Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
QUALCUNO LO AVVISI CHE PER REVOCARE LA CONCESSIONE DOVEVA INVIARE UNA CONTESTAZIONE FORMALE SULLA INADEMPIENZA AI LAVORI SUL MORANDI, POI DOPO 90 GIORNI UNA DIFFIDA IN CASO AUTOSTRADE NON AVESSE OTTEMPERATO E DOPO ALTRI 60 GIORNI POTEVA AVANZARE LA RICHIESTA, MA NON HA SCRITTO UNA MAZZA E IL PONTE E’ CROLLATO
La strada che porta alle misure annunciate – la revoca della concessione ad Autostrade e una maxi-multa fino a 150 milioni di euro – è impervia rispetto al timing istantaneo degli annunci. Le procedure sono tutt’altro che semplici e immediate.
I rapporti sono regolati dalla Convenzione stipulata il 12 ottobre 2007 tra Anas e appunto Autostrade per l’Italia.
Trentanove pagine rese pubbliche solo da pochi mesi e con molti omissis, dopo che per oltre dieci anni erano secretate. Dentro ci sono le principali tratte autostradali che attraversano l’Italia, da Nord a Sud, e anche l’A10 Genova-Savona, lungo la quale sorgeva il ponte Morandi.
La Convenzione indica quali sono i doveri del concedente e del concessionario, gli interventi previsti e le procedure per il calcolo delle tariffe. Tutto per un periodo temporale consistente: fino al 2038, poi prorogato con l’ok di Bruxelles al 2042.
Una data che la dice lunga sulla fiducia esistente tra le parti.
Leggendo però l’articolo 9 della Convenzione, “Decadenza della concessione”, si capisce come la revoca si inserisce in una serie di passaggi.
Si prevede che la decadenza della concessione venga dichiarata se “perdura” da parte del concessionario, cioè Autostrade per l’Italia, “la grave inadempienza” rispetto agli obblighi previsti che, ristretti a quelli relativi al caso Genova, sono: manutenzione e riparazioni tempestive delle infrastrutture, interventi di adeguamento alla rete.
La decadenza della concessione è quindi legata all’accertamento di una grave inadempienza continua da parte del concessionario (il famoso dolo grave)
Qui si innesta il primo ostacolo per il governo, che dovrà appunto dimostrare se e come Autostrade per l’Italia si sia resa protagonista di questo eventuale comportamento.
Muoversi senza accertamenti della magistratura rende quindi spuntata questa arma.
La società Autostrade si è difesa, fin da ieri, affermando che sul viadotto erano in corso lavori di manutenzione e che era previsto un bando di 20 milioni di euro, con scadenza 30 settembre 2018, per il rifacimento strutturale del ponte.
Autostrade oggi afferma che è stato svolto un monitoraggio trimestrale “secondo le prescrizioni di legge” e verifiche aggiuntive realizzate con apparecchiature “altamente specialistiche”.
Altra complicazione è la natura della previsione dell’articolo 9, che parla di un intervento dello Stato una volta constatato “il perdurare dell’inadempimento degli obblighi da parte del concessionario”.
Prima c’è la contestazione allo stesso concessionario e la diffida ad adempiere agli obblighi entro 90 giorni.
In caso di non ottemperanza alla diffida, si danno altri 60 giorni aggiuntivi per adeguarsi.
Solo al termine di questo iter il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, insieme al Tesoro, può emanare il decreto per la decadenza della concessione.
Questi passaggi, tuttavia, appaiono anacronistici e quindi inapplicabili rispetto a quello che è accaduto a Genova, dato che il ponte è crollato e adempiere ora agli obblighi di manutenzione è operazione ovviamente superata dai fatti.
C’è poi la questione della penale che lo Stato dovrebbe pagare in caso di revoca della concessione: il contratto dispone con una formula molto complessa che Anas paghi Autostrade per l’Italia un indennizzo parametrato agli utili previsti fino alla fine della concessione.
