Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
IL REALE COSTO PER LO STATO DIPENDE DA QUANTE IMPRESE FALLIRANNO (PIU’ O MENO REALMENTE)… LE STIME DEL TESORO SONO TROPPO OTTIMISTICHE, SOLO IL 6% PER UN ESBORSO DI 24 MILIARDI… MA SE ARRIVASSERO AL 30% SAREBBERO 120 MILIARDI, CIFRA DA FAR SALTARE LE CASSE DELLO STATO
Si fa presto a dire garanzie per 400 miliardi. E subito si immaginano, burocrazia permettendo, folle di micro e medi imprenditori che si accalcano agli sportelli bancari e chiedono di indebitarsi a condizioni vantaggiose con la copertura dello Stato.
Ma quanti di questi imprenditori alla fine rimborseranno i loro debiti?
E quanto costeranno allo Stato le garanzie erogate su questi stessi debiti?
Le organizzazioni industriali temono le lungaggini delle procedure mentre la situazione richiederebbe il massimo di semplificazione. Ma il Decreto Liquidità varato lunedì, dopo un lungo braccio di ferro tra Ministero dell’Economia, Movimento Cinque Stelle e Italia Viva proprio sul capitolo delle garanzie, ha tutta l’aria di una scommessa incerta e carica di rischi per i conti dello Stato.
Sul mercato delle analisi economiche impazzano le previsioni sul debito italiano per quest’anno e per il prossimo. Sono previsioni diverse e connesse anche all’andamento del Pil oltre che agli effetti delle misure di sostegno dell’economia.
Si va dal 165 per cento, con una recessione stimata che balza a due cifre a fine 2020, di Abn Amro Bank, al più contenuto ma sempre elevato 148 per cento di Morgan Stanley.
Il Cerved, la società che valuta il merito creditizio delle aziende, valuta per il sistema imprenditoriale italiano una perdita tra 275 e 469 miliardi quest’anno.
Un banchiere ci dice che il rapporto debito Pil <potrebbe schizzare al 170 per cento>. Sono numeri da default del Paese.
Eppure, nel valutare l’impatto sui conti del Decreto del 6 aprile, il governo appare ottimista.
A muovere l’ago dell’impatto tra il segno meno e il segno più della bilancia, è la stima delle escussioni, vale a dire di quella quota di prestiti di cui le banche chiederanno il rimborso allo Stato garante perchè il debitore non ha pagato.
E’ al momento dell’escussione infatti che l’importo viene caricato sul bilancio dello Stato. Se le escussioni per esempio fossero un terzo dei 400 miliardi di crediti garantiti, l’impatto sarebbe di 120 miliardi, se fossero il 10 per cento l’impatto sarebbe di 40 miliardi, se fossero il 6 per cento, come stimato dal governo nel precedente Decreto Cura Italia per la moratoria dei debiti esistenti, sarebbe di 24 miliardi.
Tutto dipende insomma da quanti imprenditori alla fine pagheranno o falliranno facendo scattare la garanzia dello Stato.
Secondo gli esperti il 6 per cento è largamente sottovalutato, è un dato contabile di comodo. Nel 2019 sono fallite in Italia oltre 8mila imprese. Quest’anno di quanto aumenteranno? Raddoppieranno, quintuplicheranno o decuplicheranno?
Le favorevoli condizioni dei prestiti inoltre potrebbero indurre molti a indebitarsi sapendo che alla fine, male che vada, si aprirà un lungo contenzioso fiscale, quando lo Stato cercherà di recuperare i soldi della garanzia.
Per come è costruito infatti il provvedimento lascia aperto un varco al così detto moral hazard.
Gli imprenditori infatti si indebitano ora e cominciano a pagare le prime rate mensili nel gennaio 2022 per sei anni a un tasso d’interesse prossimo allo zero.
