è, per l’appunto, il testo unico di cui sopra. Il quale stabilisce che l’unico ricorso possibile è quello all’ufficio elettorale centrale, che “decide nei due giorni successivi”.
Nessuna scappatoia per il Cavaliere, dunque.
Nemmeno quella prospettata dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli. “Nel vuoto della legge Severino vale solo l`articolo 66 della Costituzione, che attribuisce a ciascuna camera il giudizio sui titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità — ha osservato il leghista – Ragion per cui, se dovessimo tornare al voto prima del pronunciamento del Senato, Berlusconi potrebbe candidarsi sia alla Camera che a Palazzo Madama”.
Replica Ceccanti: “Ma il voto del Senato riguarda l’incandidabilità sopraggiunta dopo le elezioni. Per quanto riguarda la prossima legislatura, la legge stabilisce chiaramente quali siano i margini di candidabilità ”.
“Anche qualora venisse ammessa la possibilità di ricorso al Tar – chiosa il professore – rimane il fatto che sul piano sostanziale anche la giustizia amministrativa dovrebbe prendere atto della chiarezza della legge”.
Insomma, le scappatoie per il Cavaliere sono assai limitate.
Qualora decidesse di staccare la spina al governo, un suo ritorno in Parlamento sembra assai improbabile, se non impossibile.
Un argomento che potrebbe costituire un deterrente per indurlo a non far precipitare la situazione.
Almeno fin quando la Giunta non ne sancirà la decadenza.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
IN CINQUE ANNI PERSI 2,6 PUNTI DI PIL IN LOMBARDIA E 11 IN SICILIA… IL RECORD DELL’EXPORT SARDO
La classifica non è per niente incoraggiante, perchè ci sono solo «segni meno». 
Eppure, anche questa volta, è la Lombardia la regione italiana in testa alla lista.
Il metro di misura è la doppia, grande, recessione italiana: quella iniziata nel 2008, sospesa con una breve pausa nel 2010, ritornata con la crisi del debito e ora, pare, agli sgoccioli.
Ebbene, nei sei anni «neri» dal 2008 al 2013 – includendo quindi le stime sull’anno in corso – il Pil italiano ha perso più dell’8 per cento, quello lombardo invece «solo» il 4 per cento circa. Insomma, più o meno la metà .
Questa volta, poi, non si tratta di una questione nordista. Ma di un’«eccezione» essenzialmente lombarda.
Perchè, sconfinando a ovest in Piemonte o a est in Veneto, il Pil sprofonda con tassi intorno alla doppia cifra, ben lontani dal calo più contenuto della Lombardia.
Secondo lo Svimez, infatti, il Prodotto interno lordo del Veneto è sceso dell’8,1% tra 2008 e 2012 e dovrebbe perdere un ulteriore 1,7% quest’anno.
Numeri simili in Piemonte: -8,4% nel lustro e -2,6% nel 2013.
Il calo del Pil piemontese previsto nel 2013 – appunto -2,6% – vale da solo tutta la diminuzione del reddito lombardo dal 2008 al 2012. Poi, quest’anno, lo Svimez stima per la regione «locomotiva d’Italia» un ulteriore calo dell’1,5%
Ma l’eccezione lombarda – intesa come una recessione sicuramente pesante ma meno forte che altrove – non si ferma ai dati sul Pil. E riguarda anche l’occupazione.
Come? La classifica questa volta è provinciale.
E in testa ci sono Lecco, Piacenza, Monza-Brianza e Milano: tre province lombarde su quattro, più una – Piacenza – a un tiro di schioppo da Pavia e Milano.
Secondo il sistema informativo Excelsior (Unioncamere e ministero del Lavoro) il saldo occupazionale nel 2013 – vale a dire la differenza tra entrate e uscite nel mondo del lavoro – dovrebbe essere negativo dello 0,9% a Lecco e Piacenza, dell’1% in Monza-Brianza e dell’1,1% a Milano. Sono dati negativi, ma del tipo «zero virgola» o giù di lì, in una classifica che non solo è tutta negativa, ma arriva fino al -5,2% di Ragusa e Nuoro e al -6,6% di Enna.
In mezzo, tra il quadrilatero quasi tutto lombardo e il «podio rovesciato insulare», ci sono tutte le altre province d’Italia, con una media del -2,2%
Eppure, le cose più o meno si capovolgono in un capitolo fondamentale dell’economia italiana: quello dell’export.
Considerando la crescita delle esportazioni nel 2012, in vetta alla classifica ci sono il Sud e le Isole (+7,8%), seguiti dal Centro (+6,3%), dal Nord Ovest (+3,5%) e, ultimo, dal Nord Est (+1,1%).
I dati, raccolti dalla Banca d’Italia, scendono poi nel dettaglio delle singole regioni. Certo, si tratta di variazioni e non del totale dell’export, ma colpisce comunque l’aumento del 21,5% delle vendite all’estero registrato dalla Sardegna, così come il +21,2% della Sicilia. Bene anche Umbria (+7,6%), Marche (+6%) e Lazio (+5,1%). «Benino» Liguria (+4,1%), Lombardia (+3,7%) e Piemonte (+2,9%) .
