Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
I TAMPONI SONO 1.398.024 MA LE PERSONE TESTATE IN REALTA’ SONO 943.151… UN TAMPONE SU TRE E’ STATO FATTO A PERSONE GIA TESTATE SOLO PER CONFERMARE L’USCITA DAL COVID-19, NON SU ASINTOMATICI
Nella giornata di oggi Arcuri, commissario per l’emergenza coronavirus, ha fornito una serie di dati sui tamponi fatti in relazione alle altre nazioni.
In particolare il commissario ha affermato che «l’Italia è il paese che ha fatto più tamponi in relazione al numero di abitanti».
Una ricerca di YouTrend ha messo in evidenza, al di là del fatto che il dato sui tamponi sia aumentato in maniera notevole, che in quel milione e 398mila test sono da contare quelli fatti ai pazienti di cui andava verificata la guarigione.
Nella conferenza stampa di oggi Arcuri ha reso noti i dati sui controlli effettuati ogni 100 mila abitanti dall’Italia e da altri paesi. «La Francia ha fatto 510 tamponi, la Gran Bretagna 710, la Spagna 1.990, la Germania 2.063 e l’Italia 2.244».
Il commissario ha sottolineato come «un mese fa avevamo fatto 182mila tamponi. Ieri abbiamo toccato quota un milione e 398mila. Quindi il 500% in più». Questi dati ci rendono il paese che «ha la maggiore percentuale di tamponi eseguita per abitante».
Arcuri ha definito l’Italia il paese «che ha fatto il maggior numero di tamponi rispetto al numero di abitanti» che ha.
Questo non significa, però, che le persone testate siano pari al numero di test fatti. Come evidenzia YouTrend, il numero di tamponi è ovunque maggiore rispetto al numero delle persone testate.
Nel nostro paese, in particolare, si evidenziano 1.398.024 tamponi eseguiti su un totale di 943.151 persone. Sono più di 450 mila, attualmente, le persone che sono state testate più di una volta per verificarne la guarigione. Sulla totalità di test fatti, quindi, il 32,5% è stato destinato a persone già testate.
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
IN TUTTA EUROPA FLOP NEI SONDAGGI DEI PARTITI XENOFOBI
Il sovranismo è la prima vittima del Coronavirus SARS-COV-2 e di COVID-19, perlomeno nei
sondaggi.
Non solo la Lega di Matteo Salvini, che nelle rilevazioni è molto al di sotto della soglia del 28% da qualche settimana
Emanuele Lauria su Repubblica racconta che un’indagine pubblicata da Europe Elects, società di ricerca indipendente che ha messo in fila le variazioni percentuali, dal primo gennaio, delle formazioni politiche di dieci Paesi dell’Ue aderenti al gruppo Identità e Democrazia, vede perdere punti un po’ a tutti:
Il crollo più evidente è quello degli ultraconservatori tedeschi di Alternative fur Deutschland (Afd), che vantano 11 deputati al parlamento europeo e che hanno perso 4,5 punti.
Vanno giù del 3 per cento gli austriaci dell’Fpo (il partito che fu del governatore della Cariniza Haider) e i finlandesi di Ps, da sempre su posizioni nazionaliste ed euroscettiche.
Gli olandesi del Pvv, sostenitori di un’aspra linea anti migranti, cedono l’l,7 per cento. E poi spicca la discesa della Lega, che dall’emergenza Covid ha perso 2,8 punti percentuali.
È come se il virus avesse corroso le forze estremiste o xenofobe.
«Un dato – spiega Ilvo Diamanti, politologo e fondatore di Demos & Pi – che ha una spiegazione semplice: siamo davanti a forze di opposizione radicale. E in tempi come questi, in Italia e nel resto d’Europa, c’è un forte sentimento di solidarietà nazionale che si traduce nel sostegno a chi governa.
Basti pensare a Conte, proveniente da un passaggio non certo semplice come un netto cambio di maggioranza: credo che un gradimento del 70 per cento, qualche mese fa, il premier italiano se lo sognasse.
Di contro, un leader populista come Salvini, a capo di un partito che lui ha voluto nazionale, oggi si aggrappa alla Lombardia, al suo dramma, per non perdere visibilità . Insidiato, a livello di popolarità , da un presidente della Regione in prima linea come Zaia».