Considerato che nell’ultimo anno gli utili di Autostrade per l’Italia sono stati pari quasi a un miliardo di euro, 968 milioni, e che la concessione scade nel 2042, l’indennizzo sarebbe intorno ai 20 miliardi di euro.
Nella concessione si legge che l’importo venga definito tramite un accordo tra le parti e in assenza di conciliazione, e solo dopo tre mesi, la controversia finisca davanti al Tribunale civile di Roma.
C’è poi il capitolo sanzioni. L’allegato N alla Convenzione, che disciplina questo aspetto, non è pubblico, ma c’è un riferimento alla procedura sanzionatoria prevista dalla legge 286/2006.
In particolare le sanzioni amministrative pecuniarie possono essere non inferiori a 25 mila euro e non superiori a 150 milioni di euro, “in caso di inadempimento agli obblighi convenzionali o a propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza, da parte dei concessionari, alle richieste di informazioni o a quelle connesse all’effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti non risultino veritieri”.
È qui che si trova la cifra di 150 milioni di euro indicata da Danilo Toninelli.
Anche in relazione alla multa, il percorso immaginato dal Governo risulta alquanto impervio perchè appunto legato all’accertamento dell’inadempimento degli obblighi previsti dalla Convenzione.
Si ritorna, quindi, alla stessa questione della revoca della concessione. Autostrade per l’Italia ha adempiuto o meno agli obblighi previsti? In caso di mancata ottemperanza come è possibile dimostrarlo?
Autostrade per l’Italia rende noto che negli ultimi cinque anni (2012-2017) gli investimenti in sicurezza, manutenzione e potenziamento della rete sono stati superiori a 1 miliardo di euro l’anno.
Nè tantomeno la stessa società è disposta ad accettare il ragionamento che il crollo del ponte poteva essere previsto.
Stefano Marigliani, direttore del Tronco di Genova, lo spiega chiaramente a Huffpost: “Per noi quello che è successo è stato del tutto inaspettato: è un fenomeno che si sta ricercando e quello che stiamo ipotizzando in queste ore è un comportamento della struttura non previsto dalla fase progettuale e non ipotizzabile da identificare nell’attività di sorveglianza”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
COME FUNZIONA IL SISTEMA DELLA CONCESSIONI AUTOSTRADALI E PERCHE’ LA REVOCA E’ UNA BUFALA… E’ AMMESSA SOLO PER DOLO GRAVE E I PIANI DI INTERVENTO SONO STATI AVALLATI PROPRIO DAL MINISTERO DI TONINELLI
Il sistema delle concessioni regola gli oltre 6.000 km di rete autostradale sul territorio nazionale. Le strade sono di proprietà pubblica e vengono date in concessione per tempi molto lunghi alle società che le gestiscono.
Cosa chiede il governo quando dà la gestione delle autostrade in concessione?
Che ci sia coerenza tra i pedaggi che vengono chiesti al casello e quanto viene investito per la manutenzione della rete.
Proprio dal pedaggio infatti arriva il denaro per effettuare gli investimenti. Il governo, ex ante ed ex post deve monitorare che tutto sia commisurato e che i soldi chiesti al casello (con i loro relativi adeguamenti nel corso del tempo) siano coerenti con quanto speso per gli investimenti.
Metà di questi 6000 km sono dati in gestione ad Autostrade per l’Italia, il resto è dato in concessione ad altre società .
Il governo sta ipotizzando una multa da 150 milioni e la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia per la A10 Genova-Savona, per trasferirla all’Anas.
E’ l’ultimo gradino del sistema di possibili sanzioni a carico dei concessionari, anche se l’iter in questo caso sarebbe lungo dato che una revoca è possibile solo qualora venga accertato un dolo grave.
La società dei Benetton sostiene di aver regolarmente rispettato i piani di controllo ed intervento stabiliti in accordo con lo stesso Ministero dei Trasporti e di aver monitorato il ponte Morandi con personale e strutture in linea con i migliori standard
La concessione ad Autostrade per l’Italia prevedeva una scadenza nel 2038, posticipata di recente al 2042 come una sorta di compensazione per gli investimenti richiesti proprio dalla costruzione della Gronda di Genova, la tangenziale esterna che avrebbe permesso di sgravare il ponte Morandi di gran parte del traffico.
