Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
NORD E SUD CONTRAPPOSTI ALL’EUROGRUPPO CHE CONTINUA A OLTRANZA… L’ITALIA NON VUOLE FINANZIAMENTI CHE PREVEDANO UN PIANO DI RIENTRO, UNA TEORIA MOLTO ORIGINALE
La riunione inizia nel primo pomeriggio, in videoconferenza. Ma a sera l’Eurogruppo ancora non riesce a prendere una decisione sul ‘che fare’ di fronte ad una crisi economica inedita per l’Unione Europea. Il coronavirus lascia i ministri dell’Economia della zona euro a discutere per ore, a continuare a oltranza in nottata, spaccati, storditi e confusi sulla reazione, nord e sud blocchi contrapposti come mai era successo prima. Impegnati in qualche modo a tenere insieme una Ue che, ai tempi del Covid-19, davvero scricchiola.
La spaccatura scorre tra i due fronti, da una parte Germania, Olanda, Austria, Finlandia e altri paesi rigoristi; dall’altra, Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda e i paesi meno in linea con le regole europee di bilancio. Però questa è solo una parte della storia. I blocchi restano pressochè uniti, ma al loro interno ci sono differenze. Anche sostanziali.
Il ministro italiano Roberto Gualtieri tenta di portare avanti fino alla fine la richiesta di Roma: se si devono usare i fondi del Meccanismo europeo di stabilità , sia senza alcuna condizione. Cioè senza piani di rientro a emergenza finita, senza prevedere un’ennesima epoca di austerità , seppure tra qualche anno. Ma non passa di fronte al muro di Berlino, per non parlare dell’Olanda, tra i più oltranzisti fin dall’inizio di questa storia, i più contrari agli eurobond, il pomo della discordia da cui nasce questa spaccatura. Eppure ormai in Germania il dibattito è avanzato su questo argomento, fino a ieri tabù. Stasera la rivista Der Spiegel pubblica un articolo, addirittura in francese, a firma del caporedattore Steffen Klusmann dal titolo: “Rifiutando gli eurobond, la Germania dimostra egoismo, ostinazione e codardia”. Forte. Ma non sortisce effetti di sostanza, per ora.
Oltre al Mes senza condizioni, Roma cerca di insistere anche sulla proposta avanzata con la Francia di un fondo europeo di rinascita creato con emissioni di debito comune. Questa è la proposta del ministro francese Bruno Le Maire, che, a differenza del governo italiano, accetterebbe un ricorso al Mes con bassa condizionalità , ma esige che il documento finale dell’Eurogruppo comprenda il fondo proposto con Roma e non solo con un vago accenno.
La prima bozza di conclusioni infatti si fermava lì: al vago accenno. Della serie: intanto approviamo il pacchetto elaborato dal nord, del fondo discuteremo. Nel pacchetto, oltre al Mes – con condizionalità meno rigide ma che prevedevano comunque la firma di un Memorandum, in grado di dare crediti per 240 miliardi di euro in totale, per ogni paese il 2 per cento del pil (per l’Italia 39 miliardi) – anche l’intervento della Banca europea per gli investimenti, 200 miliardi per le piccole e medie imprese, e il piano per la disoccupazione (Sure) della Commissione europea, un meccanismo da 100 miliardi per sostenere la cassa integrazione nei paesi membri.
In tutto, 500 miliardi di euro. Poco anche per le stesse stime dei Commissari europei Paolo Gentiloni e Thierry Breton, che hanno firmato insieme un testo sul ‘fondo europeo di rinascita’, con l’obiettivo di mobilitare il 10 per cento del pil europeo, 1500 mld di euro, che in proporzione è quanto ha mobilitato la Germania per le sue esigenze nazionali. Ma il loro piano non è stato nemmeno adottato da tutta la Commissione e dalla presidente Ursula von der Leyen. Arriva azzoppato all’Eurogruppo.
Niente da fare. Di fronte, c’è il muro nordico, ostile a qualsiasi ipotesi di condivisione del debito. Disponibile al massimo a parlarne dopo, a emergenza conclusa, quando si potrà fare una stima dei debiti dei vari paesi e si potranno pesare i danni.
