Destra di Popolo.net

I CONTI NON TORNANO, DEFICIT FUORI CONTROLLO OLTRE L’1%

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

SCORDATEVI FLAT TAX E REDDITO DI CITTADINANZA… IL GOVERNO IN AUTUNNO RISCHIA DI SCHIANTARSI

Alle 8.40 lo spread torna a crescere e tocca quota 261 punti. Neanche mezz’ora dopo ecco che sfonda i 270 punti di differenziale BTp/Bund.
Ha inizio una nuova giornata difficile sui mercati proprio mentre a palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte sta per incontrare il titolare dei conti Giovanni Tria, e i ministri Di Maio, Savona, Moavero Milanesi e il sottosegretario Giorgetti per iniziare a lavorare sulla manovra.
“Una prima ricognizione”, viene definita dal capo del governo che però si ritrova sulla scrivania un quadro di finanza pubblica molto preoccupante: un deficit tendenziale che supera già  l’1% del Pil per il 2019 e minaccia di peggiorare sotto il peso dell’aumento delle spese per interessi e del rallentamento del Pil.
L’ultimo quadro macroeconomico tendenziale contenuto nel Def indicava il deficit tendenziale allo 0,8% il prossimo anno e all’1,8% nel 2018, ma il rallentamento del Pil grava già  sull’aggregato per circa 2,5 miliardi e l’aumento dello spread tra BTp e Bund, che oggi ha toccato i 270 punti, per circa 5 miliardi.
Ed è così che gli spazi di manovra “in deficit” si sono ridotti ulteriormente e flat tax e reddito di cittadinanza potranno essere solo avviate, e non portare a regime, contando per il cavallo di battaglia M5s sull’utilizzo di risorse dal Fondo sociale europeo.
Se l’obiettivo del vertice durato un paio d’ore era fissare qualche paletto e comunicarlo all’esterno così da ridurre l’incertezza sull’Italia che agita i mercati, lo scopo è stato raggiunto a metà .
A fine giornata lo spread chiude a 250, in calo rispetto al picco della giornata ma ugualmente in rialzo rispetto al giorno precedente. La situazione economica italiana dunque inizia a preoccupare i mercati e l’establishment europeo e vede gli occhi attenti del Quirinale ad osservare gli sviluppi in corso che a settembre dovranno prendere forma in qualcosa di concreto soprattutto con i conti in ordine.
La prima parole di Matteo Salvini non sono state di certo distensive: “Si sta morendo di fisco e di tasse, vanno ridotte e non mi interessa se qualcuno all’estero dice che non si può fare”.
Il vicepremier in quota Lega non è presente all’incontro, ma tra un’intervista a favore di telecamera e un post su Facebook si fa sentire lo stesso. Illustrando poi quali saranno le linee guida: “La manovra economica d’autunno non avrà  tutto subito, però i primi passi di flat tax, di smontaggio della legge Fornero di stralcio delle cartelle di Equitalia ci saranno”, aggiunge con toni più realistici.
Nei fatti è stato messo nero su bianco, anche nell’incontro a Palazzo Chigi, che non basterà  il 2019 per realizzare a pieno regime le promesse della campagna elettorale.
Il ministro dell’Interno non cita il reddito di cittadinanza ma a fare la guardia c’è il capo M5s.
Sta di fatto che sul tavolo di Palazzo Chigi finiscono a confronto le promesse della politica con la voglia dei leader di fare titoli strillati e cantar vittoria, e il freno dei conti.
E se da un lato c’è Salvini che dice di infischiarsene del giudizio dell’Europa dall’altro c’è il ministro degli Esteri Moavero Milanesi che insieme a quello dell’Economia dovrà  parlare con Bruxelles nel rispetto delle regole.
Dal Tesoro trapela infatti cautela: “Nella prossima legge di stabilità  ci sarà  un avvio di tutte le misure. Ma solo un avvio”.
I primi conti dicono infatti che la manovra parte già  con un conto superiore ai 20 miliardi di euro.
Bisogna sterilizzare le clausole di salvaguardia, cioè evitare l’aumento delle aliquote Iva, e questa operazione costa 12,5 miliardi.
Ci sono i costi del rialzo dei tassi di interesse che sul prossimo anno potrebbero superare i 3,5 miliardi.
Ci sono le spese indifferibili e incomprimibili, e così via.
Malgrado tutto la lista delle promesse dei vice premier si allunga di giorno in giorno, basti pensare che il ministro del Lavoro ha parlato della volontà  di coprire interamente il costo degli asili nido.
Tanta carne al fuoco che rischia di bruciare l’intero governo in un mese d’agosto già  caldo di suo non solo dal punto di vista climatico.
Perchè questo mese estivo è sempre il più problematico e di allerta sui mercati, basti pensare all’agosto del 2011 per Silvio Berlusconi.
Con il giudizio delle agenzie di rating alle porte, il 31 agosto è il momento di Fitch, a cui seguirà  una settimana dopo Moody’s, Conte e Tria non possono permettersi di trasmettere un senso di instabilità .
Dunque al termine del vertice, il premier ha spiegato che è stata decisa “la programmazione economico-finanziaria che presenteremo nel prossimo mese di settembre. Abbiamo operato una ricognizione dei vari progetti di riforma che consentiranno all’Italia di avviare un più robusto e stabile processo di crescita economica e di sviluppo sociale, rendendosi più competitiva sul mercato globale. Abbiamo esaminato i mutamenti del quadro macro-economico e le condizioni del bilancio a legislazione invariata”.
Dello stesso tenore il ministro Tria, che “esprime soddisfazione per l’accordo sulle linee del quadro programmatico proposte, che confermano la compatibilità  tra gli obiettivi di bilancio già  illustrati in Parlamento e l’avvio delle riforme contenute nel programma di governo in tema di flat tax e reddito di cittadinanza”.
Ma in entrambi i casi si tratta di un semplice avvio, molto blando, con pochi soldi, forse pochissimi a disposizione con un deficit tendenziale che supera già  l’1% del Pil. Se poi i due vicepremier proveranno a forzare la mano, il governo potrebbe schiantarsi sul muro del bilancio

