Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
SONO GIA’ 40 MILIONI, ADDIRITTURA 13 IN PIU’ RISPETTO AL 20127
Dall’inizio dell’anno in Italia sono girate quasi 40 milioni di euro di mazzette. E si tratta solo di quelle scoperte dalla Guardia di Finanza.
È questa la fotografia delle condotte corruttive che impressiona ancora di più se si pensa che l’anno scorso, in tutto il 2017, il valore si è assestato a 27 milioni. Cifra abbondantemente superata nei soli primi cinque mesi di quest’anno.
A raccogliere i numeri che raccontano la corruzione nel nostro Paese sono le Fiamme Gialle, al cui interno è stato istituito nel 2015 anche un Nucleo specifico per il contrasto alle mazzette. I report dei finanzieri vengono pubblicati ogni anno, ma Il Fatto è in grado di rivelare i risultati dei primi cinque mesi del 2018, aggiornati quindi fino allo scorso maggio.
In diciassette mesi, da gennaio 2017 a maggio 2018, sono state portate a termine 2.732 operazioni. Un numero crescente rispetto a quello di due anni fa: dal 2016 al 2017 gli interventi sono aumentati del 24 per cento e solo quest’anno ce ne sono stati 642, con 115 arresti per reati contro la pubblica amministrazione, come concussione, corruzione, abuso d’ufficio e peculato.
Il 2017 è stato l’anno di inchieste come quella della Procura di Firenze sulle corruzioni nel settore delle abilitazioni per accedere alla cattedra di diritto tributario (i pm in questo caso non ipotizzavano scambio di denaro ma accordi corruttivi che influenzavano le valutazioni dei candidati da parte dei membri delle commissioni) o anche quella della procura di Matera su un presunto supermarket delle sentenze nelle commissioni tributarie provinciali di Foggia e regionali, con dispositivi venduti anche per mille euro, secondo l’impostazione iniziale dei magistrati.
E non sono più rassicuranti i dati sul peculato, reato che riguarda i pubblici ufficiali.
Il valore del peculato è in aumento costante. Negli ultimi 17 mesi ha sfiorato 358 milioni di euro: 323 milioni lo scorso anno, che è comunque il 42 per cento in più rispetto al 2016. E pensare che si tratta di un reato commesso da chi dovrebbe rappresentare lo Stato.
Tasto dolente anche il settore degli appalti pubblici.
Secondo i numeri raccolti dalla Guardia di Finanza, il valore complessivo delle procedure sulle quali le fiamme gialle hanno fatto accertamenti, da gennaio 2017 ad oggi, si assesta a circa 7,2 miliardi di euro: di questi su appalti per 2,9 miliardi di euro sono state riscontrate irregolarità , 300 milioni solo nel 2018.
E qui entra in gioco anche la Corte dei Conti. Solo nel 2018 sono stati accertati 605 milioni di danni erariali, con le casse dello Stato in sofferenza, “collegati a procedure contrattuali pubbliche”: praticamente è già stata raggiunta la cifra (695 milioni) dell’interno 2017.
Al di là di intercettazioni e denunce, la corruzione (che ha diverse forme, oltre alla vecchia tangente) viene scoperchiata anche grazie alle segnalazioni di operazioni sospette che spesso danno modo agli investigatori di far emergere forme di riciclaggio e di reimpiego di denaro “sporco”: da inizio 2017, 397 segnalazioni sono confluite in procedimenti penali.
In parte si tratta di tesoretti nascosti nei cosiddetti paradisi fiscali, sui quali lo Stato italiano con difficoltà riesce a mettere le mani. E non serve andare troppo lontano: per fare un esempio, da tempo la procura di Roma fa il braccio di ferro con le autorità svizzere per il denaro di due imprenditori che è stato sequestrato o confiscato ma che non si riesce a recuperare.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
DEREGULATION, CROLLO DELLE ISPEZIONI, EVASIONE E ILLEGALITA’ PROSPERANO… ECCO I TRUCCHI PER FREGARE LO STATO E I DIPENDENTI
Nessuno li aveva mai visti, gli scaffalisti del Carrefour.
Prendevano servizio alle 22, quando gli altri, quelli assunti per davvero, finivano il turno.
Per dieci anni hanno lavorato di notte, riempiendo gli scaffali per una nuova giornata di acquisti. Da un mese a questa parte invece, nei tre supermercati del milanese (Paderno, Assago e Carugate), gli scaffalisti – una settantina in tutto – sono usciti dalle tenebre.
Ora cominciano il turno alle sei e restano lì fino alle dieci, spalla a spalla con i dipendenti Carrefour.
Che però hanno una paga oraria di 10,89 euro, mentre loro ne prendono 6,90.
Il motivo? Sono al soldo di una “cooperativa”. Quindi hanno meno diritti.
E pensare che le coop sono garantite dall’articolo 45 della Costituzione, che ne riconosce «la funzione sociale e ne favorisce l’incremento».
Per crescere, sono cresciute eccome: stando a una stima degli ispettori del lavoro, nella filiera produttiva ogni duemila lavoratori fissi ci sono altre quattromila persone esternalizzate in una coop.
Nelle regioni del Nord si stima che il 25 per cento della forza lavoro sia alle dipendenze di una cooperativa, che di mutualistico ha ben poco.
Eppure è perfettamente legale, o quasi. Del resto, grazie al ministro uscente del Lavoro, Giuliano Poletti, nonchè a causa del Jobs Act che ha ridotto le sanzioni per i reati di somministrazione illegale di manodopera a poco più di un buffetto, la situazione dei “soci” delle cooperative è pesantemente peggiorata e fa dell’Italia una Repubblica fondata sul lavoro illecito.
Fino a qualche anno fa le coop spurie erano un fenomeno isolato, che si concentrava nel settore agroalimentare, in zone precise, fra Emilia Romagna e Lazio.
