Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
NON HA RIPRISTINATO UN BEL NULLA, NESSUNA INDICAZIONE DI “PADRE” E “MADRE”, SOLO “GENITORI”, IN PRATICA E’ TUTTO COME PRIMA
Matteo Salvini oggi ha guadagnato le prime pagine dei giornali perchè in un’intervista a La Bussola Quotidiana ha detto di aver fatto cambiare la modulistica della carta d’identità . “Mi è stato segnalato che sul sito del ministero dell’Interno, sui moduli per la carta d’identità elettronica c’erano “genitore 1” e “genitore 2”. Ho fatto subito modificare il sito ripristinando la definizione “madre” e “padre”. È un piccolo segnale ma farò tutto quello che è possibile e che è previsto dalla Costituzione. Difenderemo la famiglia naturale fondata sull’unione tra un uomo e una donna”, ha detto Salvini.
La frase di Salvini ha movimentato, come era sua intenzione fare, il dibattito politico: la tecnica è conosciuta e ripetuta ad libitum in questi giorni, ovvero spararla grossa su un tema “sentito”, attendere le reazioni indignate e poi tornare a ribadire il concetto oppure fare marcia indietro dove necessario (ad esempio con la storia della chiusura dei porti).
Anche stavolta il copione è stato rispettato
C’è però un problema. Sul sito del ministero dell’Interno la pagina che spiega le caratteristiche del documento non riporta in alcun modo la dicitura “madre” e “padre”. Riporta invece la dicitura “genitori” al plurale (nel caso di carta a un minore); Salvini con La Bussola Quotidiana ha parlato di un intervento già effettuato: se è vero quello che ha detto, la modifica di Salvini non ha riportato la definizione di padre e madre ma soltanto cambiato in “Genitori” la dicitura.
“Per ora la modifica annunciata da Salvini, secondo quanto risulta agli uffici, si riduce al fatto che sui moduli per la carta di identità elettronica da qualche giorno si è passati da ‘genitore 1’ e ‘genitore 2’ ad un più vago ‘genitori’. Si tratta di moduli per erogare la carta di identità elettronica, in questo caso a minori, presenti sui terminali affidati dal Ministero dell’Interno ai Comuni che li gestiscono”, ha detto all’ANSA il presidente del Municipio VIII (di centrosinistra) Amedeo Ciaccheri.
Marilena Grassadonia, presidente dell’Associazione Famiglie Arcobaleno, ha invece involontariamente fornito il motivo della modifica: “Ci sono bimbi in Italia che hanno due mamme o due papà giuridicamente riconosciuti già da sentenze dei tribunali dei minori e trascrizioni di atti di nascita fatti da sindaci o ufficiali di stato civile — ha aggiunto Grassadonia — . Inserendo la dicitura ‘genitore’ si ridà dignità a tutte le forme familiari”.
Grassadonia ha fatto riferimento a “sentenze sul tribunale Pistoia e Bologna che si regolano su legge 40”.
“Salvini invece — ha proseguito la presidente dell’Associazione Famiglie Arcobaleno — continua a fare propaganda sulla pelle dei nostri figli. Noi invece proseguiamo la nostra battaglia di civiltà per il riconoscimento in tutti gli atti pubblici. Vogliamo che le famiglie omogenitoriali siano riconosciute in Italia anche nell’atto di nascita negli ospedali, per esempio dopo il parto di bambini concepiti all’estero con fecondazione assistita”.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
3 EURO A CASSONE DA 375 CHILI DI ORTAGGI, 12 ORE DI LAVORO… E LE DONNE SONO PIU’ SFRUTTATE DEGLI UOMINI
Il tema è riemerso, violento e drammatico, dopo la morte di 16 braccianti immigrati in Puglia. Ma i dati dell’Osservatorio ‘Placido Rizzotto’ della Flai Cgil danno un quadro se possibile ancora più inquietante del business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura in Italia.
Parliamo di un giro di affari da 4,8 miliardi di euro.
E’ uno dei dati principali del ‘Quarto Rapporto agromafie e caporalato’ suddiviso in quattro parti.
Nella prima parte, ‘Economia mafiosa: agromafie e caporalato’, si fa il punto sull’economia illegale nel settore alimentare e sulla applicazione e valutazioni sul campo all’indomani della approvazione della legge 199/2016. E inoltre, si analizzano i numeri, la composizione e la condizione dei lavoratori migranti nell’agricoltura italiana
Il business milionario.
