Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
“IL VIRUS NON SCOMPARIRA’, OCCORRE CAUTELA, PRIMA LA CURVA DEVE COMINCIARE A SCENDERE”
Riaprire il Paese dopo il lockdown, sia pure gradualmente, sarà un’operazione assai complicata. Se ne riparlerà almeno dopo Pasqua, certo, ma per la Fase 2 manca ancora una strategia definita.
La comunità scientifica guarda con preoccupazione e apprensione a ogni messaggio di apertura, di rilassamento, che viene rivolto alla popolazione.
La Fase 2 sarà altrettanto complessa, richiederà certamente di osservare le regole anti Covid-19 altrimenti slitterà inesorabilmente in avanti: distanziamento sociale, evitare aggregazioni, lavarsi spesso le mani, indossare le mascherine, e così via.
Ma sicuramente potrà essere un orizzonte solo nel momento in cui la curva dei contagi scenderà . Un discorso prematuro, per gli scienziati, mentre ancora si piangono 760 decessi e si registrano 4.668 contagi, anche se nel frattempo c’è un Paese segnato profondamente dall’epidemia dal punto di vista economico e sociale.
“Non illudiamoci, il virus non scomparirà ”, dice all’Huffpost Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità e componente del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile. Dunque, senza un farmaco per la cura, non cambieranno le misure per cercare di evitare e contenere il contagio da Covid-19.
Le regole che hanno scandito la fase uno segneranno anche la fase due. Quella della “convivenza con il virus”, come l’ha definita il premier Giuseppe Conte, annunciando la proroga al 13 aprile delle restrizioni in vigore.
Il Comitato tecnico scientifico della Protezione civile, al quale il Governo ha affidato il compito di fornire indicazioni e suggerimenti – “l’evidenza scientifica” di cui anche ieri sera ha parlato Conte – sta ragionando su alcune strategie che potrebbero rivelarsi utili alla ripartenza dopo il lockdown.
Stando a quel che risulta ad HuffPost, tra gli scienziati l’atmosfera è tutt’altro che rilassata, soprattutto alla luce di due fatti accaduti negli ultimi giorni, che, a loro avviso, dimostrerebbero come, nei fatti, proprio “il decisore politico” – così nel Comitato tecnico scientifico ci si riferisce a Governo e Regioni – sembra non tenere sempre in considerazione la delicatezza della situazione: come il pasticcio comunicativo sulle passeggiate con i bambini, oppure l’inaugurazione – che tanti sui social hanno definito “un vero e proprio assembramento” – dell’ospedale alla Fiera di Milano, con decine di giornalisti e rappresentanti regionali.
Una preoccupazione che viene trasmessa, anche se “le scelte finali spettano comunque al Governo”. Punto, quest’ultimo, sul quale Walter Ricciardi, professore di Igiene, membro dell’Oms e del Cts e da fine febbraio consulente del Ministro della Salute, ci risponde in modo molto netto: “È un fatto obiettivo che il Comitato tecnico scientifico mette a disposizione dei decisori la migliore evidenza scientifica elaborata a supporto della decisione, che, alla fine, spetta alla politica”. Come a dire, non può esserci alcuno scaricabarile in termini di responsabilità delle scelte.
Al momento, il Cts ha deciso di avviare l’indagine di sieroprevalenza nazionale – i test sul sangue per capire quante persone sono state colpite dal coronavirus nel nostro Paese dei quali tanto si sta parlando negli ultimi giorni.
“Il Comitato tecnico scientifico ha deciso di effettuarla”, conferma Rezza. Sarà condotta “su un campione ampio, rappresentativo della realtà nazionale”, ma non sono ancora state stabilite nè le modalità per effettuarla nè i tempi entro i quali si procederà a svolgerla.
“C’è prima di tutto il problema di capire bene quanto sono affidabili i test sierologici, le loro caratteristiche – sensibilità e specificità – vengono analizzate proprio per comprenderne il livello di affidabilità ”, puntualizza l’infettivologo. Ricciardi aggiunge: “È nostra intenzione avviare l’indagine quanto prima possibile, ed è importante farla, ma i test che circolano non danno completo affidamento, non possiamo correre il rischio di avere dati falsati”.