Oggi non è più così: sono le Asl e gli Ospedali a far ricorso alle cooperative per il lavoro di cura, poi il fenomeno si è esteso al settore della logistica, fino a coinvolgere le grandi aziende, dall’abbigliamento alle metalmeccaniche, che per contenere i costi hanno fatto ricorso alle coop, divenute strumenti per fare dumping salariale.
Samuele Gatto è il sindacalista della Cgil che sta tenendo d’occhio Carrefour: «Non so neppure se reggeranno a quesi turni massacranti, sono ridotti a fare in quattro ore quello che prima facevano in sei, guadagnando meno. Il rischio, poi, è che anche il lavoro alle casse e negli altri reparti passi ai cooperanti. Non sarebbe la prima volta, l’hanno già fatto in alcuni punti del gruppo, esternalizzando le pescherie e le gastronomie. Ogni metodo è buono per tagliare sul costo del lavoro».
«Lo fanno in molti», conferma Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro che raccoglie migliaia di segnalazioni di attività illecite, tutte «contraddistinte da forme di risparmio sul costo del lavoro che non hanno riscontro nella normativa vigente».
Lo scorso anno l’ente ha segnalato al ministero del Lavoro migliaia di casi, in cui si percepisce l’evoluzione e l’affinamento delle tecniche di elusione fiscale.
Ad esempio, a Torino una tabaccheria paga 1.114 euro al mese la cooperativa multiservizi M&G di Roma per avere un lavoratore, pagato solo 688 euro netti per 87 ore mensili.
Se la tabaccheria avesse assunto un dipendente, avrebbe speso non meno di duemila euro, più ferie, tfr, malattia.
Poi ci sono i trucchi: a Ravenna la Mib Service, che è una coop multiservizi, paga un cooperante 350 euro lordi per 41 ore di servizio in un albergo, più 1.332 euro di trasferta.
Un’elusione clamorosa, fatta perchè le trasferte non vengono tassate: «A volte l’Agenzia delle Entrate queste cose le becca e manda le multe, ma visto che le cooperative hanno vita breve (circa due anni), l’unico a pagare è il lavoratore.
Gente inesperta, spesso stranieri, che arriva alla camera del lavoro per chiedere aiuto», spiega Marco Sala, sindacalista dei trasporti della Cgil di Bergamo, che continua: «Di cooperative ne ho incontrate davvero poche. Chiudono non appena sentono aria di guai e riaprono con un altro nome, un’altra sede, un altro prestanome, magari straniero che neanche sa di avere una cooperativa intestata».
I lavoratori? «Chi alza la testa o si rivolge al sindacato rischia il posto, per gli stranieri potrebbe saltare anche il permesso di soggiorno. Così vengono al sindacato, ci raccontano di aver subito trattamenti disumani, di lavorare il doppio rispetto a quanto finisce in busta paga, ma non denunciano, perchè hanno paura», aggiunge il sindacalista.
Che racconta come le coop della logistica siano oggi utilizzate per fare di tutto, «sfruttate soprattutto nella bassa bergamasca nel distretto della cosmesi, gente sulla carta pagata per quattro ore di lavoro, che invece ne fa dodici».
Ma funziona così dappertutto: nel cremonese centinaia di marocchini vengono pagati due soldi per la stagione di semina e raccolta.
Tra Latina e Sabaudia, dove c’è la più forte concentrazione di caporalato, spesso controllato dalle cosche, ci sono migliaia di indiani sikh che sudano nei campi della zona fino a 90 ore la settimana, ma ufficialmente ne lavorano solo 18, per non più di quattro euro l’ora.
A Rimini sono i consulenti del lavoro a lanciare l’allarme sfruttamento, denunciando che interi alberghi, ristoranti, bar, stabilimenti balneari appaltano tutto il personale. Non succede solo lungo la via Emilia, ma anche in aree turistiche ricchissime, come Livigno.
Un paio d’anni fa i proprietari dei due alberghi a quattro stelle Intermonti e Alexander hanno appaltato l’intera gestione a società e cooperative esterne, che a loro volta hanno assunto 160 persone, versando loro solo una piccola parte di salari e contributi Inps e Inail.
L’inchiesta ha portato alla luce una situazione di lavoro nero misto al grigio, in cui in molti casi i lavoratori non sapevano neppure chi fosse il proprio datore.
A dare una mano alle finte cooperative, si diceva, è arrivata la cancellazione del reato di somministrazione fraudolenta.
Prima del 2016 chi esternalizzava un lavoro creando una società fasulla, che applicava contratti capestro e offriva stipendi miseri e abusava degli orari di lavoro, andava incontro a una condanna fino a due anni.
Oggi, invece, sono rimaste solo le sanzioni economiche. La depenalizzazione ha fatto esplodere il fenomeno, che ha segnato un aumento del 39 per cento.
L’altro problema è il crollo delle ispezioni che potrebbe derivare dallo sfortunato matrimonio tra gli ispettori di Inps, Inail e funzionari del ministero del Lavoro, finiti sotto il cappello dell’Ispettorato nazionale del Lavoro.
L’unione, avvenuta nel 2017, è rimasta solo sulla carta: gli ispettori dell’Inps e dell’Inail hanno ritenuto più conveniente per loro lasciare il reparto ispettivo per rientrare stabilmente all’interno dei rispettivi enti.
Così molte posizioni sono rimaste scoperte e le ispezioni, che erano già poche, perchè toccavano non più del 2 per cento delle aziende italiane, sono crollate
Eppure proprio il ministero del Lavoro ha invitato tutti gli ispettori a concentrarsi sulle finte cooperative, che sono il nervo sensibile e scoperto del mercato del lavoro. «Il tasso di irregolarità delle aziende controllate è del 65 per cento, significa che due aziende su tre sono risultate irregolari con una media di un lavoratore sfruttato ogni due imprese», c’è scritto nel resoconto dell’Ispettorato, che continua dicendo: «In particolare bisogna continuare a porre particolare attenzione alle cooperative spurie. Addirittura nel 2017 una sola cooperativa ha ricevuto un verbale di oltre 25 milioni di euro, con debiti contributivi per 19,6 milioni e sanzioni civili per 6,4 milioni e migliaia di lavoratori coinvolti».