Dall’indagine emerge che l’economia non osservata in Italia si stima in 208 miliardi di euro; il lavoro irregolare vale 77 miliardi, ovvero il 37,3%. Il lavoro irregolare incide per il 15,5% sul valore aggiunto del settore agricolo. Il business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura, appunto, è pari a 4,8 miliardi di euro. Mentre 1,8 miliardi è la cifra raggiunta dall’evasione contributiva.
Sono tra 400.000/430.000, spiega il Rapporto, i lavoratori agricoli esposti al rischio di un ingaggio irregolare e sotto caporale; di questi più di 132.000 sono in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale. Questi numeri, purtroppo, confermano uno scenario simile ai precedenti Rapporti. Inoltre, più di 300.000 lavoratori agricoli, ovvero quasi il 30% del totale, lavorano meno di 50 giornate l’anno.
Chi sono gli sfruttati.
Sempre nella prima parte del Rapporto, si analizza la composizione del lavoro migrante in agricoltura. Su circa un milione di lavoratori agricoli, i migranti si confermano una risorsa fondamentale.
Secondo i dati Inps, nel 2017 sono stati registrati con contratto regolare in 286.940, circa il 28% del totale, di cui 151.706 comunitari (53%) e 135.234 provenienti da paesi non Ue (47%).
Secondo il Crea i lavoratori stranieri in agricoltura (tra regolari e irregolari) sarebbero 405.000, di cui il 16,5% ha un rapporto di lavoro informale (67.000 unità ) e il 38,7% ha una retribuzione non sindacale (157.000 unità ).
Nella seconda parte del Rapporto, ‘Le norme di contrasto allo sfruttamento’, si affronta, con un approfondimento monografico, in un ‘excursus’ che parte dal 1950 e arriva ai giorni nostri, il tema del collocamento, dello sfruttamento lavorativo e delle varie norme e leggi a contrasto.
Inoltre, in questa parte, un capitolo è dedicato ad analizzare i rapporti tra i diversi attori nella filiera di valore nel settore agroindustriale; una filiera nella quale è forte l’asimmetria tra il potere di contrattazione della fase agricola e di quello nelle fasi a valle rispetto a quello degli altri soggetti della catena (ad esempio la Grande distribuzione).
“Le analisi empiriche delle catene del valore agroalimentari in Italia -spiega il Rapporto- mettono in evidenza come la distribuzione del lavoro ponga in posizione di vantaggio gli attori diversi dalle imprese agricole”.
Il lavoro indecente.
La terza parte dell’indagine, ‘Il lavoro indecente nel settore agricolo’, tratta, attraverso una serie di interviste, sette casi di studio, storie di lavoro sfruttato nei territori di sette regioni: Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia. In ogni regione sono stati studiati territori particolari, in quanto quelli in cui si registrano forme di lavoro indecenti e al limite dello sfruttamento para-schiavistico.
E queste le condizioni dei lavoratori sottoposti a grave sfruttamento in agricoltura: nessuna tutela e nessun diritto garantito dai contratti e dalla legge; una paga media tra i 20 e i 30 euro al giorno; lavoro a cottimo per un compenso di 3/4 euro per un cassone da 375 kg; un salario inferiore di circa il 50% di quanto previsto dai Ccnl e Cpl. I lavoratori sotto caporale, con un orario medio che va da 8 a 12 ore di lavoro, devono pagare il trasporto a secondo della distanza (mediamente 5 euro); beni di prima necessità (mediamente 1,5 euro l’acqua, 3 euro panino, etc.).
E ancora, spiega il Rapporto, le donne sotto caporale percepiscono un salario inferiore del 20% rispetto ai loro colleghi. Nei gravi casi di sfruttamento analizzati, alcuni lavoratori migranti percepivano un salario di 1 euro l’ora.
E dalle informazioni acquisite è stata realizzata una stima che quantifica in 30.000 il numero di aziende che ricorrono all’intermediazione tramite caporale, circa il 25% del totale delle aziende del territorio nazionale che impiegano manodopera dipendente.
Il 60% di tali aziende ingaggiano quelli che nel Rapporto sono definiti ‘caporali capi-squadra’, che si differenziano per rapporti di lavoro comunque decenti (seppur irregolari), da quelli indecenti e gestiti dai caporali collusi con le organizzazioni criminali, se non addirittura mafiose.
