Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
“VOLEVO CONTROLLARE CORSO ITALIA”, MA IL LATO MARE DELLA PASSEGGIATA ERA STATA VIETATA DAL SINDACO E LUI NEANCHE LO SAPEVA… MULTA DA 280 EURO
L’hanno pizzicato i vigili in corso Italia, mentre passeggiava con il cane al guinzaglio e la baguette che usciva dallo zaino. Tipicamente francese.
Federico Bertorello, consigliere della Lega con delega agli Affari Legali, ai cantunè – come vengono chiamati a Genova i vigili urbani – che domenica scorsa gli contestavano di non aver rispettato l’ordinanza del sindaco Bucci, ha tirato fuori il tesserino e si è qualificato. “Sono un consigliere del Comune, sto controllando che non ci siano assembramenti per poi fare una segnalazione”.
Niente da fare, i due agenti sono stati inflessibili. Giustificazione bocciata e multa: 280 euro. E così, l’avvocato è diventato il primo politico della giunta a finire per così dire nei guai per non aver rispettato uno dei tanti divieti ai tempi del coronavirus.
I vigili non si sono fatti convincere. Hanno pensato che se avesse avuto una delega alla protezione civile avrebbe avuto un senso fare dei controlli, ma che c’entra essere delegato agli affari legali?
“È un mio dovere, anzi un mio diritto, sono un pubblico ufficiale ed ero nell’adempimento delle mie funzioni”
Un errore così grossolano, però, proprio lui non lo doveva commettere.
“I vigili mi hanno contestato, anche con un modo piuttosto sgarbato, che mi trovavo sul lato mare di corso Italia, dove era vietato passeggiare dall’ordinanza. Ammetto che non lo sapevo, non ero stato informato”.
Il principio secondo cui la legge non ammette ignoranza, dovrebbe lui conoscerlo bene e poco importa se stava svolgendo il suo mandato. “Pagherò la multa, poi avvierò un’azione legale nei confronti dei due agenti…”.
Bertorello racconta la brutta domenica. “Sono andato a comprare il pane in via Cavallotti. Tenevo il mio cane al guinzaglio e anche se avevo la tuta e il piumino, non stavo certo andando a fare jogging. Prima di tornare a casa, ho pensato di dare un’occhiata in corso Italia perchè mi erano arrivate tante segnalazioni dei cittadini di gente che passeggiava nonostante il divieto. Ero sul lato mare, sono arrivati i due vigili e mi hanno contestato il mancato rispetto dell’ordinanza”.
Come si sa, dopo il caso della folla di gente a prendere il sole a Boccadasse, era scattato l’embargo, il divieto assoluto di camminare sul lato mare di corso Italia e di accedere alle spiagge.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
SOLO DAL MES POTREBBERO ARRIVARE 35 MILIARDI CON UNA SOLA CONDIZIONE: SPENDERLI SOLO PER LE CONSEGUENZE DEL CORONAVIRUS, DIRE DI NO SIGNIFICA NASCONDERE ALTRI INTENTI E DARE RAGIONE A CHI PENSA CHE IN ITALIA I SOLDI CE LI SPUTTANIAMO… IL SURE COPRIREBBE I COSTI DELLA CASSA INTEGRAZIONE E LA BEI CONCEDEREBBE 200 MILIARDI DI PRESTITI ALLE IMPRESE DEL CONTINENTE
Gli eurobond rischiano di non planare nemmeno al tavolo della discussione tra i ministri dell’Economia dell’eurozona alla riunione dell’Eurogruppo martedì prossimo in videoconferenza.
Oggi il ministro socialista tedesco Olaf Scholz lo ribadisce ancora una volta, nonostante il suo partito sia a favore: “No ai coronabond”.
La soluzione che si profila, sulla quale anche l’Italia sta trattando, viaggia su tre strade: Mes a condizioni light, il fondo di liquidità da 200 miliardi per le imprese disposto oggi dalla Bei e il piano ‘Sure’ della Commissione europea di sostegno al lavoro.
A sera però il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri sottolinea in una nota che “non possiamo rispondere a uno shock comune e simmetrico con politiche fiscali asimmetriche che amplierebbero i divari tra Paesi. Pertanto la risposta comune europea sarà adeguata solo se comprenderà l’emissione comune di bond europei per finanziare i piani nazionali di risposta all’emergenza coronavirus”.
