Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
L’EX TESORIERE DEL PARTITO SOVRANISTA “FORUM PER LA DEMOCRAZIA” PUBBLICA I MESSAGGI IN CUI IL LEADER DI FPD PARLA DI PAGAMENTI RICEVUTI DALLA RUSSIA
Di Thierry Baudet abbiamo parlato qualche giorno fa ricordando i festeggiamenti e l’alleanza con Giorgia Meloni e, più di recente, il suo voto insieme a Wilders alla risoluzione del parlamento olandese che diceva sì al MES con condizionalità e no agli eurobond.
Ma qualche giorno fa il leader del partito anti-UE e anti-immigrazione Forum per la democrazia (FvD) è finito nei guai per un altro motivo: il programma televisivo olandese Zembla ha pubblicato una serie di suoi messaggi su Whatsapp in cui parlava di suoi contatti con i russi e alludeva a pagamenti ricevuti.
Nei messaggi, ha spiegato qualche giorno fa Politico.eu, si cita Vladimir Kornilov, che secondo il New York Times ha legami con il Cremlino, e Baudet lo descrive come un russo che lavora per Putin.
Successivamente, in alcuni messaggi all’ex tesoriere della FVD Henk Hotten, Baudet gli dice che Kornilov “vuole pagare qualche extra” e successivamente lo ringrazia per il sostegno economico dicendo che Kornilov non può competere con lui.
Il tutto è accompagnato da faccine sorridenti.
In altri messaggi citati da EUObserver Baudet diceva che l’Ucraina aveva inviato agenti provocatori in Olanda per influenzare il referendum 2016 su Ucraina e UE, sostenendo che glielo avesse detto Kornilov.
Prima della messa in onda della trasmissione Baudet ha negato le accuse e ha affermato che le dichiarazioni su Kornilov erano uno scherzo ironico.
L’ex tesoriere del FvD sostiene invece di aver preso sul serio i messaggi e di aver avvertito Baudet di non avvicinarsi troppo alla Russia.
I messaggi pubblicati dalla rete mostrano anche che Baudet voleva spingere per l’uscita dell’Olanda dalla NATO anche se nel programma elettorale del suo partito si affermava in contrario e il leader si era opposto alle sanzioni alla Russia dopo l’occupazione della Crimea.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
MANCANO 250.000 STRANIERI CHE NON POSSONO VENIRE IN ITALIA, MA NESSUN ITALIANO E’ DISPOSTO AD ACCETTARE UNA PAGA DI 3-4 EURO L’ORA… SALVINI CHE NON VUOLE I MIGRANTI PENSA DI CONVINCERE GLI ITALIANI CON UN POST?
Dopo le RSA di Fontana, Salvini vuole mandare i pensionati a lavorare nei campi.
La bozza della legge per regolarizzare i migranti per il lavoro nei campi, richiesta dalle associazioni dell’agricoltura, ha movimentato la vita dei canali social del Capitano, che da qualche giorno sta spingendo moltissimo sull’argomento dopo che il Corriere della Sera ha raccontato che tra i ministeri di Agricoltura, Lavoro, Interni, Economia e Giustizia circola, per ora in via riservata, una bozza di legge in 18 articoli nella quale si parla esplicitamente della loro «regolarizzazione» tramite una «dichiarazione di emersione dei rapporti di lavoro».
Salvini invece ha un’altra idea: a lavorare nei campi vuole mandare disoccupati, studenti e pensionati italiani. E chiede di reintrodurre i voucher per regolarizzare il rapporto di lavoro.
Piccolo problema: nessuno oggi vieta a disoccupati, studenti e pensionati italiani di andare a lavorare nei campi. Eppure «con le persone colpite dal virus, quelle in quarantena e gli stagionali stranieri rientrati nei Paesi di origine che non possono tornare in Italia per il blocco della circolazione – spiega al Corriere il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti – nelle campagne mancano braccia. E siamo in un momento cruciale: si avvicina la stagione della raccolta degli ortaggi e della frutta estiva. Servono almeno 200 mila persone subito. Per questo abbiamo chiesto strumenti governativi che facilitino le assunzioni, come i voucher, o la possibilità di impiegare persone che hanno perso il lavoro o i cassintegrati»
Questo perchè, come spiegava ieri su Twitter un avventore a Vittorio Feltri che contestava la stessa legge, “se le aziende pagassero il giusto, e non 3/4 euro l’ora, di italiani in campagna sarebbe pieno”.