(da “Huffingtonpost”)

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SALVINI SI DA’ DEL CRETINO DA SOLO

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

“CHI LANCIA UOVA E’ UN CRETINO”… CERTO, COME LUI CONDANNATO NEL 1999 A UN MESE DI RECLUSIONE PER LANCIO DI UOVA CONTRO D’ALEMA E LE FORZE DELL’ORDINE

“Ma non mi ha colpito, diciamo”. Massimo D’Alema non ricorda l’episodio che costò a Matteo Salvini 19 anni fa una condanna a 30 giorni per avergli tirato contro le uova durante un comizio a Milano.
Nè vuole commentarlo. “Mi occupo di politica estera, questi episodi li lascio ai commentatori professionali, ce ne sono tanti”, dice D’Alema, che aggiunge: “Mi occupo quasi soltanto di questioni estere”. Dei rapporti tra Salvini e la Russia? “No – risponde l’esponente di Leu – non mi occupo di Salvini. Ma della Russia, tema più rilevante”.
Dopo aver ironizzato sulla vicenda di Daisy Osakue dicendo che chi lancia uova è un cretino, le uova sono un vero tormentone per Matteo Salvini.
È Matteo Renzi a ricordargli per primo di quando il lanciatore di uova era lui. Lui che addirittura è stato condannato per averlo fatto, chiede Renzi su Twitter, “Come si autodefinisce?”.
Nel 1999 – si legge sui siti dei giuovani padani – è stato denunciato e condannato a 30 giorni per oltraggio a pubblico ufficiale (lancio di uova a D’Alema e qualche divisa sporcata): politicamente scorretto ma ne valeva la pena”.
Dopo Renzi, sui social in molti lo attaccano ricordandogli il passato.
Ma il vicempremier leghista tira dritto. Dimenticandosi (o fingendo di farlo), però, di quando a tirare le uova (allora contro D’Alema e le forze dell’ordine) era lui in persona.

(da “Huffingtonpost”)

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NON TUTTI I FIGLI SONO UGUALI: IL CASO FOA E LA FIGLIA DELLA FORNERO

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

DOV’ERA QUESTA EQUANIMITA’ QUANDO LEGA E M5S ERANO ALL’OPPOSIZIONE?…. LA FIGLIA DELLA FORNERO FU PERSINO AGGREDITA SOTTO CASA PERCHE’ ACCUSATA DI ESSERE RACCOMANDATA…IL FIGLIO DI POLETTI RICEVETTE TRE PROIETTILI PER POSTA… LUPI FU COSTRETTO A DIMETTERSI