In merito al Mes, “per l’Italia è uno strumento inadatto a gestire questa crisi nella forma attuale – insiste Gualtieri – Come ha detto il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, solo un Mes senza condizionalità che conservi del vecchio meccanismo solo il nome, diventando di fatto un fondo per la lotta alla pandemia, potrebbe essere adeguato a concorrere, insieme agli altri strumenti, a una risposta europea all’altezza della sfida che deve essere imperniata su soluzioni nuove”.
Ma il pacchetto con tre strumenti di azione arriva da Berlino. Ecco le parole del ministro e vice-cancelliere Scholz: “Ci sono tre pilastri su cui si intende puntare”, il primo è che gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati a prendere in prestito dal Meccanismo europeo di stabilità “una somma equivalente al due per cento della loro performance economica”. Ciò consentirebbe loro di stabilizzare le finanze pubbliche senza dover pagare premi elevati. “Per l’Italia sarebbero circa 39 miliardi di euro”.
Inoltre, continua il ministro tedesco, la Banca europea per gli investimenti dovrebbe essere messa in condizione di “prestare 50 miliardi di euro alle aziende che ne hanno urgente bisogno”.
E come terzo punto, gli Stati membri dell’Ue dovrebbero essere aiutati a far fronte all’improvviso aumento della disoccupazione: “La Commissione Ue ha appena presentato delle proposte in merito che ricordano la mia idea di un sistema di riassicurazione della disoccupazione”.
Oggi il Consiglio di amministrazione della Bei, la Banca europea per gli investimenti, ha deciso di proporre all’Eurogruppo la creazione di un fondo di garanzia di 25 miliardi che consentirà di offrire alle imprese europee liquidità per effettuare investimenti fino a circa 200 miliardi.
La Francia condivide il pacchetto tedesco, benchè non abbia del tutto abbandonato l’asse con l’Italia sugli eurobond.
Roma comunque tratta sulle condizioni light del Mes, ancora tutte da scrivere. E soprattutto insieme a Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia non ottiene gli eurobond. Nemmeno per sogno, almeno finora.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
QUALCUNO LO AVVISI CHE RAI SCUOLA ESISTE GIA’ DAL 1999
Matteo Salvini punta a ricercare i modelli più esotici per affrontare quest’emergenza coronavirus, ma così facendo si perde le nostre soluzioni casalinghe, quelle del made in Italy a lui tanto caro.
Oggi, via social network, ha lanciato un altro slogan acchiappa click e acchiappa like per cercare di individuare una soluzione pratica a questo anno scolastico 2019/2020 destinato a concludersi in maniera così diversa rispetto alla tradizione.
Il leader della Lega, attaccando il sistema della didattica a distanza che in questi giorni è stata adottata da quasi tutte le scuole italiane, afferma una cosa che in linea di principio è corretta: non tutti hanno a disposizione strumenti informatici o connessione a internet per poter seguire le lezioni. Ma poi individua una soluzione non proprio innovativa.«La Lega — ha detto Salvini — ha proposto che, come accadrà da aprile in Australia sulla rete ABC, la televisione pubblica dedichi un canale (la Rai ne ha 13) alle lezioni per gli studenti: scuole elementari la mattina, medie e superiori il pomeriggio. Non tutti in Italia hanno connessione internet o Wi-Fi, non tutte le famiglie hanno i soldi per Pc o tablet. Il diritto allo studio deve valere per tutti, non possono esserci bimbi e ragazzi di Serie B. Che ne pensate?».
Probabilmente, assecondando una delle caratteristiche della sua comunicazione (quella dell’amarcord italiano), Matteo Salvini pensava a una sorta di maestro Manzi 2.0, con una classe collegata in diretta televisiva per approfittare degli insegnamenti di quello che veniva considerato il maestro degli italiani.
Peccato, però, che la Rai abbia già un canale tematico dedicato alla scuola e che ce l’abbia già da più di vent’anni. Rai Edu è stato fondato infatti nel 1999. Successivamente, nel 2008, il canale ha assunto il nome di Rai Scuola.
Rai Scuola è destinato, nella sua funzione originale, principalmente all’insegnamento di discipline scolastiche ai bambini della scuola primaria e ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado.
Si insegnano le scienze, la lingua inglese, ma anche l’educazione stradale. Un insieme di programmi prodotti dalla BBC e dalla Rai completano l’offerta formativa che, nell’ultimo periodo, consta anche di documentari e di percorsi tematici adatti a tutti gli indirizzi di studio.