Il peso del debito è quasi impercettibile, dunque. Alla fine dovrà essere rimborsato, ma il debitore potrebbe anche decidere di non pagare e andare in contenzioso scommettendo sui tempi della giustizia italica che sono quelli che sono. Le conseguenze sullo stock di debito si amplierebbero.
Con il Decreto Liquidità il governo ha mobilitato 200 miliardi sotto forma di garanzie su prestiti offerte alle imprese che lavorano per il mercato interno e altri 200 a sostegno dell’export.
Le garanzie coprono il 100 per cento dei prestiti fino a 25mila e a 800 mila euro (in questo secondo caso con il contributo di Confidi), mentre la copertura è del 90 per cento per i finanziamenti fino a 5 milioni.
Il decreto interessa una platea di oltre 17 milioni di aziende, la stragrande maggioranza di taglia piccolissima, piccola e media. E’ l’esercito che fa girare l’economia italiana e che si spera di riportare sul campo di battaglia una volta superata l’emergenza sanitaria. Il Decreto Liquidità sono i suoi rifornimenti, la benzina e i mezzi per sopravvivere, una potenza di fuoco senza precedenti, ha detto Giuseppe Conte.
Quella potenza di fuoco potrebbe diventare un boomerang?
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DEL NIGUARDA: “NON SE NE SENTIVA IL BISOGNO DI SCIMMIOTTARE LA CINA PER UN’OPERA INUTILE”
Non si placano le polemiche attorno al nuovo Ospedale in costruzione al Portello. Tra ritardi e le difficoltà logistiche, la fenomenologia del «più grande centro di terapia intensiva in Italia» resta confusa
Prima 400 posti, poi 205.
Prima una settimana per l’apertura dei primi moduli, poi 10 giorni, poi 14.
Alla fine, l’opera di conversione dello spazio di Fiera Milano City a Portello in un «hub per la rianimazione», voluta dal presidente della giunta Lombarda Attilio Fontana, ha impiegato più tempo del previsto.
E a dieci giorni dalla conferenza stampa in cui si annunciava l’ingresso a stretto giro dei primi 24 pazienti in terapia intensiva affetti da Coronavirus, la struttura apre le porte a soli 3 pazienti.
Da previsione, la “fase due” del progetto dovrà terminare tra 2 giorni (il 12 aprile), ma al 31 marzo, data della conferenza stampa che ha rappresentato l’unica fonte di informazione diretta per la stampa, alcune domande risultavano ancora senza risposta.
La struttura resterà o verrà smantellata? «Quando sarà il momento la struttura verrà smontata», aveva detto Enrico Pazzalli (presidente della fondazione Fiera Milano). «No, non si sa ancora, il governo vuole replicarla quindi potrebbe restare», aveva immediatamente aggiunto Fontana.
E soprattutto,quali pazienti ospiterà ? Ezio Belleri, direttore generale del Policlino di Milano — ente che ha preso in carico la gestione della struttura- aveva parlato di un carico da oltre 200 posti. Ma occupati da chi?
Da chi è già in terapia intensiva nelle altre strutture ospedaliere o dai nuovi malati gravi? Altra domanda sviata in conferenza stampa («questo non lo sappiamo, vedremo», avevano detto in coro), ma estremamente importante per capire l’effettiva portata dell’opera, costata — come dichiarato ufficialmente — 21 milioni in donazioni raccolte dalla Fondazione Comunitaria (al 29 marzo si parlava di 1.560 donatori).
A buttare altra benzina sul fuoco è stata anche la testimonianza anonima di un medico a Business Insider: «L’altra notte dal Policlinico ci hanno mandato un paziente da intubare (il terzo, ndr) perchè non avevano posto nella loro terapia intensiva. Quel paziente è la dimostrazione che l’ospedale in Fiera non aggiunge neanche un posto in più alle terapie intensive già presenti a Milano. Ci si limita a spostarle da un luogo ad un altro, in questo caso dicono che hanno portato in Fiera il personale della Mangiagalli».