(da Globalist)
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Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
CANTANO IL NOSTRO INNO, STRINGONO LA NOSTRA BANDIERA, SONO FELICI DI ESSERE ITALIANI
Quanta bellezza e quanto talento in queste atlete e in questi atleti, nelle nostre ragazze e nei nostri ragazzi che vestono l’azzurro agli europei di atletica a Berlino con il sorriso, italiani nel modo di essere e di pensare, figli della nostra terra, delle nostre abitudini, delle nostre contraddizioni.
Si allenano, corrono, saltano, vincono stanno arricchendo il nostro medagliere. L’atletica leggera sta ritornando, grazie anche a loro, a essere pratica sportiva di vittoria e non di rimpianto.
Hanno la pelle nera, però; per questo, nell’assurdità di questi tempi, non piacciono a molti, a troppi.
Il veleno del razzismo, che non dovrebbe appartenere per storia cultura e memoria al nostro Paese, ha creato, e continua a creare, pozzi di rancore e di rabbia. Ma loro sono l’esempio, tra i più chiari, della forza dell’accoglienza e dell’amore.
Perchè esiste anche un’altra Italia. E quante assurde polemiche intorno a loro!
Libania Grenot, quattrocentista di origini cubane, scatenò una polemica tra Matteo Salvini e Roberto Saviano, dopo un tweet dello scrittore che parlò di “risposta italiana a Pontida”.
Ma come si fa a non tifare e a non apprezzare, oltre a Libonia, Daisy Osakue, Maria Benedicta Chigbolu, Raphaela Lukudo, Ayomide Folorunso, Yadisleidy Pedroso, Yeman Crippa e Yohanes Chiappinelli e tutti gli altri?
Stanno facendo bene al nostro Paese, soprattutto in queste buie stagioni dove la tolleranza è un vuoto a perdere, dove il nero, sempre e comunque, viene visto con disprezzo, bisogna allontanarlo, non farlo sbarcare.
Ma guardateli questi ragazzi, guardateli bene: stringono la nostra bandiera, cantano il nostro inno, sono felici di essere italiani, di indossare quella maglietta azzurra, amano i nostri autori, i nostri cantanti, dicono le nostre stesse parolacce, seguono le nostre serie televisive, alcuni parlano persino il dialetto.
Come si fa a odiarli, proprio noi!
Io sono nato a San Paolo del Brasile, figlio nipote e pronipote di migranti, gente partita per fame, per sogno, per speranza, per disperazione: trovando sempre, per buona sorte, la benedizione dei porti aperti.
Abbiamo conosciuto la fatica, a volte sdegno e disprezzo (gli italiani non godevano ancora negli anni Cinquanta di buonissima fama), ma soprattutto gli abbracci, l’ospitalità e la solidarietà .
I miei genitori, nel 1961, sono riusciti a tornare in Italia, non più nella loro Verona, ma a Torino, in quei giorni avvolta e stravolta dalla meraviglia e dall’illusione del boom economico.
Ma il Brasile è sempre rimasto nel cuore di mio papà e di mia mamma, per davvero la “terra del futuro” come intuì Stefan Zweig. Mi fece effetto vedere, a Torino, in certi palazzi il cartello “Non si affitta ai meridionali”.
L’Italia agli italiani, già : ma non per tutti, evidentemente…
La mia fortuna è stata quella di crescere in un quartiere, Cambuci, nella metropoli paulistana, dove giocavo a pallone per strada con i miei coetanei: musulmani, mulatti, ebrei, giapponesi.
Non importava il colore della nostra pelle o la religione dei nostri padri, eravamo felici di stare insieme, e inseguendo quella palla inseguivano la vita, il domani.
Lì, in quella strada, ho capito che il razzismo è veramente la cosa più stupida del mondo. E sono qui a tifare per Daisy e Yohanes.
Italiani. Come me.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
“UNA DEMOCRAZIA FORTE CHE HA UN PROGETTO DI FUTURO NON HA BISOGNO DI CHIUDERSI”
Tutto intorno, leader che appassiscono nel tempo di una giostra; partiti che sbandano di fronte al razzismo, alle istituzioni svuotate via Facebook, alle prospettive di lavoro erose, a un’Europa impegnata a costruire barriere.
In un panorama così, Ada Colau sembra parlare davvero dalla luna rossa dell’altra notte, mentre discute “fiducia”, “democrazie aperte”, “potere ai cittadini”.