Insomma, Matteo Salvini propone oggi una soluzione che la Rai aveva previsto già nel 1999: non certo a causa del coronavirus.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
IGNORANZA COSTITUZIONALE, DIFESA DI UN PALLONE GONFIATO RAZZISTA CHE VINCE LE ELEZIONI SOLO PERCHE’ CONTROLLA TUTTI I MEDIA E IMPEDISCE AI MAGISTRATI DI INDAGARE SUI SUOI AFFARI E CONTI ESTERI
“In Ungheria è stato deliberato lo stato d’emergenza, come è stato deliberato da noi, e questo dà dei poteri molto importanti anche sulle libertà delle persone al presidente ungherese come al presidente Conte. Con la differenza che Orbà¡n almeno gli ungheresi se lo sono scelto”.
Giorgia Meloni a L’Aria che tira poco fa ha spiegato un po’ a modo suo (diciamo) cosa è successo in Ungheria anche se nel frattempo dimostra di non avere nessuna intenzione di farsi entrare in testa che gli italiani non si sono mai “scelti” il presidente del Consiglio che dalle nostre parti viene nominato dal presidente della Repubblica.
Allora forse è necessario un ripasso. Il Parlamento ha approvato una legge che dà al premier pieni poteri per un periodo illimitato di tempo.
E già questo è diverso da quanto è successo in Italia, dove lo stato d’emergenza è stato dichiarato per sei mesi e può essere rinnovato ma ha un limite di tempo. In Ungheria lo stato di emergenza prevede la sospensione delle elezioni, carcere per chi diffonde fake news (chissà cosa succederebbe a Salvini e Meloni in Ungheria se postassero un video su un laboratorio cinese che ha inventato il Coronavirus…) e consente a Orbà¡n di governare per decreto fino alla fine dello stato emergenza che potrà essere revocato solo con un voto dei due terzi del parlamento (Fidesz, il partito del premier, ha i due terzi dei voti).
Le opposizioni hanno parlato di deriva autoritaria, e in un paese che è già considerato a “democrazia ridotta” e che rischia sanzioni in base all’articolo 7 del Trattato di Lisbona la cosa non sorprende poi troppo.
Salvini dice che il voto è una libera scelta del parlamento democraticamente eletto ma il rapporto dell’OSCE sulle elezioni del 2018 ha sollevato parecchi dubbi sulle modalità con cui si sono svolte le ultime elezioni politiche.
Per la cronaca, dal 2015 in Ungheria è in vigore uno stato di emergenza relativo alla questione dei migranti, sono cinque anni e non è ancora stato revocato. Cosa che non fa ben sperare sulla revoca di questo nuovo provvedimento
«Uno Stato d’emergenza illimitato e incondizionato non può garantire il rispetto di regole e valori della democrazia» ha detto il Consiglio d’Europa.
In Italia invece Salvini — quello che qualche giorno fa si è accorto che il 31 gennaio in Italia è stato dichiarato lo Stato di Emergenza per la durata di sei mesi suggerendo che si tratti di un attacco alla democrazia — e Meloni non hanno detto nulla.
Forse perchè non vogliono intromettersi negli affari di Orbà¡n (ma il premier magiaro invece ha mano libera per dire ciò che vuole sull’Italia). O forse perchè i sovranisti nostrani non hanno abbastanza coraggio per mettersi contro il vero uomo forte.
Loro se la prendono invece con Giuseppe Conte, accusandolo di essere un uomo solo al comando e lamentandosi del fatto che «è un momento troppo delicato per l’Italia e per gli italiani per escludere qualcuno e per lasciare solo in mano a qualcun altro queste decisioni» (Matteo Salvini, 22 marzo) oppure chiedendo di aprire il Parlamento, che non è mai stato chiuso.
Salvini e Meloni si sono anche diffusamente lamentati del fatto che il Governo non li vuole ascoltare e non vuole discutere sulle loro proposte.
In Ungheria l’opposizione non è stata minimamente consultata (così come non venne consultata al momento della riforma costituzionale). Ma questo evidentemente è solo un dettaglio.
Perchè la sedicente destra italiana, quella che loda la decisione presa dal parlamento ungherese democraticamente eletto è fatta così: sbava sull’autoritarismo altrui presentandolo come l’apice della democrazia mentre in Italia magari ci dà grandi prove di democrazia chiedendo “pieni poteri” durante un comizio, facendo cadere il Governo dalla consolle di uno stabilimento balneare, raccontando agli italiani la storia del premier non eletto dal popolo oppure non andando quasi mai in Parlamento.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
LA LOMBARDIA E’ LA REGIONE PER CUI IL GOVERNO HA FATTO DI PIU’: DALL’INVIO DEI MEDICI A UN TERZO DI TUTTI I RESPIRATORI DISPONIBILI
Ma quanto si lagna Attilio Fontana?