La discussione si incarta qui. Ma i ministri decidono di continuare per non rinviare la palla ai capi di Stato e di governo che si riuniranno dopo Pasqua: è già successo due volte nell’ultimo mese, dopo l’Eurogruppo del 17 marzo e dopo quello del 24 marzo. Poi il 26 marzo i leader non hanno deciso, rimandando la palla ai ministri. Non era uno spettacolo che potesse continuare. Perciò avanti anche tutta la notte per uscire con una qualche conclusione.
L’unica possibile, mentre scriviamo, sembra a ‘quattro gambe’. Mes (ma Roma continua a chiedere che sia senza condizioni e questa richiesta per ora non passa), Bei, Sure e il fondo europeo di rinascita, la cosa che più assomiglia agli eurobond bocciati dal nord.
I paesi indisposti ad accettare un pacchetto che escluda la ‘quarta gamba’ sono infatti tanti: Italia, Francia, Spagna e gli altri del sud che erano partiti dalla richiesta di eurobond. Invece solo l’Italia chiede un Mes senza condizioni.
Se si arriva ad un pacchetto con quattro strumenti, pur con l’uso del fondo Salva Stati a bassa condizionalità , anche Roma accetterebbe. Per poi spiegare che questo non significa entrare in automatico nel ‘braccio’ del Mes: il suo intervento resta opzionale e sta allo Stato membro chiederlo.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
SONO “EROI” CHE CI SALVANO LA VITA E A CUI ASSEGNARE UNA MEDAGLIA PER LAVARSI LA COSCIENZA? UN PAESE SERIO PRIMA DI GRATIFICARE IDRAULICI E AVVOCATI AVREBBE STANZIATO MILLE EURO A TESTA A CHI STA IN TRINCEA
Elenchiamo solo alcuni dati che dovrebbero farci riflettere (e vergognare): sono ad oggi 94 i medici morti per coronavirus, 24 sono le vittime tra gli infermieri che annoverano 6.549 contagiati.
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità sono 12.681 gli operatori sanitari contagiati in Italia.
Quella degli infermieri è la categoria sanitaria che conta il maggior numero di positivi: il 52% di tutti gli operatori.
Non passa ora che sui social e sui media non solo semplici cittadini, ma politici, segretari di partito, rappresentanti delle istituzioni nazionali e regionali esternino vicinanza e ringraziamenti ai “nostri eroi”, ai “guerrieri” che sono in prima linea nella guerra al coronavirus.
Tanta solidarietà a visi segnati e stremati da turni anche di 14 ore, in condizioni di rischio estremo per la propria vita, in molti casi privi persino delle protezioni necessarie.
Il tutto con stipendi per un infermiere appena assunto di euro 1.050 e nel tempo con una remunerazione media di 1.450 euro. In rianimazione un mese di straordinari è pagato 29 euro lordi.
Non si può tacere sull’ipocrisia di aver “premiato” questa categoria con un bonus una tantum di 100 euro, dimenticandosi uno zero, pari alla nullità della nostra classe politica, nessuno escluso.
Nel momento in cui sono stati elargiti 600 euro a partite Iva, liberi professionisti, lavoratori autonomi, estetiste, commercianti, baristi, idraulici per “essere stati fermi un mese” causa coronavirus.
Nel momento in cui si concedono prestiti fino a 25.000 euro al primo piccolo imprenditore, commerciante o artigiano (vero o presunto) che si presenta in banca senza alcuna garanzia (garantisce lo Stato, cioè noi).
Garantiamo anche per chissà quante imprese fittizie in mano alla ‘ndrangheta, alla camorra e a Cosa nostra, ovvio.
Garantiamo anche per prestiti fino a 800.000 euro e pure per quelli fino a 5 milioni senza “valutazione ambientale”, basterà avere la giusta entratura negli istituti di credito (in Italia sappiamo come funziona…)
Il nostro sistema politico garantisce soldi a tutti, salvo agli operatori sanitari per i quali basta una pacca sulla spalla e infilare un biglietto di cento euro in tasca per “il disturbo”, come la mancia che si lascia al cameriere prima di lasciare il locale.
No, la politica non puo’ essere questo.