I letti pronti dovrebbero essere 53 (circa 48 dalla prima fase). Quanti sono i sanitari già a lavoro? Ufficialmente si era parlato di 1000 assunzioni a pieno regime tra medici, infermieri e altre figure di supporto.
Al momento a lavorarci sono circa una cinquantina, che lavorano su turni giornalieri. E potrebbe essere proprio questa una delle ragioni del rallentamento: la difficoltà , in un momento di estrema emergenza nazionale, di trovare personale trasferibile.
Si era cercato un accordo con il Piemonte, al quale la Lombardia aveva promesso 53 posti letto nel nuovo centro, ma a patto che gli mandassero 50 anestesisti. Un accordo che era poi finito nel nulla e che aveva creato non poche polemiche.
La cifra dei sanitari va a unirsi al caos dei numeri sulle riforniture di respiratori, non propriamente facili da reperire.
«Sarà un vero ospedale, non un lazzaretto», aveva annunciato Guido Bertolaso, chiamato dalla Regione a coordinare i lavori. Ma oltre alle frasi a effetto e al lavoro impeccabile di operai, volontari e medici, di chiaro sul futuro (a breve e lungo termine della struttura) c’è ancora poco.
«Oggi con l’inaugurazione dello pseudo “ospedale” in fiera mi sento triste», ha commentato il 6 aprile il cardiologo Giuseppe Bruschi, Dirigente Medico I livello dell’ospedale Niguarda. «L’idea di realizzare una terapia intensiva in fiera non sta ne in cielo ne in terra…La Lombardia non aveva certo bisogno di dimostrarsi superiore alla Cina costruendo un “Ospedale” in fiera… bastava vedere quanto fatto da tutti i dipendenti degli Ospedali Lombardi che in questi 40 giorni hanno “creato” oltre 600 posti di rianimazione dal nulla, con il loro costante lavoro e sostanzialmente senza risorse…».
(da Open)
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Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
STANZIATI 900 MILIONI: PENSIONI AL MINIMO PORTATE PER DUE MESI A 1000 EURO, ALLE PICCOLE IMPRESE 2000 EURO, A PARTITE IVA 1000 EURO, ALLE AZIENDE AGRICOLE 1500 EURO… ENTRO FINE APRILE UNA BOCCATA DI OSSIGENO
Nella diretta su Facebook in cui ha fatto un confronto tra l’ospedale di Napoli e quello della Fiera di Milano, Vincenzo De Luca ha anche annunciato una serie di misure economiche per i cittadini e le imprese campane.
De Luca dice che la Regione ha approvato un piano da 900 milioni di euro per le piccole imprese e i professionisti che verranno dettagliate sul sito della Campania da martedì prossimo.
Per la parte sociale del piano De Luca ha chiesto un elenco dei disabili per trasferirgli un bonus, non farà pagare le residenze universitarie e annuncia un bando pubblico per le famiglie con ragazzi sotto i 15 anni.
Per lo sport la Regione prevede sostegni a gestori di palestre e di attività che sono state bloccate e annuncia anche ulteriori contributi per le attività sportive.
Il presidente fa sapere che le pensioni al minimo verranno portate a 1000 euro a maggio e giugno: non solo gli assegni sociali ma anche le pensioni di vecchiaia al di sotto dei mille euro, per circa 250mila beneficiari totali: “L’erogazione del contributo avverrà con le stesse modalità con cui l’INPS eroga la pensione mensile”.
Poi critica le decisioni del governo, vantando le sue che sono “a fondo perduto secondo il principio pochi, maledetti e subito, mentre le misure nazionali avranno tutta una serie di complicazioni, a partire dall’istruttoria delle banche per il credito agevolato. Noi abbiamo lavorato per portare da subito i soldi dal mese di aprile, dall’ultima settimana”.