Il governatore della Lombardia, con il suo sguardo torvo ed il suo tono inutilmente apocalittico continua nel tentativo disperato di politicizzare l’emergenza virus, di trasformare il Corona in una occasione per predicare una sorta di secessionismo sanitario. Fontana chiama di continuo a raccolta “i lombardi” per nuove crociate, cerca di inventare una identità etnica a mezzo posto letto, si esercita in ogni occasione possibile nel tuonare contro lo stato centrale, contro il governo, contro la Protezione Civile senza tenere più il benchè minimo contegno istituzionale.
In conferenza Stato-Regioni, però, quelli che fanno la voce grossa si sono opposti alla sacrosanta scelta di trasparenza del governo, che ha deciso di rendere pubblico sui siti istituzionali i quantitativi di aiuti e rifornimenti distribuiti in queste ore.
Per capire come non sia una questione politica sarebbe bastato seguire la puntata di Cartabianca di martedì, ospite Luca Zaia. Dal presidente della Regione Veneto non è arrivata una sola parola di lamentela contro il governo centrarle. Non una sola polemica. Non una recriminazione.
Forse perchè Zaia ha azzeccato le scelte strategiche con cui ha affrontato l’emergenza (è stato il primo a puntare tutto sui tamponi, gliene va dato atto), forse perchè è più sicuro di sè, forse perchè è terribilmente efficiente, forse perchè non è minimamente preoccupato dall’idea che i suoi cittadini possano essere insoddisfatti del suo operato.
Lo stesso ragionamento si potrebbe fare per Alberto Cirio, governatore del Piemonte, e anche per Giovanni Toti, che ha fatto sì i suoi distinguo, ma senza mai rifugiarsi nella geremiade e nella strumentalizzazione politica.
Adesso non cadrò nell’errore inverso e speculare, in quello cioè di esercitarmi nella caccia pesante alle tante magagne della giunta della Lombardia in questa emergenza.
Ma il tentativo di trasformare l’ospedale della Fiera in una battaglia della guerra di Indipendenza contro Roma, va detto, è tanto scoperto quanto plateale e risibile. C
osì come è grottesca l’idea di dipingere la propria regione come “abbandonata”. Proprio ieri, fra l’altro, quando con un gesto di solidarietà straordinaria da tutta Italia, il governo ha completato il trasloco in Lombardia dei primi due contingenti di medici volontari arruolati dalla Protezione Civile.
Hanno fatto il tampone al Celio, hanno dormito nelle caserme della Protezione Civile, hanno volato con gli aerei della Guardia di Finanza, vengono trasferiti da convogli delle forze dell’ordine, con uno sforzo corale che coinvolge tutti i corpi e tutti i livelli dello Stato: una orchestra sinfonica della solidarietà .
E sono tremila i medici e settemila gli infermieri. Perchè non parla di loro, Fontana? Perchè non dice che un terzo di tutti i respiratori acquistati dal governo sono stati (giustamente) destinati in Lombardia?
Perchè non aggiunge che quando Guido Bertolaso (giustamente) anche dopo questa ripartizione, ha detto “me ne servono di più” al ministro Francesco Boccia gli ultimi trenta respiratori acquistati (venivano dalla Russia), già assegnati ad altre destinazioni, sono stati (giustamente) dirottati sull’ospedale della Fiera?
Ma chi mai direbbe “questo ospedale lo abbiamo fatto da soli noi umbri” o “noi pugliesi” o “noi laziali”? (Ci mancherebbe altro).
Quanto è patetica e grottesca questa ansia caricaturale di mettere il timbro, lo scudetto, la bandierina, l’aggettivo “etnico” su ogni cosa.
Quando ho ricordato queste cose all’assessore Gallera — ieri sera a PiazzaPulita — giustamente non ha fiatato. Non ha negato, cioè, uno solo di questi dati (come era ovvio) e non ha speso una sola parola (saggiamente) per difendere il suo presidente piangente. Mica scemo. Però una cosa importante la voglio aggiungere: tra i volontari che si erano presentati per andare ad aiutare in Lombardia c’era un medico del Sud di 81 anni, che (per ora) è stato scartato, insieme ad altri ultra-settantenni, allo scopo di evitare di mettere a rischio uomini potenzialmente più vulnerabili al virus per la fascia anagrafica di cui fanno parte.