Tra gli obiettivi del Cts c’è anche quello di fornire ai governatori indicazioni su come portare avanti il lavoro in modo univoco, per scongiurare il rischio che ogni Regione proceda a modo suo.
Oggi il ministro per gli Affari Regionali, Francesco Boccia, ha rilanciato sull’urgenza di avere “linee guida sanitarie sui test, che devono essere decise dal Comitato scientifico”, ma nel frattempo, dal Veneto alla Puglia, passando per l’Emilia- Romagna, le sperimentazioni stanno partendo o sono al via in gran parte del Paese. Mentre la Lombardia frena, con il governatore Attilio Fontana che dice “ci atterremo alla scienza” e l’assessore alla Sanità , Giulio Gallera, convinto non sia ancora il momento di avviare questa mappatura, perchè “i kit che oggi sono a disposizione non danno risposte certe”.
Insomma, le Regioni, come è già accaduto a proposito di altri provvedimenti attuati per fermare la diffusione del contagio, stanno andando in ordine sparso per testare quella che potrebbe rivelarsi una valida arma per la fase della riapertura.
Sapere infatti quanti hanno sviluppato immunità al virus sarà cruciale. Talmente tanto che la Regione Lazio ha chiesto “una strategia nazionale unica. Siamo fortemente determinati ad attivare i test su ampio raggio – ha spiegato l’assessore alla Sanità , Alessio D’Amato – ma è “assolutamente imprescindibile vi sia un’unica strategia nazionale per evitare di andare in ordine sparso e soprattutto anche un tetto tariffario per evitare speculazioni”.
Chi è immune potrà tranquillamente rientrare al proprio posto di lavoro e dunque i risultati dell’indagine di sieroprevalenza serviranno anche a programmare il rientro nelle fabbriche, nelle aziende, negli uffici?
“Con delle misure di sicurezza il rientro al lavoro potrebbe essere già programmato, ovviamente dopo Pasqua. Ma va fatto con cautela”, risponde Rezza.
Più cauto Ricciardi, che spiega: “Questo studio e la riapertura non sono collegate. Al Governo abbiamo sempre detto che bisogna valutare, di 15 giorni in 15 giorni, l’evoluzione della curva epidemica. E dunque la riapertura è condizionata all’andamento della curva, che in questo momento sta andando verso un appiattimento”.
Ma non basta, per gli scienziati, per pensare di cominciare a programmare un allentamento delle restrizioni adottate a partire dal 9 marzo scorso.
Per farlo, “dobbiamo avere una curva epidemica in discesa – va avanti il professore, consulente del ministro Speranza – che registri una riduzione del numero dei contagi. E poi dobbiamo arrivare a un abbassamento dell’indice R0”. Vale a dire, l’indice di trasmissione del virus, “attualmente ancora superiore a 1”, sospira Ricciardi.
I dati registrano un aumento di 2.477 malati – in percentuale il dato più basso da un mese – ancora 760 decessi, i guariti raggiungono quota 18.278 (1431 in più in 24 ore) e solo l’11% di persone positive tra quelle a cui sono stati fatto i tamponi.
I tamponi, altra questione assai dibattuta. Da settimane ci si continua a interrogare se farli in maniera estesa o mirata.
Rezza e Ricciardi concordano sul fatto che vanno fatti in maniera mirata “ai sintomatici, anche lievi”. “È molto importante farli nelle aree a bassa incidenza di contagio – fa notare il direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Iss – soprattutto se e quando si allenteranno le misure di distanziamento sociale. Ma certo dipende anche dalla disponibilità dei reagenti nei laboratori in cui devono essere analizzati. In Lombardia è stato difficile fare i tamponi anche ai sintomatici”.