Parlando con l’agenzia Agi, uno dei massimi esperti del settore, che per i suoi incarichi istituzionali chiede di conservare l’anonimato, ha spiegato che la revoca della concessione con Autostrade per l’Italia per la A10 Genova-Savona è estremamente improbabile.
“Sarebbe possibile solo in caso di dolo grave – ha argomentato – la società ha regolarmente rispettato i piani di controllo ed intervento stabiliti in accordo con il ministero dei Trasporti”.
Il governo sta esponendo a ulteriori danni quei cittadini che hanno investito i propri risparmi nel fondo Atlantia, società quotata in Borsa, holding del gruppo Autostrade.
(da Sky 24)
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Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
PRIMA DI DIFFONDERE CAZZATE QUALCHE MINISTRO DOVREBBE AVERE A CUORE GLI INTERESSI DEI PICCOLI AZIONISTI NAZIONALI … FAR CROLLARE IL TITOLO IN BORSA A CHI GIOVA? FORSE A CHI COMPRA POI I TITOLI A BASSO COSTO?
Autostrade per l’Italia è una società per azioni che ha sede a Roma, in via Bergamini 50.
E’ soggetta all’attività di direzione e coordinamento di un’altra società per azioni, Atlantia che ha anch’essa sede a Roma, in via Antonio Nibby 20.
Atlantia è quotata in Borsa: il 45,46 per cento del capitale è flottante fra diversi piccoli azionisti, in maggioranza provenienti da Stati Uniti d’America, Regno Unito e Italia. Fra gli altri azionisti ci sono il fondo sovrano di Singapore GIC, gli americani di Blackrock, i britannici di HSBC e la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, tutti sotto il 10 per cento.
Con il 30,25 per cento l’azionista di maggioranza di Atlantia è Sintonia SA che fa capo alla famiglia Benetton.
Sintonia SA è una finanziaria lussemburghese controllata dalla holding Edizione della famiglia Benetton. Prima della ristrutturazione del gruppo, la società capofila era la Ragione di Gilberto Benetton & C sapa (sede a Treviso); dal 1 gennaio 2009 Edizione Holding spa e Sintonia SA sono state incorporate in Ragione sapa che si è trasformata in Edizione srl.
Ricapitolando, l’azionista di maggioranza di Atlantia che controlla Autostrade per l’Italia è una società lussemburghese, Sintonia SA, che tramite Edizione srl fa capo alla famiglia Benetton.
Ma sia Atlantia che Autostrade per l’Italia pagano le tasse in Italia dove hanno la sede legale.
Domani, con la riapertura di Piazza Affari dopo la pausa di Ferragosto, si vedrà quale sarà la reazione degli investitori anche sulle azioni di Atlantia.
Le perdite di oltre il 5% registrate nella seduta di martedì sono con ogni probabilità destinate ad ampliarsi ulteriormente sia per le sempre più drammatiche conseguenze del crollo del Ponte sia per l’intenzione espressa dal premier Conte e da diversi ministri, a partire da quello delle Infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli, di revocare le concessioni ad Atlantia.
La perdita delle concessioni italiane, ricorda Bloomberg, sarebbe un duro colpo per Atlantia, che ha 12,8 miliardi di bond in circolazione
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
SUL BLOG DI GRILLO LE PAROLE CHE IMBARAZZANO IL M5S
Accorre, il governo, intorno alle macerie del Ponte Morandi. Si sollevano parole di cordoglio, solidarietà , promesse di giustizia e di energici interventi.
Ma le liturgie politiche si scompaginano quando un elemento inconsueto, l’ imbarazzo, si insinua tra le file del Movimento 5 Stelle.
Vengono dissotterrate le posizioni di quel grillismo che sposava la tesi della «favoletta del crollo del Ponte Morandi», che si batteva contro il progetto della nuova autostrada e che ora, al governo, si trova costretto a sfumare le proprie posizioni, fino quasi a rinnegarle.