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Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
A CHI VANNO? COME? PERCHE?… IN UN PAESE DOVE SI E’ SPECULATO SUI TERREMOTI, SIAMO COSI’ CERTI CHE I PRESTITI FINIRANNO NELLE MANI DI IMPRENDITORI ONESTI CHE ONORERANNO IL DEBITO?… PERCHE’ SE NON PAGANO PAGHEREMO TUTTI NOI
Certamente è apprezzabile che il governo immetta ingenti risorse per sostenere la ripresa dopo una crisi, anche economica, più o meno senza precedenti. Si tratta di risorse che pagheremo di tasca nostra, aggravando il già pesantissimo debito che grava su tutti noi, sui nostri figli e le generazioni a venire, delle quali dovremmo occuparci un po’ di più di quanto quelle dei nostri padri abbiano fatto con le nostre.
Ma ci sono importanti alternative rispetto all’utilizzo delle risorse così drenate e al loro pagamento. Da quest’ultimo punto di vista dobbiamo trovare modalità di finanziamento che gravino soprattutto sui grandi patrimoni e sui redditi più elevati, andando nella direzione opposta a quella della “flat tax”, per recuperare una maggiore progressività , come prevede l’art. 53 della Costituzione e come il nostro sistema prevedeva almeno fino alla fine degli anni Settanta.
Almeno altrettanto importante, però, è sapere come queste (nostre) risorse verranno spese, non solo in generale, ma anche in particolare.
A chi vanno? Come? E perchè?
Infatti, da questo punto di vista, forti preoccupazioni ci vengono dal passato, che ci racconta di ruberie e speculazioni ai danni, per esempio, dei poveri terremotati e di tutti noi che abbiamo sostenuto le spese.
Ma, mentre su questo nessuno sembra avere molta voglia di richiamare l’attenzione, sentiamo ripetere ossessivamente le solite dichiarazioni a favore della velocità , della semplificazione delle regole e addirittura — tanto per cambiare — della necessità di riformare la Costituzione.
Partendo dalla fine, occorre ribadire che la Costituzione non c’entra nulla con la burocrazia. A meno che non si ritenga un inutile impaccio anche il rispetto del principio di legalità , senza il quale, però, retrocediamo a prima dello Stato di diritto.
Per questo, sentire tirare in ballo per l’ennesima volta la riforma della Costituzione, oltre a essere stucchevole, dà il senso sconfortante dell’incompetenza di molti anche tra coloro che potrebbero avere un ruolo importante nell’assumere o orientare importanti decisioni.
Una semplificazione di alcune procedure previste da leggi e regolamenti può certamente essere utile (o necessaria), ma senza far venir meno le garanzie che il tutto si svolga secondo regole precise di concorrenza leale e di trasparenza.
In assenza di queste, il rischio è che le risorse vadano ad amici di amici, ai più bravi a scivolare nei corridoi dei palazzi romani, a chi frequenta più conventicole di vario genere, e che scopriremo tra qualche anno avere preso soprattutto per sè.
Occorre non solo non rinunciare alla trasparenza e a procedure selettive aperte, ma anzi potenziare questi strumenti. Su questo ci giochiamo la credibilità anche a livello di Unione europea, che certamente ci lascia molto perplessi rispetto ad alcune resistenze all’erogazione di finanziamenti, ma che non lo fa (soltanto) per punto preso.
Lo fa (anche) perchè sa cosa troppo spesso è stato fatto, nel nostro Paese, con il denaro pubblico.
Ed è soltanto recuperando credibilità , con fatti concreti, che potremo contare su maggiori erogazioni anche in futuro e soprattutto giovarci del debito, che, pur inevitabile, non sarà stato fatto invano.
Andrea Pertici
Professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Pisa
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
SALE IL PD AL 21,9%, M5S A 14,5%, FDI 12,7%, FORZA ITALIA 6,2%, ITALIA VIVA 4,5%, LA SINISTRA 3,7%
I sondaggi politici Index Research raccontano alla perfezione lo stato dell’Italia ai tempi del Coronavirus. L’opposizione sta reggendo all’urto dell’epidemia e il consenso nel governo sembra essere quello personale di Giuseppe Conte: la Lega, comunque, rispetto alle rilevazioni di marzo, perde quasi il 3% (-2,8%) ma si conferma primo partito d’Italia con il 27,5%; Fratelli d’Italia, la seconda sponda sovranista, continua a crescere: con un +0,7% si attesta al 12,7%.