Ben più modesta, invece, la crescita dell’export veneto (+1,6%) e addirittura decisamente negativo il dato del Friuli-Venezia Giulia (-8,9%).
E adesso? Che cosa succederà nel 2014?
Qualcuno, come lo Svimez, ha cercato di fare un pronostico sul quadro dell’economia italiana nell’anno che, stando alle stime, dovrebbe essere quello della ripresa.
Il risultato? L’exploit delle esportazioni «sotto la linea gotica» dell’anno scorso non basterà al Centro-Sud per recuperare terreno nel divario con il Nord. Anzi.
Secondo le previsioni, nel 2014 il Pil crescerà dell’1% al Nord, dello 0,4% al Centro e di appena lo 0,1% al Sud.
Di nuovo, a guidare la classifica regionale è la Lombardia, ora in compagnia di Emilia Romagna e Friuli-Venezia Giulia: l’economia delle tre regioni dovrebbe crescere dell’1,2%.
Seguono Veneto (+1%) e Piemonte (+0,7%).
Ultime nella lista, e uniche con un tasso ancora negativo, sono Sardegna e Calabria (entrambe in calo dello 0,1%).
La Calabria, tra l’altro, è la regione che nel 2012 ha registrato il Prodotto interno lordo pro capite più basso d’Italia: 16.460 euro, meno della metà dei 33.443 euro della Lombardia.
Il divario, quindi, è destinato a crescere ancora. In tempi di recessione così come in tempi di crescita.
Giovanni Stringa
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
LE POLTRONE TRA PRESIDENTI, AMMINISTRATORI E CONSIGLIERI DELLE PARTECIPATE SONO OLTRE 2.000 PER UNA SPESA DI 140 MILIONI DI EURO
Un esclusivo golf club e la farmacia comunale. L’ente di ricerca internazionale e il macello pubblico. La Rai e il noleggio di automobili.
La partecipazione di un piccolo Comune nelle terme locali e le migliaia di quote possedute dalle Università italiane in consorzi e società di diversa natura.
Ma non è la varietà a colpire, quello che sorprende sono i numeri e la loro incertezza. Nessuno, nemmeno il governo, sa con esattezza quante sono.
Quelle classificate sono 7.287, ma è poco più di una stima, perchè più di tre amministrazioni su dieci non rispondono al ministero, incuranti degli obblighi di legge.
Alla fine potrebbero essere tranquillamente più di 10 mila, ma nessun ufficio può attestarlo con certezza: si sa che le srl sono più di 2 mila, le società per azioni più di 1700, le fondazioni più di 400, i consorzi alcune migliaia.
Sono le partecipate delle amministrazioni pubbliche, quelle dei ministeri più importanti e quelle dell’ultimo Comune d’Italia.
Dentro ci sono i campioni nazionali dell’industria tricolore, dall’Eni a Finmeccanica, ma vi si trovano anche i consorzi boschivi, le assicurazioni delle Province, le quote negli ordini professionali da parte degli enti locali.
Una società partecipata dalla pubblica amministrazione ogni 6 o 7 mila abitanti.
E’ una fetta corposa di spesa pubblica che negli ultimi anni si è dilatata a dismisura, talvolta senza alcun controllo: 22 miliardi di euro sono gli oneri a carico delle casse di enti locali e statali, almeno quelli dichiarati (oneri da contratto di servizio o da trasferimenti); ma se fossero molti di più, quelli reali, al ministero diretto da Giampiero D’Alia nessuno si stupirebbe.
Se invece delle partecipate si analizza l’elenco delle partecipazioni il numero lievita ulteriormente: due Comuni possono avere quote della stessa società , dunque il numero delle prime è superiore a quello delle seconde.
Quante sono? Vale quello che si è detto sopra: esattamente nessuno può dirlo, con un tasso di errore di almeno il 30% le partecipazioni sono addirittura 40 mila, tante quante sono le comunicazioni che sono giunte al ministero della Funzione pubblica per la raccolta della banca dati Consoc.
Dati che restano parziali anche per il costo del personale.
Solo il 58% dei Comuni lo ha comunicato, per circa 13 miliardi di euro.
Mentre per le retribuzioni dei vertici (presidenti, consiglieri e amministratori, circa duemila «poltrone») la cifra complessiva di cui dispone il ministero supera i 140 milioni di euro.
In media 70 mila a carica.
Si sa anche che i Comuni con più di 50 mila abitanti hanno in media più di 11 partecipazioni in Spa e più di 7 in Srl
Entro il 30 settembre di quest’anno (termine già prorogato) i Comuni con popolazione inferiore ai 30 mila abitanti dovrebbero per legge dismettere tutte le partecipazioni, al netto di alcune eccezioni, peraltro piuttosto ampie: ultimi tre bilanci in utile, perdite recenti ripianate dal Comune, riduzioni di capitale conseguenti a perdite.
Lo stanno facendo? Lo sapremo, forse, nel 2014, quando gli enti dovrebbero comunicare al governo i dati.
