Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
PD E M5S VOTANO IN MODO DIVERSO, SI SPACCA ANCHE IL CENTRODESTRA… IN EUROPA NON SI PUO’ CERTO DIRE CHE STIAMO DANDO UN ESEMPIO DI SERIETA’
La crisi del coronavirus divide Pd e M5s anche a Bruxelles, dove i due alleati della maggioranza di Governo ‘divorziano’ proprio nel voto sulla risoluzione del Parlamento europeo che chiede i recovery bond, ma apre anche all’uso dei fondi del Mes e dice no ai coronabond.
Dieci eletti pentastellati si astengono al voto finale e votano contro il paragrafo del testo dove si chiedono i recovery bond, ma si apre al Salva Stati.
Mentre tre – Ignazio Corrao, Piernicola Pedicini e Rosa D’Amato – votano contro (Eleonora Evi non partecipa al voto).
Anche il centrodestra si spacca: Forza Italia con la risoluzione di maggioranza, la Lega vota contro su quasi tutto, anche sui coronabond, vota a favore di un emendamento della risoluzione della sinistra del Gue chiede un ampi poteri per la Bce.
La risoluzione passa ad ampia maggioranza, con 395 sì, 171 contrari e 128 astenuti. “Potrò presentarmi al Consiglio europeo della prossima settimana con una volontà chiara da parte del Parlamento europeo”, commenta il presidente David Sassoli.
I 27 capi di stato e di governo dell’Ue si riuniranno in videoconferenza giovedì prossimo per discutere del piano europeo di ripresa chiesto da Italia e Francia e sostenuto dalla Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia e altri paesi più indebitati.
Sui ‘recovery bond’, titoli di debito comune temporaneo, pesano ancora i veti del nord. Sassoli difende la mediazione votata dall’Europarlamento, approvata anche dal Ppe, il gruppo più folto in aula, originariamente contrario ad ogni forma di mutualizzazione del debito.
“Ma stiamo parlando del debito che si produrrà con gli interventi per uscire dalla crisi, parliamo di bond che mutualizzano non il debito pregresso, di cui ciascuno ha le proprie responsabilità , ma di quello futuro, che servirà alla ricostruzione”, dice il presidente.
Il Consiglio europeo della prossima settimana potrebbe dare mandato alla Commissione di stendere un piano per creare il ‘recovery fund’, questo nella migliore delle ipotesi.
Significa che bisognerà aspettare perchè il fondo sia attivo: alcuni osservatori prevedono che questo non possa avvenire prima della fine dell’anno. Nel frattempo, almeno in Italia, si continuerà a litigare sul Mes. Come è successo oggi all’Europarlamento tra Pd e M5s e anche nella stessa coalizione di centrodestra.
La differenza tra la risoluzione approvata e quella dei Verdi, bocciata, è che la prima mette in chiaro che non c’è “alcuna mutualizzazione del debito esistente ma solo di quello legato a investimenti futuri”, mentre la seconda parla di “mutualizzazione di una quota sostanziale del debito”, formulazione più vaga che non ha convinto la maggioranza.
Anche il centrodestra non è messo meglio. Forza Italia vota col Ppe la risoluzione di maggioranza approvata, Fratelli d’Italia vota solo la parte sui recovery bond ma vota pure a favore dei coronabond, al voto finale vota no, perchè c’è il Mes.
La Lega appoggia la parte della risoluzione della sinistra del Gue che chiede un maggior ruolo per la Bce (nella stessa risoluzione i cinquestelle votano a favore dell’emendamento sui coronabond), ma vota contro gli eurobond.
“Mai stati a favore”, giurano il presidente del gruppo ‘Identità e democrazia’ Marco Zanni e il capo delegazione della Lega Marco Campomenosi.
“Non è vero — ribatte il pentastellato Fabio Massimo Castaldo – Il 28 novembre scorso, in un’intervista pubblicata su Formiche.net, il deputato leghista della commissione Bilancio ma soprattutto ex viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia sosteneva a chiare lettere che esistesse una via d’uscita al dibattito sul Mes, e lo cito testualmente: ‘Se si vuole fare la riforma del Mes allora dobbiamo fare anche gli eurobond, per avere un debito europeo e più garantito. Se io devo aiutare qualcuno col Mes allora voglio in cambio un debito formato europeo, con gli eurobond, così siamo 1 a 1. Io ti aiuto sulle banche e tu mi aiuti sul debito, in sintesi’.
Gli schieramenti politici italiani vanno in frantumi a Bruxelles.
La parola resta agli Stati membri: la partita si gioca lì.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
15 MILIARDI PER LA CASSA INTEGRAZIONE, 30 MILIARDI PER GARANTIRE I PRESTITI A RISCHIO ALLE IMPRESE… 800 EURO AGLI AUTONOMI, 600 EURO DI REDDITO DI EMERGENZA, 3 MILIARDI ALLE FAMIGLIE, 3 ALLA SANITA’, AIUTI AD ALBERGHI E RISTORANTI
Il governo, con il Decreto Aprile, potrebbe mettere in campo una manovra da circa 70 miliardi, finanziata in deficit per almeno 40-50 miliardi.
La cifra definitiva non c’e’ ancora ma lunedì il Consiglio dei ministri dovrà decidere quanto far salire ulteriormente l’asticella dell’indebitamento netto, dopo l’ulteriore scostamento di 20 miliardi chiesto per il decreto di marzo.
L’aumento del deficit sarebbe di almeno un paio di punti di Pil e dovrà ottenere il nuovo via libera del Parlamento: mercoledì è atteso il voto del Senato e venerdì quello della Camera.
Sul piatto ci sono da finanziare interventi per oltre 60 miliardi, di cui solo 30 in termini di saldo netto per le garanzie necessarie ai prestiti avviati con il Decreto Liquidità .
Quello che e’ certo e’ che al momento l’esecutivo potrà utilizzare meno di 10 miliardi di fondi europei non spesi ma non potrà contare sui circa 80-90 miliardi che potrebbero arrivare dal pacchetto europeo di proposte su cui è stata trovata l’intesa all’Eurogruppo e che giovedì prossimo passerà al vaglio del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo.
Una dote che comprende, tra l’altro, anche i 36 miliardi di risorse del Mes sul cui utilizzo è in corso un acceso confronto nella maggioranza.