Forza Italia, invece, è costante da un mese a questa parte, e conferma il suo 6,2%, mentre Cambiamo di Toti si avvia alla sparizione con lo 0,6%. La coalizione del centrodestra sarebbe, al momento, al 47,1%.
Nell’area di governo, invece, l’effetto Conte si fa sentire: il Partito Democratico di Zingaretti guadagna quasi il 2% (+1,9%) e sale al 21,9%, mentre il M5S non riesce a ripartire e, perdendo ancora lo 0,3%, si ferma al 14,5%. Italia viva di Renzi sale al 4,5% (+1,0%), così come LeU si trova al 3,7% con un +0,2%.
Le altre forze della costellazione di centrosinistra fanno segnare un 2,1% per Azione di Calenda, +Europa è al 2% e, infine, i Verdi all’1,9%.
La colazione che appoggia il governo Conte è al 44,6%.
(da agenzia)
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Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
PER IL SINDACO DI RIACE UN AUMENTO DI 400 EURO AL MESE
Avevamo lasciato Antonio Trifoli, sindaco vicino alla Lega di Riace, a mettere la gente alla gogna su Facebook e a farle ricevere minacce via telefono.
Lo ritroviamo, grazie a una delibera dell’11 marzo scorso, ovvero durante l’emergenza Coronavirus, ad aumentarsi lo stipendio.
Più precisamente, l”indennità mensile del primo cittadino, che in precedenza ammontava a 1.252,80 euro, è stata portata a 1659,38.
Quella del vicesindaco è passata da 250,56 a 331,88 e quella degli assessori da 187,92 a 248,90.
Il tutto, va detto, è perfettamente in regola con le leggi visto che, come recita la deliberazione della giunta comunale, la legge 157/2019 ha stabilito che le indennità degli amministratori dei comuni fino a 3mila abitanti possono aumentare fino all’85% di quelle dei comuni oltre i 5mila abitanti.
A denunciare il tutto una nota del Codacons calabrese: “Si tratta di una delibera intempestiva e inappropriata. In una terra in cui la sofferenza economica viene ancor più aggravata dall’emergenza sanitaria, appare davvero singolare il comportamento del sindaco di Riace. Nessuno pretende che Antonio Trifoli e la sua Giunta abbiano la stessa sensibilità di altri amministratori calabresi, che hanno deciso di rinunciare agli stipendi. E ci piace ricordare l’esempio del sindaco di Bisignano che, insieme ai suoi assessori, ha deciso di rinunciare agli stipendi. E’ inquietante che in questo preciso momento, si corra ad aumentarsi i compensi — sostiene Francesco Di Lieto del Codacons — praticamente uno schiaffo alla miseria”.
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
FONTE UFFICIALE ANAS SULLA BASE DEL RILIEVO SUL TRAFFICO: E QUESTA DOVREBBE ESSERE L’ITALIA CHE “HA CHIUSO TUTTO”?
I numeri – fonte Anas – parlano chiaro: in piena emergenza Coronavirus il traffico pesante di fatto non si è mai fermato, facendo registrare a marzo un calo di appena il 25 rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Il movimento delle vetture è invece sceso a marzo del 55%.
La misurazione avviene con l’Indice di Mobilità Rilevata (IMR) su tutto il territorio nazionale sulla rete Anas.
E ovviamente parliamo di una media, per cui ci sono regioni che hanno cali molto più ridotti. E’ il caso ad esempio della Toscana con un -7%. Seguono l’Umbria (-13%), il Molise (-16%), il Veneto (-17%) e la Campania (-20%). E anche In Lombardia, l’area più colpita dal Covid-19, il traffico dei mezzi pesanti a marzo è calato del 27%.
Nell’ambito delle macro-aree, le percentuali sono così distribuite: a paragone con marzo 2019, calo del 22% al Nord, del 25% al Centro, del 27% al Sud, del 23% in Sicilia e del 26% in Sardegna; il confronto con febbraio 2020 segnala un decremento del 24% al Nord, del 25% al Centro, del 22% al Sud, del 25% in Sicilia e del 23% in Sardegna.