Eppure, racconta a l’Espresso un ispettore dell’Inps che chiede l’anonimato, «individuare queste società e sanzionarle è difficilissimo».
E racconta il sistema oliato: «Le aziende licenziano i dipendenti, che entrano in mobilità e da lì vengono ripescati dalle cooperative, usufruendo per altro degli sgravi fiscali del jobs act».
I vantaggi per il datore sono parecchi: «La coop è usata solo durante i picchi di lavoro, il contratto è economicamente inferiore».
Spesso a capo di una cooperativa c’è un consorzio che ne gestisce più d’una: «Quando una cooperativa scricchiola, perchè rischia un’ispezione o ha accumulato troppi debiti con l’erario, allora la si chiude e i dipendenti passano sotto un’altra dello stesso consorzio».
E se la coop chiude i battenti senza aver versato all’Inps tutto il dovuto, a pagare è lo Stato, cioè da tutti i contribuenti, attraverso un apposito fondo di salvaguardia.
Così i danni delle finte cooperative pesano ancora di più sulla finanza pubblica, mentre gli imprenditori e i consulenti si arricchiscono.
(da “L’Espresso“)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
L’IPOTESI E’ SOSTENUTA ANCHE DAL MINISTRO DELL’ECONOMIA
Da una parte Matteo Salvini e Luigi Di Maio, i due leader, categorici nell’escludere un aumento dell’Iva.
Dall’altra il ministro Giovanni Tria e il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, leghista sì ma realista e pragmatico.
Al vertice di governo va in scena la divisione fra due “filosofie” opposte, un primo assaggio di quella che sarà la vera trattativa sulla legge di Stabilità .
«Siamo il governo del cambiamento – scandisce Salvini rivolto a Tria – e non possiamo certo iniziare aumentando l’Iva». Parole simili a quelle che pronuncia Di Maio davanti ai giornalisti, uscendo dal summit: «L’Iva non deve aumentare: lo abbiamo promesso e non aumenterà ».
Tutt’altra musica era stata quella suonata da Giancarlo Giorgetti poche ore prima, quando aveva fatto capolino al brindisi offerto dal premier Conte ai giornalisti.
Ai cronisti che gli chiedevano delle ipotesi che circolano insistentemente sugli aumenti selettivi sull’Iva, Giorgetti replicava chiaro e tondo che «anche l’Unione europea potrebbe chiederci di aumentare la tassazione indiretta».
Giorgetti ha letto l’intervista al «Sole 24Ore», in cui il ministro Giovanni Tria dice che il governo sta lavorando su simulazioni basate sulla mancata attivazione delle clausole di salvaguardia, ma senza escludere «un riordino per semplificare alcune aliquote: ipotesi che producono piccoli aumenti di gettito e altre qualche riduzione». Peraltro, anche la Banca d’Italia vedrebbe di buon occhio lo spostamento del peso dalle imposte dirette a quelle indirette; e la stessa cosa pensano al Fmi e all’Ocse.
Tria nell’intervista esprime cautela, ma da economista sa bene che per fronteggiare spese importanti – come quelle per realizzare flat tax e reddito di cittadinanza – ricorrere all’Iva darebbe certezza ai conti.
Tra le molte ipotesi tecniche allo studio del Tesoro, in effetti, c’è anche un progetto per intervenire in modo articolato sulla imposta indiretta più importante.
Ad esempio, con una riduzione delle aliquote Iva che gravano su generi di consumo di massa, come l’energia elettrica e l’acqua (oggi al 10%) ma anche gas e telefono (oggi tassati al 22%).
Per queste voci sarebbe possibile – e anche abbastanza «popolare» – scendere all’aliquota minima del 4%. In tutti gli altri casi, invece, si accetterebbe l’aumento delle aliquote – rispettivamente, dal 10 all’11,5%, e dal 22% al 24,2% – previsto dalle cosiddette «clausole di salvaguardia».
Tirando le somme, per far quadrare i conti con Bruxelles basterebbe reperire nelle pieghe del bilancio pubblico 4,5 miliardi, invece dei 12,5 miliardi necessari a una sterilizzazione completa dell’aumento Iva.
Altri schemi, poi, prevedono anche un intervento per ridurre le accise che gravano sulla benzina.
Sul resto della manovra Giorgetti pare scettico, consapevole che i margini per riforme radicali in questa legge di Stabilità sono pochi.
«Non credo riusciremo a fare granchè sulla Fornero», ammette. Nè la cancellazione, nè la sua revisione totale, annunciata in campagna elettorale da entrambi i partiti di maggioranza.
Resta in piedi «quota 100» come unica alternativa, pienamente sulla linea del ministro dell’Economia Tria, che si limita a parlare di interventi previdenziali «che non incidano in modo troppo pesante sulla spesa a medio e lungo termine».
Per andare in pensione servirà un minimo di 64 anni di età , e sarà possibile inserire solo due anni di contributi figurativi. Già così la misura costa circa 4 miliardi.
Per far quadrare i conti, e avviare (in versione molto lontana dalle promesse elettorali) flat tax e reddito di cittadinanza, il governo certamente metterà mano a quelle che sono chiamate le «tax expenditures», ovvero le agevolazioni fiscali.
Sono tantissime, 468: accanto a molte sconosciute ai più o super-settoriali, ce ne sono tante che – se eliminate – potrebbero dare cospicui risparmi.