Pertanto si valuta la possibilità di alzare il deficit fino al 7% o oltre, ma bisognerà tener conto anche della contrazione del Pil provocata dall’impatto del coronavirus.
Ecco perchè il decreto aprile difficilmente potrà vedere la luce prima dell’inizio di maggio, ovvero prima che sia varato il Documento di economia e finanza. L’aggiornamento del quadro macroeconomico dei conti dovrebbe essere pronto entro la fine del mese e solo allora si potrà avere un quadro preciso dell’impatto della crisi sulla crescita e quindi del peggioramento del disavanzo.
Nel Decreto Aprile dovrebbe trovare spazio il rinvio al 2021 delle contestate tasse sulla plastica e sullo zucchero, oggetto di un infuocato dibattito durante la sessione di bilancio.
Il governo sta studiando poi degli indennizzi a fondo perduto per le imprese sulla base delle perdite registrate, sul modello francese e tedesco. Come annunciato, sarà prorogato e potenziato il bonus per gli autonomi che dovrebbe salire da 600 a 800 euro.
Una parte della maggioranza punta a rafforzare l’indennità in maniera consistente mentre i Cinque Stelle, con il ministro del Lavoro Catalfo, spingono per l’introduzione del reddito di emergenza da circa 600 euro al mese, una misura che costerebbe altri 3 miliardi.
Allo studio anche interventi per gli affitti commerciali: si valuta di estendere il credito d’imposta al 60%, previsto dal decreto Cura Italia per negozi e botteghe, anche ad alberghi e ristoranti ma si studia anche la possibilità di poter cedere gli sgravi ai proprietari a fronte di riduzioni del canone di locazione.
Altri 3 miliardi serviranno poi per finanziare le misure per la famiglia con la proroga del congedo parentale e dei bonus babysitter.
In arrivo anche un pacchetto di interventi per i comuni, che dovrebbe prevedere lo sblocco degli investimenti, anticipazioni di liquidità , spostamento di termini e risorse per i mancati incassi.
Secondo quanto emerso al termine di una riunione fra Gualtieri e gli enti, la dote per comuni, province e città metropolitane dovrebbe essere di 3,5 miliardi.
Ma per l’Anci si tratta comunque di una cifra non sufficiente a coprire il calo delle entrate stimato in circa 5 miliardi di euro.
Previsto anche l’avvio di un tavolo di monitoraggio per tenere sotto controllo le perdite dei comuni che dipenderanno dai tempi del lockdown.
C’è poi da rifinanziare per circa 15 miliardi la cassa integrazione e circa 3 miliardi dovranno essere stanziati per gli interventi a sostegno del sistema sanitario e della Protezione civile.
Degli aiuti ad hoc potrebbero infine arrivare per il settore del turismo. Allo studio una detrazione fiscale per i soggiorni in strutture ricettive italiane.
Misure analoghe sono state proposte anche in alcuni emendamenti al decreto Cura Italia all’esame della Camera.
(da “Huffingtonpost)
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Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
BRUXELLES DEVE SPIEGARE DURATA, TASSI E CONDIZIONI DEL FINANZIAMENTO. ROMA SU COME INTENDA SPENDERE QUEI 36 MILIARDI DI EURO
Il dibattito se ricorrere al Meccanismo Europeo di stabilità (Mes) per fronteggiare gli effetti della pandemia Covid-19 è diventato centrale in Italia, mettendo in secondo piano gli altri deliberati dell’Eurogruppo del 9 aprile che si trovano nel “Rapporto sulla complessiva risposta di politica economica alla pandemia del Covid-19”.
Sembra così che il Consiglio europeo del 23 aprile riguarderà solo l’Italia e il Mes!
Un dibattito riduttivo per una vera strategia.
Sarebbe un errore perchè estrarre dal Rapporto dell’Eurogruppo solo il tema Mes farebbe dimenticare che altri – Bei e Sure – sono previsti, ma vanno potenziati.
Della Bei ho spesso trattato spiegando che ha enormi potenzialità inespresse. Per gli interventi della Commissione europea la presidente Ursula von der Leyen nel suo intervento al Parlamento europeo ha sottolineato più volte l’importanza di potenziare gli investimenti pubblici e privati, magari potenziando e finalizzando meglio il bilancio europeo su 5 anni (2021-2025). Ci potrebbe inoltre essere anche il “Recovery Fund” citato dall’Eurogruppo. Tutto è in movimento e allora bisogna avere una strategia ampia.
Il Governo italiano ce l’ha?
Il ricorso al Mes: qualità e quantità .
Con queste avvertenze limitiamoci qui al paragrafo 16 sul Mes del citato Rapporto Eurogruppo, che sarà proposto per deliberazione il 23 aprile prossimo al Consiglio Europeo.
Nello stesso si stabilisce che per accedere alla linea di credito del Mes, lo Stato richiedente deve impegnarsi a utilizzare i fondi erogati esclusivamente per le spese sanitarie dirette e indirette, incluse cure e prevenzioni, legate alla crisi Covid-19.
Il tetto massimo erogabile sarebbe pari al 2% del Pil 2019 dello Stato richiedente, somma che per l’Italia si aggira sui 36 miliardi, la cui gestione sarebbe regolata dallo statuto Mes. La linea di credito viene resa disponibile fino alla risoluzione della crisi Covid-19.
Per l’Italia sarebbe una somma importante, ma taluni temono che la vigilanza del Mes e di altri soggetti istituzionali dell’Ue si trasformi in un “commissariamento surrettizio” dell’Italia invece di limitarsi al necessario controllo dell’uso appropriato e rigoroso del credito concesso.
Allo stato attuale il dibattito di esperti e sulla stampa è aperto anche con rassicuranti interviste come quella rilasciata a un quotidiano italiano dal presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno, che non mi pare un “falco del Mes”.
Per fugare legittime preoccupazioni bisogna che il Governo dia la sua interpretazione autentica prima del 23, dando all’opinione pubblica elementi di valutazione.
La Spagna oggi e il prestito del 2012.