La seconda misura è una una tantum di 2000 euro alle piccole imprese, quelle con meno di dieci dipendenti e colpite dalle chiusure con sede operativa in Regione ed iscritte al Registro delle Imprese e che hanno registrato un fatturato al di sotto dei 100mila euro.
Le domande devono essere compilate online e inviate alla Regione Campania, fa sapere De Luca: “Dalla prossima settimana pubblicheremo sul sito della Regione il modulo per la domanda che può essere compilata dal titolare dell’impresa o dal commercialista”. Secondo il presidente ci sarà una settimana di tempo per presentarla. L’ammissione al beneficio verrà comunicata via PEC.
Ci saranno poi verifiche a campione e segnalazione alla Guardia di Finanza. I professionisti, gli autonomi e le Partite IVA che hanno fatturato meno di 35mila euro avranno un bonus da mille euro con compilazione della domanda online e firma digitale da parte dell’interessato: “Noi verifichiamo solo la presenza del professionisti delle casse di previdenza degli ordini professionali o della gestione separata dell’INPS”, aggiunge De Luca.
Il bonus è cumulabile a quello del governo da 600 euro.
Le aziende agricole con partita IVA e iscritte alla Camera di Commercio avranno 1500 euro con fino a 5 dipendenti e duemila per chi ha più di cinque dipendenti.
Le domande vanno presentate attraverso un centro di assistenza agricola (CAA) autorizzata che effettuerà i controlli. I lavoratori stagionali delle attività alberghiere avranno tramite l’INPS di 300 euro per quattro mensilità da marzo a giugno: la misura interessa 25mila soggetti.
Nel sito della Regione sarà aperta una sezione sul piano socio-economico, conclude De Luca: “L’obiettivo che abbiamo è di cominciare a pagare per la fine di aprile. Con i tempi dell’Italia è un miracolo”.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
LA COSIDDETTA COVID TAX, PROPOSTA DAL PD, NON E’ UNA TASSA, MA UNA IMPOSTA, I SOVRANISTI FANNO DEMAGOGIA… FERMO RESTANDO CHE NON CI CONVINCE PERCHE’ NON RISOLVI IL DOPO-COVID CON 1,3 MILIARDI
Ha provocato molte reazioni la proposta del Partito Democratico di istituire una nuova imposta (perchè non si può parlare di tassa) denominata Covid Tax.
Il Movimento 5 Stelle ha rispedito la richiesta al mittente, così come Italia Viva che ha parlato di folle operazione. Le opposizioni si sono scagliate contro il PD (anche se Salvini aveva proposto un qualcosa di simile, senza però mettere paletti, nei giorni scorsi) e il tutto sembra essere già messo in soffitta.
Sta di fatto che si è creata gran confusione parlando di patrimoniale. Ma quel termine è completamente sbagliato.
La cosiddetta Covid Tax — se mai dovesse vedere la luce — non può essere equiparata a una patrimoniale. Si tratterebbe, infatti, di un contributo di solidarietà che si basa sul reddito dei cittadini.
La quota individuata dal Partito Democratico è quella degli 80mila euro in su. Una sorta di mossa alla Robin Hood: togliere ai ricchi (o presunti tali) e dare ai più poveri.
Al netto delle legittime critiche che si possono muovere su una proposta come la Covid Tax (noi pensiamo che non serva a nulla come norma anti-Covid perchè alla fine l’entrata sarebbe di appena 1,3 miliardi) occorre sottolineare due aspetti formali ma necessari.
Innanzitutto si tratta di un’imposta sul reddito, perchè si parla di un qualcosa che non viene versata per servizi, ma servono allo Stato per una redistribuzione all’interno della popolazione.
Una tassa, invece, viene corrisposta per il pagamento di un servizio ricevuto da ogni singolo cittadino, come quella sui rifiuti o quella sulle tasse patrimoniali.
Perchè non si può parlare di patrimoniale?