Anche in Germania le cose sono cambiate con il Coronavirus. La Merkel, protagonista qualche giorno fa di una lezione da professoressa su lockdown e contagio, era in calo di consensi e con una successione nel partito alle porte: ora è al 40 per cento.
Ciò per effetto di una risposta sanitaria efficace all’emergenza coronavirus figlia anche della politica conservatrice del ministro alla Salute Jens Spahn, che ha sottratto consensi proprio alla destra di Afp.
Anche se dalle nostre parti può sembrare strano, Angela Merkel è vista da una buona parte dell’elettorato tedesco come esponente di una linea troppo morbida. Alcune mosse del suo governo, quale la chiusura per tempo dei confini, hanno invece tolto argomenti ai nazionalisti di Afp, molto radicati nella parte orientale del Paese.
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
CON IL PLACET DELL’EUROPA IN ARRIVO 50 MILIARDI DI SOLDI FRESCHI
Lo schema è obbligato ed è quello dell’interlocuzione Roma-Bruxelles. Diversamente non si può fare. Perchè il nuovo scostamento del deficit che il governo si appresta a chiedere al Parlamento non è che un’altra iniezione di flessibilità , quindi soldi che sono soggetti al via libera dell’Europa.
La proposta italiana è pronta e già inviata: 50 miliardi. E per tutto il giorno da palazzo Chigi e dal Tesoro sono partite telefonate verso la Commissione europea per validare preventivamente anche il Def, il Documento di economia e finanza che fotograferà un’economia flagellata dal virus.
Anche qui una proposta c’è: Pil -8%, deficit tra l′8% e il 10%, debito/Pil tra il 155 e il 160 per cento.
I 50 miliardi servono per mettere in piedi il decreto che sarà approvato a fine aprile, quello che rifinanzierà la rete di soccorso gettata sul Paese con il Cura Italia.
Quindi cassa integrazione per i lavoratori dipendenti, bonus per gli autonomi, voucher baby sitter, congedi parentali.
Ma anche new entry come il reddito di emergenza per chi è senza reddito (compresi i lavoratori in nero), i ristori alle imprese, il rinvio delle tasse, il bonus figli e quello per le vacanze.
Per tutto questo servono soldi. Nelle casse dello Stato non ci sono e come già successo a marzo sarà l’Europa a doverci dare una mano. All’ora di pranzo da Bruxelles sarebbe arrivato il via libera.
È anche per questo che Giuseppe Conte, alle tre del pomeriggio, ha potuto riferire in Parlamento che lo scostamento del deficit sarà pari a 50 miliardi. Ecco le parole del premier durante l’informativa in Senato: “Il Governo invierà a brevissimo al Parlamento un’ulteriore relazione” per uno scostamento “davvero consistente, non inferiore a 50 miliardi di euro”.
A questi 50 miliardi se ne aggiungeranno altri trenta. Sono i soldi che metteranno benzina nel serbatoio delle garanzie pubbliche, quelle predisposte per i prestiti alle imprese con una dote di 400 miliardi (garanzie per prestiti che non si sa se saranno onorati, in caso contrario tra qualche anno pagheranno tutti gli italiani)
Per questo il decreto avrà un peso totale di 80 miliardi: 50 miliardi di soldi freschi per il Paese, 30 miliardi di garanzie.
Il Pil, l’indicatore macroeconomico che misura il valore della ricchezza e del benessere di un Paese. E leggendo questo numero, che sarà contenuto nelle tabelle del Def, che si capirà quanto il coronavirus ha fatto e farà male all’economia italiana quest’anno.
La previsione del governo, inviata a Bruxelles, fissa il Pil a -8 per cento. Un po’ meglio rispetto alla stima del Fondo monetario internazionale (-9,1%), ma non per questo meno indolore.
In virtù dei soldi che sono serviti per il Cura Italia e di quelli del decreto di aprile, ma anche per altre spese messe già in conto, il deficit salirà all′8-10 per cento.
Nelle tabelle va inserito un unico valore. Sarà deciso insieme a Bruxelles, così come quello del Pil, ma una forchetta è stata comunque già indicata dal governo. Il rapporto debito/Pil sarà tra il 155% e il 160 per cento. Anche qui vale la stessa considerazione dell’interlocuzione con l’Europa.
Nel Documento di economia e finanza saranno riportate anche le stime per il 2021. Marcheranno un rimbalzo perchè la lunga notte dell’emergenza sarà – quantomeno si spera – alle spalle. Dove l’espressione alle spalle sta a significare che quantomeno non ci sarà la chiusura del Paese. Per il prossimo anno, il Pil dovrebbe essere fissato a +6%, il deficit a +4 per cento.