«È un doppio disastro», ammette d’altronde un parlamentare ligure dell’M5S, «da una parte per le vittime e le loro famiglie, dall’altra perchè nelle prossime settimane ci getteranno nel tritacarne per le nostre battaglie sul territorio».
La nascita del grillismo in Liguria è infatti legata a doppio filo alle lotte dei No Gronda, proprio come è avvenuto in Piemonte con i No Tav, a Parma con i No Inceneritore: comitati di cittadini contrari alla costruzione di una grande opera, supportati da un Movimento che ha bisogno di crescere.
Qui, il progetto da fermare era quello della nuova autostrada di Ponente, la Gronda, che collegherebbe Genova a Vesima, sostituendo così il tratto più pericoloso dell’A10 (dove si passava su Ponte Morandi).
E il Movimento delle origini sposa la battaglia. Già nel 2012, quando l’allora presidente di Confindustria Genova lancia l’allarme sul rischio di un «crollo tra dieci anni» del Ponte Morandi e sulla conseguente necessità della costruzione di una nuova autostrada, il consigliere comunale M5S Paolo Putti, proveniente proprio dal comitato No Gronda ed ex candidato sindaco, risponde: «Magari questa persona, prima di utilizzare questo tono un po’ minaccioso – perchè dice: “Ci ricorderemo il nome di chi adesso ha detto No!” – dovrebbe informarsi. Perchè dice che il Ponte Morandi crollerà fra 10 anni, ma a noi Autostrade ha detto che per altri cento anni può stare in piedi».
I nodi si stringono e un anno dopo, ad aprile, sul blog di Beppe Grillo viene messo in risalto un comunicato del comitato di coordinamento No Gronda: «Ci viene poi raccontata, a turno, la favoletta dell’imminente crollo del Ponte Morandi».
Ed è lo stesso Grillo, nel 2014, durante la kermesse romana di “Italia 5 Stelle”, a schierarsi apertamente contro il progetto della nuova autostrada: «Dobbiamo fermarli con l’esercito!», urla dal palco.
Era il tempo della protesta, della rabbia che catalizzava i voti. Oggi, invece, quelle posizioni sono un bagaglio ingombrante, che mette a disagio gli uomini del Movimento.Tanto da richiedere l’intervento del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, che però va su tutte le furie: «Delle polemiche me ne frego altamente. Chi le sta fomentando, in momenti così drammatici, è uno sciacallo».
Il nervosismo è palpabile. «Sì, al tempo forse è stato sottovalutato il pericolo del crollo», concede il sottosegretario alle Infrastrutture Michele Dell’Orco, «ma stiamo parlando di un commento sul blog di Grillo. Non di un esponente di questo governo». Segno, dunque, che il vento potrebbe cambiare ancora.
Come testimonia la doppia rimozione del post dei No Gronda sul blog di Grillo e del tweet del deputato M5S Massimo Baroni, in cui si sosteneva la battaglia contro il progetto della nuova autostrada: «No alle grandi opere inutili quando c’è da mettere in sicurezza le opere già esistenti».
Tutto passato. Anche perchè quel “No” dell’M5S alla Gronda, dopo il crollo del ponte, non è più scontato: «Dovrà rientrare nell’analisi costi-benefici», sottolinea Dell’Orco. E la valutazione dei tecnici, tra cui figura Marco Ponti, che si era già espresso in maniera critica nei confronti del progetto, «sarà molto più approfondita e potrebbe cambiare».
(da “La Stampa”)
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Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
IL VIMINALE RENDE NOTI I DATI UFFICIALI E SMENTISCE LE BALLE ELETTORALI SU CUI IL LEGHISTA HA COSTRUITO LA SUA CAMPAGNA FARLOCCA … OMICIDI – 16,3%, RAPINE -12,3%, FURTI – 9,5%
Numero dei reati ancora in calo in Italia. Dall’1 agosto 2017 al 31 luglio 2018 – secondo il dossier presentato dal Viminale in coincidenza della consueta conferenza stampa di Ferragosto – i delitti consumati sono stati 2.240.210, il 9,5% in meno rispetto ai dodici mesi precedenti (quando erano stati 2.453.872).
