Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
CONTE: “INUTILE DISCUTERNE ORA SENZA SAPERE COME VERRA’ ELABORATO TECNICAMENTE E QUALI SARANNO LE CONDIZIONI DEL PRESTITO”
Quando e se arriverà il momento in cui l’Italia dovrà decidere se usare i soldi del Meccanismo europeo di stabilità , sarà il Parlamento a deciderlo.
A una settimana dal consiglio Ue del 23 aprile, Giuseppe Conte resiste alle pressioni del Pd, favorevole a fare ricorso al fondo Salva Stati contro i partner di maggioranza pentastellati che restano contrari.
Il premier, apprende Huffpost da fonti di Palazzo Chigi, ci tiene ad andare avanti nella trattativa per l’istituzione di un fondo di ripresa europeo finanziato con i ‘recovery bond’, titoli di debito comune.
Una trattativa in salita, per i veti dell’Olanda, della Germania e altri paesi del nord Europa. Ma si tratta di un percorso che comunque va fatto fino in fondo, è convinzione del capo del governo, almeno fino al Consiglio della prossima settimana. Quanto al Mes, il dibattito che si è scatenato rischia di indebolire la posizione italiana nella trattativa con gli altri leader Ue sui bond comuni: ad ogni modo, quando sarà il caso, deciderà il Parlamento, dove per ora non c’è una maggioranza sul Salva Stati.
A favore infatti ci sono il Pd, Italia viva, ma non il M5s. E anche l’opposizione è divisa: tra Salvini e Meloni contrari, Berlusconi favorevole.
Conte tenta di posticipare la questione e intanto l’informativa pre-consiglio europeo si svolgerà senza un voto del Parlamento il prossimo 21 aprile. Perchè, ragionano i suoi, la materia diventerà più chiara proprio a partire dal vertice dei leader europei della prossima settimana, non prima.
Lì si capirà se l’idea dei recovery bond va avanti, se il fondo europeo di ripresa chiesto da Italia e Francia ha un futuro e, soprattutto, quale orizzonte temporale abbia: se breve, come chiede Roma, oppure no. Insomma, dal destino dei bond comuni si capirà anche se l’Italia debba valutare il Mes oppure no.
Spiega Conte in un post su Facebook:
Se vi saranno condizionalità o meno lo giudicheremo alla fine, quando saranno concretamente elaborati il term sheet (contenente le principali caratteristiche del nuovo strumento), i terms of reference (che definiranno termini e condizioni della linea di credito) e, infine, il Financial Facility Agreement, le condizioni di contratto che verranno predisposte per erogare i singoli finanziamenti. Solo allora potremo valutare se questa nuova linea di credito pone condizioni, quali condizioni pone, e solo allora potremo discutere se quel regolamento è conforme al nostro interesse nazionale. E questa discussione dovrà avvenire in modo pubblico e trasparente, dinanzi al Parlamento, al quale spetterà l’ultima parola. Prima di allora potremo disquisire per giorni e settimane, ma inutilmente. Per comprendere questo punto, basta tenere presente l’esperienza che molti cittadini fanno quando chiedono un finanziamento a una banca. Negli incontri preliminari, il funzionario illustra genericamente le condizioni del finanziamento, ma quelle che valgono sono le condizioni generali e le clausole inserite nel concreto contratto di finanziamento.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
SI VOTERA’ QUANDO LE PROPOSTE SARANNO FORMALIZZATE DAI CAPI DI STATO, FINORA ALL’EUROGRUPPO NON SI E’ DECISO UNA MAZZA: SU COSA SI DOVREBBE VOTARE?
“Conte nega al Parlamento di esprimersi sul Mes. Preferisce lavorare col favore delle tenebre?”. “Negare il diritto di voto del Parlamento è una lesione della democrazia”. Matteo Salvini e Giorgia Meloni si gettano all’unisono sull’ennesimo vulnus alla democrazia italiana: il 21 Giuseppe Conte riferirà in Parlamento in vista del consiglio dei capi di Stato e di governo fissato per il 23, ma non si voterà al termine dell’intervento del presidente del Consiglio.