Gli oneri complessivi e la cifra dei dividendi che queste partecipate garantiscono definiscono in modo più completo la cornice: spesso in perdita, assorbono molto più di quanto siano in grado di produrre secondo logiche di mercato
Non tutti i servizi pubblici possono o debbono essere gestiti secondo regole di redditività , ma almeno nel settore comunale il rapporto fra dividendi e oneri è di 1 a 10, ulteriore materia di riflessione per il governo.
La metà dei dividendi comunali è prodotta in Lombardia, che ha anche il maggior numero di partecipate comunali fra le Regioni italiane.
Negli ultimi anni il legislatore nazionale ha posto un freno alla proliferazione: il boom di costituzioni iniziato negli anni 90 (250 società e organismi all’anno dal 2000 al 2009) si è attenuato, grazie all’introduzione di vincoli e divieti molto rigidi.
«Il ricorso ad organismi partecipati al fine di gestire funzioni e servizi dei Comuni è stato accelerato per finalità elusive dei vincoli di finanza pubblica (patto di Stabilità interno) e dei limiti di assunzione del personale», si legge nell’ultimo rapporto del ministero della Funzione pubblica.
Che mette a fuoco un’altra dinamica: «Al crescere della quota di proprietà pubblica della società il risultato economico tende a diminuire».
Il ministro D’Alia sta per far partire un ulteriore censimento: numero e costo esatto del personale.
Per discutere in modo più accurato di dismissioni pubbliche occorrerebbe una ricognizione finalmente precisa anche di questo settore.
Non sarà facile.
Marco Galluzzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
I PARTITI CERCANO LA MEDIAZIONE SULLA RIFORMA
Per mandare in soffitta il Porcellum le due date chiave sono il 2 settembre e il 3 dicembre.
A settembre la commissione Affari costituzionali del Senato comincerà a esaminare con procedura di urgenza un testo che modifica un meccanismo su cui grava il sospetto di incostituzionalità .
Il 3 dicembre è fissata l’udienza della Consulta che dovrà giudicare appunto la legittimità della legge elettorale
La questione è quanto mai attuale perchè spesso si parla di ricorso anticipato alle urne, cosa che, come ha più volte ribadito il presidente della Repubblica Napolitano, non sarà possibile se prima non verrà cambiato il sistema di voto.
Questo tema è stato oggetto, nei giorni scorsi, di una messa a punto del ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello. il quale ha osservato che «il giudizio pendente davanti alla Corte costituzionale rappresenta un elevatissimo ostacolo dal punto di vista politico-costituzionale affinchè la legge in vigore possa regolare eventuali nuove elezioni». Valutazioni meramente tecniche, ha tenuto a precisare il ministro, che nulla hanno a che vedere con le «determinazioni che spettano a chi detiene il potere di scioglimento delle Camere», un potere in capo al presidente della Repubblica.
Quagliariello ha poi ricordato che lo stesso governo «già nel vertice di Spineto del 12 e 13 maggio aveva sollecitato, in attesa di una legge elettorale definitiva che dovrà accompagnare le riforme costituzionali, un intervento di salvaguardia per mettere il sistema oggi in vigore al riparo da possibili vizi di costituzionalità ».
In questo quadro la decisione del Senato di adottare la procedura di urgenza è stata giudicata «quanto mai opportuna»
Ricorrervi significa ridurre i tempi di discussione, che da due mesi passano a uno. In altre parole, se l’esame comincia il 2 settembre in commissione la nuova disciplina elettorale potrà andare in Aula per il voto definitivo a ottobre, poi sarà trasmessa alla Camera, dove, con ogni probabilità , anche lì sarà adottato il metodo accelerato
L’obiettivo è varare una legge prima che la Consulta si pronunci.
L’accordo è unanime.
I problemi nascono quando si comincia a entrare nel merito perchè su questo Pd e Pdl, la pensano in modo diverso, se non addirittura opposto.
Il Pd agita lo slogan «mai più col Porcellum». E come è stato affermato da molti esponenti (da Roberto Speranza a Roberto Giachetti, da Luigi Zanda alla presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro) si vuole reintrodurre il Mattarellum, cioè il vecchio sistema (maggioritario con correzione proporzionale) sostituito nel 2005 proprio dal Porcellum.
E proprio per questo , alla fine di luglio, è stato presentato in entrambi i rami del Parlamento un progetto per ripristinare il Mattarellum.
Il Pd, cioè, ha intenzione di intervenire in profondità sul meccanismo elettorale e di non limitarsi a una semplice manutenzione.
Tale orientamento è stato ribadito ieri dalla stessa Finocchiaro: «Non basta correggere il Porcellum, è necessario sostituirlo con una nuova legge».
Ed è appunto su questo che si è aperto un fronte polemico con il Pdl. Il Popolo della libertà , al contrario, è fermo all’intesa di governo (quella richiamata dal ministro Quagliariello), secondo la quale la correzione si deve limitare a una «clausola di salvaguardia».