Bisognerebbe spiegare al lagnoso Fontana che quest’uomo, e gli altri come lui, quando si è presentato era di certo consapevole che avrebbe corso un rischio aggiuntivo rispetto ad un collega più giovane. Tutto gli consigliava di non rispondere all’appello d di restare a casa. Tuttavia questo medico non ha esitato a comunicare alla Protezione Civile la sua disponibilità , non per aiutare “i lombardi”, che non esistono, ma gli italiani che abitano in Lombardia, che tutti noi amiamo, al pari degli altri italiani di ogni altra regione.
Cittadini che sono nostri fratelli, malgrado le lagne del governatore che si è ritrovato alla guida della Regione in un momento così drammatico.
(da TPI)
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Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
OGNI GIORNO SI SPOSTA DA FIUMEDINISI AL CAPOLUOGO PER “RAGIONI DI LAVORO”
A provocare la reazione dei social a quella sua fotografia è stato, quasi sicuramente, quel suo atteggiamento da duro uomo della legge quando dalla Calabria stavano sbarcando centinaia di persone nella sua Messina.
Ma Cateno De Luca ha voluto rispedire al mittente le accuse di chi, sempre attraverso commenti sulla sua pagina Facebook, sosteneva che il sindaco avesse violato le norme previste dall’ultimo decreto sul Coronavirus.
Il riferimento è al divieto di spostamento dal comune in cui ci si trova. E il popolo della rete era rimasto sbigottito nel vedere quel suo selfie scattato in una cittadina a 30 chilometri da Messina.
Il post originario — prima della modifica con il chiarimento — mostrava Cateno De Luca con uova fresche e insalata appena raccolta in mano. Il tutto è stato raccolto a Fiumedinisi, come spiegato dallo stesso primo cittadino, sua città natale e luogo in cui vivono i suoi genitori.
«Informo chi parla e scrive senza sapere che io sono residente a Fiumedinisi, dove sono nato e cresciuto, dal luglio del 2018 e qui dormo con la mia famiglia — ha scritto Cateno De Luca dopo le prime polemiche social -. I miei genitori sono contadini, vivono in campagna e a me e ai miei fratelli ci riforniscono di prodotti freschi e così evito di comprarli al supermercato e comunque mi sposto da Messina a Fiumedinisi e viceversa per motivi di lavoro. Spero che ora sia tutto chiaro e che qualche cretino la smetta di strumentalizzare i miei post che se non sono di gradimento può anche evitare di leggerci».
Quindi, Cateno De Luca è residente proprio a Fiumedinisi (di cui è stato anche primo cittadino) e ogni giorno, per ovvi motivi di lavoro — dato che ora è sindaco di Messina — compie quel tragitto di 30 km per spostarsi da un comune all’altro.
E tutto ciò non è impedito dagli ultimi DPCM che indicano lo spostamento di comune in comune in caso di esigenze lavorative.
Quello che ha fatto storcere il naso agli utenti, però, è proprio quel che è scritto nel post: «Stamattina Mia madre mi ha telefonato verso le 7:00 e mi ha intimato di andare in campagna da lei a prendere otto uova fresche e quattro lattughe appena raccolte». Tutto ciò farebbe propendere per uno spostamento senza giusta causa, ma nessuno di noi — neanche chi ha commentato sui social — conosce l’ubicazione e l’eventuale prossimità tra le abitazioni del sindaco di Messina e quella dei genitori.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
CARTABELLOTTA: “SOVRASTIMATO IL DATO DEI GUARITI, DI MOLTI LO STATO DI GUARIGIONE NON E’ NOTO”
In Italia stiamo sovrastimando il tasso di guarigione dal coronavirus: e questo perchè i dati non vengono comunicati nella maniera corretta.
Ad affermarlo è la fondazione Gimbe, think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario, che in collaborazione con YouTrend ha analizzato i dati che ci vengono comunicati ogni giorno.
Numeri importantissimi non solo in quanto si propongono di garantire un’informazione trasparente alla popolazione, ma anche come fattori influenti in materia di politica sanitaria.
Secondo Gimbe ci sarebbero delle gravi incongruenze per quando riguarda la categoria che la Protezione Civile identifica come “Guariti”: Fanpage.it ha fatto il punto della situazione con il presidente della fondazione, il dottor Nino Cartabellotta.
La Fondazione Gimbe ha riscontrato incongruenze sui casi “Guariti” da coronavirus, comunicati giornalmente dalla Protezione Civile. Di che cosa si tratta?