Conte terrà la sua informativa sia in vista del Consiglio europeo in videoconferenza, che è in agenda per il prossimo 23 aprile, sia sulla situazione interna e alla fase 2 relativa al coronavirus.
Francesco Lolloborigida di Fratelli d’Italia ed il capogruppo della Lega Riccardo Molinari avevano chiesto che Conte tenesse comunicazioni (al termine delle quali si votano risoluzioni in Assemblea) e non una informativa, che non richiede che ci sia un voto. Questo sarebbe il vulnus della democrazia secondo Salvini e Meloni.
Ma c’è qualcosa che non torna.
In primo luogo perchè non è previsto che il Parlamento voti sul deliberato di una riunione informale. Un’informativa non è una comunicazione.
In secondo luogo perchè nonostante qualcuno che non conosce le regole abbia affermato il contrario, alla riunione dell’eurogruppo della scorsa settimana non si è deciso nulla: come è abitudine in questi casi la riunione dei ministri dell’Economia e delle Finanze ha fatto delle proposte (come quella del MES “senza condizionalità ” — si fa per dire — per le spese mediche) che dovranno essere esplicitate e formalizzate dai capi di Stato e di governo.
In secondo luogo, e più importante, prima di votare sul MES bisognerebbe che qualcuno ci spiegasse in che modo il MES possa (e non debba) essere utilizzato all’interno dell’emergenza Coronavirus.
Dire semplicemente “spese mediche senza condizionalità ” è troppo poco, sia perchè questo è (per ora) contrario al regolamento del MES, sia perchè la questione delle spese mediche è di troppo ampia definizione.
Finchè non saranno riuniti i capi di stato e di governo non sapremo nulla nè di MES nè di Eurobond. E quindi non abbiamo gli strumenti per comprendere nulla di quello che farà (o non farà l’Europa).
Si diceva che bisogna conoscere per deliberare. Se prima non conosciamo, che cavolo votiamo?
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
BERLUSCONI SI STACCA DAI SOVRANISTI SUL FONDO SALVA STATI
Silvio Berlusconi abbandona l’alleanza di cui fu federatore, padre nobile, e lascia alla deriva Salvini e Meloni, il duo che assilla oggi Giuseppe Conte.
Galeotto fu appunto il Meccanismo europeo di Stabilità e chi lo votò. Non succedeva da mesi che il leader azzurro non si accodasse a Lega e Fratelli d’Italia.
Da quella manifestazione di Piazza San Giovanni i tre camminavano a braccetto, con Berlusconi che recitava soltanto la parte del padre nobile ma senza mai discostarsi dal verbo del Capitano leghista.
E invece questa volta succede appunto che il Cavaliere indossa i panni del “responsabile” e verga una lettera che indirizza al direttore del suo Giornale, vale a dire Alessandro Sallusti. Titolo: “Il Mes non va demonizzato, assurdo non utilizzarlo”.
Già questa sarebbe una notizia. Il contenuto è ancora più netto: “Non c’è nulla di sbagliato, in linea di principio, nel fatto che i Paesi ad economia più solida chiedano garanzie rafforzate per finanziare Paesi più a rischio”.
E ancora: “Il problema è però che questa volta non si pone, perchè possiamo accedere ai fondi senza condizioni, fino al 2 per cento del Pil”. Dunque, insiste Berlusconi, il Mes senza condizionalità “è comunque qualcosa, sono 36 miliardi circa, a tassi inferiori a quelli di mercato, che sarebbe assurdo utilizzare”.
Non è dato sapere se queste parole dell’ex premier nel segno della responsabilità si debbano leggere come un progressivo avvicinamento di Forza Italia alle istanze di una maggioranza Fatto sta che Berlusconi si smarca decisamente dai “sovranisti” della coalizione e in un passaggio, seppur velatamente, li prende di mira.“Va ricordato – osserva – che sono proprio i partiti sovranisti ed anti europei a condizionare le scelte di Paesi, come l’Olanda, che sono più avversi alle esigenze”.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
VIOLATA LA LEGGE CHE VIETA I RESPINGIMENTI IN ACQUE INTERNAZIONALI… LA GUARDIA COSTIERA ITALIANA NON INFORMATA DA MALTA
Si trovano in acque libiche i migranti dispersi da sei giorni nel Canal di Sicilia. Il barcone è stato ritrovato alla deriva in acque di ricerca e soccorso di competenza maltese.