Tra gli elementi da considerare vi è a mio avviso la notizia che la Spagna, colpita duramente dalla pandemia, richiederà l’accesso al Mes-Covid-19 pur essendo, come l’Italia, sostenitrice di interventi molto più incisivi da parte della Ue e dell’Eurozona. L’importanza di questa decisione, se confermata, è che la Spagna ricorse nel 2012 al Mes con l’unico scopo di ristrutturare e ricapitalizzare il sistema bancario colpito dalla crisi immobiliare.
Vero è che allora la crisi era asimmetrica e cioè su singoli Paesi per cause economico-finanziarie, mentre qui è simmetrica su tutti i Paesi a causa di una pandemia.
Ma è anche vero che adesso il Mes viene offerto a tutti a parità di condizioni e quindi la deroga ai generali criteri di vigilanza vale per tutti.
Comunque è interessante ricordare che la Spagna nel 2012 ottenne una linea di credito dal Mes per 100 miliardi di cui ne usò 41 miliardi con una durata media di 12 anni.
Il rimborso avvenne poi in anticipo, con un primo versamento volontario dopo 2 anni e con un tasso di interesse medio pagato dalla Spagna intorno alla media dello 0,95%.
Le condizionalità vincolanti per il governo spagnolo furono riforme strutturali rivolte al settore bancario. Allora il Mes fu utilizzato con vantaggio dalla Spagna essendo circoscritto il fine.
A suo tempo anche io sostenni che i Governi italiani del 2012 e del 2013 avrebbero fatto meglio a seguire la Spagna per la ristrutturazione del nostro sistema bancario. Non ho cambiato idea.
Le domande al Governo italiano, adesso.
Per l’Italia di oggi e nella prospettiva che dopo il Consiglio europeo del 23 aprile la nostra Repubblica richieda una linea di credito al Mes, riteniamo che l’esempio spagnolo non sia secondario, anche se non risolutivo.
Le nostre istituzioni dovrebbero però considerare almeno due aspetti “tecnici” anche per dare risposta al dibattito in corso.
Il primo riguarda la specifica delle “spese sanitarie” che richiede una valutazione rigorosa del reale fabbisogno economico dello Stato italiano nel contrasto alla crisi Covid-19.
Quali e quante sono le maggiori spese che potrebbero andare dalla sperimentazione farmacologica, alla assistenza territoriale dei malati, al campionamento e screening epidemiologico della popolazione ed oltre.
Su questa base potrebbe essere chiesta la linea di credito il cui utilizzo dovrebbe avvenire per fasi temporali in quanto non sempre siamo efficienti per burocrazia e procedure. Bisogna inoltre notare che secondo Il ministro delle Finanze francese i fondi del Mes dovrebbero servire anche per coprire spese non sanitarie e cioè anche i costi del lockdown come associati alla crisi Covid-19. Il Governo sta valutando anche questa possibilità ?
Il secondo aspetto riguarda le condizioni finanziarie del credito e cioè durata e tassi.
A mio avviso la durata dovrebbe essere lunga e certo non meno di 12 anni che fu la durata media del prestito 2012 alla Spagna per un evento molto meno grave di questo.
Lo scaglionamento del credito a fasi ci consentirebbe di graduare l’utilizzo.
I tassi di interesse applicati dovrebbero essere calibrati ai minimi che il Mes è in grado di spuntare sul mercato e che al presente sono vicini allo zero.
Quindi ben più bassi di quelli su cui si finanzia il nostro debito pubblico che potrebbe beneficiarne anche perchè l’uso del Mes aumenta le possibilità della Bce di intervenire con gli acquisti dei nostri fragili titoli di Stato. Il Governo ha fatto tutte queste valutazioni?
La strategia italiana in Europa. Quale?
Infine vi è l’aspetto politico che a mio avviso colloca l’utilizzo del Mes così come è oggi configurato e sottoutilizzato in terza posizione non solo per i problemi italiani ma anche per quelli europei.
In particolare l’Italia deve insistere su un potenziamento della Bei – che emette da 60 anni obbligazioni europee – in connessione alle Casse depositi e prestiti. Invece per ora scarseggiano le proposte e così la Bei si limiterà a dare un po’ più di crediti e di garanzie. Bei e Fei devono invece diventare con il Feis il fulcro della politica economica reale centrata su “quattro i” europee: investimenti, industria, infrastrutture e innovazione. Nell’importante discorso al Parlamento europeo, dove ci sono anche riferimenti positivi sull’Italia, la presidente von der Leyen ha di nuovo parlato di “Piano Marshall per la ripresa dell’Europa”, ma purtroppo non ha citato la Bei.
Ci vuole quindi un “Piano Delors-Draghi” perchè il primo realizzi il “mercato unico” e il secondo “la banca federale”. Essi “risvegliarono” l’Europa che oggi va risvegliata con una potente azione di politica economica reale che data l’urgenza può essere finanziata soprattutto dai Bei-Bond.
Alberto Quadrio Curzio
Economista, presidente emerito Accademia dei Lincei
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
LE STIME DI GOLDMAN SACHS: IL 35%-45% DEGLI ACQUISTI DELL’EUROTOWER SONO STATI DI TITOLI ITALIANI… ALTRO CHE LAMENTARSI DELL’EUROPA
La Banca Centrale Europea ha acquistato “circa 30-40 miliardi” di titoli di Stato italiani in un solo mese, pari a circa il “35-45%” del totale degli acquisti effettuati dall’Eurotower tramite i suoi programmi, il Pspp e il nuovo Pepp da 750 miliardi annunciato lo scorso 18 marzo.
La stima, fornita da un report di Goldman Sachs, mette in evidenza un massiccio intervento della Bce a sostegno dei Btp italiani, presi particolarmente di mira da quando è esplosa l’emergenza Coronavirus.
E’ uno scostamento importante che va ben oltre la quota di partecipazione al capitale della Bce detenuta dalla Banca d’Italia (13%), ma tuttavia consentito proprio dall’ampia flessibilità del nuovo programma lanciato da Christine Lagarde.
Si tratterebbe, spiega la banca d’affari, del maggior accumulo mensile effettuato dall’Eurotower, quasi il triplo rispetto ai 13 miliardi di acquisti di bond al mese registrato del secondo trimestre del 2016.
Del totale, la Bce ha acquistato a marzo, attraverso la Banca d’Italia, 12 miliardi di titoli di Stato italiani tramite l’App, il ‘vecchio’ programma di quantitative easing.