Da un anno all’altro diminuiscono gli omicidi (da 371 a 319, il 16,3% in meno), le rapine (da 31.904 a 28.390, il 12,3% in meno) e i furti (da 1.302.636 a 1.189.499, il 9,5% in meno).
In particolare, tra gli omicidi diminuiscono anche quelli attribuibili alla criminalità organizzata, da 48 (il 12,9% del totale registrato tra agosto 2016 e luglio 2017) a 30 (il 9,4% del totale tra agosto 2017 e luglio 2018).
Tra l’agosto 2017 e il luglio 2018 le donne sono state vittime del 37,6% dei 319 omicidi volontari commessi in Italia ed, in particolare, del 68,7% dei 134 omicidi in ambito familiare/affettivo.
Sempre con riferimento agli omicidi in ambito familiare/affettivo, le donne sono vittime dell’89,6% degli omicidi commessi dal partner, dell’85,7% di quelli commessi dall’ex partner e del 58,6% di quelli commessi da un altro familiare.
Nell’ultimo anno le denunce per stalking sono state 6.437 (contro le 8.732 dell’anno precedente) ed è calata del 26,3% la percentuale delle donne che le hanno presentate; in aumento invece del 20,7% gli ammonimenti del questore (dai 940 del 2017 ai 1.135 del 2018, con un +17,9% di quelli per violenza domestica) e del 33,1% gli allontanamenti (dai 160 del 2017 ai 213 del 2018).
Questione immigrazione, altro capitolo del dossier Viminale. Dall’1 agosto 2017 al 31 luglio 2018 sono sbarcati sulle coste italiane 42.700 migranti, il 76,6% in meno dei dodici mesi precedenti quando a sbarcare erano stati in 182.877; nello stesso periodo gli scafisti arrestati sono stati 209 contro i 536 dei dodici mesi precedenti.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
NESSUNO STOP AI LAVORI, SOLO MODIFICHE DEL TRACCIATO, RESTA LA GALLERIA DI 57 CHILOMETRI
Dietro i virgolettati di Alberto Perino c’è un piano per la TAV a 5 Stelle.
Ieri il leader No TAV ha fatto sapere di non essere felice della gestione della questione dell’Alta Velocità da parte del MoVimento 5 Stelle criticando l’immobilismo grillino: «I Si Tav lanciano gli appalti, i 5 Stelle continuano a fare sterili proclami. Avrebbero tante cartucce da sparare ma per non disturbare il manovratore queste cose non vengono fatte».
Ma un progetto del MoVimento 5 Stelle per la TAV invece c’è. Ma forse non piacerà molto agli attivisti No TAV perchè non prevede uno stop ai lavori.
Prevede invece modiï¬che al tracciato sul lato italiano, risparmi per 1 miliardo e cambio del commissario di governo. Resta però la galleria di 57 chilometri.
Annalisa Cuzzocrea e Paolo Griseri lo spiegano oggi su Repubblica:
Il compromesso che si fa strada è quello di abbattere ulteriormente i costi dell’opera di un miliardo. Una parte minima verrebbe risparmiata abolendo la stazione internazionale di Susa, per la quale è già stato vinto un bando internazionale di architettura. Molti denari sarebbero invece risparmiati sulla tratta nazionale tra Torino e Susa abolendo la contrastata galleria sotto la collina morenica di Avigliana (peraltro gemella di una galleria stradale realizzata senza opposizione negli anni scorsi).
Il problema sarebbe che in questo modo arriverebbero al centro logistico di Orbassano 250 treni al giorno e non 320 perchè la ferrovia dovrebbe girare ai piedi della collina, come fa oggi, e non passare sotto. Ma non sembrerebbe un grave problema perchè si tratta di opere che entrerebbero in funzione solo alla fine del prossimo decennio.