In totale 12 persone hanno perso la vita in quella che passerà alle cronache come “la strage di pasquetta”.
A bordo sono stati trovati 5 cadaveri, ma i 47 superstiti hanno raccontato che sette loro compagni di sventura sono morti affogati, dopo sei giorni in mare senza acqua nè cibo e con onde di otlre due metri.
L’Organizzazione mondiale dei migranti (Oim) ha avuro conferma recandosi direttamente sul porto di Tripoli dove un motopesca libico con il carico di disperati attende ancora l’autorizzazione allo sbarco, che le autorità libiche al momento rifiutano.
Questa mattina una fonte di alto livello della diplomazia maltese aveva assicurato che “non ci sono migranti nè dispersi in mare”, negando però di sapere dove fossero i 55 che ancora mancavano all’appello.
Una menzogna che sta suscitando irritazione negli organismi internazionali che da giorni chiedevano notizie certe senza mai avere risposta.
“Sarebbe il gruppo di persone in mare da giorni?”, domanda Carlotta Sami, portavoce di Unhcr-Acnur. “Ritardi nei soccorsi inaccettabili – a ggiugnge -. Nessuno può essere riportato in Libia da acque internazionali”.
Secondo l’Oim i migranti sono stati salvati da una nave non meglio precisata “nave commerciale nella zona di ricerca e salvataggio maltese e consegnati alla guardia costiera libica”.
Un respingimento in violazione delle norme internazionali che vietano di riportare in Libia profighi e richiedenti asilo “Ribadiamo che le persone soccorse in mare – aggiunge l’agenzia Onu per le migrazioni – non devono essere restituite ai porti non sicuri. Un’alternativa allo sbarco in Libia deve essere trovato urgentemente”.
Il silenzio maltese aveva costretto ieri la Guardia costiera italiana a pattugliare con motovedette e velivolo le acque esterne all’isola di Lampedusa alla ricerca di eventuali naufraghi. I migranti però erano già stati individuati e segnalati da Malta a una motovedetta libica senza informare il Coordinamento dei soccorsi italiani che ha dovuto pattugliare a vuoto fino a notte fonda.
“Vogliamo la verità sulle 55 persone disperse. Non è sostenibile che donne bambini e uomini chiedano aiuto per sei giorni e i governi di due paesi aspettino che vengano inghiottiti dal mare”, dice Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea Saving Humans. “E se fosse lo stesso caso della barca con cinque persone senza vita adesso davanti le coste libiche non sarebbe meno grave e non sarebbe una condanna minore, con gli stessi mandanti”, osserva ancora. .
Proprio ieri il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli in varie interviste aveva ribaduito che la situazione nel Mediterraneo è sotto controllo è non c’è nulla che sfugga alle autorità . Parole che contrastano con il ritrovamento dei cinque migranti morti di stenti a causa della prolungata permanenza in mare.
Vite che avrebbero potuto essere salvate se tutte le autorità marittime fossero intervenute per tempo.
Lunedì notte nu cargo portoghese aveva avvistato il gommone ma acausa della tempesta non era riuscito a intervenire. Ora la nave Ivan, diretta a Genova, potrebbe dover spiegare cosa è accaduto e quale autorità marittima li avesse autorizzati a lasciare l’area nononstante non arrivasse alcun soccorso.
A conferma della situazione oramai fuori controolo a Tripoli, si apprende che la nave militare italiana Gorgona era stata costratta ad allontanarsi dal porto tripolino a causa dei bombardament. Poche ore fa è tornata in banchina, ma il clima rimane tesissimo.
In banchina, come testimoniano alcune foto dai funzionari Onu a Tripoli, ci sno gli operatori delle agenzie internazionali “in attesa di offrire acqua, assistenza medica, coperte per circa 47 passeggeri a bordo della nave intercettata in mare e ora nel porto di Tripoli, in attesa di sbarco”, si legge in un tweet di Acnur-Unhcr Libia. “Ripetiamo che la Libia – aggiunono – non è un porto sicuro per lo sbarco”.