Certamente, pagando un costo politico, con la protesta degli interessi di volta in volta toccati.
Il ministro Tria fa sapere che le imprese pagheranno dazio, ma che nel mirino c’è anche il bonus Renzi da 80 euro. «Crea complicazioni infinite», dice, promettendo però che «il sistema va rivisto con la garanzia che nessuno perda nel passaggio dal vecchio al nuovo».
(da “La Stampa“)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
DUE MILIARDI DI FONDI CONGELATI DA LEGA E M5S CHE AVREBBERO RIQUALIFICATO AREE DIMENTICATE DEL NOSTRO PAESE… LA CITTA’ DEI RICCHI, LA CITTA’ DEI POVERI E LA GUERRA TRA POVERI
Il governo gialloverde congela i fondi previsti dal Bando periferie, una cifra di oltre due miliardi di euro destinata alla riqualificazione delle aree più in difficoltà delle città del nostro Paese.
Lega e 5Stelle si difendono asserendo che in realtà quei fondi saranno redistribuiti tra tutti i comuni, e non solo tra i circa cento che partecipavano al progetto, ma poco cambia: sostenere gli enti locali significherebbe trovare nuovi fondi, non distrarli da un obiettivo specifico come quello della riqualificazione.
Per aiutare il nostro sistema urbano sarebbe necessario costruire una politica organica per le città : con leggi coraggiose contro la rendita e per l’accesso alla casa, con investimenti seri sul ferro e sui trasporti locali, con norme stringenti sull’uso degli spazi ed i processi di rigenerazione, con una riforma amministrativa che riscriva la funzione partecipativa e decisionale dei cittadini, istituzionalizzando e favorendo lo strumento dei patti di collaborazione.
Il governo del cambiamento invece non cambia, ma arretra nell’impostazione culturale e nella pratica amministrativa, e continua sulla scia ideologica della peggiore destra conservatrice degli ultimi anni, da Reagan alla Thatcher, da Berlusconi a Trump.
Ma d’altronde era già tutto scritto nel cosiddetto contratto di governo: la criminalizzazione della povertà , più carceri, meno solidarietà , la segregazione razziale e residenziale, non erano e non sono solo atti di propaganda, ma elementi organici di un progetto complessivo di disuguaglianza e fratturazione sociale che Salvini, Casaleggio e la maschera Conte servono ed eseguono in maniera pedissequa.
Le sedicenti destre italiane e globali hanno infatti colto e interpretato prima e meglio di tutti l’evoluzione del sistema politico ed economico imposta dalla globalizzazione ruvida di questo inizio millennio: gli Stati nazionali, così come li abbiamo conosciuti nel secolo scorso, perdono sempre maggiormente peso, forma, sostanza.
Ed è nell’altrove e nel qui il luogo dove maturano le decisioni e si formano le culture che generano – o che confliggono – con quelle decisioni stesse: nella dimensione internazionale, dove agiscono i rapporti tra le macro-aree e l’economia finanziaria; ed in quella urbana, dove si creano gli orientamenti politici e sociali, le innovazioni, le paure, gli standard dei consumi, i modelli antropologici.
Questo fenomeno è oggi ampiamente chiaro alla destra cosiddetta sovranista: da una parte il Fronte dei Popoli immaginato dal leader della Lega, l’asse in chiave anti-europea con Putin ed i paesi di Visegrad; dall’altra il soffiare sul fuoco delle paure – vere o immaginarie – urbane, per alimentare o controllare il consenso, con la tolleranza zero, la securizzazione, la criminalizzazione della marginalità , la segregazione spaziale.
Ed è in quest’ottica che le disuguaglianze spaziali delle nostre città , le periferie fisiche e quelle sociali, divengono determinanti: con la duplice funzione di alimentare un sistema economico e politico sempre più immateriale nelle decisioni e sempre più materiale nelle ricadute e negli effetti di quelle decisioni; e di generare, conservare, moltiplicare un immenso bacino di consumi, paure, consensi elettorali.
La frase che più spesso segue il “non sono razzista ma” così in voga di questi tempi, non a caso è “ma ci sono interi quartieri dove lo Stato è assente, c’è insicurezza, c’è illegalità “.
Associando questa assenza, questa insicurezza, questa illegalità , ora ai migranti, ora ai rom, ora al sottoproletariato (ma non troppo, quello comunque vota).
Come se tutto ciò — e cioè la presenza di zone franche all’interno dei nostri contesti urbani ed il contestuale clima di degrado, timore, abbandono – fosse frutto del caso o di un processo naturale, e non invece la diretta conseguenza di una precisa dinamica che consciamente decide di dividere le città in due parti: che, come annunciava già Platone qualche millennio fa, sono quella dei ricchi e quella dei poveri.
Quella dei ricchi, pulita, sicura, abbellita, ordinata, la città vetrina che si espone ai media e che attira i flussi di investimenti e di turisti, con i corsi principali ed i centri storici sempre più uguali e simili ad una Disneyland urbana.
E quella dei poveri, disconnessa dai flussi, separata dall’altra da barriere visibili ed invisibili, e nella quale costa troppo garantire diritti, sicurezza, trasporti, politiche sociali, interventi di decoro urbano: la parte della città dove dunque tutte le marginalità espulse dalla città dei ricchi sono relegate, e non solo tollerate, ma anche spesso incoraggiate a confluirvi.
Perchè in quella illegalità diffusa e in quel pezzo di economia sommerso risiede uno dei perni sui quali si regge — economicamente e politicamente — chi detiene il potere nella città dei ricchi, che è potere globale, relazionale, conoscitivo, finanziario. Dinanzi a tutto questo la paura del diverso, i porti chiusi, le ruspe, la colpevolizzazione della povertà , delle minoranze, della razza, della religione, del conflitto, sono elementi propagandistici ed ideologici necessari ad alimentare la guerra tra poveri nella città dei poveri, e la speculare paura verso di essi tra i meno forti della città nei ricchi: affinchè nessuno pensi di coalizzarsi per chiedere uguaglianza e redistribuzione, affinchè nessuno pensi — come accaduto in questi giorni con i migranti a Foggia — che il tema siano la terra e il lavoro per tutti, e non la chiusura in mura di cristallo sempre più ingannevoli.