Interventi minimi, giusto il necessario per togliere ogni dubbio di incostituzionalità , lasciando però la definizione del nuovo modello elettorale al processo di riforme costituzionali.
Solo dopo, quando si sarà decisa la forma di governo sarà possibile adottare una disciplina coerente con l’assetto prescelto.
E che questo sia l’indirizzo lo conferma Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato: «Le modifiche urgenti riguardano soltanto gli aspetti all’attenzione della Consulta, cioè la soglia minima di accesso per avere diritto al premio di maggioranza, come ricorda opportunamente Schifani nell’intervista al Corriere».
In ogni caso, prima che le posizioni si cristallizzassero la discussione aveva individuato alcuni possibili campi su cui concentrarsi: agire sul tetto o abolire il bonus di maggioranza. Il Porcellum, che è un sistema proporzionale con premio di governabilità , prevede due diverse discipline per Camera e Senato.
Per eleggere i deputati la soglia di sbarramento delle coalizioni è del 10% su base nazionale.
Se un partito corre da solo deve superare il 4% per accedere al riparto dei seggi.
Basta avere un voto più degli altri per conquistare il premio, che fa ottenere il 55% dei seggi della Camera.
In Senato il computo va fatto regione per regione.
La soglia di accesso è dell’8% per le coalizioni e del 3 per i partiti che non sono parte di una alleanza.
Lorenzo Fuccaro
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
UN GIORNO A CASA SHALABAYEVA: “QUI IO E ALUA ABBIAMO PAURA, IL NOSTRO SOGNO E’ TORNARE A ROMA”
C’e’ una vita di prima, dovrà esserci una vita dopo.
C’è un tratto comune nella vicissitudine di Alma Shalabayeva. Lei non è esistita se non come “moglie di”.
La polizia italiana, spinta dall’eccesso di zelo dei suoi responsabili politici, cercava il marito, non l’ha trovato, e ha raccattato con le brutte lei e la bambina.
Per consolazione, come in un inventario di reperti: “Documenti cartacei, un computer, banconote, la moglie e la figlia piccola…”.
Poi è toccato alle autorità kazake che, per risarcimento della caccia all’uomo provvisoriamente mancata, hanno incamerato “la moglie di”, con l’altro accessorio, la figlia piccola, che fino ad allora non si erano sognati di cercare, improvvisando un’imputazione qualunque.
La “moglie di” e la bambina acclusa diventavano una carta da giocare nella caccia all’uomo
L’opinione italiana si è indignata e commossa per la deportazione.
Ma anche allora Alma Shalabayeva (e bambina) è rimasta essenzialmente “la moglie di”, e buona parte dei sentimenti manifestati al suo riguardo si è improntata al giudizio sul marito: oligarca, dissidente, truffatore, crapulone o braccato.
Lo “scoop” sulla bionda avvocata slava voleva rendere più che mai Alma Shalabayeva “moglie di”: in quella specie di antonomasia maschile che è la moglie tradita.
Come se la deportazione illegale e brutale di due persone fosse attenuata o aggravata dalla loro eventuale felicità famigliare.
Catturato Ablyazov (sul cui destino peserebbe comunque in patria una giustizia gregaria: e Nazarbayev graziò Ablyazov, già suo pupillo, facendolo tornare agli affari alla condizione che non si occupasse più di politica, impensabile in una democrazia) si poteva pensare che trattenere Alma fosse ormai una seccatura superflua per il governo kazako. Però la “moglie di” può restare una carta pregiata nella pressione per l’estradizione dell’uomo.
C’è una sola persona che possa guardare a Alma come “la moglie di”: lei stessa.
Il ministro degli esteri kazako, Erlan Idrissov, ha detto che «Alma Shalabayeva è libera di andare dove vuole». Bisogna pur credere alle parole di un ministro, e lui per primo.
«Azhezh, il paesino in cui sono nata, nella regione di Karaganda — racconta Alma Shalabayeva — faceva così freddo che se sputavi quando atterrava era già ghiaccio. Ho trascorso lì i primi 17 anni, con due sorelle e due fratelli. Mio padre era tipografo, mia madre dottore del pronto soccorso».
Siamo nella casa dei suoi genitori, un po’ fuori Almaty, al bordo di un quartiere che si è intitolato “felicità “, e lo inalbera anche in caratteri latini. Alua ha sei anni e ci saluta in inglese e in italiano.
Ha un coniglietto bianco, uno vero, si chiama Sasha, fanno un piccolo spettacolo.
Alua ci canterà anche a memoria una canzoncina italiana: “Era una casa molto carina, senza soffitto senza cucina…”. Non credo che ne colga l’allusione, e nemmeno nel finale, in via dei Matti, al numero zero
Guardiamo un video su Zhezdy oggi, in abbandono, ci sono restati solo un uomo e una donna anziani, sulla parete diroccata della casa di lei sono appese due foto di famiglia e un profilo di Stalin.
C’era una miniera di manganese, è stata dismessa. Allora era un posto grazioso, si piantavano alberi, c’è anche un fiume, si pattinava.