Insomma, se nei campi non ci sono disoccupati, studenti e pensionati è perchè per il raccolto si guadagna troppo poco.
E allora Salvini come pretende di mandarceli?
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
SE VEDETE UN QUESTUANTE PER STRADA E’ UN PROFESSIONISTA… CON I REDDITI CHE DICHIARANO CHISSA’ COME FANNO A PERMETTERSI UNA SEGRETARIA… COME LO STATO HA BUTTATO 3 MILIARDI E ORA PENSA PURE DI PORTARE IL CONTRIBUTO A 800 EURO
Mezzo milione di professionisti (per la precisione 454 mila) hanno già chiesto il bonus da 600 euro previsto dal governo per attenuare gli effetti del blocco dell’attività provocato dalla pandemia da coronavirus e dal «lockdown».
Poco più della metà (circa 270 mila) sono state già liquidate, ma i fondi a disposizione delle casse professionali autonome non bastano.
Nelle prime due settimane di aprile, le Casse di previdenza private avevano ricevuto «454.541 domande» per il bonus da 600 euro del decreto Cura Italia, «di cui ammesse al pagamento 413.455» e, «in considerazione dei tempi di istruttoria, sono ancora in lavorazione 26.325 istanze» di professionisti.
Sono i dati riportati nella lettera che Alberto Oliveti, il presidente dell’Adepp (l’Associazione che riunisce 20 Enti previdenziali, cui sono iscritti 1,6 milioni di professionisti), ha inviato ai ministri dell’Economia e del Lavoro, Roberto Gualtieri e Nunzia Catalfo.
«Rispetto allo stanziamento di 200 milioni di euro, previsto dal decreto interministeriale, vi sono, per il mese di marzo, domande ammesse e non coperte finanziariamente per il valore di 48 milioni e 73.000 euro», recita la missiva. Ad ora restano perciò scoperte più di centomila domande.
Ecco, cassa per cassa previdenziale, il numero delle domande fatte dai professionisti. Da notare come avvocati, architetti e ingegneri e geometri hanno presentato richieste in percentuale molto elevate: in partica, un professionista su due ha fatto domanda per l’indennità .
Hanno diritto a chiedere il bonus, in base ai requisiti predisposti dal decreto Cura Italia, i professionisti che nel 2019, attraverso la propria attività , hanno prodotto ricavi inferiori ai 35 mila euro o inferiori ai 50 mila con un calo di un terzo del fatturato nel primo trimestre 2020. I dati sono aggiornati al 14 aprile.
Avvocati
Alla Cassa forense sono arrivate 136.095 richieste e sono stati eseguiti 73.881 accrediti ad altrettanti avvocati; altri 32 mila saranno eseguiti nei prossimi giorni. Il totale degli avvocati iscritti all’ordine (inclusi pensionati attivi) è di circa 245 mila.
Geometri
Alla Cassa geometri sono arrivate quasi 50 mila domande, i bonifici partiti sono 39.317. Gli iscritti all’ordine sono poco più di 80 mila.
Commercialisti
Alla cassa dei commercialisti sono arrivate circa 27 mila domande; gli iscritti sono 70 mila.
Consulenti del lavoro
Dai consulenti del lavoro sono arrivate quasi 10 mila domande. Gli iscritti alla cassa previdenziale sono 25 mila.
Giornalisti
L’ente (Inpgi 2) ha ricevuto 9.800 domande, di queste 8.934 hanno avuto un esito favorevole e oltre 7.500 sono già state poste in pagamento in favore dei beneficiari. Tra professionisti (29.235) e pubblicisti (74.835) nel 2019 risultavano circa 100 mila iscritti all’Albo professionale.