Ci sarà un reddito di emergenza. Sono i 5 stelle a chiederlo a gran voce, ma anche il Pd è favorevole a un contributo per chi non ha una forma di sostegno al reddito. Precari, lavoratori stagionali, ma anche lavoratori in nero: riceveranno in media 500 euro.
Chi prende il reddito di cittadinanza non lo avrà , neppure se l’importo del Rdc è inferiore a 500 euro. Il reddito di cittadinanza ha un valore medio di 500 euro: c’è chi prende il sostegno pieno, cioè 780 euro, ma anche chi prende meno di 500 euro.
Ma la quota di 500 euro del reddito di emergenza potrebbe salire fino a 800 euro se alla fine prevarrà la logica del quoziente familiare: più numerosa è la famiglia, maggiore sarà l’importo del bonus.
Per colf e badanti, escluse dal Cura Italia, ci sarà un’indennità : 200 euro se lavorano part-time, 400 euro se hanno un contratto full time.
La cassa integrazione sarà prorogata per altre nove settimane. Il bonus per gli autonomi sarà prorogato per altri due mesi, salendo da 600 a 800 euro.
Ai Comuni e alle Province andranno 3,5 miliardi. Circa tre miliardi alla Protezione civile e alla sanità .
Si discute nella maggioranza sui ristori alle imprese. Il nervo scoperto del decreto che dà liquidità alle imprese è il fatto che si tratta di prestiti, non di soldi a fondo perduto. I grillini, ma anche i renziani, spingono per dare ora risorse da spendere subito. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è più prudente. Si lavora a una mediazione. Fino a fine aprile. O inizio maggio.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
“COPRE SOLO UN QUARTO DELLE SPESE PER UNA BABY SITTER”… MA QUESTI GENITORI LI HA OBBLIGATI QUALCUNO A METTERE AL MONDO DEI FIGLI?
Questo è quanto emerge da una ricerca fatta da Yoopies, una piattaforma internazionale che permette
di incrociare domanda e offerta di assistenza all’infanzia e servizi alla famiglia. –
Lo studio ha domandato alla community di famiglie iscritte come stiano facendo fronte all’emergenza coronavirus nella gestione dei bambini costretti a casa per la chiusura delle scuole.
Le grandi difficoltà delle famiglie italiane nella gestione dei bambini a casa durante l’emergenza coronavirus sono destinate ad aumentare.
Se fino ad ora circa l’87% dei nuclei familiari presi in analisi ha avuto almeno uno dei due genitori a casa per occuparsi dei bambini — con tutte le comprensibili difficoltà nell’assisterli che ha chi ha fa smart working — dal 4 maggio la situazione cambia. Il 53% delle famiglie vedrà entrambi i genitori costretti a rientrare a lavoro dovendo scegliere a chi affidare i figli: nel 50% dei casi l’intenzione è quella di ricorrere a una baby sitter, nel 30% all’aiuto di parenti e amici e il 20% dei genitori che deve rientrare ancora non ha trovato una soluzione valida.
Tra loro c’è anche chi pensa, fatti i conti, di sospendere ulteriormente l’attività lavorativa. Andando ulteriormente a gravare sul bilancio familiare, à§a va sans dire. C’è inoltre da considerare anche che per il 75% dei genitori portare a termine i compiti lavorativi dovendosi occupare dei bambini risulta molto faticoso.
L’amara conclusione che emerge è che, considerata anche l’impossibilità di iscrivere i bambini ai centri estivi che normalmente danno supporto durante l’estate, il 67% dei genitori ha affermato che dovrà ricorrere — nei prossimi mesi — al baby-sitting.
Il 48% degli intervistati ha già chiesto o intende richiedere il bonus baby-sitting, che è stato valutato soddisfacente solo dal 9% dei nuclei in questione.
Alcuni hanno affermato che «il Bonus non copre nemmeno un quarto delle spese da sostenere per due bambini tenuti 8 ore da una baby sitter per 5 giorni alla settimana per i prossimi 5 mesi». Altri hanno fatto presente che, dato che l’emergenza “figli a casa” va avanti da maggio a settembre, «600 euro coprono solo un mese e il bonus baby sitter non è cumulabile con i 15 giorni di congedo parentale straordinario, che sono comunque pochissimi».