Nel Mediterraneo i profughi “vengono lasciati morire o messi nelle mani dei libici per essere riportati in un paese in guerra. I morti sono tutti uguali, le vite valgono tutte allo stesso modo. Oppure – denuncia Mediterranea – lo dicano finalmente questi ministri e questi governi, che ci sono esseri umani che vanno solo fatti scomparire”.
(da Avvenire)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
I PREFETTI POTRANNO SOSPENDERE LE AZIENDE NON IN REGOLA
Una nuova circolare del Viminale riorganizza i controlli legati al Coronavirus nelle aziende che hanno ricominciato a lavorare. O che non hanno mai smesso di farlo se è vero, come spiega una recente analisi dell’Istat, che nel mese di marzo, dunque in pieno lockdown, la metà dei lavoratori italiani è comunque andata a lavorare, il 55,7%. Numeri che hanno evidentemente allertato il ministero guidato da Luciana Lamorgese. Il capo di gabinetto, Matteo Piantedosi, ha scritto questa mattina, 15 aprile, una circolare a tutti i prefetti in cui le verifiche sulle aziende cambiano e accelerano i controlli.
D’ora in avanti le aziende dovranno comunicare alla prefettura che intendono continuare a lavorare perchè fanno parte della cosiddetta filiera di quelle autorizzate preventivamente dal governo (e che non devono inviare nessun tipo di documento) inserite nell’elenco Ateco.
Ma allo stesso tempo i controlli accelerano. Scrive infatti Piantedosi: «È stato rilevato un notevole divario tra il dato delle comunicazioni trasmesse alle Prefetture e quello delle relative attività istruttorie intraprese, che tuttavia — come noto — non debbono necessariamente concludersi con un provvedimento espresso, che invece si impone, nella forma della sospensione prefettizia soltanto qualora le risultanze istruttorie abbiano fatto emergere l’insussistenza dei presupposti legittimanti».
Di che numeri stiamo parlando? «Secondo i dati complessivi aggiornati all’8 aprile scorso: n. 105.727 comunicazioni ricevute; n. 38.534 comunicazioni per cui è in corso l’istruttoria; n. 2.296 provvedimenti di sospensione», scrive ancora Piantedosi. Dunque, un’azienda su tre è stata controllata delle più di centomila che hanno presentato l’autocertificazione.
Un numero di verifiche troppo basso che spinge il Viminale ad accelerare, coinvolgendo anche la Guardia di finanza che farà controlli «circa la veridicità del contenuto delle comunicazioni prodotte dalle aziende, avuto riguardo all’inclusione nelle categorie autorizzate ovvero all’esistenza della relazione economico-commerciale tra le attività d’impresa appartenenti alle varie filiere consentite».
Il ministero dell’Interno avrà d’ora in avanti il potere di sospendere le autorizzazioni alle aziende che siano fuori norma, semplicemente comunicandolo ai presidenti di Regione.
Infine, aumenteranno i controlli sanitari: le aziende potranno essere obbligate a controllare la temperatura dei dipendenti con il termoscanner e in ogni caso per rafforzare i controlli sanitari potrebbero essere impiegati anche i medici militari.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
“LA MODA DEVE RALLENTARE SE VUOLE RIPARTIRE. E TORNARE A ESSERE UMANA”
Sull’autorevolezza di Giorgio Armani non si discute. È per questo che, quando la scorsa settimana il quotidiano statunitense Wwd ha pubblicato la lettera aperta in cui il designer fa il punto della situazione ipotizzando il futuro post-emergenza Covid 19, addetti ai lavori e non si sono precipitati a leggerla.