Il report quotidiano della Protezione Civile contiene una colonna verde denominata “Dimessi/Guariti”, mentre in calce allo stesso documento, in una tabellina riassuntiva, il totale di questa colonna viene etichettato come “Totale guariti”. Questo numero che viene sempre riportato, sia nel comunicato stampa della Protezione Civile, sia nel sito del Ministero della Salute, come casi “Guariti”. Tali incongruenze comunicative, sono state incrociate con l’anomalo incremento percentuale dei casi guariti in Lombardia rispetto alle altre Regioni.
Questo vi ha indotto ad approfondire la questione?
Esattamente! E abbiamo effettuato, in collaborazione con YouTrend, un’analisi specifica su 8 Regioni che rappresentavano (al 1 aprile) l’85,7% dei casi totali e il 91,6% dei “Dimessi/Guariti”. L’analisi ha dimostrato l’estrema eterogeneità di questo “contenitore” nel quale confluiscono, stando ai dati comunicati dalle Regioni, 4 tipologie di casi: pazienti virologicamente guariti (2 tamponi negativi a distanza di 24 ore), pazienti in via di guarigione virologica (primo tampone negativo, in attesa del risultato del secondo), pazienti guariti clinicamente (non sottoposti a tampone), pazienti “dimessi” da un setting ospedaliero senza alcuna informazione sullo stato di guarigione, sia essa clinica o virologica. In altre parole, il numero dei guariti comunicati dalla Protezione Civile e dal Ministero della Salute includono casi con status di guarigione non noto.
Qual è la differenza tra guarigione clinica e guarigione virologica?
Secondo le definizioni del Comitato Tecnico Scientifico è clinicamente guarito da Covid-19, un paziente che, dopo aver presentato manifestazioni cliniche (febbre, rinite, tosse, mal di gola, eventualmente dispnea e, nei casi più gravi, polmonite con insufficienza respiratoria) associate all’infezione virologicamente documentata da SARS-CoV-2, diventa asintomatico per risoluzione della sintomatologia clinica presentata. Il soggetto clinicamente guarito può risultare ancora positivo al test per la ricerca di SARS-CoV-2. Il paziente virologicamente guarito è colui il quale risolve i sintomi dell’infezione da Covid-19 e che risulta negativo in due test consecutivi, effettuati a distanza di 24 ore uno dall’altro, per la ricerca di SARS-CoV-2.
Qual è la differenza tra casi attivi e casi chiusi? E soprattutto qual è il rischio di metterli insieme?
Ha una rilevanza enorme in termini di sanità pubblica perchè i casi attivi (“attualmente positivi” nel report della Protezione Civile) possono contribuire alla diffusione dell’infezione, mentre i casi chiusi (“totale guariti” + “totale deceduti”) non possono contagiare altre persone. Di conseguenza, il numero dei casi attivi influenza sia le decisioni sanitarie per contenere l’epidemia, sia quelle politiche per la futura rimodulazione delle misure di distanziamento sociale.
Dai dati comunicati dalla Protezione Civile si rischia di considerare attivo un caso chiuso?
Assolutamente sì! Questo risulta in maniera emblematica dall’impatto dei numeri comunicati dalla Regione Lombardia che, nel bollettino quotidiano, non menziona affatto il numero dei guariti, ma riporta solo il numero di pazienti dimessi dall’ospedale (o dal pronto soccorso) e inviati in isolamento domiciliare. Tutti questi casi (11.415 il 1 aprile corrispondenti al 68% del totale) confluiscono nei “Totale Guariti” sovrastimando il tasso di guarigione.
La comunicazione di questi dati dalla Protezione Civile risulta quindi fuorviante: è ancora utile, in questo senso, una conferenza stampa quotidiana?
In un momento di emergenza sanitaria senza precedenti, in cui la popolazione è pervasa da un comprensibile senso di smarrimento, la comunicazione istituzionale gioca un ruolo fondamentale e ritengo la conferenza stampa uno momento indispensabile di condivisione dei dati. Forse, dopo oltre 40 giorni, bisognerebbe rivedere un po’ il format: spiegare meglio il significato dei dati, mostrare i trend, collegarli alle azioni intraprese per valutarne l’impatto. Ovviamente, massima trasparenza, evitando di alimentare in maniera paternalistica un falso senso di ottimismo che rischia di vanificare gli sforzi di tutti.
Che cosa chiede alle Istituzioni la Fondazione Gimbe?