Come detto, questa proposta può essere criticata e anche rispedita al mittente. Ma occorre parlare con termini corretti, cosa che invece la politica si ostina a non fare, perennemente vittima di una ricerca di consenso popolare.
La patrimoniale, infatti, non si basa sul reddito di ogni singolo cittadino (esiste anche quella riservata alle società e alle cosiddette persone giuridiche), ma — come dice il nome — sul patrimonio stesso.
E per patrimonio si intende quello mobile e immobile. Dunque: case (e tutto quello che vi è intorno), denaro, investimenti, fondi, obbligazioni, valori preziosi e azioni.
Il contributo di solidarietà , si calcola proprio sulla base della dichiarazione dei redditi (che non comprende tutte le opzioni di cui si è parlato precedentemente).
Due facce diverse di due medaglie anch’esse diverse. Parlare di patrimoniale in riferimento alla cosiddetta Covid Tax è fuorviante e sbagliato. Soprattutto per rispetto dei cittadini.
Utilizzare quel termine, da sempre spauracchio per gli italiani, serve solo a foraggiare del risentimento. La proposta del PD, anche se può esser considerata sbagliata (sia per modi che per quella base di partenza di 80mila euro), può essere contestata legittimamente. Ma con i giusti termini e argomenti da offrire alla platea.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
DOPO IL VOTO DEL 2011 AL PARLAMENTO EUROPEO (PDL FAVOREVOLE, CON MELONI MINISTRO), NEL LUGLIO 2012 (GOVERNO MONTI APPOGGIATO ANCHE DAL PDL) FU ASSENTE ALLA VOTAZIONE ALLA RATIFICA DEL MES ALLA CAMERA MA NON ESPRESSE DISSENSO… FDI NACQUE BEN 5 MESI DOPO PERCHE’ BERLUSCONI RIFIUTO’ DI FARE LE PRIMARIE ALLE QUALI LA MELONI SI VOLEVA CANDIDARE
Ci sono due momenti cruciali da prendere in esame per quanto concerne la nascita del MES.
Il primo risale al 23 marzo 2011, quando il Parlamento europeo diede il suo “OK” per una prima sottoscrizione del Meccanismo di Stabilità Europea.
In quella fase era ancora operativo il governo Berlusconi, con Giorgia Meloni ministro,e il Pdl votò a favore.
La Lega si era detta contraria al Mes ma stranamente al momento del voto, non risulta agli atti il voto di Salvini, ufficilamente assente
.Il MES, però, si concretizza in modo definitivo poco più di un anno dopo, a luglio 2012, soprattutto sotto la spinta di PD e PdL. Proprio a quest’ultimo partito apparteneva ancora Giorgia Meloni, la quale nei report ufficiali riguardanti la famosa votazione numero 13 (seduta numero 669 del 19 luglio 2012 in merito al “Trattato di istituzione del MES”, con Ddl 5359 e conseguente voto finale) risulta assente.
Il governo in carica, all’epoca, era guidato da Mario Monti e sostenuto dal Centrodestra (Lega esclusa) — che all’epoca rispondeva al nome di Popolo delle Libertà — e anche dai partiti di Centrosinistra.
Giorgia Meloni faceva parte della maggioranza che sosteneva quel governo e che votò (la maggioranza) il trattato di istituzione del Mes.
Nel giorno del voto a Montecitorio sul Mes lei non era presente in Aula. Giorgia Meloni dice che non si espresse sul tema come forma di dissenso. Parla di dissenso, ma dai registri delle presenze di OpenPolis l’attuale leader di FdI non risultava essere presente in Aula in quel 19 luglio del 2012. Ovvero non è uscita per non partecipare a quella votazione, ma era proprio assente.
E non manifesto’ mai il proprio dissenso dal voto del gruppo, dissociandosi.
Ricollegare come fatto dalla stessa leader di Fratelli d’Italia questa forma di dissenso all’addio al Popolo delle Libertà non è cronologicamente corretto.