C’è un Leonardo Foa che lavora nello staff della comunicazione di Matteo Salvini e c’è un più noto Marcello Foa fortemente candidato dal vice premier e ministro dell’Interno alla presidenza della Rai.
È un problema? Per il Governo non lo è.
Sarebbe ottimale riuscire a valutare le persone sul merito e non sul sospetto, ma non si può non negare quanto il tema dei “figli di” pesi nella battaglia politica interna.
Allora si tratta di capire come si possa giudicare se un giovane “figlio di” sia bravo e meritevole oppure raccomandato e approfittatore.
E, inoltre, come possano giudicarlo serenamente coloro che in altri casi del passato non hanno mostrato la stessa equanimità  di giudizio sulla materia.
La tolleranza che ora viene scoperta da Lega e 5 Stelle scoperchia un doppio standard di moralità  per cui in casa propria diventano lecite cose che fuori casa considererebbero inaudite.
Possiamo immaginare come la notizia venga letta da Silvia Deaglio, una carriera accademica inappuntabile e un profilo prestigioso come professoressa nella facoltà  di Medicina dell’Università  di Torino.
Lei, figlia dell’ex ministra Elsa Fornero e dell’economista Mario Deaglio, venne aggredita – i leghisti in prima linea – perchè docente nello stesso Ateneo degli illustri genitori.
Fu anche circondata sotto la sua casa e minacciata, mentre siti farlocchi diffondevano la bufala che era andata in pensione a 39 anni.
Celebre è stato anche il caso Manuel Poletti, figlio del ministro del Lavoro Giuliano, finito nel tritacarne dopo che il padre scivolò in una pessima dichiarazione sulla fuga dei ragazzi all’estero.
Fu minacciato e insultato su Facebook, trovò tre proiettili e minacce di morte in una lettera, furono diffuse anche molte notizie sulla sua presunta folgorante carriera nell’editoria con i fondi pubblici, alcune vere, altre false.
Ed ancora, i 5 Stelle si intestarono il merito delle dimissioni di Maurizio Lupi, che provò a resistere qualche giorno contro quella che definì la “macchina del fango” che gli passava sopra e travolgeva suo figlio Luca Lupi, laureato in Ingegneria, in una storia di rolex e lavori offerti.
Storie del passato, storie diverse tra loro. Tuttavia non si può non notare un nuovo filtro applicato da Lega e M5S, che passa senza macchia la famiglia Foa e Salvini. Solo alcuni mesi fa, con Lega e M5S seduti sui banchi delle opposizioni, Leonardo Foa sarebbe stato uno scalpo da esporre, il caso Foa avrebbe sollevato campagne social virulente, cori al grido “o-ne-stà “, quando non cappi o soldi sventolati. Oggi però il Governo del cambiamento ci passa sopra come un caterpillar.
Giusto segnalare il rischio di un doppio standard di moralità , quando si passa dalla protesta alle responsabilità  di Governo.
Tanto più se si pensa di rappresentare il Governo del cambiamento.

(da “Huffingtonpost”)

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IL FIGLIO DI FOA ASSUNTO DA SALVINI? DAL M5S PRIMA SILENZIO IMBARAZZATO, POI “NON C’E’ NULLA DI MALE”

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

MA NON ERANO LORO GLI EPIGONI DELLE BATTAGLIE CONTRO RACCOMANDAZIONI E NEPOTISMO?

Il figlio di Foa assunto da Salvini? Dal M5S silenzio. E poi: Non c’è nulla di male!
Come si cambia quando si va al governo.
Il Movimento 5 Stelle, sempre in prima fila nelle battaglie contro nepotismo e raccomandazioni (è di pochi giorni fa l’annuncio di Luigi Di Maio di una guerra ai raccomandati in Rai), stavolta non ha nulla da dire. Il silenzio è totale, o quasi.
L’Espresso ha rivelato ieri che Leonardo Foa , figlio del candidato del governo alla presidenza Rai Marcello Foa , lavora per lo staff di Matteo Salvini. Ma dai pentastellati non arriva alcun commento.
Nessuna indignazione sulle agenzie, nessun post al vetriolo sui social da condividere su tutti i profili dei portavoce 5 Stelle, nessun arrossimento. Nulla di nulla.
Così, mentre il vicepremier e ministro degl interni Matteo Salvini dichiara di non provare alcun imbarazzo per questa nomina nel suo team della propaganda social, i suoi alleati di governo restano silenti e fedeli.
In un’intera giornata, le uniche reazioni che si riescono a rintracciare nella galassia 5 Stelle sono appena due, e tutte volte a difendere la scelta del ministro leghista.
«Il figlio di Foa nello staff di Salvini? Non ci vedo alcun conflitto di interesse perchè nessuno mi spiega il rischio insito in questa situazione. Perchè Marcello Foa non sarebbe indipendente?», dichiara stupito all’Adnkronos Alessio Villarosa, sottosegretario M5S all’Economia.
Gli fa eco il senatore Elio Lannutti che sulla sua pagina Facebook, condividendo la notizia, scrive: «Non ci vedo nulla di male».