Però non solo ne discute, cerca anche di scansare il rischio di accordarsi alla retorica, portando esempi di pratiche messe in campo nella sua città , che raccontino nel concreto la possibilità che lei vede, e in cui crede, di riformare dal basso «quest’Europa unita per le merci e i grandi patrimoni, non per le persone», partendo soprattutto dalle città , «dove davvero si può ricostruire la comunità , perchè lo straniero, ad esempio, non è “l’altro” che spaventa ma è il mio vicino, è il papà che incontro a scuola».
Ada Colau è sindaco di Barcellona dal 2015.
Eletta con “Barcelona en Comດ, lista civica che univa Podemos ad altre sigle, è arrivata all’istituzione dopo anni di militanza per il diritto alla casa, da attivista di strada, in prima fila contro gli sgomberi.
Insieme a Podemos, è stata uno dei volti della primavera degli “indignati”, quando le novità sembravano promessa di un futuro solidale nei paesi europei.
Il vento ha fatto un altro giro, adesso le parole d’ordine ai governi sono frontiere, difesa, controllo. Davanti a questa china, Ada Colau continua a navigare controcorrente.
E lo scontro con la realtà amministrativa non ha offuscato la sua voce. Anzi.
I sondaggi dopo i primi due anni di mandato le davano un appoggio del 52,2 per cento fra i cittadini. Le ultime ricerche dicono che verrebbe riconfermata alla guida di Barcellona, alle prossime elezioni.
E fuori dai confini, i movimenti progressisti si contendono la sua alleanza o il suo sostegno.
Sindaca, cos’ha Barcellona di così particolare?
«Perchè siamo un gruppo di persone affiatate, credo, che si stanno impegnando al massimo. I dipendenti del municipio un giorno mi hanno detto: “Non avevamo mai visto dei politici lavorare così tanto”. Un funzionario, il responsabile della fiscalità generale, stava andando in pensione. Durante la festa organizzata dai colleghi per salutarlo, ha voluto dirci che siamo stati la prima giunta, in tutta la sua carriera, in cui nessuno gli ha chiesto di annullare una multa o fare un favore a un amico. Mi sono commossa. Ma non ci basta essere “gli onesti”, quelli che gestiscono la città semplicemente in modo più corretto o trasparente. Non ci immaginavamo di arrivare qui, o di dover superare il momento più difficile del nostro Paese, con il referendum per l’indipendenza della Catalogna e la repressione fatta dal partito Popolare. Ma ora che abbiamo questa responsabilità , e sentiamo di dover essere ambiziosi: dobbiamo portare avanti politiche coraggiose. Penso ad esempio a quanto stiamo facendo sull’energia, un tema fondamentale per il futuro».
Ecco, esempi. Ne indichi alcuni.
«Quello che è successo con la privatizzazione dell’acqua, o con l’avanzata degli oligopoli nell’energia, è una delle molte spiegazioni del perchè i partiti di sinistra abbiano perso credibilità : i consigli di amministrazione di queste aziende private, che gestiscono i servizi senza trasparenza e con prezzi altissimi, sono pieni di politici socialisti. A Barcellona abbiamo invece rimunicipalizzato le forniture, con un operatore pubblico che usa fonti rinnovabili e ci permette di essere sempre più autonomi. Mentre sull’acqua, grazie alle nuove regole per la partecipazione popolare che abbiamo varato, i comitati per l’acqua pubblica hanno potuto portare la loro proposta in consiglio comunale. Senza passare da un partito: direttamente, da cittadini, grazie alle firme raccolte. La multinazionale che aveva in gestione il servizio idrico ha allora ingaggiato grandi studi d’avvocati per farci causa. Intentando ricorso non solo sul caso specifico, ma contro l’intero sistema di regole per la partecipazione. La questione è ancora aperta ma intanto, di sicuro, ha dato visibilità a un dilemma politico che esisteva anche prima, ma nascosto. Ha messo sul tavolo cioè il dissidio cruciale, presente, fra gli interessi di quei privati e la possibilità di partecipazione da parte dei cittadini».
Partecipazione. È una delle parole chiave del “modello Barcellona”. Ma cosa vuol dire nei fatti?