A fine marzo il valore in bilancio dei titoli pubblici italiani acquistati nell’ambito dell’App – si legge nel bollettino economico di Palazzo Koch – “ammontava a 382 miliardi di euro, di cui 346 acquistati dalla Banca d’Italia”.
Durante l’International Monetary and Financial Commitee, ieri Lagarde ha ribadito che la Bce è impegnata “a fare tutto il necessario nell’ambito del suo mandato per aiutare la zona euro attraverso questa crisi”, anche ad “aumentare le dimensioni dei suoi programmi di acquisto e adeguarne la composizione”.
La mole di acquisti stimata da Goldman Sachs lo conferma. Dopo l’iniziale sbandata di Lagarde con la sciagurata frase “non siamo chi per chiudere gli spread”, la Bce ha quindi implementato il suo intervento a sostegno dei titoli italiani.
Nell’ultimo mese lo spread ha avuto diverse fiammate che gli acquisti della Bce hanno contribuito in modo decisivo a raffreddare. L’ultimo aumento marcato è quello seguito all’Eurogruppo del 9 aprile quando il differenziale tra titoli di Stato e bund tedeschi ha visto un aumento, a cavallo della pausa pasquale, di più di 40 punti in due soli giorni.
In Italia il dibattito politico si è impigliato sul Mes, con ripercussioni anche all’interno della maggioranza tra Pd e M5S, ma a detta di diversi investitori si tratta di uno strumento comunque insufficiente ad affrontare la crisi.
Al di là di come verrà disegnata (durata, scadenze, condizionalità ecc) la nuova linea di credito Covid, le sue risorse (36 miliardi) potranno essere impiegate solo per le spese sanitarie, ben poca cosa rispetto al crollo del Pil atteso e che già nel primo trimestre – stima Bankitalia- ha subito una caduta del 5%.
Nell’attesa che il Consiglio Ue approvi il pacchetto di contromisure per l’emergenza Covid, l’Italia si ritrova in una condizione già vissuta: far affidamento sulla solita Bce. Il nuovo programma di acquisti da 750 miliardi, tuttavia, non è eterno.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
IL RAPPRESENTANTE ITALIANO ALL’OMS: “O RISCHIAMO DI AVERE UNA SECONDA ONDATA PRIMA DELL’ESTATE”
Nuove ondate epidemiche o piccoli focolai, se le cose andranno bene.
Walter Ricciardi, consigliere scientifico del ministero della Salute, spiega che dovremo abituarci a vivere con il virus ancora a lungo e impegnarci per evitare che dopo l’estate torni a colpire in modo violento.
Secondo Ricciardi, già presidente dell’Istituto superiore di sanità e oggi membro del consiglio esecutivo dell’Oms, “è molto importante non accelerare le riaperture: in caso contrario la seconda ondata invece di averla più avanti rischiamo di subirla prima dell’estate”.
Ricciardi ricorda che “quello autunnale e invernale, come nel caso dell’influenza, è il periodo in cui una combinazione di eventi climatici, comportamentali, immunologici fa sì che il virus possa riemergere”.
Le scelte di alcuni leader politici mondiali “sono responsabili degli effetti sui loro popoli. Se ci sono stati più morti rispetto ad altri è perchè le decisioni sono state prese o in modo tardivo o in modo sbagliato.
L’esempio più eclatante è quello della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, dove i governi non hanno ascoltato i consiglieri scientifici e hanno reagito in maniera estremamente ritardata”.
Invece in Paesi come Corea del Sud, Finlandia e Germania “dove c’è una linea di comando unica e un rapporto diretto tra politica sensibile e istituzioni ben funzionanti, le cose vanno meglio”.
Per evitare un ritorno della malattia e tenerla sotto controllo bloccando i piccoli focolai che di certo provocherà , sarà importante “il distanziamento fisico, la distanza tra le persone che non sono certe del loro stato immunologico. Naturalmente questo stato potrà essere conosciuto e tracciato meglio attraverso una diagnostica più estesa e mirata e grazie all’uso delle tecnologie. Non c’è dubbio che i Paesi che hanno reagito meglio sono quelli che hanno utilizzato meglio le armi della diagnostica e delle tecnologie. Su questo – ha concluso – ho invitato da diversi giorni i miei colleghi e i decisori ad agire con più rapidità rispetto a quanto fatto finora”.
Riguardo al sistema sanitario italiano, Ricciardi ha spiegato che “sono tre i perni a cui dovrebbe ispirarsi: l’ospedale, la medicina generale e l’assistenza in ambienti extra-ospedalieri intermedi tra casa e ospedale”.
Se uno dei tre pilastri non funziona si hanno seri problemi.
Insomma, la luce in fondo al tunnel sembra essere ancora molto lontana.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
DUE OPERAI DECEDUTI E GIOVANI PRECARI COSTRETTI A LAVORARE DA VOLONTARI NELLA FILIERA PIU’ RISCHIOSA
A proposito di ripartenze e di fase 2, la domanda che oggi dobbiamo farci è solo una: siamo davvero pronti a riaprire tutto?
Dieci giorni fa il presidente degli industriali lombardi, Marco Bonometti, diceva a TPI: “Se le aziende non sono in grado di mettere in sicurezza i propri lavoratori non possono lavorare. Il codice di autoregolamentazione che ci siamo dati per salvaguardare la salute dei dipendenti è proprio quello di utilizzare i guanti, le mascherine e il distanziamento sociale”.
Bastasse solo questo saremmo a cavallo, in realtà sappiamo bene che sul tavolo oggi c’è anche il delicato tema dei test e di tutti quegli strumenti diagnostici necessari per ripartire con intelligenza.
Anche per questo bisogna guardarsi in faccia e dirsi onestamente se le regole imposte siano sufficienti e si possano rispettare, se siano compatibili con un certo tipo di attività produttive e se le fabbriche nel tempo possano reggere il peso del contingentamento dei turni e del calo inevitabile della loro produttività .