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
LUGO DI RAVENNA: IL NOBILE GESTO DI DIECI GIOVANI RICHIEDENTI ASILO CHE HANNO VERSATO 50 EURO A TESTA: “NOI NON ABBIAMO LA POSSIBILITA’ DI VEDERE I NOSTRI GENITORI, SIETE VOI LA NOSTRA FAMIGLIA”
Dieci richiedenti asilo ospitati a Lugo (Ravenna) in un centro di accoglienza straordinario, gestito da Cefal, hanno dato il proprio contributo alla raccolta fondi “Mettiamoci il cuore”, lanciata dall’Unione dei Comuni della Bassa Romagna per potenziare il fondo di solidarietà destinato all’acquisto di generi alimentari e beni di prima necessità per i cittadini in difficoltà .
I ragazzi hanno donato 500 euro a favore del fondo solidale destinato ai buoni spesa per famiglie in situazioni fragili.
Un gesto “che viene dal profondo del cuore — spiegano i giovani-. Siamo dieci ragazzi giunti alcuni anni fa dall’Africa occidentale. Nessuno di noi ha la possibilità di vedere i propri genitori e voi italiani, che ci avete accolto a braccia aperte, siete quindi per noi come genitori. Siete la nostra famiglia. Oggi il vostro popolo sta vivendo un momento molto difficile a causa del Covid-19 e noi, che ci sentiamo vostri figli, dobbiamo e vogliamo dare una mano”.
“Dalle parole dei ragazzi che hanno deciso di dare il proprio contributo alla comunità lughese emerge un grande amore verso l’Italia — dichiara il sindaco di Lugo Davide Ranalli -. È bello vedere come nei momenti di difficoltà tutti vogliano aiutare chi ne ha bisogno. Sono iniziative di questo tipo che dimostrano che siamo una comunità unita. Grazie a questi ragazzi a nome di tutti i lughesi”.
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
ZERO CONTAGI GRAZIE AL SACRIFICIO DEI LAVORATORI CHE ASSISTONO GLI ANZIANI… HANNO RINUNCIATO A STARE CON LE LORO FAMIGLIE.. LA PROPRIETARIA SI E’ OPPOSTA ALLE PRESSIONI DELLA REGIONE CHE VOLEVA INVIARLE MALATI DI CORONAVIRUS
Dallo scorso 31 marzo 16 operatori socio sanitari sono chiusi all’interno di una residenza sanitaria
assistenziale di Milano, per prendersi cura degli 81 anziani ospiti.
E questo loro gesto, unito alle decisioni prese dalla proprietaria della struttura e da alcune accortezze messe in pratica fin dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, ha fatto sì che il virus restasse fuori dai cancelli della casa di riposo.
Succede tutto alla Rsa Domus Patrizia di via Pier Lombardo, di proprietà della dottoressa Manuela Massarotti e in cui i servizi socio sanitari sono affidati alla cooperativa sociale Virtus, presieduta da Gianni Coppola.
Un caso raro, se si considera che i contagi e i decessi di anziani all’interno di strutture analoghe sono stati (e purtroppo continuano ad essere) una tragedia nella tragedia, e che la anche la magistratura ha deciso di indagare su almeno 22 Rsa del Milanese (e altre nel resto della Lombardia), tra cui il noto Pio Albergo Trivulzio.
Al contrario, finora nessuno tra gli 81 ospiti di Domus Patrizia è stato contagiato dal virus. “Parliamo di persone fragili, che hanno in media 90 anni”, racconta a Fanpage.it il presidente della coop Virtus, Gianni Coppola, che fornisce anche un aggiornamento su ciò che avverrà nella struttura.
“Ieri, 20 aprile, i 16 operatori sarebbero dovuti uscire. Invece si sono proposti di rimanere fino al 3 di maggio, e quindi sono ancora all’interno della struttura”.
I 16 operatori sono single, ma anche padri e madri di famiglia che per amore degli anziani che assistono hanno deciso di costituire una task force che dalla sera del 31 marzo opera quasi ininterrottamente per prendersi cura degli ospiti, senza mai uscire dalla Rsa per evitare le occasioni di contagio e rinunciando così a stare con i loro cari: “Per legge avrebbero diritto allo smonto e riposo se fanno la notte o comunque a un giorno di riposo settimanale, però lei può capire benissimo che stando chiusi là dentro alla fine danno sempre una mano ai colleghi. Sono dei grandi — dice Coppola, orgoglioso dei “suoi” lavoratori — perchè è bastato un piccolo spunto e in un paio d’ore erano già tutti pronti per iniziare”.