Ingegneri e architetti
L’Inarcassa, cassa previdenziali di ingegneri e architetti, sono arrivate 97mila richieste di indennizzo.
Medici e odontoiatri
La richiesta può essere avanzata solo dai medici liberi professionisti: l’Enpam, la Cassa previdenziale, ha già firmato il mandato per 20.515 assegni, restano ancora circa 4.800 richieste da soddisfare.
Notai
Le domande pervenute dai notai sono 387. Leggi qui, l’articolo: Come mai i «ricchi notai» chiedono l’incentivo di 600 euro per il Covid-19?
Psicologi
A metà aprile l’Enpap ha ricevuto quasi 40 mila domande.
Veterinari
Le istanze pervenute sono 14.500.
Farmacisti
All’Enpaf sono arrivate circa 2.500 domande.
Biologi
All’ Enpab sono andate in pagamento le prime 5.500 istanze delle oltre 9.000 pervenute dai biologi.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
DENUNCIATE 48 PERSONE, SOSPESE 21 ATTIVITA’…”CHIEDONO IL SOSTEGNO DELLE MISURE DEL GOVERNO PUR NON AVENDONE DIRITTO”
A Monte San Giusto nel Maceratese, mercoledì scorso, hanno scoperto lavoratori in nero, clandestini e privi di qualsiasi dispositivo di protezione: così è scattata la denunciata per la proprietaria per sfruttamento di manodopera clandestina e per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale dato che aveva provato anche a sbarrato la porta di ingresso con una barra metallica cercando di far fuggire le persone all’interno e i prodotti che stavano lavorando.
Mancava naturalmente la richiesta di lavoro in deroga al lockdown.
Lo stesso giorno, a oltre 600 chilometri più a Nord a Tarvisio, insospettiti da uno strano via vai hanno sono andati a controllare una ditta d’abbigliamento. Nel magazzino hanno trovato un operaio che lavorava nonostante risultasse chiuso così per lui è scattata una multa per essere uscito da casa senza giustificato motivo e al suo datore di lavoro è stata comminata una sanzione amministrativa.
È il lavoro che ogni giorno svolgono i 421 carabinieri dei Nuclei ispettorato del lavoro (Nil). Militari che vengono formati dall’Arma con specifici corsi svolti da esperti del ministero del Lavoro o dell’Ispettorato nazionale del Lavoro.
Sono dislocati in oltre 100 sedi provinciali e, solitamente, indagano sugli sfruttamenti e sulle violazioni delle norme di sicurezza (nel 2018 hanno arrestato 436 persone). Proprio perchè altamente specializzati, come i colleghi del Nuclei antisofisticazione e sanità (Nas), sono uno dei punti di riferimento maggiori delle procure italiane durante questa pandemia.
In particolare, i Nil hanno intensificato i controlli dal 7 marzo anche per verificare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’osservanza delle misure precauzionali di contenimento per contrastare l’epidemia del Coronavirus. Ogni giorno, bussano alle porte di una quindicina di aziende.
I controlli
«Per l’esattezza, in un mese, abbiamo ispezionato 412 aziende – precisa il generale Gerardo Iorio, 55 anni, a capo del Comando per la tutela del lavoro – e abbiamo dovuto adottare 21 provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale; abbiamo anche verificato la posizione contrattuale e previdenziale di 1.213 lavoratori e di questi oltre il 9 per cento, poi, sono risultati in nero».
Non sono mancate le denunce penali. «Abbiamo segnalato alle procure 48 persone per svariate accuse che vanno dalla mancata attuazione delle disposizioni per la prevenzione del contagio a violazioni sul mancato rispetto delle norme in materia di sicurezza», aggiunge Iorio.