In una regione, la Lombardia, dove non si è stati in grado di proteggere adeguatamente medici e operatori sanitari, dove si sono lasciati morire centinaia di anziani in casa e negli ospizi, dove il Covid è stato fatto entrare nelle Rsa dalla porta principale, attraverso una delibera oggi al centro di una bufera giudiziaria, ecco, in una regione dove vige l’obbligo di coprirsi naso e bocca, ma ancora in troppi non riescono a reperire le mascherine, sembra logico chiedersi se potremo mai essere all’altezza di affrontare una ripartenza, parziale o completa che sia, soprattutto delle attività produttive, dal momento che questo prevede un cambio radicale di paradigma su tutti i fronti.
In questa regione, con il record mondiale di morti da Covid, dove le fabbriche non si sono mai fermate del tutto, dove ci si è aggrappati a qualunque cavillo che lasciasse spazio a una riapertura ante tempus, grazie alla meravigliosa narrazione che l’essenziale dell’essenziale potesse trasformare quasi ogni attività produttiva in necessaria e quindi titolata ad operare, anche durante una pandemia globale, proprio qui, in una regione così, oggi si vuole solo guardare avanti, senza ancora aver capito e analizzato le ragioni di questo triste primato.
Ecco perchè, a titolo esemplificativo, vorremmo ricostruire quello che è successo nelle ultime settimane e sta accedendo ora all’interno di una grande fabbrica bergamasca, simbolo della operosità tipica di questa terra, una azienda strategica con oltre un secolo di storia alle spalle, una società siderurgica che produce tubi in acciaio per l’industria petrolifera e dove lavorano 1300 persone suddivise in cinque reparti più gli uffici: tutti a Bergamo la chiamano “la Dalmine”.
Andiamo con ordine. Il 23 febbraio vengono accertati i primi casi di Covid19 in provincia di Bergamo, all’ospedale di Alzano Lombardo, ormai tristemente noto per la chiusura e la misteriosa riapertura del suo pronto soccorso.
In serata Bergamo ha la sua prima vittima di Coronavirus. Il giorno dopo viene sospesa ogni attività formativa alla Dalmine. La produzione va avanti.
All’entrata della fabbrica c’è un cartello che dice: “Se avverti sintomi di infezione respiratoria e/o febbre non entrare nello stabilimento, ma torna immediatamente a casa e contatta il tuo medico curante”.
Nella settimana dal 9 al 13 marzo molti lavoratori si assentano per malattia. La paura è tanta. Il reparto dell’acciaieria deve chiudere per mancanza di personale (si produce al 50 per cento delle possibilità ) e anche per pressioni sindacali.
Il 16 marzo si ammala un primo lavoratore di Covid19 nel reparto FTM (Fabbrica Treno Medio). Andrà in terapia intensiva.
Il giorno dopo si tiene in teleconferenza una riunione con i vertici aziendali, la Rsu e i segretari provinciali di Fim, Fiom e Uilm per parlare delle misure di sicurezza, ma tra i lavoratori serpeggia molta preoccupazione. Le perplessità sono tante, come ad esempio — si legge nel comunicato sindacale — “sull’efficacia dell’utilizzo delle mascherine, sul problema degli assembramenti negli spogliatoi e sulla sanificazione delle varie aree”.
Massimo Seghezzi lavora alla Dalmine da quasi vent’anni come operaio: “In acciaieria — ci racconta — che è il reparto più sindacalizzato, la paura si sente, anche per questo ci hanno lasciato una settimana in più rispetto agli altri reparti prima di riprendere, perchè la gente è più arrabbiata. Molti si fanno la domanda: vado a lavorare e se poi porto a casa il virus?”. Chi lavora in fabbrica a Dalmine nei giorni del lockdown nazionale scrive su whatsapp ai colleghi messaggi come questo: “Le misure di sicurezza messe in atto dall’azienda nelle scorse settimane per salvaguardare i lavoratori sono, a mio avviso, insufficienti: un cubo di sapone di marsiglia posato su un lavandino lurido, una diluizione da alcol e acqua per disinfettare, diluita da loro in quale percentuale non si sa. Attenzione a riprendere ancora in queste condizioni.”
Già dal 17 marzo inizia il pressing dell’azienda sui lavoratori per riaprire e riprendere a lavorare.
Il 20 marzo l’acciaieria è attiva grazie aI lavoratori volontari. Quel reparto non è indispensabile per la produzione di bombole. Il 24 marzo continua la campagna social della Dalmine per dire “noi ci siamo”. Vorrebbe ci fossero anche i lavoratori? La Tenaris Dalmine estende la volontarietà verso reparti considerati non essenziali.
Il 25 marzo muore il primo operaio, si chiamava Salvatore Occhineri. Lavorava al magazzino tubi e per questo doveva girare nei reparti e venire a contatto con altre persone. Infatti due suoi colleghi finiscono in terapia intensiva alcuni giorni dopo, ma nessuno li aveva avvertiti. Si convoca una riunione dietro l’altra e i “volontari” vengono richiesti dall’azienda ben oltre le attività essenziali.
Inutile dire che i lavoratori volontari sono spesso quelli più ricattabili: neo assunti, giovani con contratti a scadenza, persone che non possono permettersi la riduzione dello stipendio.
In questa fase la Dalmine (siamo al primo aprile) consiglia ai dipendenti, tramite una brochure, di praticare esercizi di attività motoria a casa, in modo da mantenere il corpo tonico e in salute per la ripresa.
Sempre a inizio aprile l’azienda comunica di voler ripartire, seppur parzialmente, il 6 di aprile, sostenendo che le attività di Tenaris Dalmine legate al ramo energetico siano strategiche ed essenziali.
I lavoratori, appoggiati dal sindacato, sostengono invece che in questa fase l’essenzialità sia riconducibile solo alla produzione di bombole medicali, confermando la contrarietà ad estendere la ripresa delle attività a produzioni non essenziali.
In verità i decreti lasciano troppo margine alle aziende, che possono andare in deroga e continuare quindi a lavorare, rischiando di far ammalare i propri dipendenti. Basta chiedere una proroga al prefetto e la produzione può ripartire anche senza essere legati alla filiera delle attività essenziali.
Ed è così che in Lombardia in molti sono già ripartiti, magari laddove i lavoratori sono più silenziosi. Laddove sono più sindacalizzati, invece, si rimanda di una settimana. Gli operai della Dalmine lo chiamano “il contentino”.