Per questo il gioco delle dichiarazioni, delle smentite, delle provocazioni e dei distinguo nell’ambito del governo è un enorme macchina di distrazione di massa, uno specchietto per le allodole che vive della velocità del tritacarne mediatico e della scarsa memoria dell’opinione pubblica.
E per questo la retorica delle competenze contrapposta a questo governo suona troppo come il rancore degli Dei per aver perso il monopolio del fuoco: ma non costituisce alternativa, solo semmai la rappresentazione più educata e forbita dello stesso schema, dello stesso impianto, degli stessi obiettivi.
Populismo e tecnocrazia hanno d’altronde questo in comune: servire le èlite, essere antitetici alla democrazia.
Occorre per questo un fuoco nuovo, un’azione prometeica collettiva, che sia di tutti e per tutti, che torni ad illuminare ed unire le tante battaglie urbane che si oppongono qui alla mercificazione dell’urbano e nell’altrove a un sistema capitalistico dalle caratteristiche sempre più predatorie: servono scintille, da contrapporre al buio delle false stelle.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
DA VENEZIA A MODENA, ALCUNI SOLDI SONO GIA’ STATI ANTICIPATI DAI COMUNI E I LAVORI AVVIATI
La mannaia è arrivata con l’approvazione del decreto Milleproroghe avvenuta tre giorni fa accogliendo l’emendamento 13.2 che ha «differito al 2020 l’efficacia delle convenzioni» stipulate sulla base del “bando periferie”.
Su carta non si tratta di un taglio ma di un, diciamo così, “congelamento”.
Cento i capolluoghi italiani destinatari del bando.
Ecco un primo elenco con i fondi destinati e le opere.
ROMA. 18 milioni – Azioni per ricucire il tessuto urbano, riqualificazione e restauro conservativo dell’edificio Ex Gil di Ostia
Un comunicato del Campidoglio spiega che “Roma Capitale usufruirà dei 18 milioni di euro previsti per azioni per ricucire il tessuto urbano, quali la riqualificazione e il restauro conservativo dell’edificio Ex Gil di Ostia” e che nulla verrà “congelato” come invece accadrà in altri Comuni. Roma rientra tra i primi 24 progetti della graduatoria stilata dal governo Gentiloni e immediatamente finanziati per poco più di 500 milioni di euro. Il Pd denuncia invece che Roma e la Città Metropolitana perderanno fondi per 40 milioni di euro e comuni e municipi come Fiumicino, Pomezia, Guidonia, Monterotondo, Tivoli, Fonte Nuova e Anguillara, Corviale, San Basilio, Trullo, Ostia, Tor Bella Monaca, Romanina, Magliana, Primavalle e Tomba di Nerone oggi sono senza certezze. Il Pd propone una verifica delle convenzioni in una riunione congiunta delle commissioni Lavori Pubblici e Urbanistica.
MILANO. 18 milioni. Scuola media al quartiere Adriano, prolungamento metrotranvia 7
Potrebbero essere congelate le risorse di 18 milioni che palazzo Marino voleva destinare al quartiere Adriano per la costruzione della scuola media e per il prolungamento della metrotranvia 7. Il sindaco Sala ha chiesto “di trovare una soluzione per rispondere alle giuste esigenze dei concittadini” perchè Milano “non intende fermare i progetti programmati”. Preoccupato il presidente di Anci Lombardia, Virginio Brivio, perchè “in ballo c’è il blocco di importanti progetti per riqualificare i quartieri delle nostre città “.
TORINO. 18 milioni. 235 interventi nelle periferie
Per i comuni della regione sono a rischio 225 milioni. A Torino i presidenti di Circoscrizione e i consiglieri di opposizione del Partito Democratico hanno chiesto alla sindaca Chiara Appendino e all’assessore al Decentramento, Marco Giusta, chiarimenti su che fine avrebbero fatto i 18 milioni assegnati a Torino. Fondi che, assieme a 20 milioni di euro di progetti cofinanziati tra pubblico e privato, rappresentano il tesoretto per i 235 interventi nelle periferie della città . Secondo le stime del presidente di Anci Piemonte, Alberto Avetta, rischiano di saltare «i 93 milioni per la Città Metropolitana di Torino con il progetto Top- Metro e altri 131 nelle province. Quasi 21 milioni ad Asti, oltre 5,5 milioni a Biella, 25 milioni a Vercelli, 30 ad Alessandria e a Cuneo, quasi 8 a Novara e quasi 12 milioni a Verbania».
BOLOGNA. 18 milioni. Prese per auto elettriche e caserma dei carabinier
Salvi i progetti per 40 milioni previsti in provincia dalla Città metropolitana, ma vengono differiti gli interventi previsti su Bologna per la trasformazione del parcheggio Giuriolo nell’archivio di restauro della Cineteca, la caserma e altri progetti sul Pilastro come piste ciclabili, orti urbani e nuovi arredi. Il segretario Dem Francesco Critelli, ha commentato: “dopo il dramma sull’A14 Bologna viene sfregiata nelle sue periferie”.
NAPOLI. 40 milioni. Riqualificazione di Scampia, Salerno e Avellino
Saltano 40 milioni per la riqualificazione delle strade di Scampia e soprattutto per i Comuni limitrofi e 18 milioni per il Comune di Benevento.Salvi invece 53 milioni, in quanto non toccati dall’emendamento: si tratta del progetto di Scampia del Comune di Napoli che prevede l’abbattimento delle tre Vele e il recupero di una sola Vela (18 milioni), il progetto di riqualificazione dei rioni collinari a Salerno (18 milioni) e quello di 17 milioni presentato dal Comune di Avellino. Sul fondo per le periferie, 120 progetti in totale, istituito dall’ex governo si è abbattuta una pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale. Rientrano tra i congelati: Città metropolitana di Napoli e Benevento.