Lo spunto, l’idea iniziale di costituire una task force è venuta alla proprietaria della struttura, Manuela Massarotti. La stessa che dal 23 febbraio, subito dopo il “paziente 1” di Codogno, ha limitato le visite ai parenti blindando la struttura e ha poi adottato alcune procedure per impedire il contagio: posizionare termoscanner all’ingresso per misurare la temperatura a tutti i lavoratori, imporre l’obbligo di mascherina già all’ingresso.
“La struttura ci ha procurato anche il gel disinfettante da utilizzare all’ingresso — dice Coppola — mentre le mascherine le abbiamo procurate noi come cooperativa. Non abbiamo avuto difficoltà : mi sono rivolto ai fornitori o a varie farmacie, certo abbiamo dovuto spendere più soldi, ma è stato meglio così per tutelarci. Siamo stati anche fortunati, ma la cosa più importante è che abbiamo preso sul serio la situazione. Ci siamo comportati tutti come se noi fossimo potenziali ‘untori’ e gli ospiti delle persone contagiate”.
La fermezza della proprietaria della struttura è stata una delle chiavi per impedire che il virus entrasse nella Rsa: “Non tutti i parenti sono stati felici della mia decisione al 23 di febbraio, perchè i tempi non erano sospetti — spiega Massarotti a Fanpage.it -. Molti parenti hanno capito, altri un po’ meno: c’è stato anche chi si è messo davanti alla porta per un’ora, chiedendo di entrare. Dopo il 7 di marzo, quando è stata bloccata tutta l’Italia, hanno capito tutti”.
C’è un aspetto, al centro anche delle polemiche sulle altre Rsa, che la dottoressa Massarotti chiarisce: riguarda l’atteggiamento tenuto rispetto alla ormai famosa delibera regionale dell’8 marzo che individuava anche alcune Rsa, dotate di determinati requisiti, come strutture idonee a ospitare pazienti Covid a bassa intensità , per liberare così gli ospedali in quel momento saturi.
“Ci siamo opposti a quella delibera, e siamo stati tempestati di telefonate dall’unità di crisi che ci invitava a ospitare pazienti con Covid”.
Potenzialmente erano due i posti che la struttura avrebbe potuto offrire, “ma in camera doppia e con altre persone. E comunque non avevo percorsi separati: l’ho fatto presente, ma hanno insistito per un bel po’ di giorni. Sono stata tempestata da queste telefonate nonostante sapessero che non avevamo i requisiti idonei”.
Fino alla fine però la dottoressa ha tenuto duro: e la sua fermezza è stata ripagata.
(da Fanpage)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
INDAGATI I DIRETTORI PER EPIDEMIA COLPOSA E OMICIDIO COLPOSO
Un gigante che conta 27 centri residenziali e 28 ambulatori : la fondazione Don Gnocchi è presente in nove regioni italiane e conta seimila operatori.
Proprio da una di queste, l’istituto Palazzolo, che si trova a Milano in zona QT8, è partito lo scandalo sul contagio da Coronavirus SARS-COV-2 e da COVID-19 nelle RSA, dopo una denuncia firmata da 18 operatori sanitari dipendenti della cooperativa Ampast.
Oggi la Guardia di Finanza si è presentata nella sede per una perquisizione nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano per le morti di centinaia di anziani nelle residenze, tra cui il Pio Albergo Trivulzio.
Per la Don Gnocchi sono indagati per epidemia e omicidio colposi il direttore generale Antonio Dennis Troisi, il direttore sanitario Federica Tartarone e Fabrizio Giunco, direttore dei servizi medici socio-sanitari. Indagato anche Papa Wall Ndiaye, presidente della Ampast, cooperativa di cui fanno parte i lavoratori della struttura.
La Fondazione ha sempre ribadito che “sin dal 24 febbraio e per tutta l’evoluzione dell’emergenza” è stata adottata “la massima cautela possibile, attuando le procedure e le misure precauzionali definite da Iss e Oms, anche quelle riguardanti” i dispositivi di protezione.