I controlli avvengono in modo mirato. «Le tecniche d’indagine sono diverse – spiega l’ufficiale che ha cominciato la carriera militare nel 1983– spesso le conduciamo noi autonomamente documentandoci sulle aziende sospette. Incrociamo le nostre banche dati e poi svolgiamo attività di indagine con le compagnie presenti sul territorio che ci supportano in tutte le fasi. Altre volte sono proprio le stazioni o le compagnie a segnalarci dei casi oppure ci muoviamo su input delle prefetture. Il lavoro è molto complesso e siamo molto attenti anche a evitare che qualcuno pensi di poter fare “cassa” approfittando dell’attuale debolezza collettiva di grosse fette dei lavoratori oppure a quanti chiedono sostegno economico al governo pur non avendone diritto. Fenomeni che riscontriamo dalle Valle D’Aosta alla Sicilia»
I casi
Nell’ultimo mese, sotto la lente del Nil hanno riguardato svariati settori economici. Nel Lecchese, grazie a un controllo congiunto con i carabinieri della compagnia locale, è stato denunciato il proprietario di un’azienda che impiegava un lavoratore in «nero»; due stranieri senza permesso di soggiorno e tutti non erano stati nè formati sull’attività svolta nè sui rischi connessi.
Nel Modenese, è stata sospesa una ditta d’abbigliamento di due cinesi, poi denunciati, perchè tutto il personale era in «nero» e due di questi non avevano neanche il permesso di soggiorno.
A Macerata, in un’azienda manufatturiera, i militari hanno denunciato un imprenditore perchè non aveva fornito ai suoi nove dipendenti i dispositivi di protezione e perchè lavoravano senza poter rispettare le distanze minime tra di loro. In più, la società dovrà abbassare la serranda per 30 giorni.
Nel Materano, in due aziende agricole di Bernalda e Marconia di Pisticci, un terzo dei dipendenti non era stato sottoposti alla prevista visita medica e non era stata svolta la valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione agli agenti biologici.
I titolari di altre due ditte, sempre del settore agricolo, sono stati denunciati perchè scoperti a far lavorare in «nero» e per omessa sorveglianza sanitaria.
A Taranto, grazie alla segnalazione del prefetto, sono state scoperte ditte che non rispettavano il contingentamento del numero di dipendenti massimo nello stesso orario di lavoro .
Le attività
Proprio i prefetti, dopo la circolare del Viminale dello scorso 22 marzo, devono verificare le condizioni attestate dagli imprenditori e per farlo si possono avvalere proprio dei carabinieri specializzati del Nil. «Non facciamo solo attività di repressione – riprendere il generale Iorio – e, per esempio, in questi giorni stiamo rispondendo ai mille quesiti di imprenditori che vogliono capire meglio le nuove normative per riaprire e le procedure per ottenere l’autorizzazione».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
SALEH AL.DABBASHI POTREBBE RIVELARE I RAPPORTI E IL FLUSSO DI DENARO TRA I TRAFFICANTI E LE AUTORITA’ ITALIANE
Il fratello dello “Zio” è nelle mani del “Generale”. E in Italia qualcuno comincia a tremare perchè il “fratello” in questione è depositario di segreti sui rapporti “sottobanco” tra autorità italiane e il più noto “Zio” per fermare il flusso di migranti verso il Belpaese.
Il portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Ahmed al-Mismari, ha annunciato sulla propria pagina Facebook l’arresto di Saleh al-Dabbashi, trafficante di esseri umani verso le coste italiane e fratello del più noto Ahmed al-Dabbashi detto “Ammu’” (lo zio).
Saleh al-Dabbashi è stato catturato, “insieme ad un certo numero di mercenari siriani e ricercati libici sostenuti dalla Turchia” durante gli scontri nel sud della capitale sul fronte di Al Twisha, ha detto al-Mismari sottolineando che l’uomo è rimasto “gravemente ferito all’interno di un blindato turco”.
“Ciò dimostra che la Turchia ha ampliato le sue attività criminali per sostenere i fuorilegge e i trafficanti di esseri umani nella regione occidentale”, prosegue al-Mismari, aggiungendo che Saleh al- Dabbashi era il responsabile del centro di raccolta migranti di Sabratha.