TOSCANA. 400 milioni. Rifacimeno di piazze e strade in tutti i comuni
L’Anci Toscana si mobilita contro il blocco della quasi totalità dei fondi del piano periferie per rifare piazze e strade. Dai calcoli fatti dall’associazionesi tratta di 390 milioni che rischiano lo stop, 340 secondo letture più ottimistiche visto che i Comuni di Prato e Grosseto e la Metrocittà di Firenze potrebbero essere salvi. Soldi che i municipi contavano di avere e nella maggior parte dei casi hanno già impegnato per la progettazione e le gare d’appalto e che ora di colpo svaniscono.
VENEZIA. 55 milioni. Stazioni, Casinò del Lido e Forti
55 milioni di euro alla Città metropolitana, 24 al Comune. Cancellati con un tratto di penna i fondi già stanziati (e deliberati dal Cipe) per il “Bando delle periferie”. La grande opera diffusa ispirata da Renzo Piano, approvata dai governi Renzi e Gentiloni.Il blitz arriva a tarda ora, sotto forma di un piccolo emendamento al decreto Milleproroghe. «Inaudito, non era mai successo nella storia», protestano i sindaci. L’Anci annuncia mobilitazione, si parla di diffide e azioni legali. A essere colpiti sono comuni e Città metropolitane. La scure taglia tutti coloro che in graduatoria sono sotto il trentesimo posto. Cifre importanti, nell’ordine delle decine di milioni di euro, per le grandi città italiane, a cominciare da Venezia, Torino, Firenze, Milano, Napoli, Genova.
Per molte città (e molte periferie) il bando rappresentava già una certezza. Padova ha già speso un milione di euro in progetti, tutti aspettavano il versamento del 20% di acconto, come previsto dalla convenzione.Ma adesso quei soldi non ci sono più. (La Nuova Venezia)
TREVISO. 13 milioni – Piazza Martiri Belfiore, collegamento ciclabile e pedonale tra viale Brigata Marche e via Tommaso Salsa
L’amministrazione comunale di Treviso aveva partecipato al bando periferie riuscendo a portare a casa 13,4 milioni di euro di finanziamento sulla base di un progetto da 28 milioni diviso in quattro lotti e sei opere pubbliche. I soldi erano già contabilizzati (dicembre 2017) e le opere avviate in parte dalla ex amministrazione e in parte dall’attuale che proprio mercoledì scorso aveva approvato l’avvio della progettazione esecutiva per tre interventi del bando periferie. Treviso in poche righe di emendamento perde l’intero piano per la riqualificazione di piazza Martiri Belfiore, con il rifacimento delle strade e della fognatura dell’area, la realizzazione del collegamento ciclabile e pedonale tra viale Brigata Marche e via Tommaso Salsa. Oltre a questo il grande progetto della ciclabile Selvana-Fiera con parcheggi e aree ristori; l’ampliamento delle strutture esterne delle piscine di Selvana con vasche e aree gioco dedicate a bambini e disabili; la riqualificazione a parco sportivo e di quartiere dell’ex campo dell’Eolo; l’ampliamento delle palestre delle Acquette con l’installazione della videosorveglianza e al riqualificazione dell’intera struttura; e la riqualificazione di parte dell’ex caserma Salsa. (La Tribuna di Treviso)
BELLUNO. 10 milioni – Gabelli, ciclabile Antole-Casoni, Caserma Piave, rifacimento del piazzale della stazione, Parco del Piave
Cinque grandi opere stanno andando in appalto (Gabelli, ciclabile Antole-Casoni, Caserma Piave, rifacimento del piazzale della stazione, Parco del Piave, ndr) e per cui si conta di iniziare i lavori nella primavera 2019, sottolinea il sindaco Jacopo Massaro. «Sulla rigenerazione urbana Belluno, fino al 30 giugno 2018, ha già impegnato oltre 1.100.000 euro». L’emendamento al “Milleproroghe” dà seguito alla sentenza della Corte costituzionale numero 247 del 2017 relativa allo sblocco degli avanzi di amministrazione di Comuni, Province e Città metropolitane. «In questo modo il governo ottempera alla sentenza e consente ai Comuni di utilizzare avanzi nel limite di 140 milioni di euro nel 2018», commenta il sindaco Massaro. «Per consentire questa manovra, però, congela il “Bando periferie” fino al 2020. Ci troviamo di fronte a una situazione gravissima, che mette in crisi il tema della rigenerazione urbana, il più moderno a livello europeo per lo sviluppo socio-economico. (Il Corriere delle Alpi)
PADOVA. 18 milioni – Parco Mura, piazzale Boschetti, Castello Carraresi e telecamere
La gran parte, cioè 5,6 milioni è per il Parco delle Mura: c’è il restauro di quasi tutto il versante est della cinta cinquecentesca, ma anche la realizzazione di un camminamento e di approdi sul Piovego al Portello. E ancora lo svuotamento e la sistemazione delle gallerie del Bastione Arena per creare uno spazio per il museo multimediale, e nuova illuminazione “architettonica”. Rivoluzione programmata anche per piazzale Boschetti, che avrebbe dovuto trasformarsi in un’area verde, grazie ai 2,3 milioni di contributo. Ne serviranno altri 7,3 per restaurare le due palazzine liberty: per una è prevista la realizzazione di un residence turistico con 34 mini-appartamenti e nell’altra invece 8 appartamenti di lusso. L’intervento di restauro verrà pagato dai privati che in cambio sconteranno diversi anni di concessione.Da Roma erano attesi anche altri 3,6 milioni per il restauro del Castello dei Carraresi. Poi un altro milione per la ciclabile tra via Canestrini e via Bembo, e 3 milioni per nuove strutture, campus e foresteria al centro del Petrarca Rugby in via Gozzano. E ancora 1,3 milioni per completare l’ampliamento della scuola Monte Grappa a Montà ; un milione per le nuove 282 telecamere di videosorveglianza; 300 mila euro per il futuro museo dell’agricoltura in via Bainsizza nel parco Basso Isonzo.