Alla questione dei tamponi è legata anche quella relativa alla sottostima dei dati rilevati sui contagi. “È logico che il sistema di sorveglianza risenta del fatto che non tutte le persone sintomatiche vengono testate. Perdiamo dei casi, ma ci possiamo fare poco – ragiona Rezza – Anche se ci sono Paesi, penso alla Svezia, in cui non vengono sottoposti a tampone neanche le persone che si presentano in ospedale. Personalmente ritengo che la sottostima dei casi notificati sia fenomeno comune a tutti i Paesi”.
La necessità di effettuare tamponi in maniera più massiccia si porrà con evidenza ancora maggiore alla riapertura. “Quando le misure di distanziamento sociale saranno ridotte si dovrà intervenire con maggiore forza su questo fronte”, prosegue Rezza, d’accordo con Ricciardi anche sull’importanza del “contact tracing”, cioè di seguire le catene del contagio.
Tutte questioni aperte che rendono ancora più complicate le decisioni da assumere per la fase due. “C’è la necessità di riavviare alcune attività produttive, lo comprendiamo, ma bisogna farlo gradualmente e con attenzione”, aggiunge l’infettivologo, invitando ad “essere cauti nell’ottimismo”.
Attenzione, cautela massima: sono questi gli imperativi ai quali il Governo dovrà ispirare la propria azione nel periodo in cui si dovrà convivere con il Covid-19. Perchè, è certo, “non illudiamoci, il virus con scomparirà ”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
“IN VENETO CASI GESTITI MEGLIO SUL TERRITORIO”
Intervistato dal Corriere della sera, Giorgio Palù, ex docente di microbiologia a Padova, professore
di neuroscienze a Philadelphia, non lesina critiche alla gestione dell’emergenza coronavirus in Lombardia, che secondo il suo parere sarebbe stata meno efficace di quella attuata in Veneto, regione “che ha ancora una cultura e una tradizione della sanità pubblica, con presidi diffusi sul territorio. La Lombardia, molto meno”.
“In Lombardia – afferma Palù – hanno ricoverato tutti, esaurendo ben presto i posti letto. Il 60% dei casi confermati”. In Veneto invece “i medici di base e i Servizi d’igiene delle Asl hanno fatto filtro: solo il 20%. Tenendo a casa i positivi asintomatici si è evitato l’affollamento degli ospedali e la diffusione del contagio”.
In Lombardia, invece “Nessuno si è ricordato la lezione della Sars. Che è stato un virus nosocomiale, così come lo è il Covid-19. A diffusione ospedaliera. La scelta della Lombardia di trasferire i malati dall’ospedale di Codogno, che era il primo focolaio, ad altre strutture della regione, si è rivelata infelice, e molto perchè ha esportato il contagio, senza per altro che venisse monitorato subito il personale medico. Hanno agito sull’onda emotiva. Tutti dentro. Invece dovevano tenerne fuori il più possibile. Qualcuno non ha capito che questa non è un’emergenza clinica e di assistenza ai malati, ma di sanità pubblica”.
(da “Huffingtnpost”)
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Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
“SOLO COSI’ RIDURREMO IL RISCHIO DEL CONTAGIO”… IL PROBLEMA E’ CHE NON SONO ANCORA DISPONIBILI PER LA POPOLAZIONE DOPO 24 GIORNI
“Se tutti usiamo le mascherine riduciamo il rischio del contagio. E quando il lockdown finirà potremo riavvicinarci in modo protetto”. Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, contraddice quando sostenuto finora dall’Organizzazione mondiale della Sanità
Professore Pregliasco, arrivano informazioni diverse e contraddittorie. Per l’Oms non è necessario che le persone indossino le mascherine chirurgiche, a meno che non si sia effettivamente malati di Covid-19. Ma in Italia e negli altri Paesi è iniziata una corsa alla ricerca del materiale protettivo, da distribuire non solo negli ospedali. Da esperto lei cosa dice?
La mascherina è un elemento che può servire per riavvicinarci in modo più protetto.
Insisto. L’Oms dice che non sono necessarie perchè invece dovremo continuare a mantenere la distanza.