Il 4 aprile muore Sergio Bertino. Lavorava a Sabbio, il famoso reparto delle bombole d’ossigeno della Tenaris Dalmine. Quel comparto che il capo degli industriali lombardi, Marco Bonometti, dieci giorni fa rivendicava di aver tenuto aperto, aggiungendo che “le bombole per l’ossigeno sono una filiera che parte dall’acciaio, alla calandratura, dalla saldatura, alla meccanica. Per fortuna che sono rimaste aperte certe attività . Se non ci fossero state le imprese aperte con l’utilizzo e lo sfruttamento dell’ossigeno che diamo agli ospedali, la gente sarebbe morta”.
Peccato che, a parte il reparto che produce le bombole d’ossigeno, gli altri reparti non siano essenziali, perchè — come ci racconta Massimo Seghetti che è anche attivista del sindacato di base Flmu-Cub — con un paio di giorni di lavoro dell’acciaieria si producono migliaia di tonnellate di acciaio, con cui si possono fabbricare bombole per mesi interi”.
In pratica a Sabbio sarebbero autosufficienti.
L’azienda, invece, vuole ripartire il prima possibile e comunica che nell’ultimo mese, a causa dell’emergenza Covid19, “sono state perse circa 20 mila tonnellate di produzione pari a circa 40-45 milioni di fatturato, in un contesto di crisi generale del settore oil & gas” — come riportato in un comunicato sindacale — “con le aziende concorrenti in Giappone, Usa e in Europa che stanno comunque producendo”.
Per la fase 2 il tema centrale, oltre all’uso dei dispositivi di protezione individuale e la sanificazione delle aree comuni, è soprattutto quello di evitare gli assembramenti in azienda, il che si traduce nella conseguente riduzione dei turni.
La Dalmine non è e non sarà l’unica grande fabbrica italiana (e probabilmente al mondo) a dover ripensare e riprogrammare il proprio regime dei turni e il contingentamento dei propri lavoratori, perchè la loro tutela passa anche dai numeri e dalle presenze in fabbrica. La pressione dei lavoratori dell’acciaieria ha fatto in modo di ottenere lo spostamento della ripartenza di questo reparto al 20 di aprile, lunedì prossimo. Intanto questa settimana il sindacato di base ha rilanciato uno sciopero ad oltranza (nel settore metalmeccanico, industria e artigianato) come strumento dei lavoratori per salvaguardare la propria incolumità e quella delle proprie famiglie.
I dati della diffusione del Covid19 in Lombardia continuano ad essere allarmanti e la proroga al 3 maggio, relativa al fermo della produzione, lascia ancora la possibilità di proseguire le attività anche a settori non effettivamente essenziali, attraverso l’autocertificazione alle prefetture.
Ma gli operai si interrogano: chi deve fare tamponi per i lavoratori che rientrano? Seghezzi non nasconde la sua preoccupazione: “nei reparti sarò molto difficile rispettare tutte le misure di sicurezza, perchè siamo stressati, in particolare in acciaieria si lavora in un ambiente con temperature molto elevate e non ci sono le condizioni per tutelare i lavoratori. Negli spogliatoi siamo a mezzo metro di distanza gli uni dagli altri e quando torneremo a pieno ritmo come faremo a stare in cinque dentro a una cabina da tre metri per sei?”.
Oggi alla Dalmine sono aperti quattro reparti su cinque, da lunedì prossimo riapriranno tutti.
Con la magistratura che indaga, l’opposizione sul piede di guerra, e una curva dei contagi ancora imprevedibile, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, vorrebbe riaprire tutto il 4 maggio.
A dire il vero oltre 110mila fabbriche al nord l’hanno già fatto in autonomia, con l’autocertificazione consentita dal Dpcm “Chiudi Italia” del 22 marzo scorso.
Eppure la fondazione indipendente GIMBE — che da mesi analizza a fondo i dati ufficiali e pubblica modelli predittivi sull’andamento dell’epidemia da Coronavirus — oggi ci ricorda che “il contagio non è sotto controllo”.
Questo è dovuto al fatto che con le misure di distanziamento “siamo partiti in ritardo, che il lockdown non è stato affatto totale e che l’aderenza della popolazione è stata buona, ma non eccellente.
Non a caso il presidente del GIMBE, Nino Cartabellotta ci fa sapere che “nonostante il contagioso entusiasmo per l’avvio della “fase 2” serve la massima prudenza: se oggi, infatti, ospedali e terapie intensive iniziano a “respirare”, i numeri confermano che la curva dei contagi non è affatto sotto controllo ed il rischio di una nuova impennata dei casi è sempre in agguato”.
Esiste infine un altro tema ancora confuso: chi si occuperà dei test sierologici da fare ai lavoratori? Lo Stato? Le aziende? Siamo davvero pronti alla fase due? E’ davvero possibile vigilare sul rispetto delle regole e garantire la tutela dei cittadini o tra qualche settimana saremo di nuovo punto e a capo?
(da TPI)
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Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
IL BOOM NELLA ZONE COLPITE DAL VIRUS
Per la terza volta dall’inizio della pandemia di Coronavirus, l’Istat ha aggiornato la sua stima del numero dei morti complessivi in Italia: questa volta il periodo di riferimento è dal 1 marzo al 4 aprile 2020.
La rilevazione, che riguarda i decessi nel nostro Paese per qualsiasi causa e non soltanto per il Covid, fa poi il paragone con il dato medio relativo allo stesso periodo degli anni 2015-2019.
Ed è in questo confronto che si manifesta, in tutta la sua drammaticità , l’impatto devastante del Coronavirus. Soprattutto se si guarda ai dati dei singoli comuni più colpiti, quelli del Nord Italia.
I dati dei singoli comuni
Tra il 1 marzo e il 4 aprile 2020, infatti, oltre la metà dei comuni del Nord hanno registrato almeno un raddoppio del numero dei decessi (ricordiamo, per qualsiasi causa e non solo per il Coronavirus).
A guidare questo triste elenco, per quanto riguarda le grandi città , è prevedibilmente Bergamo (+382,8 per cento), seguito da Crema (+322 per cento) e Piacenza (+309,1 per cento).
E Poi Cremona (+286,6), Lodi (+261,5) e Brescia (+203,8).
Altre grandi città hanno almeno raddoppiato il numero dei morti rispetto agli anni precedenti: stiamo parlando di Parma (+164,3), Biella (+154,5), Imperia (+ 127,5) e Aosta (+102).