(da “L’Espresso”)

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MERCENARI PER COMBATTERE CONTRO L’UCRAINA: “ERA PRASSI CHIEDERE AIUTO ALLA LEGA”

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

UN INDAGATO CHE FACEVA IL CECCHINO APRE UN NUOVO CAPITOLO SUI FINANZIAMENTI AI MERCENARI ITALIANI AL SERVIZIO DI PUTIN

Luigi Frau per quattordici anni ha prestato servizio nel reparto mobile di Cagliari. Poi dopo aver lasciato la divisa è partito per il fronte del Donbass.
È il febbraio del 2015 quando viene fermato dai carabinieri del Ros all’aeroporto di Bologna. È sospettato di essere uno dei mercenari italiani che hanno combattuto per l’esercito filorusso.
Lui nega, «non ho mai preso un’arma in mano» giura.
E però la sua tuta mimetica lo tradisce: «Ha la parte sinistra consumata rispetto alla destra», scrive la Procura.
Per i detective dell’Arma Frau ha fatto il cecchino per i ribelli.
Viene interrogato a lungo. E ricostruisce il suo soggiorno in Ucraina durato circa cinque mesi.
Ad interessare i magistrati però è altro. Perchè durante il suo racconto svela un particolare su cui sono in corso accertamenti.
E cioè sul fatto che fosse prassi per i ribelli «chiedere aiuto al partito della Lega». §
Frau sottolinea ai militari come dopo essere arrivato a Donetsk fosse entrato in contatto con il governo locale che combatteva affinchè la regione fosse annessa alla Russia.
Frau racconta di essere entrato a far parte del comitato per le comunicazioni sociali del ministero dell’informazione dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk.

(da “il Secolo XIX”)

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IL CONSIGLIO DI STATO SUI VITALIZI DICE SI’ MA CON RISERVE: “SIANO RAZIONALI E GIUSTIFICATI” E DI FATTO LA BOCCIA

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

IL PARERE ERA STATO RICHIESTO DAL SENATO, MA CI SONO TROPPE CONDIZIONI E VARIABILI INTERPRETATIVE PER SPACCIARLO PER VIA LIBERA

I vitalizi si possono tagliare, tra l’altro senza incorrere in possibili responsabilità  derivanti dall’approvazione di un regolamento diverso dall’attuale, ma la nuova disciplina deve essere “razionale e non arbitraria”.
È quanto sottolinea il Consiglio di Stato in un parere depositato oggi sul quesito posto dal Senato.
La Commissione speciale, che si è pronunciata in tempi rapidi, spiega che è tuttavia necessaria “una causa normativa adeguata e giustificata da una inderogabile esigenza di intervenire o da un interesse pubblico generale”.
Il parere era stato richiesto dal Consiglio di presidenza dell’Aula guidata da Maria Elisabetta Alberti Casellati, che dopo l’approvazione alla Camera aveva preso tempo decidendo anche di audire il presidente dell’Inps Tito Boeri.
I giudici amministrativi hanno affermato la possibilità  di disciplinare tale materia con il regolamento del Senato, escludendo al contempo profili di possibile responsabilità  derivante dall’approvazione della nuova normativa ed hanno esposto il quadro giuridico-costituzionale di riferimento da tenere in considerazione.
In particolare, secondo il Consiglio di Stato, “è possibile incidere sulle situazioni sostanziali poste dalla normativa precedente — cioè sull’affidamento al mantenimento della condizione giuridica già  maturata — quando la nuova disciplina sia razionale e non arbitraria, non pregiudichi in modo irragionevole la situazione oggetto dell’intervento” e “sussista una causa normativa adeguata e giustificata da una inderogabile esigenza di intervenire o da un interesse pubblico generale, entrambi riguardati alla luce della consistenza giuridica che ha assunto in concreto l’affidamento”.
Il tema si intreccia con quello della retroattività  di un intervento che andrebbe a incidere su rapporti già  instaurati. Citando una serie di sentenze della Consulta, tra cui quelle in materia pensionistica e sul prelievo di solidarietà  sulle pensioni, ma anche sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, il Consiglio di Stato spiega che il limite alla retroattività  delle leggi non è incondizionato, ma “può recedere al cospetto di altre esigenze inderogabili” e deve rispettare il bilanciamento tra l’interesse pubblico e la tutela di chi ha maturato un diritto.
Allo stesso tempo i ‘tagli’ in materia pensionistica devono tener conto delle esigenze di vita e della proporzionalità  tra trattamento pensionistico e retribuzione ricevuta durante la vita lavorativa. Pensioni e vitalizi non si possono equiparare, ma restano fermi i principi generali e un intervento che ridimensioni l’entità  dei vitalizi deve muoversi nel quadro costituzionale.
A interpretare in maniera totalmente difforme il parere del Consiglio di Stato è invece Forza Italia, partito che ha votato contro il taglio dei vitalizi. “La sentenza del Consiglio di Stato è una bomba ad orologeria che di fatto boccia la delibera”, dice l’azzurro Francesco Giro. “Se da un lato considera legittimo un intervento sui vitalizi attraverso un regolamento ed esclude profili di possibile responsabilità  civile, dall’altro lato pone tanti e tali vincoli di natura costituzionale che di fatto boccia una norma onnicomprensiva e massificante come quella escogitata frettolosamente dalla Camera”. La battaglia, insomma, è destinata a continuare.