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
NEL 2000 AVEVAMO TRE VOLTE I POSTI LETTO CHE ABBIAMO ORA… NEL 2009 SI SPENDEVA IN SANITA’ IL 7,4% DEL PIL, ORA IL 6,8%
Analizziamo il rapporto tra gli investimenti pubblici italiani e gli altri paesi d’Europa e del G7.
Dal 2009 spendiamo molto meno in sanità , mentre abbiamo 1/3 dei posti letti di quelli che possedevamo nel 2000. Una dinamica che ci accomuna con altri Paesi del Mediterraneo colpiti dall’Austerità , ma che ha un costo umano rilevante
Se il nostro Sanitario Nazionale è descritto, a ragione, come uno dei migliori del mondo, lo stesso non si può dire per le strutture e i finanziamenti che lo caratterizzano da almeno 10 anni.
L’emergenza Covid-19 ha inoltre sottolineato l’importanza delle strutture ospedaliere e della loro capacità di gestire e differenziare larghe fasce di pazienti. Ma il paragone della densità di letti ospedalieri per abitanti, confrontato con quella degli altri paesi del G7 e con quelli che, per primi, si sono trovati a fronteggiare l’emergenza coronavirus è impietoso.
E colpisce soprattutto quello con il Giappone e la Corea del Sud, paesi che si sono trovati ad affrontare l’emergenza Covid-19 prima di noi.
Nel 2000 avevamo 3 volte i posti letto che abbiamo oggi
«Dal 2000 sono stati tagliati circa 70.800 posti letto in Italia e la situazione non è uguale per tutta la Penisola: se l’Emilia ha 3.15 posti letto ogni 1000 abitanti, la Calabria ne ha appena 1.98. Tutti i paesi che ci circondano hanno una dotazione di posti letto ospedalieri superiore alla nostra ed è indubbio che questo aspetto aiuti anche nella gestione dell’epidemia da Covid-19» sottolinea Carlo Palermo.
Sì perchè, come puntualizza il direttore di Anaao-Assomed, non è stato sempre così. Nel 1980 l’Italia aveva ben 900 posti letto disponibili ogni 100.000 abitanti. Nel 2014 si erano invece ridotti a 275, contro una media tedesca di 621 ed europea di 433 letti ospedalieri ogni 100.000 abitanti.
Un indicatore di quanto questo settore non sia stato a lungo considerato cruciale dai vari governi che si sono avvicendati e di come la spesa in sanità pubblica abbia subito una flessione nel tempo.
La spesa sanitaria in rapporto al Pil
Soffermandosi sul rapporto tra spesa sanitaria pubblica e PIL è impossibile non notare come, anche in ambito sanitario, esistano almeno due Unioni Europee.
Da un lato il Nord Europa, dall’altro l’Est e il Sud che devolvono, in media, molto meno degli altri paesi dell’Unione per la salute dei propri cittadini. Una sorta di “confine”invisibile che vede molti paesi, colpiti dalle misure di austerità che hanno fatto seguito alla crisi finanziaria post- 2008, investire, di fatto, molte meno risorse nella sanità pubblica.
Nel 2009 l’Italia spendeva in sanità una somma pari al 7.4% del suo PIL, più della Germania e della media europa.
Nel 2017, dopo anni di crisi e di dura disciplina finanziaria abbiamo speso lo 0,6% in meno, una media che ci proietta dietro molti paesi UE.
Ma è una flessione consistente che colpisce molti Paesi del Sud Europa, i più colpiti dalla crisi finanziaria e nel “mirino” delle autorità di Bruxelles per le disciplina di bilancio. Rispetto al 2009 la spesa sanitaria spagnola è calata dello 0,8%, quella portoghese dell’1,7%, quella greca dell’1,8%. Dati che non sono solo parametri numerici, ma che hanno spesso un costo sociale e umano molto alto
Il prezzo di un definanziamento lungo 10 anni
Uno studio dell’IPPR, centro di ricerca britannico, afferma che solo nel Regno Unito, dove il taglio della spesa sanitaria pubblica tra 2009 el 2017 è stato di appena lo 0,2%, le morti premature causate dall’austerità finanziaria dei servizi sanitari pubblici potrebbero essere stimate in 130.000. Non possiamo rapportare questi dati ai paesi del Mediterraneo, ma è presumibile che il costo umano di alcune scelte economiche, anche sulle sponde del Mare Nostrum, si sia rilevato alto negli anni.