Tutto il contrario. Le mascherine dovranno servire per riavvicinarci. In un contesto generale, considerato che un positivo o un sospetto positivo deve portare la mascherina, ma in molti casi anche un asintomatico può trasmettere il Covid-19, è necessario che ognuno di noi la indossi. Soprattutto perchè non è possibile fare i test sugli asintomatici.
Quindi dobbiamo immaginare un futuro in cui ognuno di noi uscirà con addosso una mascherina?
Serve nelle condizioni di rischio, quindi serve agli operatori sanitari prima di tutto. A livello di popolazione può servire per riprendere i rapporti sociali.
Oggi però abbiamo difficoltà a reperire anche le mascherine essenziali.
Infatti prima vanno date agli operatori sanitari, poi a seguire al resto della popolazione. Le mascherine danno un senso di sicurezza, se tutti portiamo le mascherine riduciamo il rischio del contagio.
È possibile allora stimare quante mascherine serviranno ogni mese alla popolazione italiana composta da 60 milioni di persone?
No, una stima non è stata fatta. Ma attenzione, vanno usate con criterio. Se vado a fare jogging da solo nel parco, la mascherina non serve. Così come se mi trovo da solo in macchina.
Quindi la ripresa della vita cosiddetta ‘normale’ sarà con addosso le mascherine.
Facciamo un esempio, in molti posti di lavoro non si riescono a rispettare le misure di sicurezza o la distanza. È ovvio che serviranno le mascherine. Per non parlare in Lombardia.
Cosa intende quando parla di Lombardia?
I casi positivi sono ancora molto alti e soprattutto nel Nord d’Italia ci sono molti asintomatici che hanno contratto il virus. Dovranno portarle tutti. In un contesto come la Lombardia ci dobbiamo considerare tutti positivi.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
I LEADER DEL PARTITO POPOLARE: “L’UNGHERIA STA VIOLANDO I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE E I VALORI EUROPEI”
A scoppio ritardato, la Commissione europea e un gruppo di 14 Paesi Ue – tra cui l’Italia –
esprimono la proprio “preoccupazione” per “alcune misure di emergenza” che rischiano di violare “i principi dello Stato di diritto e della democrazia”.
Dopo il richiamo indiretto di martedì, questa volta la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, cita esplicitamente l’Ungheria, dove il Parlamento ha investito il premier Viktor Orban di pieni poteri senza limiti temporali.
Più generica la dichiarazione dei 14 Paesi, tra cui Italia, Francia, Germania e Spagna: “In questa situazione senza precedenti, è legittimo che gli Stati membri prendano misure straordinarie”, ma “siamo profondamente preoccupati dal rischio di violazione dei principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali che derivano dall’approvazione di alcune misure di emergenza”. Tali misure, sottolineano i firmatari, “dovrebbero essere proporzionate e provvisorie”.
Un concetto espresso anche da Von der Leyen, che questa volta menziona esplicitamente il caso ungherese: “Riconosco che le misure di emergenza nella crisi della pandemia del coronavirus possono essere necessarie, ma sono preoccupata che alcune misure vadano troppo oltre, ed in particolare sono preoccupata per la situazione in Ungheria”. “Le misure devono essere limitate, strettamente proporzionate, adeguate, non durare a tempo indeterminato, e soprattutto essere soggette a regolare controllo” del Parlamento.
A puntare il dito apertamente contro Orban sono i leader di tredici partiti nazionali del Partito Popolare Europeo, che hanno chiesto con una lettera a Donald Tusk l’espulsione del Fidesz (il partito di Viktor Orban) dalla più grande formazione politica dell’Ue, dopo l’adozione della legge d’emergenza sul coronavirus che permette al primo ministro ungherese di governare per decreto a tempo indeterminato.
“Questa è una chiara violazione dei principi fondamentali della democrazia liberale e dei valori europei”, si legge nel testo della lettera: “il virus non può essere usato come presto per estendere indefinitamente lo Stato d’emergenza. Temiamo che il primo ministro Orban userà i suoi nuovi poteri per estendere il controllo del governo sulla società civile”.