(da agenzie)

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LA PROVA DELLE BUFFONATE DI DI MAIO CONTRO L’INPS

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

“UN INCENTIVO AI CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO GARANTIREBBE 62.400 CONTRATTI IN PIU'”: QUESTA PARTE DELLA RELAZIONE DELL’INPS GLI VA BENE, MA ERA LA STESSA CHE CONTESTAVA CON LA FAMOSA “MANINA”

Vi ricordate l’immonda sceneggiata di Di Maio (e Salvini) ai danni di Tito Boeri perchè l’INPS si era permessa di segnalare che i contratti a tempo determinato di cui si aumentavano i costi sarebbero scesi di numero, come logica vuole, segnalando un calo annuo previsto di ottomila contratti?
La gazzarra ridicola che aveva scatenato Di Maio contro la matematica e la logica elementare arrivò alle minacce nei confronti di Daniele Franco, Ragioniere dello Stato accusato di “maninismo”, e contro il presidente dell’INPS che un paio di giorni dopo dimostrò che Di Maio doveva sapere delle stime dell’istituto perchè gli erano state inviate una settimana prima che diventassero pubbliche.
Ma due giorni fa in Parlamento si è avuta la certezza che quella di Di Maio fosse una sceneggiata in totale e completa malafede attuata per propaganda e fare fessi il più possibile quelli che nell’opinione pubblica gli credono.
Il motivo è il mini-incentivo ai contratti a tempo indeterminato aggiunto con un emendamento alla Camera al Decreto Dignità  prima della sua approvazione. Repubblica ha raccontato ieri che l’impatto del mini-incentivo è stato valutato dall’INPS (sì, quella che fa i dispetti a Di Maio) nella nuova relazione tecnica firmata dal Ragioniere dello Stato Daniele Franco (sì, quello che frega il povero Giggetto) e pubblicata il 31 luglio.
Ebbene, la relazione dice che gli incentivi garantiranno 62400 contratti a tempo indeterminato in più tra 2019 e 2020.
Insomma, non ci crederete: l’INPS stima che se si incentivano i contratti a tempo indeterminato, questi aumentano.
Così come stimava che se si fossero disincentivati i contratti a tempo determinato (come stava in effetti accadendo con il Decreto Dignità ), questi sarebbero diminuiti. Che clamoroso colpo di scena, vero? Chi l’avrebbe mai creduto?
Ora Di Maio, per coerenza, dovrebbe mettersi a caccia della manina che stima 62mila diconsi 62mila siòre et siòri contratti in più in due anni per capire chi c’è dietro e cui prodest.
Perchè è evidente che secondo la logica di Di Maio c’è qualcosa che non torna. Invece, silenzio. Nessuno si lamenta per la Relazione Tecnica dell’INPS perchè stavolta i numeri non sono negativi e a rigor di logica non potevano esserlo visto che parliamo della valutazione di un incentivo.
E nessuno soprattutto riesce a prendere atto con dignità  (cit.) del fatto che non c’era un complotto all’epoca e non c’è un complotto nemmeno oggi.
Se il governo decide una stretta per i contratti a tempo determinato, la conseguenza più probabile è che questi diminuiscano di numero.
Se il governo decide di incentivare i contratti a tempo indeterminato, la conseguenza più probabile è che questi aumentino di numero.
Chiaro, semplice, pulito. Ma non a quelli che vanno a caccia di presunti complotti per giustificare la loro dabbenaggine.
A proposito, ma quindi è sicuro che ci sarà  un aumento dell’occupazione dopo gli incentivi all’indeterminato?
Marco Leonardi, ex consigliere economico di Palazzo Chigi e professore di economia a Milano, dice che no, non è certo:
1) Sicuramente molta più gente di prima uscirà  da un contratto a termine è dovrà  passare attraverso un periodo di disoccupazione
2) forse non tutta la disoccupazione alla fine verrà  riassorbita dai nuovi contratti a tempo indeterminato (o da voucher e altri contratti più precari) perchè il decreto dignità  ha invertito il trend di riduzione del costo del lavoro degli ultimi anni aumentando dello 0.5% il costo dei rinnovi dei contratti a termine e aumentando i costi dei licenziamenti (che pur se costi eventuali e futuri sono veri e propri costi del lavoro). E non c’è dubbio alcuno, nè in teoria nè in pratica, che quando aumenti il costo del lavoro la disoccupazione sale.