In cambio di queste modifiche i 5 stelle dovrebbero accettare l’inevitabile: che si concludano i lavori, ormai avviati da tempo sul lato francese, per la realizzazione del tunnel di base.
Esito inevitabile questo perchè per bloccare quei cantieri sarebbe necessaria una legge votata dal Parlamento e il presidente della Repubblica dovrebbe scrivere al collega francese una lettera in cui smentisce l’impegno preso nero su bianco a suo tempo da Napolitano con Hollande.
Senza considerare lo spreco di risorse: sarebbe come interrompere i lavori di un viadotto a metà di una campata. Lo scambio sarebbe dunque dettato dalla realpolitik e molti 5 stelle sembrano ormai disposti a percorrere questa strada.
Questa, in sintonia con i programmi firmati insieme alla Lega, potrebbe essere la soluzione migliore, nell’ottica grilloleghista, all’Alta Velocità Torino-Lione: l’opera non viene cancellata, il tunnel viene realizzato, la stazione in Val di Susa no.
Come pronosticavamo, una soluzione in stile Stadio della Roma a Tor di Valle in luogo delle promesse elettorali irrealizzabili.
E che sarà difficile da far digerire ai grillini piemontesi, che oggi sono sul piede di guerra dopo che le Olimpiadi a Torino hanno scoperto un nervo assai sensibile.
Ma anche dalle parti del M5S piemontese, dove del piano di riduzione nessuno sembra sapere nulla, non c’è entusiasmo.
Davide Bono, che ha costruito la sua leadership regionale proprio sulle battaglie contro la TAV, parla con La Stampa: «I No Tav vogliono, giustamente, risposte immediate ma c’è un contratto di governo da rispettare — premette Davide Bono, capogruppo in Regione -. A livello nazionale si sta facendo l’analisi costi-benefici e da Roma ci hanno assicurato che entro fine mese ci saranno novità ». Insomma, «una polemica ferragostana».
Anche così, «servono atti formali: le opere non si bloccano scrivendo sui social. Ma i proclami, come i post, servono per spiegare alle persone il lavoro che si sta portando avanti».
Mentre Francesca Frediani, che nei giorni scorsi aveva ribadito al ministro Toninelli di essere No Tav e non “Meglio-Tav”, con riferimento ai propositi di rivedere integralmente l’opera, tiene il punto: «Il richiamo di Perino è corretto e deve essere letto come un appello mosso da chi ci ha dato fiducia. Io, però, non parlerei di rottura tra il Movimento No Tav e il M5S. L’analisi costi benefici fa parte del contratto ed è corretto portarla avanti fino all’esito, rispetto al quale non ho dubbi. Certo serve un atto formale: ad esempio, la rimozione di Virano».
Ovvero Mario Virano, dg di Telt ed ex direttore dell’Osservatorio Torino-Lione.
Una testa che deve rotolare a breve per far digerire con il sangue il cambio del progetto dell’opera.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
“NON VOLEVO PIU’ VIVERE NELLE CONDIZIONI IN CUI MI TENEVANO”… E’ UNO DI QUEI GIOVANI CHE SALVINI VUOLE CHE RESTINO IN LIBIA “PER IL LORO BENE”
Uno dei minori a bordo dell’Aquarius, tra i 141 migranti soccorsi venerdì a largo delle coste libiche e ora sbarcati a Malta, ha raccontato di essere stato rapito e di aver chiesto ai suoi rapitori di ucciderlo per non vivere più nella condizione in cui lo tenevano.
E’ una delle testimonianze shock raccolte dall’equipaggio della nave e riprese dal giornale maltese ‘Times of Malta’.
“Pregai i miei rapitori di uccidermi”, ha detto l’adolescente all’equipaggio dell’Aquarius arrivato al porto di La Valletta. I bambini, richiedenti asilo, hanno rivelato di essere stati vittime di rapimenti ed estorsioni a danno dei loro familiari. Dei 141 soccorsi da Aquarius, 38 sono minori non accompagnati che hanno meno di 15 anni.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
IL TESTO NON PARLA DI RICALCOLO IN BASE AI CONTRIBUTI VERSATI
Per ricordarci che in Italia la situazione è disperata ma non seria, La Stampa oggi intervista Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera che insieme al collega del M5S Francesco D’Uva ha presentato una proposta di legge sul taglio alle pensioni d’oro.