«Aggiornare le forme delle nostre democrazie è fondamentale. La società è cambiata. Non può non cambiare anche il sistema dei partiti. Abbiamo bisogno di strutture più ibride, più simili alle comunità che devono rappresentare: il partito, con le sue gerarchie, i suoi riti chiusi, alla gente sembra avere come fine primario solo la sua continuazione, più che le risposte alle persone. Oggi bisogna ragionare per obiettivi concreti, per campagne e progetti, non per strutture. Non si tratta di proporre programmi chiusi a cui il cittadino aderisce e poi scompare. La fiducia persa dai politici per i troppi casi di corruzione, per la distanza dai problemi comuni, si riconquista attraverso una pratica democratica continua, con Internet e non solo. Di certo non può servire la tessera per avere voce. E per una partecipazione che non sia retorica, ma esercizio concreto della possibilità di intervenire e scegliere. Anche nelle stesse istituzioni: le burocrazie lente e ostili devono diventare uffici pubblici efficaci, moderni, in sintonia con il tempo. La società ci spinge a cambiare».
In Italia il movimento anti-casta che aveva fatto della partecipazione la propria bandiera e del cambiamento il proprio slogan, ora spartisce poltrone con la Lega sovranista e vaticina la fine del Parlamento.
«L’errore è sempre confondere gli obiettivi con gli strumenti. Gli strumenti non sono neutri nè innocenti, possono essere più o meno orizzontali o trasparenti; e sono fondamentali. Ma restano strumenti. Però poi la politica è fatta dalle persone e dai loro obiettivi, idee, valori. Che per la sinistra restano sempre gli stessi: libertà , uguaglianza, fraternità . E devono essere continuamente riportati a pratiche sociali, reali».
Parlando di pratiche, lei come ha vissuto il passaggio da attivista a sindaca? Il compromesso del potere può solo inquinare le volontà ?
«Dico sempre che io sono la stessa persona. Da attivista ho capito molto sul potere che hanno i cittadini; e oggi ho gli stessi obiettivi di allora: una democrazia più aperta. Fin dal primo giorno come sindaca, però, sono stata consapevole del mio nuovo ruolo. Quando hai un incarico istituzionale devi rendere conto a tutta la popolazione, non solo a chi la pensa come te. Da attivista cerchi gli affini, mentre da sindaca hai un’altra responsabilità . Hai un incarico, pagato con soldi pubblici, che ti richiede di ascoltare ogni parte della cittadinanza, allargare il consenso. Ma sul piano personale non c’è alcuna frattura».
Chi sono i suoi affini oggi?
«Innanzitutto nelle città . È dalle città che va rifondata l’Europa, dal basso. I giornali spagnoli mi chiedono continuamente: “Ci dica la verità , lei vuole competere per diventare premier”. Non mi credono quando rispondo di no. Considerano il Comune meno importante, ma è un’errore. La politica locale, in prospettiva, sarà sempre più centrale. Per questo sono molto concentrata su questa rete di città “fearless” – senza paura – che abbiamo fondato. Si è appena tenuto un congresso negli Stati Uniti: anche lì la resistenza a Trump si sta consolidando a partire dalle città . Ho conosciuto Alexandria Ocasio-Cortez (la giovane sfidante socialista di New York, ndr), siamo vicine. Abbiamo lo stesso obiettivo: trovare soluzioni ai problemi della gente. La rete che ho in mente unisce progetti, non abbiamo fretta di creare sovrastrutture. E poi ci sono le esperienze che ci accomunano come sindaci. Penso ad esempio a Napoli o Palermo con l’alleanza delle città rifugio, che vogliono accogliere. Come accade in esempi quali in Calabria Riace, che sono felice di conoscere finalmente di persona perchè è una risposta bella, e concreta, a una politica codarda».
La questione migranti la spaventa?
«No. Mi fa vergognare. A Barcellona ci vergogniamo delle politiche degli Stati sui migranti. In quest’Europa tecnocratica garantiamo tutti i diritti ai grandi capitali ma abbiamo dimenticato le persone. Si crea ricchezza, ma la si distribuisce in modo ingiusto. E allora è più facile cedere al discorso dell’altro come “nemico che minaccia la nostra identità ”. Ma noi non abbiamo paura. Di fronte alla terrificante crisi umanitaria del Mediterraneo, dove la criminale politica europea sta condannando a affogare migliaia di persone, abbiamo scelto di aiutare e sostenere in ogni modo la missione di Open Arms. Così come abbiamo investito risorse per dare consulenze legali a chi arriva e garantire che i profughi siano trattati da cittadini, con l’accesso a tutti i servizi municipali. Poi non sono ingenua: si tratta di dinamiche complesse, su cui l’Italia ha ragione a chiedere risposte comuni. Ma è proprio per quelle risposte comuni, europee, nel senso dell’apertura e della condivisione delle responsabilità però, che ci battiamo anche noi».