Non sono della stessa opinione i lavoratori assistiti dal legale Romolo Reboa, che hanno contestato ai vertici della struttura di avere tenuto “nascosti moltissimi casi di lavoratori contagiati da Covid 19, benchè ne fossero a conoscenza almeno dal 10 marzo” e di avere “impedito ai lavoratori l’uso delle mascherine per non spaventare l’utenza“.
A inizio aprile il Don Gnocchi contava un numero di ospiti deceduti da marzo simile a quello del Trivulzio, ossia circa 140 morti. Nel fascicolo sono confluite anche le denunce di familiari.
Le indagini della Procura puntano anche ad accertare eventuali irregolarità nell’operato di Regione Lombardia e dell’Agenzia di tutela della salute, sia in relazione alla delibera dell’8 marzo sul trasferimento di pazienti Covid nelle case di riposo che sulle indicazioni fornite alle strutture sui rischi dell’epidemia.
I finanzieri hanno cercato registri, fascicoli personali, cartelle cliniche dei pazienti malati o deceduti, oltre a bozze, agende, carte di lavoro per un periodo che va da gennaio in poi. E poi ancora le carte sulla distribuzione dei dispositivi di protezione come le mascherine e l’elenco dei tamponi effettuati su ospiti e personale.
“Mi auguro che la Guardia di Finanza rinvenga le prove di quelli che erano i protocolli operativi in seno all’Istituto dall’inizio dell’anno, il numero dei deceduti e le copie degli avvisi di morte inviati ai comuni di residenza, dato che ai nostri assistiti o non sono stati inviati o sono stati trasmessi incompleti, cioè omettendo le pagine ove sono le cause della morte, viceversa fondamentali in una inchiesta ove, a causa dell’emergenza COVID-19, la procura della Repubblica non ha potuto disporre l’autopsia sulle salme dei tanti deceduti”, ha detto l’avvocato Reboa.
“Nelle denunce presentate dai parenti dei pazienti abbiamo chiesto di accertare se sia stata corretta la scelta” da parte dell’Istituto Palazzolo-Don Gnocchi “di aprire il reparto Covid-19, rispondendo alla richiesta di aiuto della delibera regionale dell’8 marzo e se nel farlo siano state adottate tutte le cautele previste da tale delibera”.
In particolare, continua il legale, “abbiamo chiesto di accertare se non sarebbe stato meglio aprire il reparto Covid in una terza palazzina isolata già esistente, piuttosto che al piano terra della Palazzina Montini“.
Intanto, la cooperativa Ampast ha inviato una contestazione disciplinare con sospensione ai lavoratori che hanno denunciato il Don Gnocchi. La fondazione precisa “di aver legittimamente esercitato il proprio diritto contrattuale di ‘non gradimento’ nei confronti della cooperativa Ampast” perchè quei lavoratori “a mezzo stampa e televisione, avevano espresso giudizi gravi e calunniosi”
Riguardo le azioni disciplinari adottate nei confronti dei lavoratori, l’avvocato Reboa ha dichiarato: “Quello di procedere ad azione disciplinare nei confronti dei lavoratori che hanno denunciato fatti che ritengono abbiano un nesso causale con i contagi propri e di molti colleghi, oltre che la morte di centinaia di anziani, mi sembra corrisponda ad un modus operandi comune a molte RSA, dato che così ha proceduto il 13 marzo anche la cooperativa che gestisce la RSA Virginio Ferrari, ove il mio studio difende altri lavoratori, per una segnalazione fatta al sindaco di Milano. Queste azioni, che a mio avviso saranno sanzionate dalla magistratura anche con riferimento alla recente normativa in tema di whistleblowing di cui alla L. 179/2017, hanno peò un effetto deterrente sugli altri lavoratori, che al rischio di perdere lo stipendio preferiscono rischiare la salute o, persino, la vita”, ha concluso il penalista.
Intanto Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato lo stato di agitazione: “La proclamazione dello stato di agitazione — spiegano i sindacati in un comunicato — è stata inviata, per competenza al Prefetto, alla Cooperativa Ampast e alla Presidenza dell’istituto Don Gnocchi; la stessa è stata inviata a Monsignor Delpini, Arcivescovo di Milano, auspicando un suo intervento verso questo Istituto religioso che non rispetta i diritti dei lavoratori”.