Il suo partito, infatti, venne fondato molti mesi dopo: era il 20 dicembre di quello stesso anno quando annunciò il suo addio al partito di Berlusconi per fondare il proprio insieme a Crosetto e La Russa.
Ben cinque mesi dopo: una decisione arrivata dopo che l’ex Cavaliere decise di non voler fare le primarie (dove invece, nel mese di novembre, si candidò proprio Giorgia Meloni)
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
SALVINI IN TILT SBAGLIA PURE: “CONTE HA FATTO UN COMIZIO CONTRO DI ME SULLA TV DI STATO”, NON SI E’ ACCORTO NEANCHE CHE ERA UNA DIRETTA FB (RIPRESA DA QUALCHE TV)
La dura presa di posizione di Giuseppe Conte nel corso della sua conferenza stampa trasmessa sui suoi canali social (e su quelli della Presidenza del Consiglio) ha provocato l’immediata reazione del leader della Lega, colpito sulle «falsità dette sul Mes» da lui e dalla sua collega di coalizione Giorgia Meloni.
Salvini accusa Conte di aver utilizzato la tv di Stato per fare un comizio contro di lui, paragonando tutto ciò all’Unione Sovietica.
Peccato che si trattava di una conferenza stampa (non un messaggio alla nazione) e, tra l’altro, era trasmessa sui canali sociale (e di rimbalzo dalle televisioni)
La conferenza stampa, innanzitutto, non era un qualcosa di esclusiva della Tv di Stato dato che la Rai l’ha mandata in onda utilizzando il segnale (come fatto da tutte le altre televisioni) di Palazzo Chigi.
Ma Salvini non risponde nel merito delle accuse di Conte, anche perchè essendo vere e documentate, non saprebbe come replicare.
E allora che fa? Cambia discorso: «Perchè non hanno bloccato il MES? Perchè il PD vuole la tassa patrimoniale? Perchè i 5Stelle vogliono ancora bloccare la TAV? ? Perchè non aiutano davvero partite IVA e autonomi? Quando arriveranno i soldi promessi alle imprese? ”
Tanto per precisare (da persone indipendenti quali siamo e continueremo a essere):
1) Perchè mai l’Italia avrebbe dovuto bloccare il Mes visto che diversi Pesi alleati nella battaglia per gli Eurobond sono favorevoli a utlizzarli, visto che si tratta di soldi cash?
2) Il Pd non ha presentato alcuna tassa patrimoniale, solo una proposta per una tassazione di solidarietà sui redditi, a scalare per far fronte all’emergenza. Discutibile o meno, ma altra cosa.
3) Che c’entra la Tav non il Mes?
4) Partire Iva e autonomi ricevono 600 euro al mese (molti continuando pure a lavorare)
5) I soldi alle imprese (senza garanzie reali) sono stati stanziati
Quindi Salvini non parla più del Mes, cerca di sparare altre cartucce a salve come arma di distrazione di massa.
Passiamo alla Meloni
La leader di Fdi ha replicato: ”Una vergogna approfittare dei media per dire menzogne” (che parli per sè?).
Nel merito del Mes non entra neanche lei: “”Il premier Conte indice una conferenza stampa pochi minuti prima dell’edizione più vista dei tg per accusare l’opposizione di dire menzogne, senza possibilità di replica e senza contraddittorio. Credo non si sia mai vista una cosa del genere nella storia della democrazia, e la dice lunga sulla tracotanza di questo governo”.
Chi si aspettava una replica dettagliata sulle menzogne che ha scritto per tutto il pomeriggio resta deluso: il problema è che Conte ha fatto una diretta Fb come lei, segno di un regime autoritario (pensava ad Orban?)
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
NESSUN DIRIGENTE ITALIANO AVEVA MAI RAGGIUNTO LA GUIDA DI UN COLOSSO INTERNAZIONALE FACENDO GUADAGNARE 120 MILIARDI AI SUOI AZIONISTI
La nomina di Vittorio Colao alla guida della task-force per la ricostruzione post-coronavirus inverte, per una volta, il flusso di quella fuga dei cervelli che ha portato molti dei migliori talenti manageriali e scientifici italiani oltrefrontiera.