L’intenzione della maggioranza era di tagliare le pensioni superiori ai 4 mila euro netti e ottenere circa 500 milioni di euro; il testo però non parla di ricalcolo dell’assegno in base ai contributi versati ma di taglio proporzionale all’anticipo del pensionamento, causando un cortocircuito evidente negli effetti ottenuti.
Di Maio un paio di giorni fa su Facebook è andato all’attacco di Repubblica che aveva fatto notare la circostanza, ricevendo una risposta secca dal quotidiano: non ha capito il testo.
Oggi Molinari ammette che l’errore c’è e promette che si rimedierà .
Ma lei è d’accordo con l’ipotesi di un taglio proporzionale che penalizzerebbe chi è andato in pensione in anticipo?
«Assolutamente no. Dobbiamo agire sulla base retributiva e basta. Bisogna trovare un correttivo. La Lega pensa a un taglio che porti un contributo di solidarietà delle pensioni più alte a favore di quelle basse. Se la legge è scritta male comunque potremo fare meglio in Commissione».
Quindi qual è il sistema che tecnicamente avete previsto?
«Il metodo si vedrà , l’intento politico però è quello che le ho detto. Non voglio entrare in aspetti tecnici, non sono un esperto di previdenza. Metteremo tutto a posto».
Però è stato lei a firmare con il suo collega D’Uva questo disegno di legge.
«Certo, il contratto di governo prevede che i Ddl concordati dai due partiti vengano firmati dai capigruppo. Ma le ripeto: se ci saranno dubbi interpretativi la premura della Lega è di intervenire. Le posso assicurare che nessuno vuole espropriare le pensioni, nè creare svantaggi a chi ha quella contributiva. Non va neppure penalizzato chi è andato in pensione prima con una quota di retributivo maggiore, visto che lo prevedeva la legge».
(da “NextQuotidiano“)
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Agosto 15th, 2018 Riccardo Fucile
TENNE ALTA LA MEMORIA DELLE VITTIME DI VIA D’AMELIO PORTANDO NELLE SCUOLE D’ITALIA L’AMORE PER LA LEGALITA’
Se n’è andata Rita Borsellino.
La combattente, testimonial del Movimento antimafia, ha perso la sua battaglia contro la malattia dopo una lunga sofferenza vissuta con estrema dignità e senza mai cedere di un millimetro ai suoi doveri di donna impegnata in politica.
Rita non era soltanto la sorella di Paolo Borsellino. Per lunghi anni è stata, insieme con la famiglia, il vessillo di un intero popolo in lotta contro il giogo della mafia e della corruzione.
Fu lei, mentre ancora non si erano spente le fiamme provocate dal tritolo mafioso in via D’Amelio, a caricarsi sulla spalle l’impegno di tenere alta la memoria delle vittime di Cosa nostra e l’onere di avviare un processo di educazione alla legalità che potesse affrancare le nuove generazioni dal giogo dell’illegalità .
Chi ha memoria la ricorda nelle aule di tutte le scuole d’Italia, tra i giovani, a spiegare perchè la mafia è negazione delle libertà e della democrazia.
Si deve a lei l’intuizione di trasformare un luogo di tragedia (via D’Amelio) in un palcoscenico di rivolta contro la violenza, un simbolo di speranza rappresentata dall’ulivo piantato proprio dove esplose la bomba assassina che portò via Paolo e la sua scorta, a due passi dalla casa della vecchia madre. Le è stata vicina l’Associazione Libera, che l’ha voluta sua presidente onoraria.
Nel 2017, già malata, non ha voluto sottrarsi all’impegno della memoria, decidendo di partecipare alla serata di Raiuno condotta da Fabio Fazio, andata in onda da via D’Amelio.
(da “La Stampa”)
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