Del resto la riduzione del finanziamento pubblico alla sanità è lampante anche se si volge lo sguardo dal PIl ai soldi reali spesi in sanità pubblica,per singolo abitante, dagli stati del G7. Un paragone prezioso fornito dall’OMS che abbraccia gli ultimi venti anni e che abbiamo arricchito anche dei paesi che, per primi con l’Italia, si sono trovati ad affrontare la tempesta del Covid-19.
Nel 2000 l’Italia spendeva appena 1104 dollari pro capite per la sanità pubblica; nel 2007 erano saliti a 2393, più di quanto facesse il Giappone. Ovunque si assiste a un graduale incremento della spesa per salute pubblica, un incremento che nello Stivale si arresta però drasticamente dal 2009 in poi.
Rispetto a quella data l’Italia spende circa 600 dollari in meno per ogni singolo cittadino, una media in controtendenza con gli altri grandi della terra.
Nel periodo considerato la spesa sanitaria tedesca aumenta pro-capite di 400 dollari a testa, quella americana di 1420, quella canadese di 284, quella britannica di 276, quella giapponese di 512.
A subire invece una netta inversione di tendenza sono i Paesi dell’area mediterranea dell’Ue come Spagna (-426 dollari pro capite) e Francia (-241 dollari pro capite). Tornando all’emergenza Covid-19, e ai paesi che si sono trovati con l’Italia a gestire l’emergenza prima di altri, la Corea del Sud aumenta del 50% i suoi finanziamenti alla sanità (+656 dollari pro capite) e la Cina del 32% (+169 dollari pro-capite). Ma la dinamica si fa sentire anche se si prende in considerazione la totalità della spesa sanitaria pubblica e privata.
I soldi che, in media, gli italiani spendono per curarsi, tra fondi gratuiti statali e prestazioni private pagate di tasca propria, sono nettamente inferiori a quelli degli altri paesi del G7. Si avvicinano a quelli della Spagna, altro Paese che del G7 non fa parte, ma che è stato tra i più colpiti dalla piaga del nuovo Covid-19 e, come noi, si è trovato alle prese con una situazione drammatica.
(da Giornalettismo)
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Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
L’OSPEDALE DEL MARE DI NAPOLI AVRA’ 120 POSTI LETTO DI TERAPIA INTENSIVA, DUE SETTIMANE PER REALIZZARLO, COSTO 7,7 MILIONI… QUELLO DELLA FIERA DOPO 20 GIORNI CONTA 3 DEGENTI ED E’ COSTATO 20 MILIONI DI EURO
Qualche giorno fa abbiamo confrontato l’ospedale alla Fiera di Milano che doveva contenere 600 posti di terapia intensiva o subintensiva nelle prime promesse di Attilio Fontana ma che per adesso ne ha 24, e quello di Bergamo con settantadue posti di ricovero in terapia intensiva e altrettanti in condizioni sub intensiva i cui lavori sono cominciati il 24 marzo e sono finiti il primo aprile grazie all’impegno degli alpini.
Oggi però è il caso di confrontare l’esperienza dell’ospedale alla Fiera di Milano targato Gallera & Fontana con quella di Vincenzo De Luca in Campania, annunciata sulla pagina facebook del governatore:
“Ecco una delle tante straordinarie prove di efficienza della Regione Campania in relazione all’emergenza coronavirus. In due settimane nasce un ospedale prefabbricato con 120 posti letto di terapia intensiva. In grande silenzio e con grande efficacia stiamo continuando a garantire la salute per le nostre famiglie e per tutti i cittadini campani.”
E i lavori come procedono? Sono arrivati ieri all’ospedale del Mare di Napoli i 57 camion partiti stamattina da Padova che trasportano i moduli prefabbricati di cui si comporrà il primo ospedale da campo realizzato in Campania per aumentare i posti letto di terapia intensiva dedicati ai pazienti COVID. Sono arrivati a Napoli due dei tre moduli previsti, da 24 posti letto ciascuno, per un totale di 48 posti, che saranno attivati in tempi brevi. Oggi parte l’installazione e l’attivazione dei 48 posti letto è prevista intorno al 15 aprile, ovvero tra una settimana.