E a ballare andava? «Ah no, il padre era severo, e col bel tempo si lavorava alla verdura e la frutta per l’inverno. La cosa più bella era quando andavamo fuori con tutta la famiglia e gli animali, dormivamo nella yurta, la mamma faceva la panna con le sue mani. Avevo paura dei cavalli, quando ero piccola un cavallo all’improvviso mi starnutì addosso, e non mi è passata…».
«Andai all’università ad Almaty, abitavo in un ostello, mi sono laureata in matematica. Ero forte a scacchi, ma non sono mai riuscita a entrare in nazionale.
Mukhtar Ablyazov l’ho incontrato così, lui però era in cima alla classifica.
C’era un torneo, finiva a notte, sarei tornata sola al buio, lui mi accompagnò. Ero al terzo anno, ne avevo 20, ci siamo sposati il 1° settembre del 1987.
Non avevamo dove andare se non nella mia stanza al collegio, ma quando arrivammo era chiuso. Siamo entrati dalla finestra, eravamo giovani e agili.
Le belle case londinesi erano lontane.
Quando ero già incinta andammo a stare nel suo collegio, che ospitava le coppie, a un’ora da Almaty: la stanza in verità era di 6 metri quadri, bagno e cucina comuni. Poi arrivammo a 9 metri, e l’ultimo anno a 20.
Lui si era laureato in fisica a Mosca, ed era assistente ad Almaty. Quando perse il posto bisognò cavarcela con le lezioni private.
A quel tempo il commercio tirava, e si mise a vendere macchinari elettronici. Provò anche con le mele, ma il primo carico arrivò che erano già marce.
Capitò l’occasione di un piccolo bungalow, senza allacci, tutto andava con la benzina. Tutti quelli che incontrava gli dicevano: Sai che puzzi di benzina. Traslocammo in un appartamento. C’era ancora l’Urss, penuria di merci, si mise a vendere zucchero, sale, fiammiferi.
Gli affari crescevano, finchè qualcuno riuscì a portargli via quell’attività .
Allora decise di impegnarsi nella finanza. Nella prima banca, la Kazkommerz, si accorge in tempo che lo statuto di fondazione è stato manipolato facendone scomparire il suo nome, così ne esce, a mani vuote, e fonda la sua, la BTA».
«Quando i bambini erano più piccoli (dopo la femmina è nato un maschio, nel 1992) lui se ne occupava, e anche della casa. Ora che gli affari assorbono tutto il suo tempo vuole che io ne resti fuori, per non espormi ai rovesci che il successo si porta dietro.
Solo a 32 anni mi iscrissi alla Scuola Nazionale di Management, un corso annuale, poi all’Accademia Diplomatica, due anni. In verità stavo sempre coi figli, cucinavo, mi piace fare i dolci, anche se il mio tiramisù non assomiglia mai abbastanza al vostro: era un bel tempo.
Nel 2001 un gruppo di giovani progressisti, alcuni avevano lavorato nel governo, fondarono il partito della Scelta Democratica, Ablyazov era il leader.
Ci fu un gran meeting pubblico, la tv TAN lo trasmise in diretta, finchè qualcuno distrusse a fucilate l’alimentazione elettrica. Dopo, Ablyazov e Galymzhan Zhakiyanov furono arrestati».
«Il presidente Nazarbayev aveva apprezzato Mukhtar, che parlava chiaro sulle questioni economiche ma anche politiche.
Dopo la fine dell’Urss la condizione dell’energia era rovinosa, le amministrazioni pubbliche credevano di non dover pagare bollette. Mukhtar impose che pagassero. Il presidente lo convocò per riferire le lamentele dei notabili, lui gli chiese se preferisse che le cose funzionassero o che smettessero le lamentele, e Nazarbayev si mise a ridere e gli disse di andare avanti.
Fu nominato ministro dell’economia e del commercio, si impegnò a promuovere l’energia per l’agricoltura.
Si attirava malumori e invidie. Intanto la BTA era cresciuta molto.
Il pretesto dell’arresto fu che si fosse servito del telefono del ministero… Fu condannato a 6 anni.
Mi ricordo la prima prigione, quell’orrore di ferri battuti. Portavo le cose più buone, era una festa per i detenuti. Anche in galera lui provava a far funzionare le cose.
Ottenne una bilancia, per verificare che non si imbrogliasse sui pasti. O la doccia due volte alla settimana invece che una. E le pulci: non sai che cosa sono le pulci in galera. Lo trasferirono.
I compagni gli volevano bene, alcuni per protesta si tagliarono. Nella nuova prigione lo mettono in mezzo al cortile, fanno venire fuori i detenuti e li picchiano dicendo che devono ringraziare lui per il trattamento.
Stava in una cella così fredda che si forzava a non addormentarsi, per paura di morire, si ammalò, fece uno sciopero della fame.
Si è persuaso che la sua vita era in pericolo. Gli hanno proposto di incontrare la stampa, di dichiarare che non si occuperà più di politica, e l’ha fatto. Amnesty e Human Rights Watch hanno riconosciuto che la sua era una prigionia politica».