(da “NextQuotidiano”)

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LA SCUOLA CHE COMPRA UNA PAGINA DI GIORNALE PER L’AUTODIFESA DELLA PRESIDE INDAGATA CHE AVEVA OSPITATO SALVINI

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

RINVIATA A GIUDIZIO PER ABUSO D’UFFICO, LA DIRIGENTE STORNA COSI’ I SOLDI CHE DOVEVANO SERVIRE PER L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

La cifra non è da capogiro. Si tratta di qualche centinaio di euro. Ma sono sempre soldi pubblici che l’Istituto superiore “Piria” di Rosarno doveva spendere in pubblicità  nell’ambito di un percorso di “alternanza scuola-lavoro” che rientrava in una convenzione stipulata con il Senato della Repubblica.
In parte lo ha fatto. Ma l’intera pagina pubblicitaria, acquistata sul giornale locale Il Quotidiano del Sud (che doveva servire come resoconto della collaborazione tra gli studenti di Rosarno e “la community di Senato Lab”), in realtà  sembra un’arringa della dirigente scolastica Maria Rosaria Russo che — all’interno della pagina a pagamento — senza mai citare il processo nato dall’inchiesta sui fondi elargiti all’associazione antimafia “Riferimenti” (e che la vede imputata per due ipotesi di abuso d’ufficio) utilizza gli stessi temi con cui in questi mesi si è difesa dalle accuse.
Andiamo con ordine.
Nella pagina pubblicitaria l’istituto ha fatto inserire anche la foto della sua dirigente abbracciata al ministro dell’Interno Matteo Salvini. Era stata scattata subito dopo le elezioni, nel il giorno in cui l’allora “solo” segretario della Lega si era recato a Rosarno e l’istituto “Piria” gli aveva messo a disposizione l’auditorium per ringraziare i suoi elettori.
Tappeti rossi, segnaposto con logo dell’istituto scolastico e bandiere blu con la scritta “Salvini Premier”. “Gentilezze” che in quell’occasione avevano provocato qualche perplessità  sull’utilizzo “non didattico” degli ambienti scolastici.
E così la preside Russo non si è limitata a spiegare i dettagli del progetto di “Alternanza scuola-lavoro”, ma dalle colonne “a pagamento” del “Quotidiano del Sud”, ha attaccato tutti quelli che nei mesi scorsi avevano accusato la scuola di essere al servizio della Lega.
A partire dai giornalisti che, a detta della dirigente, devono “evitare di cavalcare l’onda di una distorta informazione artatamente orientata, livida e truccata con l’intento di penalizzare ancora e per l’ennesima volta un’intera comunità ”.
Nella Piana di Gioia Tauro — dove c’è la più alta densità  mafiosa (certificata dalle inchieste della Dda che proprio ieri ha arrestato 45 persone), il problema sono quindi i giornalisti.
A seguire “la criminalizzazione e penalizzazione mediatica a cui viene costantemente sottoposta la città  di Rosarno”. E qui la Russo punta il dito contro “alcune notizie finalizzate a delegittimare chi ci governa”, ma, “nel contempo accrescendone il consenso”. Notizie che “minano la credibilità  di chi sul territorio spende le proprie energie per offrire ai propri studenti un’opportunità  di crescita globale”.
Dopo l’instancabile difesa della scelta di ospitare in una scuola la manifestazione della Lega (“Quale miglior luogo — si domanda la Russo — avrebbe potuto scegliere Salvini per il suo iniziale saluto alla Calabria se non il Piria di Rosarno?”) e archiviata ogni spiegazione della collaborazione sul progetto con “la community di Senato Lab”, è a questo punto che la pubblicità  dell’istituto superiore assume il sapore di un’arringa da tribunale.
Quantomeno per il riferimento ai “legami parentali che non possono essere annullati, ma dai quali si possono prendere le distanze. Ognuno risponde per le proprie azioni”. La dirigente Russo ha un fratello pentito di ‘ndrangheta e un altro ritenuto vicino ai clan.
E così, la nota della scuola si scaglia contro “l’area grigia — si legge — abituata a fare affari e a spartire interessi all’ombra della malapianta criminale”.
Così come Come all’indomani della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei suoi confronti dal procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni e dal pm Sara Amerio, la preside Russo parla dunque di “poteri forti e deviati”. Un concetto già  ribadito proprio a Salvini, cui parlò di “logiche fascio-massoniche-comuniste”.
Questa volta, sempre senza fare nomi o fornire spiegazioni più dettagliate, la preside se la prende con “le stanze di compensazione dove siedono esponenti delle istituzioni e degli apparati apparentemente sani dello Stato, gli uomini delle tenebre che decidono, di concerto con la ‘ndrangheta, quando azionare la macchina del fango per frenare qualunque percorso virtuoso”.
Tutti discorsi che poco c’entrano con il percorso di “Alternanza scuola-lavoro” e con il progetto della stesura del disegno di legge “Disposizione in materia di apologia del fascismo” che ha visto impegnati gli studenti dell’Istituto Piria.
Ma tanto paga la scuola.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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“UNA ENORME, COLPEVOLE IGNORANZA”: INTERVISTA A NOEMI DI SEGNI, PRESIDENTE UCEI