Segreti inquietanti
La sua cattura arriva a pochi giorni di distanza dalla liberazione del fratello, Ahmed, avvenuta con la cacciata delle forze di Haftar da Sabratha, dove era stato arrestato due anni fa con l’arrivo degli uomini dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) al servizio dell’uomo forte della Cirenaica.
Se la notizia venisse confermata, si tratterebbe di un duro colpo per le mafie locali con cui l’Italia fece accordi nel 2017 per fermare l’immigrazione illegale dalle coste libiche. Il fratello Ahmed al-Dabbashi era stato colpito dalle sanzioni Onu nel 2018 ed è ricomparso nei giorni scorsi a Sabratha, dopo la riconquista della zona ad ovest di Tripoli da parte del Governo di accordo nazionale.
Comandante delle brigate “Anas al-Dabbashi”, dal nome di un familiare martire della jihad, “Ammu” opera a Sabratha e fino al 2016 aveva saldi legami con lo Stato islamico in Libia, che dice di combattere mentre secondo il Palazzo di Vetro farebbe il doppio gioco.
La sua è una delle famiglie più in vista del Paese. La rotta migratoria dal Niger è appannaggio dei suoi uomini che si occupano anche della sicurezza della Mellitah Oil&Gas, legata all’Eni. È accusato di guidare una rete di traffici sovranazionali di esseri umani, armi e greggio.
A Zawiya controllerebbe spiagge per la partenza di migranti, case per la detenzione anche di minori e barche. Avrebbe sulla coscienza morti in mare e nel deserto. Ed è da questo territorio che partivano, tra il 2016 ed il 2017, la gran parte dei barconi che in Italia hanno comportato numeri da record di sbarchi.
Un’emergenza, quella creata nel nostro Paese, che ha costretto il governo Gentiloni a provare a correre ai ripari.
E così, ecco che nella primavera del 2017 sotto la regia del ministro dell’Interno Marco Minniti sono iniziate le trattative con Tripoli per provare a frenare il flusso migratorio.
In questo contesto sono state poste le basi per il memorandum con la Libia, che ha previsto soldi al governo di Tripoli in cambio dello stop alle partenze.
Un reportage della Reuters ha successivamente accusato il governo italiano di aver fatto finire quei soldi nei clan che organizzavano i viaggi della speranza, che in molti casi si trasformavano in viaggi della morte. Tra questi, clan, ovviamente, figurava anche il gruppo degli al- Dabbashi. Roma ha sempre smentito, fatto sta che le partenze dall’autunno del 2017 sono diminuite ed a Sabratha è scoppiata una faida. Alcuni clan rivali degli al- Dabbashi hanno ingaggiato una vera e propria battaglia contro gli uomini di “ Ammu”.
La “Dabbashi &Co.”
I fratelli Dabbashi erano,e forse sono tuttora, i “re dei trafficanti” di esseri umani: Ahmad e Mehemmed erano infatti responsabili dell’80 % delle partenze di migranti dalle coste libiche in direzione Italia, un “affare milionario”.
La quota minima da pagare per salire a bordo dei barconi della “Dabbashi & Co.” era 1000 dollari: questo il prezzo di un biglietto della speranza che tuttavia non comprendeva l’assicurazione sulla vita in caso di annegamento.
Da trafficanti di esseri umani i fratelli Dabbashi sono diventati dei perfetti poliziotti anti-migranti, e lo dimostrano i numeri degli sbarchi che sono crollati notevolmente nel giro di pochi mesi.
Per convincere l’impresa familiare a cambiare attività sono serviti 5 milioni di euro, gentilmente elargiti dal governo libico e forse quello italiano, con la promessa che Ahmad e Mehemmed ne usciranno puliti e le loro milizie verranno legalizzate.