Il curriculum vitae del 58enne manager bresciano ha cerchiata infatti in rosso una carica che nessun dirigente italiano (o quasi) ha mai raggiunto: la guida – per dieci anni — come numero uno di un colosso internazionale come Vodafone, che Colao ha trasformato da operatore telefonico puro in un gruppo integrato nell’universo digitale e dei media, raddoppiandone gli abbonati da 269 milioni a 536 milioni.
Laureato in Bocconi e completato il cursus honorum universitario con un Mba ad Harvard, Colao ha mosso i suoi prima passi in Morgan Stanley e McKinsey per approdare poi nel 1996 in Omnitel Pronto Italia, il secondo operatore di telefonia cellulare italiano nato da una costola dell’Olivetti.
Sono gli anni ruggenti del boom del mobile e delle bolle della new economy. Colao e Omnitel li cavalcano alla grande, la società viene comperata prima dai tedeschi di Mannesmann poi da Vodafone dove il manager italiano diventa presto responsabile per l’Europa Meridionale, il Medio Oriente e l’Africa.
Il primo ritorno in patria di Colao — appassionato ciclista con nelle gambe diverse migliaia di chilometri l’anno — è del 2004. Quando il salotto buono della finanza italiana lo chiama a fare da “paciere” nell’azionariato un po’ turbolento di Rcs. Operazione complessa, vista l’eterogeneità (allora) dei soci del gruppo. E due anni dopo il manager lascia dopo uno scontro sull’acquisizione in Spagna (“troppo costosa”, diceva lui e il tempo gli ha dato ragione) della casa editrice Recoletos.
Nel 2006 torna così all’”ovile” di Vodafone dove sale la scala gerarchica fino — nel 2008 – alla poltrona di amministratore delegato.
Colao in dieci anni ha mandato in porto una gigantesca riconversione industriale del colosso delle tlc: ha venduto per 130 miliardi la partecipazione in Verizon nel 2013, ha puntato altissimo sull’India, ha chiuso, prima delle dimissioni nel 2018, l’acquisizione di alcune attività di Liberty nel mondo dei media che hanno cambiato definitivamente la pelle di Vodafone. Dieci anni in cui l’azienda ha restituito ai suoi azionisti qualcosa come 120 miliardi di valore
Dal 2018 è stato candidato a diverse decine di poltrone di peso tra cui quella di supermanager per le Olimpiadi di Milano e Cortina. Ma lui si è ritagliato solo un ruolo come consulente di un fondo di private equity, General Atlantic.
Prima della nomina che lo riporterà in Italia con tutto il suo bagaglio d’esperienza per dare una mano al paese in uno dei momenti più complessi del dopoguerra.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
“IL MES ESISTE DAL 2012, VOTATO DAL GOVERNO BERLUSCONI QUANDO LA MELONI ERA MINISTRA: CON LE MENZOGNE STANNO FACENDO UN DANNO ALL’ITALIA”
Questo è il passaggio della conferenza stampa di Giuseppe Conte in cui il presidente del Consiglio risponde alle bufale di Salvini e Meloni sul MES.
“Mi corre l’obbligo di fare alcune precisazioni: il MES esiste dal 2012, non è stato attivato la scorsa notte come falsamente e irresponsabilmente è stato dichiarato — questa volta lo devo dire, devo fare nomi e cognomi — da Matteo Salvini e Giorgia Meloni: lo stanno ripetendo dalla scorsa notte per tutte queste ore. Non è assolutamente così. Questo governo non lavora col favore delle tenebre, questo governo guarda in faccia gli italiani e parla con chiarezza, se ha qualche proposta da portare la porta guardando negli occhi gli italiani. L’Eurogruppo non ha firmato nulla nè ha istituito alcun obbligo”, attacca.