La lettera è firmata dai leader della Cd&V e dalla CdH in Belgio, di Top 09 in Repubblica ceca, del Partito Popolare Conservatore in Danimarca, del Partito della Coalizione Nazionale in Finlandia, da Nuova Democrazia in Grecia, dai Cristiano Democratici in Lituania, dal CSV in Lussemburgo, dalla CDA in Olanda, da SPOLU in Slovacchia, dai Cristiano Democratici e dal Partito dei Moderati in Svezia, dal Partito Conservatore in Norvegia.
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
L’EMERGENZA CORONAVIRUS CONSIGLIA I TEDESCHI DI AFFIDARSI A CHI GOVERNA… I SOVRANISTI DI AFD PERDONO DUE PUNTI
Per la prima volta dal giugno del 2018, la Grande coalizione al governo in Germania dal 14 marzo dello stesso anno, formata da Unione cristiano-democratica (Cdu), Unione cristiano-sociale (Csu) e Partito socialdemocratico tedesco (SpD) è al 50 per cento dei consensi.
È quanto si apprende da un sondaggio condotto dall’istituto demoscopico Kantar per il quotidiano “Bild”, secondo cui a mobilitare le preferenze per i partiti di governo è la gestione della crisi provocata dalla pandemia di coronavirus.
Dallo scorporo dei dati risultata che il campione premia soprattutto l’Unione, gruppo conservatore formato al Bundestag da Cdu e Csu, che guadagna 4 punti rispetto alla scorsa settimana e sale al 24 per cento, confermandosi primo partito in Germania.
I Verdi mantengono la seconda posizione, ma perdono due punti e ottengono il 19 per cento.
La SpD è subito dietro al 18 per cento, in rimonta di due punti.
Alternativa per la Germania cede due punti e scende all’11 per cento. Segue La Sinistra, invariata al 9 per cento.
Chiude la classifica il Partito liberaldemocratico, che perde un punto e si attesta al 6 per cento.
(da Agenzia Nova)
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Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
IN GERMANIA IL GOVERNO REGALA 5.000 EURO AGLI AUTONOMI IN DIFFICOLTA’ PER IL CORONAVIRUS… SALVINI SI VERGOGNA AD AMMETTERE CHE LA MERKEL TUTELA I LAVORATORI NON A PAROLE?
Ci sono Paesi che stanno simpatici e Paesi che stanno meno simpatici. ![](https://i.postimg.cc/8CxpD841/salvini-633x360.jpg)
Lo sa bene Matteo Salvini, che negli scorsi giorni ha alimentato la polemica del foglio svizzero per ottenere subito 500 mila franchi in Svizzera.
Così come è stata raccontata da Salvini la storia è una bufala, considerato che si tratta di “fino a 500 mila franchi” di credito ponte, un prestito che andrà quindi restituito poi. Quello che il Matteo nazionale ha dimenticato di sottolineare, però, è che in la Germania è riuscita a gestire l’erogazione di sussidi senza troppo intoppi, arrivando ad accreditare sui conti corrente dei cittadini 5 mila euro in pochi giorni.
Un procedimento che non ha nulla a che vedere con tutti i problemi del nostrano sito Inps.
Ogni paese europeo sta attuando dei provvedimenti per aiutare i suoi cittadini. Anche la Germania. E sembra, da quanto restituiscono i quotidiani tedeschi e da quello che si legge su Twitter, che l’erogazione dei sussidi nel paese stia procedendo a gonfie vele
Forse al leader della Lega non fa piacere a tessere le lodi della Germania, forse preferisce riportare solo esempi che tornino utili alla sua propaganda.
Fatto sta che non ha sicuramente portato come modello da seguire quello utilizzato dalla Germania e dalle varie province tedesche. In particolare, a Berlino i lavoratori autonomi si sono visti accreditare sul c.c. 5 mila euro. Salvini nella diretta di questa mattina ha insistito nel mostrare il foglio svizzero per avere 500 mila euro — come ha affermato nel corso del video.