Nel testo in cui sottolineano che “decine di pazienti sono morti e molti di loro soffrono colpiti dall’infezione da coronavirus” e che “molti inservienti e operatori sanitari si sono ammalati prestando le loro cure alle persone fragili ricoverate” Cgil, Cisl e Uil chiedono ” alla Direzione dell’Istituto Don Gnocchi di ritirare la propria dichiarazione di non gradimento e alla Cooperativa Ampast di revocare le sospensioni cautelari oltre che i procedimenti disciplinari avviati” .
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
NEL SERVIZIO DI REPORT EMERGE UNA SITUAZIONE INCREDIBILE NELLE STRUTTURE SANITARIE
Ieri Report ha dedicato un servizio firmato da Emanuele Bellano al Coronavirus in Piemonte e al
modo in cui la Regione ha risposto all’emergenza.
Il conduttore Sigfrido Ranucci ha cominciato raccontando la vicenda delle email di segnalazione dei sospetti casi di COVID-19 sparite e poi ha lanciato la storia di Mario Raviolo e del focolaio di Tortona.
Raviolo è entrato in un convento in cui erano segnalati casi sospetti di Coronavirus con una tuta isolante, che purtroppo non è a disposizione degli operatori sanitari: “Oggi gli operatori del soccorso vengono mandati in giro con i camici che lasciano scoperto parte del corpo: per proteggerci usiamo le buste dell’immondizia”, racconta uno di loro.
Il contrasto delle immagini dei medici con le buste dell’immondizia e del capo del 118 Raviolo che si tutela nella maniera migliore possibile è palese, ma lo stesso Raviolo non sembra impressionato: “Ho usato quello che avevo e che poteva proteggermi in un momento in cui la mia assenza sarebbe stata un problema per la macchina organizzativa”.
A metà marzo, quando l’epidemia è già scoppiata, il problema è l’approvvigionamento di mascherine. Che sembra risolto, secondo l’assessore alla Sanità Icardi, che annuncia un accordo con la ditta Miroglio per produrle.
Ma le certificazioni non sono mai arrivate perchè mancavano di trattamento antibatterico e di linea sterile di produzione. Per questo sono inutili per gli OOSS.
Nonostante questo le mascherine sono state fornite ai medici anche se non offrono protezione contro il virus.
Poi si passa al racconto delle ASL che razionano l’uso di mascherine: un medico racconta che la ASL di Vercelli inoltra una circolare in cui dice che le mascherine non devono essere indossate nelle aree in comune.
L’ospedale Mauriziano invece vuole l’uso della mascherina chirurgica, ma il 22 febbraio il ministero della Salute aveva inviato indicazioni in cui si diceva di usare le FP2.
Si mostra poi il bar dell’ospedale di Alessandria, che ospita malati COVID-19.
Anche l’ospedale Cardinal Massaia di Asti: Gabriele Mantana di Nursind spiega che c’è un reparto COVID-intensivo e, in un ambiente contiguo senza area di svestizione, ci sono gli infermieri. Le aree sono divise — si fa per dire — da buste di plastica.
Stando al NURSID i casi di operatori contagiati alla data del servizio sono 80 (30 secondo la ASL). Nel documento di valutazione del rischio stilato dalla ASL non si parla della vetrata chiusa con buste di plastica con la spazzatura, spiega il responsabile della prevenzione Andrea Cane, che poi dice “Adesso vado a vedere”.
L’assessorato alla Salute spiega che la circolare della ASL di Vercelli sulle mascherine era un errore e per questo è stata ritirata.
Nel frattempo Raviolo è stato rimosso dall’incarico per la gestione del caso Alessandria. Il 7 aprile ad Alessandria ci sono 2mila contagiati, più di Milano in relazione alla popolazione, ma i tamponi sono pochi. In provincia si passa dagli 0 contagi di febbraio ai 2016 di aprile: un focolaio è scoppiato a metà febbraio, i ricoverati passano da 2 a 580 in pochi giorni.
Il primario Guido Chicino racconta la storia di un orchestrale che aveva lavorato in Lombardia e di una sala da ballo nel comune di Sale dove è avvenuto il primo contagio: “Tanti andavano a salutarlo o a stringergli la mano”, raccontano i testimoni. Dopo l’esibizione il batterista 68enne dell’orchestra finisce in rianimazione e si registrano i primi sei casi.
All’epoca Raviolo chiede a chi era in quella sala di contattare il medico curante. Le persone segnalano la loro presenza nel locale ma non vengono sottoposte a tampone e altri testimoni raccontano che alla fine l’unità di crisi e il sistema di sorveglianza non si muovono. Un medico di base dice che il tampone non è stato fatto a un suo paziente da lui segnalato: le persone hanno continuato a girare e a diffondere il virus senza alcun controllo nei loro confronti.