Agosto 3rd, 2018 Riccardo Fucile

“LA PROVOCAZIONE DI FONTANA SULLA LEGGE MANCINO HA OTTENUTO IL SUO OBIETTIVO: ALIMENTARE ODIO E FOBIE”… “SE SI CANCELLA IL REATO, TUTTO E’ PERMESSO”

L’uscita del ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, è talmente grave da meritare una immediata presa di posizione ufficiale da parte dell’Unione delle comunità  ebraiche italiane (Ucei) e della sua presidente Noemi Di Segni: “Chiedo al Presidente del Consiglio Conte se la proposta di abrogazione della Legge Mancino lanciata dal ministro Fontana, ministro per la Famiglia e la Disabilità , corrisponde a un progetto del Governo che dirige. Sono parole che offendono profondamente quanto si è inteso difendere a seguito di gravissimi episodi neonazisti e neofascisti e di grave recrudescenza negli anni Ottanta, e peraltro ribaditi dalla Decisione comunitaria che focalizza i medesimi atti di odio, approvata anche dal nostro Paese. Nella Repubblica italiana fondata sulla negazione dell’odio e di ogni forma di razzismo questi presidi normativi vanno semmai rafforzati e da tutti difesi, senza al contrario alimentare ulteriori paure e rancori sociali”.
Affermazioni importanti, dure, ufficiali.
Da qui partiamo nell’intervista che la presidente dell’Ucei ha rilasciato ad HuffPost.
Con un lungo post su Facebook il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, ha lanciato la proposta: “Abroghiamo la Legge Mancino”, spiegandone le ragioni. Qual è la sua valutazione a caldo di questa esternazione?
“E’ di una gravità  assoluta. Lo è se a portare avanti questa idea è il signor Lorenzo Fontana, cittadino della Repubblica italiana. Lo sarebbe ancor di più se fosse portata avanti da un ministro che, per le competenze attribuitegli, invade campi che non sono di sua pertinenza, creando ulteriore confusione, come se non ce ne fosse già  abbastanza. E l’uscita del ministro per la famiglia e la disabilità  sarebbe ancor più grave se fosse l’anticipazione di una linea di Governo. Per questo, come Ucei ci siamo rivolti direttamente al presidente del Consiglio, l’avvocato Giuseppe Conte, perchè dia una risposta chiara e netta su questo punto. In qualunque dei tre casi, resta comunque la gravità  della proposta, per ciò che la sostanzia, in termini di argomentazioni, e per quello che potrebbe determinare nel malaugurato caso, che voglio credere e sperare che non si determini, questo post si trasformi nella cancellazione di una Legge che, non bisogna dimenticarlo, ha dato la possibilità  alla magistratura di intervenire grazie all’aggravante di odio razziale che la Legge Mancino normava. Non credo che la provocazione del ministro Fontana avrà  un seguito istituzionale, e la presa di posizione del vice premier Di Maio è da questo punto di vista significativa. Ma una cosa è certo: questa uscita ha già  centrato l’obiettivo che l’aveva ispirata…”.
Vale a dire?