Il sentimento collettivo sembra soffiare però contro l’accoglienza. La chiusura dei porti viene applaudita, ha consensi.
«Una democrazia forte, che ha un progetto di futuro, non ha bisogno di chiudersi. Ma non voglio minimizzare. Fra gli errori più importanti della sinistra di sicuro c’è stato il non aver visto come il liberismo sfrenato stesse portando incertezze e paura nella popolazione: non sappiamo se domani avremo un lavoro, o la pensione, sappiamo che i nostri figli rischiano di stare peggio di noi; oltre alla minaccia del terrorismo globale. Sono paure vere, e legittime che non bisogna negare. Vanno guardate negli occhi. Per trovare però delle soluzioni concrete. Che ridiano spazio alla comunità . E non alla paura».
È possibile?
«Anche questa Europa vecchia e in crisi è piena di persone generose e di progetti straordinari. Abbiamo spesso una pessima idea di noi stessi, che diventa poi una profezia che si autoavvera. Mentre gli esempi da cui riprendere fiducia sono moltissimi. E il nostro compito, come diceva Italo Calvino, è proprio “cercare e saper riconoscere cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”».
(da “L’Espresso”)
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Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO LE PROMESSE DI LEGA E M5S IN CAMPAGNA ELETTORALE, ORA 41.000 PRECARI SARANNO SENZA LAVORO
Per i 50mila diplomati magistrali il Decreto Dignità dà solo supplenze brevi.
Dei 6.669 contratti a tempo indeterminato firmati nel 2017-18 grazie all’ammissione provvisoria alle graduatorie, non se ne salverebbe uno e delle circa 2.600 supplenze annuali neppure.
Al loro posto solo 9.300 supplenze fino al 30 giugno 2019. E gli altri 41.000 precari illusi da tante promesse che rappresentano l’81% del totale? Per loro niente.
Tutto parte, scrive oggi Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, dalla sentenza del Consiglio di Stato che aveva stabilito che l’ammissione provvisoria alle Gae (le graduatorie ad esaurimento per le assunzioni) dei diplomati magistrali abilitati a insegnare prima che diventasse obbligatoria la laurea, andava bocciata.
Con conseguente esclusione dei precari che avevano insegnato nelle scuole per anni. All’epoca Salvini e Di Maio avevano promesso che avrebbero trovato una soluzione e il Decreto Dignità era il mezzo adatto per cominciare a metterla in campo.
Ma il risultato non è un granchè, come dimostra il dossier di Tuttoscuola citato nella tabella del Corriere: 6669 erano i contratti a tempo indeterminato e 2600 le supplenze annuali, ben ventimila le supplenze fino al 30 giugno e quelle brevi.
Di queste, le prime due vengono azzerate nel 2018-2019, rimangono 9300 supplenze fino al 30 giugno e 20mila supplenze brevi. Gli altri rimangono a casa.
E poi c’è la questione del «concorso straordinario» riservato ai maestri abilitati con la laurea «in scienze della formazione primaria» necessaria dal 2002 e ai diplomati magistrali senza quella laurea ma «abilitati entro l ‘anno scolastico 2001/2002».
Nonostante le promesse elettorali non ci sono prove scritte ma solo orali, non si accertano le competenze linguistiche ed informatiche e il peso della prova è inferiore a quello dei titoli già conseguiti.
«I titoli culturali, la laurea, la specializzazione professionale, i corsi d’aggiornamento valgono meno della metà dei titoli di servizio: massimo 20 punti contro 50».
A farla corta: «Questi criteri favoriscono coloro che, con un’età più avanzata, sono da molti anni nella scuola, mentre penalizzano i giovani laureati che non possono aver prestato numerosi anni di servizio». Il tutto in un sistema scolastico che, come è noto, vede l’età media dei docenti a 53 anni e 3 mesi nella scuola primaria e addirittura 54 in quella dell’infanzia.
Potrebbero essere da 86 a 92 mila i candidati a questo concorso. Per il 67% nati al Sud, dove però ci sono solo il 36% delle cattedre disponibili. E il totale degli assunti rischia di sedersi sulla cattedra anche dopo undici anni.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
LA REGOLA DEL NUOVO GOVERNO: ACCONTENTARE TUTTI, A SECONDO DELL’UDITORIO E DEL VENTO CHE TIRA
Tesi: il ministro degli Esteri Enzo Moavero paragona i migranti italiani di ieri ai migranti africani di oggi.