Conte perde quasi la voce per l’arrabbiatura, come si sente dal video: “E’ una menzogna questa”.
Il capo del governo, ricorda che la nascita del Mes risale al 2012 (quando venne attivato a livello europeo), ma il Parlamento italiano si era espresso favorevolmente nel 2011. Il governo che per primo approvò l’attivazione del Meccanismo Europeo di Stabilità , fu quello Berlusconi (mentre fu ufficializzato da quello guidato da Mario Monti). E Giorgia Meloni — come ha ricordato Giuseppe Conte — faceva parte di quella maggioranza che votò favorevolmente. La futura leader di FdI era ministro della Gioventù (anche se il giorno del voto non era in Aula). Insomma, dire che il Mes sia una novità non è vero.
Conte accusa Meloni e Salvini, ma non solo. Il presidente del Consiglio ha sottolineato come l’Italia non chiederà mai l’accesso al Mes e, soprattutto, ieri sera non è stato firmato alcun documento. Il compito dell’Eurogruppo, infatti, era quello di fare proposte che poi saranno discusse dai leader degli Stati Membri. Ma la posizione dell’Italia sarà contraria.
E si riferisce proprio alle bufale di ieri notte sulla firma del MES da parte di Gualtieri, paragonato a Giuda dal deputato della Lega Claudio Borghi.
Con le menzogne “rischiamo di compromettere la nostra forza negoziale”, con le menzogne “non si indebolisce il presidente del Consiglio Conte ma l’Italia”, continua Conte. “Falsità e menzogne ci fanno male, perchè ci indeboliscono nella trattativa. Avevo fatto un appello alle opposizioni, ma quello che e’ successo stanotte rischiano di indebolire non il premier Giuseppe Conte o il governo, ma l’intera Italia, perchè è un negoziato difficilissimo”.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2020 Riccardo Fucile
LA STORIA DEL MEDICO DI FAMIGLIA DI TREVISO: “AVEVA SEMPRE TEMPO PER TUTTI, IN QUESTI GIORNI HA CERCATO DI FERMARE IL VENTO CON LE MANI, PER SETTIMANE SENZA MASCHERINA”
Samar Sinjab era una dottoressa, medico di famiglia a Treviso. È morta ieri, dopo aver contratto il coronavirus ed è la vittima numero cento tra i camici bianchi caduti durante l’emergenza sanitaria in atto.
Oggi a raccontare la storia della dottoressa Sinjab è il figlio, sulle pagine del Corriere della Sera.
L’ultimo sms digitato sulla tastiera del telefonino è stato per uno dei suoi pazienti. “Ha lavorato fino alla sera di venerdì 6 marzo – racconta il figlio –. Sabato mattina è stata ricoverata. Il suo ultimo messaggio WhatsApp è di domenica e l’aveva inviato a un paziente con le indicazioni per la terapia da seguire, poco dopo è stata intubata”.
Samar Sinjab era nata in Siria 62 anni fa ed era andata via da Damasco per venire a studiare medicina in Italia, all’Università di Padova. Sposata col collega Omar El Mazloum, la dottoressa era mamma di due figli, anche loro medici.
“Era così fiera di loro – ricorda adesso Paolo Zambon, titolare della farmacia di Borbiago vicina allo studio di Samar Sinjab –. Ma aveva sempre tempo per tutti. Una volta che mi aveva sentito un po’ mogio al telefono, mi richiamò dopo venti minuti per chiedermi che cosa potesse fare per me. Siamo andati a mangiare una pizza insieme” […] Dall’inizio dell’epidemia la dottoressa Samar ha tentato in ogni modo di “fermare il vento con le mani”, per usare l’espressione del suo collega Stefano Righi. Per settimane senza dispositivi di protezione, guanti, mascherina, visiera.
(da “Huffingtonpost”)
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