Anzitutto di uniformare sia il modello di trasmissione dati con cui le Regioni inviano i report giornalieri alla Protezione Civile, sia di utilizzare le definizioni di guarigione del Comitato Tecnico Scientifico. In secondo luogo, chiediamo al Ministero della Salute e alla Protezione Civile di:
Sostituire definitivamente l’ambigua etichetta “Dimessi/Guariti” con “Guariti
Escludere dal contenitore “Dimessi/Guariti” i soggetti con status di guarigione non noto e riclassificarli come casi attivi in isolamento domiciliare
Riportare separatamente guarigioni cliniche e virologiche
(da Fanpage)
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Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
E CHI HA “DIMENTICATO” DI SOSPENDERLO?
Il Corriere del Veneto oggi racconta che i primi casi di Coronavirus nel Veneziano si sono registrati nella città storica e la miccia della pandemia sarebbe stata il Carnevale: per questo tanti contagiati sarebbero esercenti, che in quei giorni sono stati a stretto contatto con migliaia di persone.
Si tratta per ora di un’ipotesi fatta dal direttore dell’ospedale Civile Massimo Girotto durante un incontro con i sindacati della USL 3.
Nell’articolo a firma di Matteo Riberto si ricorda che c’era chi da subito chiedeva che il sindaco Luigi Brugnaro chiudesse le manifestazioni all’insorgere delle prime avvisaglie: il Carnevale è infatti stato sospeso nel primo pomeriggio del 23 febbraio, giorno in cui Venezia ha registrato i due primi casi.
«Chi dobbiamo ringraziare, sindaco?», domanda Francesco Menegazzi della UIL. Al quale fa eco Daniele Giordano della CGIL: «Confermare il Carnevale è stata una scelta politica». Da parte sua il direttore dell’Ospedale di Venezia getta acqua sul fuoco: «Ho tentato di spiegare come mai il contagio abbia colpito prima la città storica — afferma Un’ipotesi è che il contagio abbia avuto via più facile là dove la concentrazione di persone era inevitabilmente più forte». Contagi che, dopo le misure restrittive, si sono concentrati sulla terraferma e hanno continuato a salire.
Ma proprio il Corriere della Sera in un articolo a firma di Marco Imarisio il 24 febbraio scorso aveva raccontato che la decisione di ritardare il più possibile la chiusura del Carnevale per evidenti ragioni economiche:
Anche Venezia, la vetrina d’Italia, chiude. Ma non troppo. Perchè il Carnevale viene fermato quando ormai è agli sgoccioli dopo le due canoniche settimana di durata. Salterà il martedì grasso, ma ormai nel tempo moderno contano le due domeniche, e quelle sono state salvaguardate, con ordinanza regionale giunta a festeggiamenti in corso e mantenuti fino alla mezzanotte di ieri, quando invece sabato mattina era già stato deciso di sigillare le università .
Certo, la notizia che rende impossibile tirarla ancora in lungo giunge ieri a inizio mattinata. Due uomini, entrambi di 88 anni, hanno contratto il virus sono ricoverati in terapia intensiva all’Ospedale civile. Non sono turisti, non sono cinesi. Sono residenti da sempre a Castello, il quartiere dietro San Marco, tra i più antichi e veneziani di tutte le calli. Da tempo erano ricoverati per patologie «gravi e croniche». A quel punto, tirarla in lungo salvaguardando uno dei principali business dell’eterna stagione turistica veneziana diventa un non senso, e così nella draconiana ordinanza firmata da Luca Zaia ci finisce il Carnevale ormai in zona Cesarini e qualunque altro assembramento pubblico o privato.
«Possibile che per quattro soldi facciamo questa figura da bottegai?», Gianpietro Zucchetta legge l’editto zaiano con un occhio e con l’altro osserva i vaporetti carichi di turisti cinesi e non solo che attraccano alle Zattere, davanti alle fondamenta degli Incurabili. Il suo mestiere era quello del perito giudiziario.
La sua vocazione è quella di rappresentare l ‘anima di una Venezia che forse non c’è più, alla quale ha dedicato decine di libri, dalla storia dei rii e canali a quella delle acque alte che sta riscrivendo, purtroppo va aggiornata. «Tutti sanno che Venezia è una porta spalancata. Figurarsi a Carnevale. Lo sanno tutti, del rischio che si corre, a prescindere dal contagio di quei due poveretti, per carità . Ma hanno deciso di correrlo comunque perchè chi tocca gli eventi perde i voti e l’appoggio dei commercianti».