Ecco un estratto della lettera scritta dal designer
“Per anni, nelle conferenze stampa dopo i miei show, ho sollevato dubbi sul sistema corrente, sulla sovrapproduzione e sul mancato allineamento, a mio parere criminale, tra clima e stagionalità commerciale: sono stato spesso ignorato, se non giudicato un moralista. L’emergenza in cui ci troviamo dimostra che l’unica via percorribile sia un attento e ragionato rallentamento. (…) Il declino del sistema moda così come lo conosciamo è iniziato quando il segmento del lusso ha adottato gli stessi metodi operativi del fast fashion, (…) dimenticando così che il lusso vero richiede tempo, sia per essere creato che per essere compreso. Il lusso non può e non deve essere veloce. (…) Trovo assurdo che si possano trovare in vendita abiti di lino nel bel mezzo dell’inverno e cappotti d’alpaca d’estate per la semplice ragione che il desiderio d’acquistare deve essere immediatamente soddisfatto. (…) La crisi è un’opportunità per ridare valore all’autenticità : basta con la moda fatta solo di comunicazione, basta con le sfilate cruise in giro per il mondo per presentare idee mediocri e intrattenere con show grandiosi che oggi appaiono come fuori luogo, e pure un po’ volgari. (…). Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma offre anche un’opportunità unica di sistemare ciò che nel sistema è sbagliato, recuperando una dimensione più umana. Ed è bello vedere che, in questo senso, siamo tutti uniti. (….) Uniti ce la faremo, ma dobbiamo restare compatti e lavorare in armonia. Questa è forse la lezione più importante che possiamo imparare da questa crisi”.
Una lettera che ha fatto scalpore nei giorni scorsi, e per questo abbiamo raggiunto lo stilista per approfondire la questione.
Signor Armani, in diversi le hanno dato ragione, sul ritorno a un sistema meno frenetico, ma il sistema sinora è sembrato “bloccato”: cos’è che ha impedito quel rallentamento sempre più invocato negli ultimi tempi
“Lo ha impedito l’avidità per il profitto, e la convinzione che nei mercati emergenti avrebbe retto il ritmo frenetico e vorticoso dei consumi. A un certo punto la finanza ha preso il sopravvento sulla creatività tanto che il lusso ha dovuto adottare le modalità operative del fast fashion, aumentando la frequenza delle consegne nei negozi nella speranza di vendere di più. Una vera contraddizione. Da questo punto di vista la crisi darà un taglio, drammatico, ma salutare”.
Quali sono a suo parere i pericoli da evitare nel prossimo futuro, alla ripartenza
“Tornare a fare tutto come prima. Abbiamo l’opportunità di rallentare e riallineare tutto per disegnare un orizzonte più vero. Da alcune settimane lavoro con il mio team affinchè, una volta usciti dalla chiusura forzata, le collezioni estive rimangano nei negozi almeno fino ai primi di settembre, come è naturale che sia. Il momento che stiamo attraversando è drammatico, ma possiamo cambiare ciò che non andava bene, migliorare e riguadagnare una dimensione più umana”.
Quale crede sarà la chiave per far ripartire gli acquisti?
“Credo da sempre nel concetto di eleganza senza tempo. Non è solo un codice estetico, ma anche un metodo per fare abbigliamento che, a sua volta, suggerisce un modo preciso d’acquistarlo. E cioè, per farlo durare”.
La situazione è ancora più complicata per i brand brand più giovani, piccoli e indipendenti. Cosa consiglierebbe loro per rimanere a galla e poter ricominciare
“Per i più piccoli sarà una dura prova, ma sono convinto che mai come oggi essere piccoli significhi essere agili e adattabili. Ai giovani consiglio di concentrarsi sull’autenticità . Usciti da questo incubo, ci sarà una grande voglia di bellezza, ma anche di logica, ne sono certo”.
Il designer è stato il primo creativo a comprendere la gravità della situazione, decidendo di presentare la collezione Giorgio Armani donna a/i 2020, in programma il 23 febbraio (l’evento di chiusura delle sfilate milanesi) a porte chiuse e in diretta Instagram.
Non solo: il 10 marzo, un giorno prima della decisione del Governo, lo stilista ha chiuso al pubblico gli Armani Hotel e tutti i suoi esercizi commerciali; poi, nelle settimane successive, ha prima donato due milioni di euro dividendoli tra la Protezione Civile, lo Spallanzani di Roma, gli ospedali milanesi (Sacco, San Raffaele e Istituto dei Tumori), e quelli di Piacenza, Bergamo e della Versilia, per poi avviare nei suoi stabilimenti italiani la produzione di camici monouso per il personale sanitario.