Antitesi: il ministro, sostiene qualcuno, offende gli italiani. Sintesi: dire che sei come un africano è un insulto.
È difficile ormai perfino replicare alle dichiarazioni del leghista di turno. Come sfidare a tennis uno che gioca con un mattarello.
Stavolta, essendo forse Matteo Salvini impegnato a fare il bagno da qualche parte con la fidanzata e a twittare difendendo la capotreno che insultava gli zingari, sono intervenuti due supplenti.
Ecco cosa aveva detto Moavero: “Non dimentichiamo che Marcinelle è una tragedia dell’immigrazione, soprattutto ora che tanti vengono in Europa. Non sottostimiamo la difficoltà di gestire un tale fenomeno ma non dimentichiamo che i nostri padri e nonni erano migranti”.
Ed ecco la replica dei vice-Salvini: “Paragonare gli italiani che sono emigrati nel mondo, a cui nessuno regalava niente nè pagava pranzi e cene in albergo, ai clandestini che arrivano oggi in Italia è poco rispettoso della verità , della storia e del buon senso”.
Leggi sui siti internet e ti stropicci gli occhi.
Poi guardi chi ha pronunciato la frase: Riccardo Molinari, capogruppo leghista alla Camera condannato in appello per l’inchiesta Rimborsopoli in Piemonte.
Lui, evidentemente, pensa di aver titolo per parlare di queste cose.
Se uno volesse applicare la filosofia hegeliana alle affermazioni di Molinari, impresa ardua, potrebbe pensare che essere italiani e africani per qualcuno non è uguale.
Ma verso sera ecco che dalla maggioranza arriva la zampata di Luigi Di Maio.
Che commenta la frase di Moavero con il coraggio che lo contraddistingue: “La tragedia di Marcinelle a me fa riflettere sul fatto che non dobbiamo emigrare dall’Italia“.
E qui voliamo oltre Hegel, siamo a Max Catalano, filosofo di Quelli della notte: “È molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati”.
Un dribbling degno di Messi. Al confronto i democristiani della Prima Repubblica erano dei leoni da arena.
Ecco la regola del nuovo governo, accontentare tutti.
A seconda dell’uditorio o del vento sei pro o contro le grandi opere. I vaccini sono obbligatori, ma l’obbligo è facoltativo. E l’immigrazione? Meglio starsene a casa.
Ma tra qualche tempo, dopo mesi di chiacchiere e tweet, gli italiani forse scopriranno che stanno male come prima.
Si romperanno le scatole di un ministro dell’Interno che passa le giornate a postare commenti e a prendersela con i migranti invece di pensare a delinquenza, mafia e corruzione.
Non ne potranno più degli equilibrismi da vecchio democristiano di Di Maio.
Meglio politici coraggiosi che risolvono i problemi della gente che ministri che twittano, chiacchierano e se la prendono con i poveracci senza difesa, direbbe Catalano.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
IL GOVERNO PARLA DI “RIORDINO” DELLE ALIQUOTE: PIU’ BASSA PER ALCUNI PRODOTTI, PIU’ALTA PER ALTRI… QUALCUNO CI CREDE CHE SARANNO A SALDO INVARIATO?
Alcuni prodotti vedranno la tassazione Iva più alta, per altri invece sarà più bassa. L’obiettivo principale rimane disinnescare le clausole di salvaguardia per scongiurare l’aumento dell’Imposta sul valore aggiunto, ma alcuni “ritocchi” nella legge di stabilità , che il governo sta provando a mettere in cantiere, ci saranno.
Ciò non significa che saliranno o scenderanno le aliquote, piuttosto alcuni prodotti saranno considerati beni di prima necessità quindi con un’aliquota al 4% altri saranno invece considerati beni da tassare con l’aliquota massima.
“Ci sono prodotti a cui bisogna abbassare l’Iva, altri invece a cui bisogna alzarla”, spiega una fonte del Tesoro: “Tutto ciò per andare incontro alle famiglie e alle fasce più basse. I prodotti che saranno rivisti al rialzo non sono stati ancora discussi”.
Al ministero di via XX Settembre si parla quindi di riordino delle aliquote, ovvero “alcune voci saranno ricollocate da un’aliquota all’altra”.
Pur non avendo preso alcuna decisione definitiva, è su questo che si sta ragionando a Palazzo Chigi e di cui si è parlato nel corso dei due vertici sulla manovra.