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2020 Riccardo Fucile
“PROGRAMMARE E’ GIUSTO, ANTICIPARE E’ DIABOLICO”
Sbagliato, anzi impossibile fare previsioni prima della seconda metà di aprile. Nel giorno in cui il Capo della Protezione civile Angelo Borrelli si lancia nella previsione che probabilmente si resterà a casa fino al 16 maggio (salvo poi correggere il tiro), l’infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, tira con forza il freno a mano.
Stoppa ogni slancio in avanti e ogni azzardo su quando inizierà la “fase 2” dopo l’emergenza Coronavirus. “Programmare è giusto, anticipare è diabolico” dice, certo che “ci attendono ancora due o tre settimane di passione, di grande fastidio, relegati sul divano. Ma è necessario: se ora si allenta la presa, in estate saremo ancora chiusi in casa”. Il resto sarà definito dopo la metà di aprile perchè sono diversi i fattori che influenzeranno le scelte future.
Professore, per la prima volta il Capo della Protezione civile Angelo Borrelli ha parlato di una ‘fase 2’ che inizierà il 16 maggio. Ci sono dati scientifici che dimostrano che saremo in lockdown per un altro mese e mezzo?
No. attorno al 15 — 20 aprile potremo dare risposte su quando sarà possibile, per così dire, riaprire il Paese.
Da cosa dipenderà ?
Prima di tutto bisognerà vedere se arriverà o meno la seconda ondata in Lombardia. Mi spiego, speriamo che le persone chiuse in casa con infezione da Covid-19 a Milano, Brescia e Bergamo, stiano bene e non richiedano assistenza ospedaliera perchè ciò graverebbe sul sistema sanitario. Se così non sarà significa che ci sarà una seconda ondata. E questo lo potremo capire nelle prossime due settimane. E poi bisogna guardare il Sud.
In che senso?
La zona centrale dell’Italia e del Sud non devono essere ulteriormente colpite, speriamo di essere arrivati in tempo con le misure restrittive. Forse siamo riusciti a tagliare le gambe al virus lì dove è arrivato dopo, ma per avere la certezza dobbiamo aspettare ancora due o tre settimane.
Si sta immaginando di prolungare le misure restrittive almeno fino ai primi di maggio per evitare le scampagnate del 25 aprile e del primo maggio
A prescindere da tutto quest’anno bisogna ricordare che quelle da lei citate non sono date di vacanze, sono una data come un’altra. Un’imprudenza fatta prima del tempo può causare gravi danni e a quel punto se ne riparla in estate.
Ci sono molte incognite attorno ai numeri che vengono annunciati alle 18. Come vanno lette le tabelle?
Abbiamo una piccola lieve flessione sulla pressione dei ricoveri, però non abbiamo ancora un trend consolidato. Tra l’altro per quanto riguarda la Lombardia parliamo di persone intensamente sintomatiche che sono state sottoposte a tampone. Ma in realtà per ogni persona positiva ce ne sono almeno altre 7-10. Per questo, incrociamo le dita, ma se ricominciamo a uscire ritenendo di poterlo fare, ci risiamo, ripartono focolai difficili da controllare e che potrebbero comportare problemi enormi.
Come può immaginare e senza dubbio saprà , le persone iniziano a chiedere quando si potrà uscire da casa e in che modo. Capisco che non ci si può sbilanciare, ma è possibile prevedere una riapertura scaglionata delle attività ?
Intanto adesso è fondamentale il distanziamento sociale e non bisogna commettere l’errore di mollare troppo presto e lasciarsi attrarre dal sole fuori. Anche le passeggiate genitori-figli vanno evitate.
A questo proposito ci sono stati messaggi contraddittori da parte del governo. Lei non è d’accordo?
Le passeggiate diventano facilmente un segnale di liberazione e soprattutto nelle regioni meno colpite potrebbe essere deleterio. Non possiamo permetterci per tre settimane l’allentamento di questa morsa, che è fastidiosissima, ma dobbiamo sopportarla. Se tutti iniziamo a uscire con la scusa dei figli ricominciamo da capo.
Immagina una ripresa scaglionata delle attività ?
Programmare è giusto, anticipare è diabolico. Identificare le persone che hanno avuto contratto il virus è corretto, trovare il modo per ricominciare è corretto ma anticipando eccessivamente ci si ritrova inguaiati.
Ognuno di noi dovrà indossare una mascherine quando si ricomincerà a circolare?
Si dovrà capire in che situazioni, in quali circostanze e in che termini. E soprattutto se avremo le garanzie di averle.
(da “Huffingtonpost”)
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