Ecco un’altra lezione che il periodo sta insegnando
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
“CI VUOLE CAUTELA NELLA RIPARTENZA, LA NORMALITA’ CI SARA’ SOLO QUANDO AVREMO UN VACCINO”
“Non capisco tutto questo ottimismo. Dobbiamo riflettere con attenzione sulla cosiddetta fase 2. La normalità ci sarà soltanto quando avremo un vaccino. Ora non si deve abbassare la guardia”.
E’ cauto sulla ripartenza dell’Italia Walter Ricciardi, componente membro dell’executive board dell’Oms e consulente del ministero della Salute sull’emergenza Coronavirus, che in un’intervista al ‘Mattino’ invita a non farsi prendere da facili entusiasmi, sottolineando che per il calcio e il turismo la ripresa avrà “tempi lunghi”
Questa è la lezione della Cina, che “sta già richiudendo dopo i primi cento casi di nuovi contagi. Noi cento casi, e molti di più, li abbiamo ogni giorno”.
Quanto a Francia e Spagna che hanno annunciato la fine del lockdown “stanno assumendo delle decisioni azzardate – risponde Ricciardi – delle quali si pentiranno amaramente nelle prossime settimane”.
E allora, in Italia quando sarà possibile parlare di una ripresa? “Vedremo dopo il 3 maggio e con molta prudenza. Poi, è chiaro, le decisioni le adotterà il governo, la comunità tecnico-scientifica darà delle indicazioni. Ma certamente non ci sarà il liberi tutti”, precisa ribadendo “niente assembramenti, dobbiamo difendere la nostra salute” alla domanda se quest’estate riusciremo ad andare al mare
Dopo il 3 maggio le fabbriche potranno riaprire?
“Probabilmente sì se verranno rispettati determinati standard di protezione individuale e distanziamento. I modelli che stiamo studiando – prosegue Ricciardi – sembrano andare in questa direzione”.
E potremo andare in palestra o al ristorante? “Si tratta di luoghi chiusi. Se per i ristoranti potrà essere fatta una valutazione con determinate prescrizioni di sicurezza, per le palestre credo sia più complicato”.
“Credo che una riflessione accurata debba essere fatta sui trasporti, specie il trasporto pubblico locale. Migliaia di persone utilizzano questo sistema per spostarsi, per andare al lavoro. Certamente occorrerà adottare altre limitazioni”
Il calcio e le attività sportive potranno riprendere? “Allo stato attuale non ne vedo le condizioni”, risponde Ricciardi, che spiega: “Il calcio è uno sport che prevede contatti fisici, emissioni di liquidi e sudore. Non mi sembra prudente. Poi, non dimentichiamo che gli atleti sono dei lavoratori, dunque bisogna mettere in atto adeguate misure di protezione anche della loro salute”
L’esperto sottolinea l’importanza dei “test e il tracciamento. Dobbiamo coniugare l’aspetto della verifica delle condizioni della popolazione sotto l’aspetto sanitario e tracciarne gli spostamenti, ricostruire i contatti con l’ausilio delle tecnologie. Non c’è altra strada.
La direzione è questa. Dovremo andare verso il rilascio di un passaporto digitale”, conclude. E ribadisce: “Non ci sono elementi per giustificare alcun allentamento delle misure sin qui adottate”
(da Globalist)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
CHI METTE IN DUBBIO LA VERIDICITA’ DEI DATI SUI DECESSI VIENE ARRESTATO
Russia, preparati al peggio. “Ad ogni possibile scenario, anche il più difficile e non ordinario”. Ai cittadini della Federazione l’ha detto l’uomo che più temono e più amano. E di tutti i modi in cui poteva rivolgersi a loro per l’emergenza Covid-19 in corso, il presidente Putin ha scelto il più drastico e risoluto.
L’ottimismo presidenziale di settimane fa è svanito. “Vediamo che la situazione cambia quotidianamente e non per il meglio, il numero di ammalati aumenta”.
Non più in scafandro giallo tra i reparti dell’ospedale Kommunarka, ma alla sua scrivania, Putin promette assistenza del personale medico militare e risorse del ministero della Difesa in videoconferenza con gli uomini e donne della task force dell’emergenza.
Volti grevi, senza sorrisi si guardano da un monitor all’altro nel Cremlino in auto-isolamento. Tra loro il ministro della Salute Mikhail Murashko, la vice premier Tatiana Golikova, il sindaco di Mosca Sergei Sobyanin, che avverte: “il picco non è nemmeno vicino”.