”Chi avrebbe mai detto che in pochissimi anni sarebbe diventato il bandito più famoso della regione, contrabbandiere di petrolio e trafficante di esseri umani, sino a trasformarsi adesso in poliziotto anti migranti per eccellenza, che tratta con il governo di Tripoli e persino con quello italiano ?” dice Mohammad, vecchio vicino di casa di Ahmad, ma sono in tanti a Sabratha a condividere queste parole.
Relazioni pericolose
Come ricorda l’Agenzia Nova, la famiglia Dabbashi è uno dei clan più noti di Sabratha. Uno zio di Fitouri Dabbashi, -il capo clan morto in uno scontro a fuoco l’11 settembre 2019 ad Ain Zara, a sud di Tripoli- Ibrahim al-Dabbashi, è stato ambasciatore alle Nazioni Unite.
Il fratello di” al-Ammu”, Emhedem, guida la Brigata 48, forza nata da un accordo con il ministero della Difesa e che, secondo fonti libiche riportate da L’Espresso, aveva come unico scopo quello di proteggere gli interessi di “Al-Ammu “e gestire la sicurezza al compound di Mellitah, joint venture tra Eni e la società petrolifera nazionale libica Noc. Non è chiaro, invece, quale sia stato il ruolo della famiglia nel sequestro dei quattro tecnici italiani della Bonatti nel 2015, due dei quali morti nella sparatoria per la loro liberazione.
Segreti inquietanti
Un passo indietro nel tempo. Quattordici settembre 2017. Fra i trafficanti libici e l’Italia sono stati stipulati piccoli accordi contro i migranti”. Dopo i reportage di Reuters e Associated Press anche Le Monde accende i riflettori sui motivi che starebbero dietro allo stop delle partenze di migranti dalle coste libiche. Il quotidiano francese dedica all’argomento il titolo di apertura dell’edizione del pomeriggio e le prime due pagine interne.
Le Monde spiega di aver parlato al telefono con una personalità di Sabratha, la città costiera della Tripolitania diventata l’hub principale del traffico di esseri umani in Libia. “C’è un accordo tra gli italiani e la milizia di Ahmed al-Dabbashi. L’ex trafficante oggi fa la guerra contro il traffico di esseri umani”, scrive il giornalista citando la fonte, che vuole rimanere anonima.
L’articolo spiega che “al-Dabbashi, soprannominato al-Ammu (lo zio), è il capo della brigata dei martiri Anas al-Dabbashi, che fino a luglio dominava il traffico di migranti da Sabratha”. Le informazioni coincidono con quelle contenute nel reportage di Associated Press e anche del Corriere della Sera. Una fonte di AP aveva definito al-Dabbashi e il fratello “i re del traffico” di migranti.
Abdel Salam Helal Mohammed, un dirigente del ministro degli Interni del governo di Tripoli che si occupa di immigrazione, ha raccontato che l’accordo è stato raggiunto durante un incontro fra italiani e membri della milizia Al Ammu, che si sono impegnati a fermare il traffico di migranti (cioè loro stessi o dei loro alleati, in sostanza).
Dell’incontro aveva parlato anche la giornalista Francesca Mannocchi in un articolo pubblicato pubblicato da Middle East Eye il 25 agosto 2017, senza però trovare conferme ufficiali.
Anche il portavoce di Al Ammu, Bashir Ibrahim, ha confermato ad Associated Press che circa un mese fa, luglio 2017, entrambe le milizie hanno stretto un accordo “verbale” col governo italiano e quello di Sarraj per fermare i trafficanti. Sempre secondo Bashir, l’accordo prevede che in cambio del loro aiuto le milizie ottengano soldi, barche e quello che Associated Press definisce “equipaggiamento” (non è chiaro se si tratti o meno di armi).
Il servizio di intelligence della polizia locale ha spiegato al Corsera che “che ultimamente (lo “Zio,” ndr) avrebbe ricevuto almeno 5 milioni di euro dall’Italia, se non il doppio, con la piena collaborazione del premier del governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu, Fayez al Sarraj”.