All’ingresso dell’ospedale da campo ci sarà uno spazio per la camera calda, un tunnel per l’ingresso dell’ambulanza e le aree pedonali, evidenziate con colori differenti. I lavori nell’area vicina al parcheggio dell’ospedale del Mare di Ponticelli dove sorgerà il centro COVID sono iniziati 15 giorni fa.
Per il 20 aprile è previsto l’arrivo di altri camion, con l’ultimo modulo da 24 posti, per un totale complessivo di 72 posti letto di terapia intensiva utili ad ospitare i pazienti COVID. La struttura costa 7,7 milioni di euro, l’importo della gara comprensivo del ribasso presentato dalla ditta vincitrice, la Manufacturing Engineering Development MED di Padova che si occupa proprio di moduli prefabbricati in sanità .
Nell’ambito del piano della Regione Campania per far fronte all’emergenza COVID-19 sono previsti altri due ospedali prefabbricati per la terapia intensiva a Salerno e a Caserta
E l’ospedale alla fiera di Milano?
E invece come vanno le cose all’ospedale della Fiera di Milano? Un articolo di Marta Bravi sul Giornale, quotidiano non certo ostile alla Giunta Fontana, ci fa sapere che ieri sono addirittura arrivati i primi due pazienti nella struttura costata appena 21 milioni di euro (di cui dieci arrivati da Silvio Berlusconi) e che “in pochi giorni” si arriverà a 53 (cinquantatrè posti) come ha scritto ieri La Stampa.
Gallera aveva detto che per ora erano stati attivati 12/24 posti rispettivamente per la terapia intensiva e la subintensiva.
Per ora quindi il confronto tra altre realtà nella stessa regione (Bergamo) e addirittura con quelle campane non sembra sorridere all’ospedale che doveva prendere esempio da quello realizzato a Wuhan in due giorni e contenere 600 posti.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 7th, 2020 Riccardo Fucile
LA VERITA’ E CHE LE PRESSIONI DI CONFINDUSTRIA AVEVANO FATTO SCATTARE I SOVRANISTI SUGLI ATTENTI
“Avremmo potuto farla noi, ho approfondito l’indicazione”: in un piccolo spezzone tratto da Agorà c’è tutto Giulio Gallera e la Regione Lombardia di fronte all’emergenza Coronavirus: mentre sta, come da strategia di comunicazione di questi giorni, incolpando il governo per non aver istituito la zona rossa nel bergamasco, l’assessore al Welfare ammette che l’ente guidato da Attilio Fontana poteva istituire di sua sponte la zona rossa in quel di Bergamo mentre ad Alzano Lombardo SARS-COV-2 e COVID-19 infettavano una larga fetta della popolazione.
Testualmente, rispondendo a Serena Bortone, Gallera dice: “Il 5 arrivano ad Alzano e Nembro un cospicuo numero di militari e quindi noi a quel punto abbiamo l’indicazione dell’Istituto Superiore di Sanità che dice ‘L’abbiamo chiesta al governo’, arrivano i militari… noi attendevamo l’istituzione della zona rossa. Cioè, avremmo potuto farla noi, ho approfondito l’indicazione che lei mi ha dato ieri… esatto, sì sì…ma voglio dire…”.
Più precisamente, la Regione Lombardia poteva istituire la zona rossa in base all’articolo 32 della legge 883/1978, che stabilisce al comma 1 la possibilità per il ministero della Sanità di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di igiene, sanità pubblica e polizia veterinaria; al comma 3 si stabilisce che il presidente della Giunta Regionale o il sidnaco hanno le stesse facoltà .
In tutto ciò bisogna ricordare che ieri anche Attilio Fontana l’ha finalmente detta giusta: «Io non ritengo che ci siano colpe in questa situazione», ha replicato il governatore Attilio Fontana aggiungendo che «ammesso che ci sia una colpa, eventualmente è di entrambi».
E infine fare un’ipotesi sul perchè la Regione Lombardia non si sia mossa: visto il clima che si stava creando soprattutto da parte confindustriale sull’istituzione delle zone rosse in Lombardia, magari la Giunta ha atteso che si muovesse il governo per scaricare sull’esecutivo una responsabilità che non si voleva prendere. Ma questa, per carità , è soltanto un’ipotesi.
(da “NextQuotidiano”)
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