Quasi 4 mila nuovi casi oggi, quasi 25 mila in totale, 13 mila dei quali solo nella Capitale, epicentro del virus in totale lockdown, con reparti ospedalieri saturi.
Ogni giorno in Russia si aggiorna un nuovo triste record tra cifre rosse sui monitor e sudore freddo. Il Cremlino non esclude di ricorrere all’esercito, recluta studenti di medicina, attiva corsi online per paramedici.
Lo spettro del contagio precipitosamente, rumorosamente peggiora negli 85 bollettini delle altrettante regioni russe: la media della diffusione dell’infezione aumenta del 16% nello Stato, ma del 36% a Mosca.
Rimangono sospette e squilibrate le cifre dei decessi: meno di duecento. E per quei medici che mettono in dubbio la versione ufficiale delle autorità ci sono manette sotto le mascherine.
È stata arrestata, ma in seguito rilasciata, la dottoressa bionda Anastasia Vasilevna, di Aljanz vracej, Allenza dei medici, che rimane in prima linea sanitaria in camice bianco, e su Youtube. Già un mese fa esprimeva i suoi dubbi sulla sospetta impennata di morti per “polmonite” nel Paese e avvisava i colleghi: “le autorità nascondono informazioni, ma presto o tardi i colpevoli saremo noi”.
Il virus ha rubato la scena al corpo di ballo più prestigioso del Paese. Nella città focolaio il Covid19 sa arrivare ovunque, anche dietro i sipari rossi e tra i tutù bianchi del teatro Bolshoij dove 34 persone sono risultate positive ai test.
Con perdite che ammontano a 9 milioni di rubli al giorno, (oltre centomila dollari), senza previsione di riapertura nei prossimi mesi, ha confessato al quotidiano Kommersant Vladimir Urin, direttore della leggendaria istituzione artistica: “è spaventoso predire cosa potrebbe accadere: anche la distruzione del teatro. Non l’edificio, ovviamente”.
L’epidemia funesta il Paese, da una latitudine all’altra, fino all’Artico. Più di 120 operai nella siderale Murmansk sono risultati positivi al coronavirus nel villaggio di Belokamenka, mentre stavano costruendo una struttura ospedaliera per accogliere i lavoratori del gigante energetico Novatek.
La carica virale e quella politica, durante la crisi doppia che affronta Mosca: quella sanitaria e quella economica, dovuta al lockdown per il Covid ma anche al crollo dei prezzi del petrolio.
Se le linee che tracciano l’aumento del virus sui grafici russi salgono verso l’alto, quelle di Putin scendono verso il 29% dei consensi nelle stime del centro sondaggi Levada. Ma, incatenati alla nuova realtà tragica che li attanaglia, il 43% dei russi ha riferito comunque “che non saprebbe su chi altro contare”.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
“SARA’ RICOSTRUITA IN 5 ANNI”
“Ricostruiremo Notre-Dame in cinque anni, l’ho promesso. Faremo di tutto per rispettare questa scadenza”. Un anno dopo l’incendio che ha devastato la cattedrale di Parigi, Emmanuel Macron ha registrato un breve video nel quale ringrazia “tutti quelli che ieri l’hanno salvata e quelli che oggi la ricostruiscono”.
Secondo Macron, il restauro di Notre-Dame è un “simbolo della resilienza”, tanto più prezioso nell’attuale crisi. Stasera, giorno del primo anniversario del rogo, la grossa campana “Emmanuel” della torre sud suonerà per commemorare l’inizio dell’incendio, ma anche in coincidenza con l’orario che i francesi dedicano agli applausi alle finestre per rendere omaggio al personale medico.
L’emergenza sanitaria e il confinamento hanno bloccato il “cantiere del secolo”. Dal 16 marzo tutto si è fermato, gli oltre duecento operai sono a casa in attesa di capire quando sarà possibile ricominciare. “Già nelle prossime settimane”, annuncia il generale Jean-Louis Georgelin, commissario straordinario per i lavori, in vista della fine del lockdown l’11 maggio. Il cantiere ha già subito pause e ritardi. Dopo 12 mesi non è ancora finita la messa in sicurezza della cattedrale, e della ricostruzione si comincerà a parlare – se tutto va bene – l’anno prossimo.