Sono molte le testimonianze di liberi professionisti — tedeschi e non — che in questi giorni hanno ricevuto un bonus di 5 mila euro direttamente sul proprio conto corrente grazie alle misure si sostegno attuate in Germania contro l’emergenza coronavirus.
Una testimonianza di un lavoratore autonomo italiano rilasciata a Repubblica conferma che, da residente nella città di Berlino, ha ricevuto 5 mila euro.
Il testimone racconta di aver «prenotato la possibilità di inserire la domanda» venendo poi avvertito via mail rispetto alla sua posizione nella “coda telematica” e ricevendo poi il via libera. Dopo aver inserito una manciata di informazioni e autodichiarato di aver subito perdite per via del coronavirus, ha mandato la domanda. Dopo un paio di giorni ha ricevuto l’accredito. Dall’inserimento nella coda al bonifico sono trascorsi quattro giorni.
Anche la Germania ha il suo bel da fare e non è facile, comunque. Garantire la domanda dei bonus e la corretta erogazione ha portato anche la Bundesrepublik a registrare problemi. Sovraccarico di richieste e falle nel sistema della privacy sono stati all’ordine del giorno anche per gli autonomi tedeschi che hanno domandato il sussidio.
Il tutto sembra essere rientrato nel giro di poco tempo, lasciando nei cittadini di Berlino che hanno potuto beneficiare della somma di denaro la sensazione che le cose abbiano funzionato per il meglio e grazie a una procedura semplice.
Oltre ai 5 mila euro per gli autonomi berlinesi la nazione prevede sussidi a livello statale per lavoratori singoli e imprese. Il sistema berlinese ha smesso di accettare domande da mercoledì pomeriggio, come riporta Welt e come annunciato dal Dipartimento per gli affari economici del Senato, per tornare a dare la possibilità di fare domanda dal 6 aprile all’interno di un programma di aiuti federale uniforme.
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
A NAPOLI OPERA UN TEAM DI MEDICI TEDESCHI DI JENA… INVIATE 7 TONNELLATE DI AIUTI, TRA CUI I RESPIRATORI
Un totale di 113 pazienti malati di Covid-19 provenienti da altri paesi dell’Unione Europea sono stati accolti negli ospedali della Germania per essere curati.
Di questi 85 provenivano dalle zone più colpite dal virus in Francia, 26 dall’Italia e due dall’Olanda.
Il trasferimento in Germania di alcuni di questi pazienti è stato assicurato dalla Bundeswehr.
Negli ospedali tedeschi restano disponibili 81 posti letto per malati provenienti dal nostro paese, 13 per pazienti trasferiti dalla Francia.
La Germania ha anche offerto disponibilità ad accogliere pazienti dalla Spagna. Da ieri inoltre è attivo a Napoli un team di medici ed infermiere dell’ospedale Universitario di Jena.
La Germania ha infine inviato sette tonnellate di aiuti in Italia, tra cui respiratori e maschere per l’ossigeno.
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
GLI STRANIERI CHE NON PARLANO BENE LA NOSTRA LINGUA FATICANO A COMPRENDERE LE DISPOSIZIONI
Da quando l’emergenza Coronavirus ha imposto la chiusura delle questure, la pagina Facebook di
Refugee.Info è stata sommersa di richiesta d’aiuto.
«A breve scadrà il mio permesso di soggiorno e non so come fare», scrive qualcuno sotto ai post. «Per favore, ditemi come posso fare per rinnovare i miei documenti prima che scadano», commenta qualcun altro.
Oltre alle difficoltà burocratiche, tutte le domande dei rifugiati e dei richiedenti asilo hanno una cosa in comune: non sono scritte in italiano. Non parlando bene la lingua, molti di loro non sono riusciti a districarsi nel — già difficile — mare di provvedimenti pubblicati nelle ultime settimane.