Il saldo, viene spiegato da fonti del governo, resterà pressochè invariato, ma se poi sarà in positivo o in negativo si vedrà solo a consuntivo ovvero quando gli effetti del riordino si saranno espletati.
Quindi non si abbasserà o alzerà in modo significativo la cifra da trovare per bloccare l’aumento previsto da gennaio 2019.
Sarà dunque necessario reperire come previsto oltre 12 miliardi di euro per il 2019 e quasi 20 miliardi nel 2020 poichè a tanto ammontano le entrare stimate dall’aumento dell’imposta sul valore aggiunto.
Stando al programma gialloverde le aliquote resteranno immutate e l’attivazione delle clausole non è in discussione, ma il punto di svolta per avere la certezza sarà la trattativa con Bruxelles.
Per adesso si pensa a quelli che vengono chiamati aggiustamenti ma con effetti sul gettito marginali. Il mantra rimane lo stesso, cioè “l’Iva non aumenterà “, ma nel dettaglio bisognerà vedere se davvero gli effetti sul gettito saranno marginali.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
DURANTE UN’IMMERSIONE, LA SCENA RIPRESA DALLA TELECAMERA DELLA RAGAZZA
L’immersione si è trasformata in un incubo per una ragazzina francese in vacanza in Sardegna, sulla costa sud ovest.
Ora l’istruttore subacqueo Francesco Carrara è stato arrestato grazie alla prova prodotta dalla mamma della ragazzina: un filmato fatto con la telecamera portata giù dalla giovane.
Carrara, 53 anni, si trova ai domiciliari, accusato di violenza sessuale.
L’episodio risale al 31 luglio scorso. La ragazzina aveva deciso di fare un’immersione con l’istruttore nello specchio di mare di fronte a Cala Verde.
Mentre erano sott’acqua, l’uomo l’avrebbe avvicinata riuscendo ad approfittare di lei. Tutta la scena viene ripresa da una telecamera che il papà della 14enne le aveva consegnato prima dell’immersione.
Tornata in spiaggia, la ragazzina ha raccontato tutto al padre che il giorno dopo si è presentato dai carabinieri per denunciare il fatto, consegnando anche il video.
Tutto è stato inoltrato al Gip del Tribunale di Cagliari che ha così firmato l’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, poi eseguita dai militari del capoluogo.
(da agenzie)
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Agosto 10th, 2018 Riccardo Fucile
AQUARIUS NE SOCCORRE 141 IN ACQUE INTERNAZIONALI
Nuovo sbarco di migranti in Calabria. Ancora una volta seguendo la rotta turca, che ha ripreso forza già da alcune settimane.
In 72 sono sbarcati stamane sulla spiaggia di Capo Bruzzano, nel territorio di Africo. Erano a bordo di una barca a vela battente bandiera turca che si è arenata.
I migranti sono tutti di nazionalità curda irachena e afghana: tra loro ci sono anche 12 minori e venti donne.
L’imbarcazione, che è stata sequestrata e condotta nel porto di Roccella Ionica, sarebbe partita, secondo le informazioni raccolte, una settimana fa da un porto della Turchia.
Trentatrè migranti saranno accolti in una struttura di Bianco, mentre gli altri 39 verranno ospitati nel centro di prima accoglienza di Roccella Ionica.
Sempre nel Mediterraneo, ma davanti alle coste libiche, la nave Aquarius di Sos Mediterranèe e Msf, tornata a operare nel Mediterrraneo centrale dal 1 agosto, giorno in cui è salpata da Marsiglia, ha soccorso 141 persone in due distinte operazioni nello stesso giorno.
Lo hanno spiegato in un tweet le due ong, che gestiscono la nave di ricerca e soccorso, aggiungendo di avere informato il Centro di coordinamento libico (Jrcc) e tutte le altre autorità marine competenti.
Aquarius prima ha soccorso un barchino di legno con 25 persone a bordo, tra cui 6 donne, in acque internazionali a 26 miglia dalla costa libica, a nord di Zuwarah.
Poi, dopo qualche ora il secondo salvataggio: “una barca di legno sovraffollata con 116 uomini, donne e bambini, tra cui 67 minori non accompagnati, per lo più da Somalia ed Eritrea”.
L’operazione è avvenuta “in acque internazionali a 24 miglia dalla costa della Libia, a nord di Abu Kammash”. Ora “Aquarius rimarrà in zona ricerca e soccorso attenta a ogni altra eventuale imbarcazione in difficoltà ”
(da agenzie)
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