MODENA.18 milioni. Fascia ferroviaria e zona a nord di Modena
I 18 milioni “vinti” dal progetto modenese dovrebbero essere salvi, dal momento che la nostra città è stata una delle poche a partecipare al primo bando, tanto che una parte dei fondi è già arrivata. Una rassicurazione in questo senso è arrivata in serata dal sottosegretario all’Economia Laura Castelli, che ha fatto notare che i primi 24 progetti in graduatoria, e quindi anche quello modenese, saranno immediatamente finanziati, anche se al momento resta qualche dubbio sul fatto che tutti i 18 milioni attesi arriveranno effettivamente a Modena. (La Gazzetta di Modena)
PARMA. 18 milioni. Recupero dell’Ospedale Vecchio, riqualificazione di piazzale Pablo
Presa di poszione del sindaco Pizzarotti, ex 5 Stelle: Il sindaco di Parma scrive: “Lega e 5 Stelle vogliono togliere ai parmigiani quasi 20 milioni di euro. Vi ricordate? Idee alla mano, nel 2017 io e l’assessore Alinovi eravamo tornati da Palazzo Chigi con 18 milioni da investire nel rilancio delle nostre periferie, tra le altre: San Leonardo, Oltretorrente e Pablo. Fondi ottenuti grazie alla partecipazione al bando delle periferie che, tra le altre cose, avremmo utilizzato in progetti legati a Parma capitale italiana della Cultura. Ma col Milleproroghe Cavandoli e soci vogliono riprendersi da Parma e dai parmigiani investimenti per: la riqualificazione dell’ex Cral Bormioli, Villa Ghidini, l’Ospedale Vecchio, il Workout Pasubio, piazzale Pablo, rustici del podere Cinghio. In pratica dal rilancio delle periferie al niente con un semplice click in Parlamento. Faccio appello al buon senso, se ancora esiste: tornate indietro e fermate questo scempio di ignoranza. Parma vale molto di più di questa follia, e voi dovreste essere al servizio del territorio e non dei partiti”.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
CASE AI ROM A PALERMO E LA GUERRA TRA POVERI IN ATTO, CON I SOLITI FOMENTATORI DI ODIO CHE GETTANO BENZINA SUL FUOCO, MA CHE TACEVANO QUANDO C’ERANO LE FAMIGLIE MAFIOSE
Nella periferia di Palermo, in queste ore, si combatte una guerra senza quartiere. È la guerra tra i poveri, tra i senza casa, tra soggetti che stanno sulla stessa barca e che si sfidano mentre la barca affonda. Per tutti e tutte.
Pagliarelli è una zona conosciuta dai palermitani praticamente solo per il carcere che è ospitato in quell’area. Di quelle che si sfiorano mentre si attraversa la tangenziale. Zona di casupole e palazzoni sullo sfondo. Poco verde, pochi servizi e molta disoccupazione.
Qui si trovano alcune case confiscate alla mafia. Una parte del patrimonio gigantesco costruito su sangue e violenza dalle cosche palermitane in decenni e decenni di dominio.
In queste case confiscate dovranno andare parte delle famiglie che fino a qualche settimana fa “abitavano” il campo rom della Favorita.
Un trasferimento che sta dentro un progetto ambizioso del comune: dismettere il campo e non semplicemente sgombrarlo — magari con maxi operazioni, sotto i riflettori delle telecamere.
Un progetto ambizioso che prevede interventi sociali di inserimento e che come cardine ha l’utilizzo dei beni confiscati. A partire dalle case di Pagliarelli.
Poche ore prima dell’assegnazione ecco scendere in strada altri disperati.
“Prima i palermitani” dicono. Famiglie con bambini che da tempo aspettano un alloggio. Un loro diritto. Poveri contro altri poveri, una guerra che attraversa la storia umana. Brutti, sporchi e cattivi contro altri brutti, sporchi e cattivi.
A combattersi tra casermoni e palazzine. Una complessità che richiederebbe intelligenza e misura, soprattutto dalla politica. Una capacità nuova di affrontare questioni complesse garantendo diritti. A tutti.
Invece ecco, immancabili, i paladini dello scontro. La benzina da spargere a piene mani sulla rabbia.
Non solo Forza Nuova, sempre pronta a cavalcare qualsiasi battaglia dove poveri e altri poveri siano divisi in squadre in base a colore della pelle o etnia, ma anche il movimento del presidente della Regione Musumeci.
In piazza con tanto di tricolore al grido di “prima i palermitani”. Con corredo di tricolore ben in vista e comunicati che iniziano con “non siamo razzisti, ma…”.
Ed eccoli tutti in quel quartiere. Consiglieri comunali in cerca di foto sui giornali, aspiranti capopolo, ex consiglieri comunali del Movimento 5 stelle freschi di trasloco tra le fila dalle Lega. Tutti insieme appassionatamente.
Ognuno con la propria tanica di benzina da buttare sul fuoco per alimentare l’incendio. Dimenticandosi del taglio ai fondi per le periferie e di anni di mancati investimenti per i programmi di edilizia sociale.
“Prima i palermitani” urlano. In piazza. Perchè nelle aule del Parlamento e dei Consigli è molto meglio stare muti e in silenzio.