«In molti avevano smesso di frequentarmi, allora. Quando andò in carcere mi chiese di andare via, a Londra. Anche ora qui sono isolata, e anch’io evito i rapporti, non voglio nuocere a nessuno.
Per fortuna ho i miei parenti. Non vedevo madre e padre da cinque anni. Mio padre era un uomo sportivo, amato dai ragazzi. Ha 72 anni, da quando ne aveva 65 è malato. D’un tratto mi domanda: Ma come mai sei qui? Perchè non sei con tutta la tua famiglia? Allora io gli dico: Papà , non vuoi che stia con te?, e si accontenta.
Ho avuto tanta paura la notte in cui sono venuti a prenderci, ma sono grata agli italiani che ci hanno difese.
Ringrazio tutti, ne ho molto bisogno. Mi colpisce Emma Bonino, con quell’aspetto così fragile e una volontà così coraggiosa: vorrei trovarmela di fronte.
L’ho detto, vorrei tornare dove stanno i miei, mi mancano tanto, mi manca la mia figlia grande, e io a lei.
Le donne capiranno: grazie a lei sono diventata nonna, e ha con sè il fratellino di dodici anni. Capisco quello che dici, che si parla di me solo come “la moglie di”: sono una donna, una persona, però io lo posso dire che sono la moglie di, e che lo amerò sempre. Una moviola che ci riporti indietro a una sera di Roma, senza che nemmeno dobbiamo voltarci, è un sogno impossibile.
Il ritorno è la mia speranza, e faccio tutto quello che occorre, passo dietro passo. Ho firmato un impegno a non lasciare Almaty, lo rispetto. Abbiamo chiesto al magistrato di sospendere il procedimento aperto contro di me lo scorso 30 maggio. E ho chiesto di poter espatriare, per ricongiungermi con la mia famiglia di cui sento tanto la mancanza, e per la nostra sicurezza»
Abbiamo parlato di molto altro, ma i giornali ne sono già pieni, e poi toccherà ai tribunali. Anche Alma è minuta e ha un aspetto fragile e molte notti senza sonno.
Anche lei è coraggiosa, però non bisognerebbe chiedere troppo alle persone.
A Ciampino, nelle ore in cui aspettavano, un impiegato gentile le ha detto: “C’è un mucchio di persone armate: ma che cos’ha fatto?” “Sono la moglie di un oppositore kazako”, ha risposto. “Tutto qui?”, ha chiesto lui.
Ho imparato tre o quattro parole di kazaco. Una è alma, vuol dire mela, il nome di Alma Ata viene da lì.
Però, in memoria del paradiso perduto, vuol dire anche, letteralmente, “Non toccare”.
Adriano Sofri
(da “La Repubblica“)
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Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
TRENTA MILIONI DI ITALIANI RINUNCIANO ALLE VACANZE, SPESA MEDIA DI 670 EURO PER CHI CI VA…CALANO I TURISTI STRANIERI: TARIFFE TROPPO ALTE E SERVIZI SCADENTI… CALA IL VOLUME D’AFFARI DEL 18%
Niente bollini neri sulle autostrade. Pinne, fucile ed occhiali rimangono in soffitta. Nell’estate
2013 più di un italiano su due non è stato e non andrà in vacanza.
Secondo gli ultimi dati raccolti da IPR Marketing, la crisi ha tagliato le ferie del 60% dei nostri connazionali.
Parliamo di oltre 30 milioni di persone che rimarranno a casa e, di queste, il 54% sono costrette a rinunciare alla pausa estiva per motivi economici contro appena l’8,3% che sarà bloccato a lavoro.
Gli altri, circa 27 milioni di italiani, hanno già fatto o stanno per fare una vacanza nel periodo compreso tra giugno e settembre.
Ma c’è poco da stare allegri. Tra i “fortunati” che possono ancora permettersi di partire, infatti, 7 su 10 hanno scelto località vicine con soggiorni brevi e soluzioni low-cost.
Meglio il mare.
In cima alle preferenze rimane il mare con il 60% dei casi, il 20% sceglie la montagna, il 13% va all’estero prevalentemente in una capitale europea e solo il 3% salirà su una nave da crociera.
Un terzo del campione (30,6%) si concederà una pausa relax in alberghi e pensioni, ma la maggioranza – il 33,4% – soggiornerà in casa di amici e parenti o in una casa di proprietà .
Poco più del 9% sceglierà un villaggio turistico, altrettanti affitteranno un appartamento.
Sale la richiesta per i residence (7,1%), e seguono con percentuali minime camping (2,8%), b&b (2%) e agriturismo (1%).
Un altro dato che conferma il clima di difficoltà generale è la durata della vacanza: si attesta in media sugli 11 giorni.
Finiti i tempi delle classiche due settimane di tintarella, la maggioranza degli intervistati (62%) ha ridotto il numero dei giorni rispetto allo scorso anno: il 44% pernotterà per una settimana mentre il 26% per 2-3 notti.
Appena un italiano su cinque godrà dei “canonici” 15 giorni e solo il 7% si fermerà per la terza settimana o più.
Quanto si spende.