«Gli stranieri in Italia fanno fatica a capire cosa sta succedendo», racconta Susanna Zanfrini. Susanna è la coordinatrice in Italia del Comitato internazionale di soccorso (International Rescue Committee), un’ong che si occupa di dare assistenza alle persone in difficoltà in 40 Paesi nel mondo, con un focus particolare sui soggetti migranti e sulla loro integrazione nei vari territori.
Nel 2018 è stata aperta in Italia la piattaforma Refugee.Info, che, attraverso sopratutto l’utilizzo dei social network, lavora per raggiungere e aiutare il maggior numero di persone possibile. Il loro gruppo Facebook ne raccoglie più di 18mila.
Nei giorni del lockdown totale, il loro canali web già avviati gli hanno permesso di mantenere più facilmente i rapporti con i rifugiati e i richiedenti asilo in Italia.
E, soprattutto, di far arrivare le informazioni anche a tutte quelle persone che fanno fatica a leggere in italiano. «Molti di loro non erano a conoscenza della proroga per il rinnovo dei permessi di soggiorno fino al 15 giugno», spiega Susanna. «Così come non hanno chiaro come evitare multe durante gli spostamenti (a proposito di moduli di autocertificazioni e di fraintendimenti burocratici, Ndr) o come avere accesso ai vari sussidi economici previsti dal “Cura Itala”».
Elena Caracciolo segue il progetto Refugees.Info da quando è attivo in Italia. Con il diffondersi del Covid-19, le persone che vivevano già in gravi condizioni di incertezza e instabilità hanno visto peggiorare la loro situazione in tempi brevissimi, senza poter mettere a fuoco al meglio quali conseguenze ne sarebbero derivate e su quali risposte avrebbero potuto far affidamento.
«Molti di loro hanno perso il lavoro e ora ci chiedono quali sono le misure adottate dal governo a sostegno dei lavoratori e delle famiglie», racconta. «Riceviamo spesso chiamate da persone spaventate perchè non riescono a pagare l’affitto».
Non è raro, infatti, avere testimonianze di richiedenti asilo che vivevano in case senza contratti formali, e che in questi giorni sono stati sfrattati dai proprietari senza alcun preavviso. «Recentemente ci ha chiamati una persona da Roma che si è ritrovata in mezzo alla strada dal nulla», spiega Elena. «Per fortuna siamo riusciti a metterla in contatto con le realtà che offrono aiuto nella capitale».
La situazione è grave anche all’interno dei centri di accoglienza.
Con le nuove disposizioni e con i dispositivi di protezione individuali che scarseggiano, alcune attività di volontariato sono state sospese e gli operatori non riescono a continuare il loro lavoro nei vari centri.
«Abbiamo ricevuto richieste d’aiuto da persone lasciate completamente sole, che davanti al peggioramento della loro salute non sapevano a chi rivolgersi», racconta ancora Elena. «Noi gli abbiamo fornito il numero di telefono nazionale e regionale per le emergenze, perchè non avevano nemmeno quelli».
Inevitabilmente, l’aggravarsi di una condizione di vita già precaria ha inciso sulla stabilità emotiva di molti. Per questo, Susanna ed Elena spiegano che l’ong si è attivata per garantire l’accesso al supporto psicologico gratuito per chi ne ha bisogno. «Quel che facciamo è mettere in contatto le persone con alcune realtà che operano servizi sanitari gratuiti per i migranti in diverse lingue», spiega Elena.
Tra queste c’è Etna, un’associazione con base a Roma che normalmente fornisce supporto psicologico ai migranti sul territorio, ma che durante l’emergenza ha esteso il servizio a tutta Italia, riferendosi anche agli operatori che lavorano nei vari centri di accoglienza.
C’è poi Mèdecins du Monde, l’ong che offre assistenza sanitaria anche a chi non possiede un medico di famiglia.