Il primo stop era arrivato a luglio quando il Prefetto aveva ordinato la sospensione per il rischio di contaminazione da piombo. La guglia ottocentesca che si è fusa nell’incendio ha rilasciato trecento tonnellate di piombo nell’area.
A metà agosto il cantiere ha riaperto con procedure di sicurezza molto più rigide. E una burocrazia che ha rallentato i bandi per affrontare il problema più grosso di questa fase: smantellare la gigantesca impalcatura montata per il restauro della guglia, da dove è partito l’incendio.
Oltre 40mila tubi che si sono fusi nelle fiamme e bisognerà rimuoverli con precauzione per non provocare ulteriori danni sulla struttura del monumento. Finalmente a dicembre è arrivata la gigantesca gru, alta 80 metri: servirà alla delicata missione che doveva cominciare proprio quando è arrivato il coronavirus.
“Notre-Dame è un po’ l’immagine di tante persone che soffrono in questo momento: ferita, e con urgente bisogno di cure” ha ricordato a Repubblica il rettore della cattedrale, Patrick Chauvet.
Insieme all’arcivescovo di Parigi, Chauvet ha partecipato a una cerimonia dentro alla cattedrale qualche giorno fa, in occasione del Venerdì Santo. La montagna di detriti nella navata centrale è stata finalmente portata via, le opere d’arte e reliquie sono al sicuro.
Ci sono ancora l’altare con il crocifisso in oro e la madonnina scoperta miracolosamente intatta dopo l’incendio. Il rettore di Notre-Dame vorrebbe sistemare una copia della Madonnina sul sagrato quando potrà finalmente essere riaperto al pubblico.
Era un altro degli obiettivi di questa primavera: aprire uno spazio davanti al monumento per permettere ai pellegrini di raccogliersi in preghiera.
I tempi del cantiere si calcolano invece in anni. Saranno cinque come dice Macron? Chauvet è realista. Crede al traguardo del 2024 solo per la ricostruzione di tetto e struttura.
“Ho 68 anni e spero di poter riprendere la vita liturgica dentro alla cattedrale prima della pensione che per fortuna nella Chiesa è a 75 anni”. Per ritrovare Notre-Dame nella sua magnificenza, con la nuova guglia, Chauvet è convinto che ci potrebbero volere anche quindici anni.
Intanto, la buona notizia è che il cantiere ha un immenso tesoretto, frutto del record di donazioni dell’anno scorso. Il calcolo finale è di 901,5 milioni di euro, di cui 188,3 milioni già stanziati. I principali donatori sono grandi gruppi francesi: Lvmh, Kering e L’Orèal.
Bisognerà aspettare anche per sapere le cause dell’incendio. L’inchiesta della polizia scientifica sull’incendio di Notre-Dame ha confermato la tesi dell’incidente. Non sono state trovate tracce di carburanti nè altri elementi che possano far pensare al gesto di un piromane. Continua l’analisi dei reperti trovati nel monumento in parte distrutto.
Decisivi saranno anche gli elementi dell’impalcatura smontata. Le due ipotesi degli investigatori continuano a essere un corto-circuito e qualche negligenza da parte delle imprese intorno alla guglia. Scavando tra le macerie, sono stati sequestrati possibili indizi, tra cui mozziconi di sigaretta alcuni operai che avevano fumato sul cantiere in corso. I filmati e le testimonianze hanno smentito che ci fossero stati nelle ore prima del rogo lavori di saldatura.
Sull’origine di un possibile corto-circuito, si guarda all’ascensore installato nell’impalcatura ma anche al sistema dentro al campanile attivato qualche minuto prima delle prime fiamme.
L’indagine ha anche evidenziato gravi disfunzioni della società incaricata del sistema anti-incendio. Il 15 aprile 2019 era presente un solo addetto nei locali di sicurezza, un funzionario nuovo in quel lavoro che non ha saputo leggere il primo messaggio di allarme, arrivato alle 18.13: solo mezz’ora dopo sono stati allertati i pompieri.
(da “La Repubblica”)
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