Eppure si tratta di uno dei sistemi sanitari migliori d’Italia e il governatore Cirio non ha mai mancato di tesserne le lodi anche se contava solo su 268 posti in terapia intensiva all’inizio dell’emergenza.
Arriva quindi la storia del Sisp e delle mail smarrite.
Il protocollo per il contenimento prevede che i pazienti positivi vengano registrati dal SISP. Ma via telefono, racconta un medico, è impossibile. E anche via mail non arrivano risposte e nemmeno tamponi. I medici di base segnalano via mail i loro sospetti pazienti positivi e nessuno risponde per qualche tempo, finchè non si scopre che il sistema della posta intasato non ha memorizzato le mail successive e le segnalazioni sono finite perse nel nulla.
Il blocco delle mail fa perdere le segnalazioni e la mail di risposta del sistema che annuncia il sovraccarico arriva solo il 26 marzo. Poi arriva una risposta automatica che dice che senza i dati anagrafici non verrà presa in carico la segnalazione. Icardi, interrogato sul punto, fa sapere che c’è stato un errore di una delle aziende sanitarie piemontesi: “Forse il SISP non ha avuto la capacità di rispondere alle mail e per questo motivo eravamo partiti con una nuova piattaforma informatica”, spiega l’assessore.
Per tutto il primo mese di emergenza la struttura sanitaria del territorio è rimasta in black out, senza possibilità di comunicare.
I team di medici addestrati per l’emergenza non vengono fatti in Piemonte, dice il sindacalista Roberto Venesia. E così l’unità dell’emergenza è diventato un corpo cieco. Sulle mail scomparse ora indagano i NAS su mandato della procura di Torino. La Regione fa sapere che i laboratori per i tamponi erano solamente due.
(da Next Quotidiano)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
SOLO 714 DECESSI E 20.000 CONTAGIATI GRAZIE A MISURE RESTRITTIVE PRESE NEL MOMENTO GIUSTO E AGLI INVESTIMENTI NELLA SANITA’ DEGLI ULTIMI ANNI (+13%)
Poco più di 20mila contagiati e solo 714 morti. Sono i numeri del Portogallo, paese che sta affrontando l’emergenza coronavirus con risultati sorprendenti nonostante confinasse con la Spagna, la nazione che in Europa sta facendo registrare il più alto numero di malati — quasi 200mila — e più di 20mila decessi.
Se è vero, come è vero, che i virus non conoscono confini nè frontiere quello del Portogallo è da considerare un piccolo miracolo, visto anche che il paese ha un altissimo numero di anziani, con circa il 22 per cento della popolazione ulrasessantacinquenne.
Malgrado l’altissimo tasso di persone vulnerabili, quasi un quarto del totale, i numeri dell’epidemia in Portogallo sono così incoraggianti che il governo starebbe ipotizzando una prudente riapertura delle attività nelle prossime settimane, probabilmente anche prima di quando le misure restrittive e il “confinamento” sono destinati a scadere, cioè il 3 maggio. La regione più colpita è quella di Porto, dove si trova il 60% dei contagi e il 57% delle vittime.
Ma come è riuscito il governo portoghese a contenere la diffusione del contagio?
Il primo caso nel paese è stato registrato all’inizio di marzo, qualche settimana dopo gli altri paesi europei, così il primo ministro Antonio Costa ha potuto organizzare una risposta più efficace e tempestiva.
Il segretario di stato Antonio Sales ha spiegato al quotidiano britannico The Guardian che il governo ha varato i provvedimenti giusti al momento giusto, dopo aver monitorato la diffusione del virus già dalla fine di gennaio.
“Il paese — ha detto — era preparato allo scenario peggiore”. Quando nel paese i contagi erano ancora solo 112 il governo ha chiuso le scuole e meno di una settimana dopo dichiarato lo stato di emergenza con un “lockdown” totale.
Contestualmente il ministero della salute ha da subito effettuato molti tamponi e rafforzato i reparti di terapia intensiva. Ciò che più ha fatto la differenza è però ben altro. Da anni infatti il governo portoghese ha aumentato gli investimenti nella sanità pubblica incrementandoli del 13% con 15 mila assunzioni (fra cui 3.700 medici e 6.600 infermieri).
(da Fanpage)
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