“Attirare l’attenzione e, soprattutto, gettare altra benzina sul fuoco delle fobie e dell’odio. Questo duplice obiettivo il ministro Fontana l’ha centrato. E’ chiaro che una riflessione profonda sull’adeguatezza di uno strumento di legge necessita una sede e un percorso ben diversi dalla stesura di un post su Facebook. Ma di questo penso che il ministro Fontana ne fosse consapevole nel momento in cui ha scritto quelle cose. Eppure ha deciso di andare avanti, ben sapendo che le sue affermazioni avrebbero scatenato altra polemica e riscaldato gli animi. E’ come se si fosse aperta una gara a chi la spara più grossa, non importa quali ne siano le conseguenze. Mi sorprende e mi preoccupa, da cittadina italiana e non solo da presidente dell’Ucei, la facilità  con cui si proponga di liquidare una Legge che, va sottolineato, era stata approvata dal Parlamento per dare alla Magistratura uno strumento operativo per contrastare, negli anni Ottanta, l’insorgere di gravissimi episodi neonazisti. Se un determinato comportamento non si configura più come un reato, allora tutto è permesso: fare apologia di nazismo, incitare all’odio razziale. Abolire la Legge Mancino significa cancellare l’incitamento all’odio razziale come reato perseguibile, vuol dire ‘disarmare’ la Magistratura, e questo in una fase storica dove l’antisemitismo, il razzismo e la xenofobia sono tutt’altro che estirpati. Altro che cancellare la Legge Mancino: oggi c’è bisogno di rafforzare i presidi normativi a contrasto di ogni forma di razzismo e di antisemitismo. Siamo all’abc della Filosofia del diritto. Il vuoto normativo favorisce l’affermarsi di pratiche e culture antidemocratiche.
Dietro l'”abroghiamo la Legge Mancino”, non c’è anche lo spirito di un tempo presente nel quale la memoria storica è considerata un peso, qualcosa da rottamare?
“Io credo che vi sia anzitutto una enorme, colpevole ignoranza. Imposta e accettata. Ignoranza come non conoscenza, e la non conoscenza è spesso la base su cui poi si fomentano paure, si alimenta l’odio, si demonizza l’altro da sè, avvertito come una minaccia da estirpare. S’interviene come se il mondo iniziasse oggi, in un eterno presente. Vede, in questa intervista mi sono soffermata a lungo, credo a ragione, sulla necessità  di non sottrarre alla Magistratura strumenti necessari per sanzionare comportamenti, definiti come reati, quali quelli contemplati dalla Legge Mancino. Ma so bene che ciò non basta. Occorre lavorare sullo spessore dei sentimenti, ricreare anticorpi culturali in grado di agire sul virus del razzismo e dell’antisemitismo. E’ un impegno che non riguarda solo la politica o chi ha responsabilità  istituzionali e di governo: questo impegno chiama in causa il mondo della scuola, quello dell’informazione, coloro che oggi hanno una reale influenza nel determinare sensibilità  e atteggiamenti dei giovani. L’ignoranza è una brutta malattia. E il primo modo per combatterla è riconoscerne i sintomi, vecchi e nuovi. Chi non conosce, chi pensa che il mondo inizia oggi, non si cura di sapere cosa sia avvenuto in un passato neanche tanto lontano. Semplicemente, quel passato per lui non esiste. Ma dietro la ‘rottamazione’ di una memoria storica, c’è anche qualcosa d’altro e di diverso dalla ignoranza: c’è la volontà , essa si prodotto della conoscenza, di smantellare principi come quelli che sono alla base della Repubblica italiana fondata sulla negazione dell’odio e di ogni forma di razzismo. In questo caso, si vuol cancellare il passato non perchè non lo si conosce, ma perchè quel passato non si concilia con i propri disegni politici. Ma senza memoria non c’è futuro per una comunità  democratica”.

(da “Huffingtonpost”)

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