Lo stesso silenzio di quando quelle case erano occupate dalle famiglie mafiose. Palermitane, decisamente palermitane.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
INDIVIDUATO DOPO 8 GIORNI L’AUTORE DELLA SVASTICA TRACCIATA (MALE) CON LA FARINA: E’ IL TITOLARE DI UN BAR VICINO NOTO ALLA DIGOS… LA PROSSIMA VOLTA ALMENO LA DISEGNI GIUSTA
È stato individuato e denunciato l’autore della gigantesca svastica tracciata con la farina in piazza Banchi, nel cuore del centro storico, lo scorso 1 agosto
Si tratta di un uomo di 55 anni, titolare di un bar della zona, che già nel 2016 era stato segnalato per avere tracciato una svastica con del cioccolato liquido sulla schiuma di un cappuccino che aveva poi servito a uno studente.
A rintracciare l’uomo sono stati gli agenti della Digos, che nei giorni scorsi hanno ascoltato potenziali testimoni, compresi i titolari delle attività commerciali della zona di Banchi, per chiedere se qualcuno avesse assistito al gesto.
Alla fine sono riusciti a risalire al 55enne, che è stato denunciato per imbrattamento aggravato e violazione della legge Mancino, che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e che inneggiano alla discriminazione su basi razziali, etniche e religiose.
Per essere un simpatizzante nazista sarebbe opportuno andasse a ripetizione, visto che ha sbagliato pure a disegnarla.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
BENEDETTO MINEO E’ STATO ANCHE ALLA GUIDA DI EQUITALIA
Tre anni fa non aveva ottenuto la riconferma al vertice di Equitalia: la poltrona era andata al tributarista Ernesto Maria Ruffini.
Ora Ruffini, nel frattempo diventato numero uno della nuova Agenzia delle Entrate in cui è confluito anche il braccio della riscossione, esce di scena.
E Benedetto Mineo torna in campo come nuovo direttore dell’Agenzia delle Dogane.
Per guidare l’agenzia fiscale che amministra i tributi doganali, regola il comparto del gioco e della produzione e vendita di tabacchi e contrasta contrabbando e contraffazione, Lega e M5s scelgono dunque un ex dirigente della Regione Sicilia che dal 2001 al 2005 è stato capo di gabinetto vicario dell’allora governatore Totò Cuffaro, condannato a sette anni di carcere per favoreggiamento a Cosa nostra.
Nato a Palermo nel 1961, Mineo è attualmente responsabile della divisione Contribuenti, Fiscalità Locale e Territoriale di Agenzia delle Entrate-Riscossione. Dopo gli incarichi in Regione (è stato anche dirigente generale del dipartimento Finanze e credito) e nel cda di Riscossione Sicilia, dal 2009 al 2011 ha guidato Equitalia Polis poi incorporata nella nuova Equitalia Sud, agente della riscossione che si occupava di tutto il Meridione, di cui Mineo è stato ad fino al 2013.
Nel frattempo nel 2012 l’allora presidente di Equitalia Attilio Befera lo chiamò a guidare la capogruppo.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile
COME CRIMINALI ITALIANI APPROFITTAVANO DELLO STATO DI INDIGENZA DELLE VITTIME PER POI INCASSARE I SOLDI DELLE ASSICURAZIONI
Francesca Calvaruso, 27 anni, è una delle finte vittime che si è procurata una rottura delle ossa per simulare un incidente stradale e truffare le assicurazioni.
Lei si è pentita e ha raccontato tutto agli inquirenti che hanno arrestato undici persone, considerate componenti della banda.
Tra i capi e gli organizzatori di incidenti e uomini senza scrupoli che fratturavano le ossa c’erano anche un’infermiera dell’ospedale Civico, Antonia Conte, che forniva l’anestetico, e un perito assicurativo, Michele Caltabellotta.
Spranghe, dischi di ghisa come quelli utilizzati in palestra e blocchi di cemento venivano utilizzati per provocare le fratture.
Cinquanta gli indagati: c’è anche un avvocato.
Una quindicina i falsi incidenti ricostruiti. Alcuni sarebbero stati inscenati anche a Milano, Torino, e a Messina.
In un’intervista a Repubblica la Calvaruso racconta come sono andate le cose:
«Mi hanno spiegato che se mi facevo procurare delle fratture mi avrebbero dato subito 800 euro, e poi altri 34 mila con il risarcimento dell’assicurazione. Un sogno per me che sono sola e rischio di non vedere più i miei figli. Alla fine ne ho avuti solo 500».
Ci racconta cosa accadde il 4 marzo scorso?
«È il giorno in cui è stato inscenato il mio falso incidente. Mi hanno dato appuntamento alla stazone centrale. In auto siamo andati in un capannone a Bagheria. Un posto dove c’era anche un altro ragazzo e altre tre persone. Mi hanno detto che sarei stata vittima di un incidente insieme con un falso fidanzato. Anche lui era lì e gli hanno fratturato un braccio in quel capannone degli orrori».
Poi?
«È stato il mio turno. Scene che non posso dimenticare. Mi hanno fatta distendere. Mocciaro mi ha iniettato per due volte l’anestesia. C’era anche la moglie, infermiera. Un uomo mi ha tappato la bocca, un altro mi ha messo una mano sugli occhi. Mi dicevano di stare tranquilla, io tremavo. Mi hanno fratturato prima il piede perchè dicevano che era più doloroso. E infatti così è stato. Ma non dovevo urlare perchè c’era il pericolo che qualcuno sentisse. Dopo è stata la volta del braccio».
Cosa hanno utilizzato per provocare le fratture)
«Alcuni dischi di ghisa, come quelli che si usano in palestra, di almeno cinquanta chili. Me li hanno scagliati contro. Mi scendevano le lacrime dagli occhi ma ho resistito per i miei bambini».
(da “NextQuotidiano”)
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