Un po’ più contenuti gli aumenti a Como (+86,4), Varese (+70), Genova (+54,4) e Milano (+49,3). Relativamente bassi, invece, i dati relativi a città come Bologna (+22) e Verona (+21,4).
La differenza di morti a Bergamo tra 2019 e 2020
Per quanto riguarda i centri più piccoli, significativo il dato relativo a Codogno (nel Lodigiano, con un +384 per cento di morti), che è stato il primo focolaio di Coronavirus in Italia.
Nel Bresciano, fa impressione il piccolo comune di Corte Franca, (7.200 abitanti) che ha registrato un aumento del 2.700 per cento della mortalità .
Ma come Verderio, sono tanti altri i piccoli comuni che hanno avuto impennate dei decessi.
Per citarne solo alcuni, Alzano Lombardo e Nembro (al centro di un’inchiesta in più puntate di TPI sulla mancata istituzione di una Zona Rossa nell’area) hanno registrato rispettivamente aumenti del 1020 e dell’805 per cento.
Come si è più volte ripetuto nelle scorse settimane, ci sono delle differenze abbastanza macroscopiche anche sull’impatto del Coronavirus sui pazienti uomini e sulle donne.
E, ovviamente, in base alla fascia d’età a cui essi appartengono.
Secondo la rilevazione dell’Istat, i maggiori incrementi dei decessi si registrano tra gli uomini e soprattutto nelle persone con più di 74 anni. Una differenza molto più evidente al Nord che nelle altre zone d’Italia: qui, infatti, per gli uomini si osserva un incremento dei decessi del 158 per cento a fronte del 105 per cento per le donne di 75 o più anni.
Nell’analisi dell’Istat si nota un aumento sostanziale dei decessi nel nostro Paese a partire dalla fine di febbraio e dalla prima settimana di marzo. Una crescita concentrata soprattutto nei comuni del Nord e del Centro in cui la pandemia da Coronavirus si è diffusa di più.
Ne consegue che, sebbene l’Istituto di statistica precisi che i dati sono relativi alle morti per qualunque causa, il Covid abbia avuto un ruolo preponderante in questo aumento così concentrato.
Preoccupa soprattutto la zona di Bergamo, dove il numero totale dei decessi è passato da una media di 141 casi nel 2015-2019 a 729 nel 2020. Incrementi della stessa intensità , quando non superiori, interessano la maggior parte dei comuni della provincia bergamasca. Situazioni particolarmente allarmanti si riscontrano anche nella provincia di Brescia, nel cui capoluogo i decessi per lo stesso periodo sono triplicati: da 212 nel 2015-2019 a 638 nel 2020.
Lo studio dell’Istituto di statistica è stato condotto su una lista di 1.689 Comuni che “viene ampliata settimanalmente e che in alcun modo possono essere considerati un campione rappresentativo della intera popolazione italiana”.
Questi comuni, circa un terzo del totale di quelli iscritti all’Anagrafe nazionale, sono quelli che hanno registrato almeno dieci decessi dal 4 gennaio al 4 aprile e soprattutto, nel confronto con gli anni passati, hanno un aumento dei morti pari o superiore al 20 per cento.
(da TPI)
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Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE REGIONALE LEGHISTA CHE IMPONEVA LA DISPONIBILITA’ DI POSTI LETTO ALLE RSA PIEMONTESI E LA RETROMARCIA TRE GIORNI FA DOPO LE INCHIESTE DELLA MAGISTRATURA: “SONO STATO FRAINTESO”
Francesco C., dirigente di una RSA piemontese, parla oggi al Fatto della gestione da parte della Regione dell’emergenza Coronavirus proprio mentre, in streaming, l’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Luigi Icardi, prova a esorcizzare (senza riuscirci) la diavoleria della sua “delibera della vergogna”, come la chiama Francesco.
La storia è abbastanza semplice nella sua irrazionale crudeltà . Il 20 marzo scorso, la Regione fa sapere che, per decongestiona re gli ospedali, tutte le Rsa avrebbero dovuto comunicare la disponibilità di posti letto “per la presa in carico di pazienti non affetti da Covid-19”. Poco dopo, però, il testo aggiungeva qualcosa di ancora più sconcertante: “Le Asl potranno reperire posti letto dedicati a pazienti Covid positivi”.
“Da quel momento, è cominciata una battaglia senza senso. Io, per esempio, sono stato messo alle strette, con richieste continue da parte dell’Asl che ho sempre respinto. Appena si liberavano dei posti, ci subissavano di telefonate per trasferire da noi malati Covid in ‘fase di negativizzazione’. Abbiamo continuato a dire no, ma con dei conflitti non da poco con l’Asl che, in tempi normali, è l’ente che ci manda gli ospiti convenzionati e che quindi contribuisce alla cosiddetta ‘saturazione del posto letto’, cosa di non poca importanza per i conti di una Rsa”. Una vera “barricata di no” che (“grazie anche alla fortuna”) ha salvato la Rsa di Francesco nella quale, già il 5 marzo, era scattato il divieto di visite agli anziani. “Per ora nessun contagio tra ricoverati e operatori ”.
Non è stato così, però, nel resto della regione e il bollettino Covid dal fronte Rsa è terribile: dal 1° gennaio al 31 marzo, in Piemonte sono morti 407 anziani in più di un anno fa. Di questi, 252 per Coronavirus: ma chissà qual è il conto vero, al netto di tamponi mai eseguiti e di autopsie non fatte.
L’ultimo messaggio in bottiglia dall’assessore leghista, che un tempo di occupava di Asti Moscato, è arrivato martedì scorso, sotto forma di una “precisazione alla delibera”.
La stessa che Icardi ha poi sciorinato in conferenza stampa, parlando di equivoci (da parte di chi? Delle Rsa, dei giornalisti?).