Dopo un inizio stagione segnato dal maltempo che ha compromesso maggio e giugno, creando problemi ai balneari e ai lavoratori stagionali, secondo le stime di Unioncamere calano le partenze di luglio (-27,2% rispetto al 2012) e di agosto (-5,3%) che rimane comunque il mese di vacanza per eccellenza, mentre aumentano le richieste per settembre (+18%).
Ma quanto spenderanno gli italiani per le vacanze?
Secondo Federalberghi la media è di 670 euro per chi ha scelto di rimanere in Italia (circa l’80% del campione), e 1062 euro per chi si recherà all’estero.
In generale assistiamo a un calo del fatturato complessivo dovuto ai prezzi ribassati per attirare clienti, anche se l’opinione degli intervistati da IPR Marketing dice esattamente l’opposto: nel 75% delle risposte la percezione è che le tariffe siano aumentate.
Colpa della recessione, del clima di incertezza generale, delle retribuzioni ferme o del calo del potere d’acquisto abbinato all’aumento del costo della vita; le lamentele maggiori riguardano soprattutto l’aspetto economico: strutture che costano troppo rispetto al servizio (52%), che non rispondono alle promesse pubblicizzate (23%), scarsa professionalità del personale (18%).
Meno stranieri.
A tutto questo si sommano i dati negativi sugli arrivi dall’estero.
Secondo la 43esima indagine congiunturale sull’attività turistica in Italia condotta dal Ciset (Centro internazionale studi sull’economia turistica), tra maggio e ottobre 2013 gli arrivi totali segneranno un -1,6% rispetto allo stesso periodo del 2012, già in negativo, mentre le presenze calano in media dell’1,8%.
In dettaglio, aumentano leggermente i turisti provenienti da Germania, Giappone e Stati Uniti ma diminuiscono francesi e britannici.
Ci si aspettano buone performance dai paesi emergenti, i cosiddetti Bric, Brasile, Russia, India e Cina, e segnali positivi arrivano anche da Polonia e Argentina.
Cosa cercano gli stranieri in Italia?
Principalmente le città d’arte con Roma, Firenze e Venezia in cima alla lista, seguite dal turismo naturalistico con passeggiate nel verde, degustazione di prodotti tipici e panorami.
Un pizzico di superbia.
I numeri vanno ad aggiungersi a quelli del 2012, anno in cui il settore aveva già subito un calo del volume di affari del 15%, registrando addirittura un -18% di turismo interno, con forti ripercussioni su fatturati e occupazione.
Una contrazione che fa anche rabbia: un paese come il nostro potrebbe vivere di solo turismo.
Basti pensare che il comparto vale attualmente circa il 10,3% del Pil e potrebbe arrivare a superare il 15%, creando posti di lavoro e facendo da traino per uscire dalla crisi.
Siamo seduti su una miniera d’oro e non abbiamo i mezzi per scavare.
Tra le cause dell’insuccesso della ricettività italiana ci sono scarsa attenzione da parte delle istituzioni, mancanza di coordinamento, carenza delle infrastrutture, disorganizzazione, improvvisazione di molti piccoli operatori.
Ma in cima, come osserva Magda Antonioli, docente della Bocconi, un “pizzico di superbia”.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
I CINQUESTELLE CHIEDENO LE SUE DIMISSIONI, MA LUI REPLICA: “E’ UNA CARICA PER CUI NON E’ PREVISTO COMPENSO”
Bufera all’orizzonte tra i Cinque Stelle di Treviso.
Colpa, questa volta, di una storia di nomine e fidanzate.
Già , perchè ai grillini trevigiani non è piaciuta la decisione del loro consigliere comunale Alessandro Gnocchi di candidare per l’Ente Parco del Sile tre colleghe. Nella rosa dei nomi, c’è finita anche la fidanzata dello stesso Gnocchi.
Una scelta che agli intransigenti pentastellati non è andata proprio giù.
«Non entriamo nel merito delle competenze tecniche. Ma proporre la propria compagna per un posto di lavoro ci sembra eticamente discutibile. Il tutto anche se la persona in questione ha un buon curriculum», tuona l’ex consigliere comunale del M5S David Borrelli, considerato uno dei fedelissimi di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
CURRICULA
Così, in un’assemblea che gli attivisti stessi definiscono parecchio tesa, mercoledì scorso Gnocchi è stato messo alla graticola.
E il 90 per cento dei presenti gli ha chiesto le dimissioni. Richiesta che lo stesso Gnocchi ha respinto.
Racconta ancora Borrelli: «Il Movimento Cinque Stelle elegge dei rappresentanti il cui dovere è quello di rispettare il mandato dei cittadini. Quindi se i cittadini ti chiedono di lasciare, tu devi rispettare questa volontà ».
Ma chi sono queste tre donne che il consigliere ha proposto per l’Ente Parco?
«Si tratta di tre colleghe della provincia, di cui una Enrica De Luchi, la sua fidanzata. Ma quando gli abbiamo fatto notare che dal punto di vista etico candidare la propria compagna è tipico di un modo di fare politica contro la quale ci battiamo, Gnocchi ha fatto spallucce».