E infine Ipso Care, con base in Germania, che fornisce supporto psicologico in diverse lingue tramite videochiamata. «Durante questo periodo di lockdown è di vitale importanza riuscire a raggiungere tutti e tutte», dice Susanna. «E noi lavoriamo quotidianamente affinchè nessuno sia lasciato solo».
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2020 Riccardo Fucile
“NECESSARIO EVITARE LA DISPERSIONE DI MIGLIAIA DI PERSONE SUL TERRITORIO IN PIENA EMERGENZA”
I migranti ospitati nel sistema di accoglienza italiano, circa 85 mila, rimarranno al loro interno durante l’emergenza coronavirus anche se non ne hanno il diritto.
Diversi di loro non hanno più i requisiti per rimanere nelle strutture del ministero dell’Interno o della rete Siproimi gestita con i Comuni: richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta, minorenni soli che hanno raggiunto la maggiore età , ospiti di progetti di enti locali in scadenza, trattenuti nei Cpr oltre i termini.
Il rischio è la dispersione di migliaia di persone sul territorio nel pieno dell’emergenza Covid-19 e dei divieti di spostamento.
Ed ecco che il Viminale ‘chiude le porte’ sollecitando i prefetti a proseguire e garantire l’accoglienza anche per chi “non ha più titolo a permanere nei centri”.
Il Governo sta inoltre pensando ad una norma per autorizzare una proroga fino al 31 dicembre – senza gara ed in deroga al Codice degli appalti – dei progetti di accoglienza dei Comuni (la gran parte scadono il 30 giugno) e per autorizzare la permanenza fino al termine dell’emergenza degli stranieri nelle strutture del ministero. Per l’allungamento del periodo di accoglienza si stima una spesa di 42,3 milioni di euro.
Dai territori sono giunti diversi segnali di allarme sui migranti in uscita dai Centri ed anche sulle condizioni delle strutture, alle prese con l’emergenza Coronavirus.
Il capo Dipartimento libertà civili ed immigrazione del ministero, Michele Di Bari, ha quindi invitato oggi i prefetti con una circolare ad “assicurare nelle strutture di accoglienza il rigoroso rispetto delle misure di contenimento della diffusione del virus previste a livello nazionale”, per evitare l’esposizione ai rischi di contagio per i migranti accolti e per gli operatori, nonchè di generare situazioni di allarme sociale dovute al mancato rispetto, da parte dei primi, dell’obbligo di rimanere all’interno delle rispettive strutture”.
Per i nuovi arrivati (i dati sono comunque in netto calo negli ultimi giorni, a marzo sono sbarcati in 241) occorre accertare che “non presentino patologie infettive ed in particolare sintomi riconducibili al virus Covid-19.
A tal fine sarà necessario che vengano sottoposti prioritariamente al previsto screening” sanitario e successivamente siano applicate le misure di sorveglianza e di isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni.
“Solo al termine di tale periodo e sempre che non siano emersi casi di positività al virus – si sottolinea – i migranti potranno, ove ritenuto necessario, essere trasferiti in altra struttura di accoglienza, previo rilascio di idonea certificazione sanitaria”.
La circolare ribadisce, inoltre, “la necessità di assicurare che nell’ambito dei centri vengano adottate le necessarie misure di carattere igienico-sanitario e di prevenzione, nonchè evitate forme di particolare concentrazione di ospiti”. Ed invita infine a individuare spazi all’interno dei centri, o strutture apposite, da destinare, in caso di necessità , all’applicazione delle misure della sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o permanenza domiciliare, anche ricorrendo al potere di requisizione.
Intanto, prosegue la tensione in uno dei luoghi che non fanno parte del sistema ufficiale di accoglienza, la tendopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), che ospita 450 stranieri, per lo più braccianti nei campi e ora disoccupati a causa per l’emergenza sanitaria. Il sindaco ha chiesto l’invio di ulteriori tende e bagni da allestire all’esterno per isolare eventuali casi di contagio o un potenziale ospedale da campo. Ci sono solo 7 bagni nella tendopoli. Difficile rispettare le prescrizioni anti-Covid.
(da “Huffingtonpost”)
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