“Più che una precisazione, è un cambiamento bello e buono di quanto scritto prima —dice Francesco —. I malati Covid positivi? Solo in Rsa ‘non ancora attive e dunque vuote’, oppure in Rsa che ‘intendano candidarsi ad ospitare solo Covid positivi’.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2020 Riccardo Fucile
CONDANNATA IN PRIMO GRADO PER CONDOTTA DISCRIMINATORIA LA CAUSA E’ GIA’ COSTATA AL COMUNE 20.000 EURO, ORA L’APPELLO E ALTRI 20.000 EURO… TANTO PAGANO I CONTRIBUENTI… SE SI SANCISSE IL PRINCIPIO CHE DEVONO PAGARE SINDACO E ASSESSORI DI TASCA PROPRIA FINIREBBE LO SCONCIO
La vicenda dell’esclusione dalle mense scolastiche di bambini immigrati i cui genitori non potevano produrre la documentazione richiesta dall’amministrazione di centrodestra di Lodi a trazione leghista ritorna d’attualità nonostante l’emergenza Coronavirus, che imporrebbe ben altre priorità .
Nell’ultimo consiglio comunale, terminato con la famosa foto della sindaca Sara Casanova e del suo vice Lorenzo Maggi (lista civica) seduti al tavolo con alle loro spalle ammassati alcuni assessori e consiglieri di maggioranza per gli auguri pasquali, le opposizioni avevano avanzato, in un ordine del giorno, la richiesta di rinunciare all’appello contro la sentenza che condannava il Comune di Lodi per condotta discriminatoria e destinare la somma necessaria per le spese legali (quantificata tra i diecimila e i quindicimila euro) alla Protezione civile.
Proposta che non è stata accolta, nonostante anche in appello il Comune di Lodi si avvii a un’altra sonora sberla giuridica.
Secondo il Coordinamento Uguali Doveri, nato proprio in seguito all’emanazione della delibera della Giunta comunale, che introduceva criteri discriminatori per l’accesso alle mense scolastiche dei bambini figli di immigrati, e che raggruppa diverse associazioni:
In base al decreto emanato il 21/10/2019 (emanato dal ministero delle Politiche sociali di concerto con quello degli Esteri, ndr) solo i cittadini dei seguenti 19 paesi dovranno produrre certificati sulle proprietà immobiliari ai fini del reddito di cittadinanza. Sono: Regno del Bhutan, Repubblica di Corea, Repubblica di Figi, Giappone, Regione amministrativa speciale di Hong Kong della Repubblica popolare cinese, Islanda, Repubblica del Kosovo, Repubblica del Kirghizistan, Stato del Kuwait, Malaysia, Nuova Zelanda, Qatar, Repubblica del Ruanda, Repubblica di San Marino, Santa Lucia, Repubblica di Singapore, Confederazione svizzera, Taiwan, Regno di Tonga.
I cittadini di tutti gli altri 174 Stati del mondo non dovranno produrre alcun certificato, perchè, come il Coordinamento Uguali Doveri aveva sostenuto, il Decreto riconosce che in tutti questi paesi c’è “assenza o incompletezza dei sistemi di registrazione formale degli immobili privati”.
La delibera era stata partorita dal consiglio comunale di Lodi il 4 ottobre 2017 (la nuova amministrazione di centrodestra era in carica da soli pochi mesi) e modificava il regolamento comunale per l’accesso alle prestazioni sociali. Entrata in vigore il 23 ottobre successivo, i suoi effetti si erano visti all’avvio dell’attività di refezione scolastica.
Per consentire l’accesso, ai bambini figli di cittadini stranieri erano state chieste dichiarazioni consolari attestanti l’assenza di reddito nel Paese di origine, in aggiunta all’Isee: non potendo presentare la documentazione, perchè oggettivamente impossibilitati a produrla nel proprio paese di origine, molte famiglie si erano viste assegnare la fascia più alta di costi per la mensa e di fronte all’impossibilità di sostenere tali costi circa duecento bambini erano stati di fatto esclusi dal servizio e costretti a portarsi il panino da casa.
La vicenda assunse rilevanza internazionale e grazie all’impegno del Coordinamento Uguali Doveri (che riuscì in poco tempo grazie a una sottoscrizione che raggiunse la cifra record di oltre centomila euro), gli avvocati dell’Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) e della Naga (Organizzazione di volontariato per l’Assistenza Socio — Sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti), presentarono ricorso al Tribunale di Milano. Il giudice Nicola di Plotti del Tribunale di Milano con un’ordinanza emessa il 12 dicembre 2018, nel dispositivo spiegò così la sua decisione:
Dall’analisi normativa che precede, dunque, può evincersi come non esistano principi ricavabili da norme di rango primario che consentano al Comune di introdurre, attraverso lo strumento del Regolamento, diverse modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate, con particolare riferimento alla previsione di specifiche e più gravose procedure poste a carico dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea, così come indicate all’art. 8 co. 5 del “Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate” nella versione introdotta con la delibera consiliare n. 28/2017», scrive il giudice.
Quindi, «affermata la natura discriminatoria della previsione contenuta nel Regolamento comunale, introdotta dalla delibera consiliare n. 28/17, deve essere affrontato il tema relativo al provvedimento che ne consegue»: cioè «deve essere ordinato all’Amministrazione comunale di modificare il predetto Regolamento in modo da consentire ai cittadini non appartenenti all’UE di presentare la domanda di accesso a prestazioni sociali agevolate mediante la presentazione dell’ISEE alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e UE in generale.
La sindaca Casanova, che in quell’occasione fu di un tempismo che in altre occasioni si fa fatica a riconoscerle, come nel caso delle morti nell’Rsa “Santa Chiara”, decise di presentare ricorso in Appello.
Già nel maggio 2019 Stefano Caserini, consigliere comunale di opposizione della lista civica di sinistra 110&Lodi aveva tentato di far desistere la Casanova, presentandole un conto di quanto sarebbe costato alla città il suo intestardirsi sulla vicenda:
Il Comune ha deliberato di risarcire le associazioni Asgi e Naga con 7.300 euro. Sono costi che quindi ricadono sulla cittadinanza . Così come gli altri 20 mila euro già impegnati in questa vicenda: 7 mila euro all’avvocato per la prima causa, 6.100 per la causa contro la ricorrente ecuadoregna, poi lasciata cadere, ed altri 7 mila per l’avvocato per il ricorso attuale.
È passato un anno, le opposizioni hanno tentata di riportarla alla ragione, ma la sindaca resta inamovibile su un ricorso che al 99% la vedrà sconfitta anche in appello.
(da agenzie)
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