Parole dure, insomma, confermate anche da un comunicato del gruppo nel quale si legge: «Il Movimento 5 Stelle è sempre stato contro i nepotismi, clientelismi e poltronifici. Avremmo preferito candidati altrettanto qualificati ma non così vicini al punto di essere colleghi del consigliere».
LA REPLICA
Da parte sua Gnocchi però controribatte alle critiche: «Si tratta di una carica per la quale non è prevista remunerazione. È dunque volontariato».
Niente interessi economici, dunque. E non solo.
Gnocchi spiega anche di aver girato quei nomi e quei curricula. Ma poi di averne presentato in consiglio solo uno. «E non era quello della mia morosa», spiega. Nessuna sponsorizzazione, insomma. «Piuttosto ho messo a disposizione i curricula di persone preparate».
ESPULSIONE E SIMBOLO
Sia quel che sia è abbastanza facile prevedere cosa succederà ora. Se infatti – come pare – Alessandro Gnocchi non sembra intenzionato a tornare sui suoi passi, partirà la procedura di revoca del simbolo.
«Vedremo cosa succederà a ferie finite», continua Borrelli.
«E nel caso chiederemo allo staff di Grillo di avviare la procedura di consultazione online per decidere l’espulsione e per tutelare il simbolo. Poi, come sempre, l’ultima parola spetterà alla Rete».
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
“LA GIUNTA DELLE ELEZIONI AL SENATO VOTERA’ SULLA DECADENZA ENTRO OTTOBRE”
«No, non si arriverà a novembre, l’aula del Senato voterà sulla decadenza di Berlusconi
entro ottobre, ce la faremo».
Lo dice a Radio Capital Dario Stefano, presidente della Giunta per le elezioni del Senato. «I tempi della Giunta dipendono dalle decisioni del relatore, ma questo cambierà di poco, una settimana in più o in meno, a settembre. Poi l’aula voterà entro il mese di ottobre», assicura.
Ma se il governo cadesse prima del voto del Senato, Berlusconi potrebbe candidarsi alle prossime elezioni?
«Assolutamente no – risponde Stefano – la Giunta decide sulla decadenza dall’attuale mandato. In ogni caso la legge Severino introduce un argomento che sarà ineludibile e a me sembra impossibile che gli organi preposti alla validazione del risultato elettorale, in primis la Corte di Appello, possa validare l’elezione di uno incorre nelle prescrizioni della legge Severino. Alle ultime amministrative la legge è già stata applicata, vedi il caso di “Tarzan” (Andrea Alzetta, di Sel, dichiarato non proclamabile dopo l’elezione in consiglio comunale a Roma)”, ricorda il presidente della Giunta per le elezioni del Senato.
(da “La Stampa“)
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Agosto 12th, 2013 Riccardo Fucile
VUOI UNA VECCHIA SEDE DI AN? HAI TEMPO FINO AL 30 SETTEMBRE… IL SENSO DEL RIDICOLO: SOMMACAMPAGNA E VIA MANCINI POSSONO DIVENTARE UN NEGOZIO DI ESTETISTE E DI MASSAGGIATRICI (PURCHE’ NON DI SINISTRA)
AAA, destra vendesi. Anzi, affittasi per la precisione.
Non è l’ennesima critica alla difficoltà dei conservatori italiani di costruire un soggetto politico che prescinda da Silvio Berlusconi, ma quel che ha deciso la Fondazione Alleanza Nazionale, quella che gestisce ancora il patrimonio del defunto patito di Gianfranco Fini.
Scomparso il leader, sparpagliatisi i colonnelli, sul groppone della Fondazione sono rimaste una cinquantina di sedi inutilizzate.
Costituendo un costo niente male, come spiega al Corriere della sera l’ex senatore Franco Mugnai, che di quel che rimane di An è presidente: “Negli ultimi anni tra tasse, manutenzione ordinaria e straordinaria, la spesa è stata di 1,3 milioni di euro, 480mila solo nell’ultimo anno”.
Così fino al 30 settembre è aperto un bando per la “manifestazione di interesse all’utilizzo di immobili rivolto ad associazioni e/o partiti che perseguono finalità in linea con quelle della fondazione”.
Si salverà solo la storica sede di via della Scrofa, dove ha sede la Fondazione.
Le altre, dalla gloriosa via Sommacampagna dove per decenni ha avuto sede il Fronte della Gioventù, a quella milanese di via Mancini 8, finiranno in mani straniere.
È Ignazio La Russa a spiegare che “pur di non lasciare vuote quelle stanze potremmo darle anche a qualche negozietto”.
C’è solo un veto: “A un partito di sinistra no, neanche per tutto l’oro del mondo”. Mugnai ci ragiona su: “Certo, ci sono alcune sedi che hanno rappresentato un evidente punto di riferimento nella storia della destra: in via Sommacampagna è difficile che ci vada un’estetista. Ma insomma staremo a vedere”.
Dipende dal prezzo, come sempre…
(da “L’Huffingtonpost“)
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