L ‘articolo, di AP, intitolato “Backed by Italy, Libya enlists militias to stop migrants”, attribuisce questa notevole diminuzione di arrivi ad un’intesa sottobanco tra il governo italiano e alcuni gruppi armati libici: “Il calo sembra essere in gran parte dovuto ad accordi con le due milizie più potenti della città occidentale libica di Sabratha”.
Le due milizie in questione sono la Brigata 48 e la Brigata del martire Anas al-Dabbashi, guidate da due fratelli dell’influente clan al-Dabbashi. “I funzionari della sicurezza e gli attivisti di Sabratha intervistati dall’AP hanno affermato che dirigenti italiani si erano incontrati con i leader della milizia”, si legge nello stesso articolo.
Inoltre, sempre secondo la AP, “dal 2015 (quando Matteo Renzi era primo ministro, ndr), la sorveglianza del sito petrolifero di Melitah, dove opera l’Eni, è affidato alla milizia di al-Ammu”.
Da questo quadro remerge chiara l’ambiguità dello Stato italiano nei confronti della situazione in Libia. Questa ambiguità è stata evidenziata da un’inchiesta pubblicata il 4 ottobre di quest’anno dal quotidiano l’Avvenire intitolata “La trattativa nascosta.. Dalla Libia a Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss”. Da questa inchiesta risulta che l’11 maggio 2017 funzionari dello Stato italiano incontrarono rappresentanti delle autorità libiche per discutere del blocco delle partenze di profughi e migranti. Alla riunione partecipò Abd al-Rahman al-Milad, alias “Bija”, capo della Guardia costiera libica della zona Ovest.
Quest’uomo è “accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawiya, aveva ottenuto un lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità italiane a studiare il ‘modello Mineo’”, scrive Nello Scavo, autore dell’inchiesta.
L’arresto di Saleh al-Dabbashi è una carta importante in mano ad Haftar per dare del suo nemico di Tripoli, Fayez al-Sarraj, l’immagine del “padrino” dei trafficanti di esseri umani, diversi dei quali reclutati, anche con compiti di comando, nella Guardia costiera libica, addestrata e supportata in mezzi dall’Italia.
Cambiano i governi e le maggioranze, ma Roma resta sempre sotto scacco. Se il “fratello” di “Ammu” parla, in Italia scatterà l’allarme rosso. La “Libya connection” può esplodere.
(da Globalist)
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Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
SONDAGGIO SU BILD: AFD SCENDE DAL 12,6% AL 9%, LA CDU SALE AL 37%
In Italia le tentano tutte per alimentare polemiche ma non ci riescono. E anche in Germania alla fine l’epidemia non fa bene all’estrema destra che se non può cavalcare l’odio contro qualcuno non è contenta.
La buona gestione dell’emergenza coronavirus rafforza in Germania la popolarità del governo guidato dalla cancelliera Angela Merkel e fa precipitare l’estrema destra dell’Afd al punto più basso degli ultimi due anni e mezzo.
Secondo un sondaggio Kantar, pubblicato dal quotidiano popolare Bild, l’Afd ottiene oggi il 9% dei consensi, rispetto al 12,6% delle elezioni del 2017 quando diventò il terzo partito tedesco
Il partito conservatore Cdu-Csu della cancelliera Angela Merkel si attesta invece al 37% (32,9% alle elezioni) e i partner socialdemocratici (Spd) al 18% (20,5% nel 2017).
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
IL CONSULENTE DEL MINISTRO DELLA SALUTE: “NON CI POSSIAMO PERMETTERE UNA SECONDA ONDATA DELLA PANDEMIA”
“È assolutamente troppo presto per iniziare la fase due, i numeri, soprattutto in alcune Regioni, sono ancora pieni di una fase uno che deve ancora finire. È assolutamente importante non affrettare e continuare. Il piano del ministro Speranza, articolato su cinque punti e che sta preparando la fase due, è quello da attuare ed è basato su distanziamento sociale, rafforzamento del servizio sanitario nazionale sia nella parte territoriale che nella parte ospedaliera e poi sulla diagnostica estesa ma mirata e sul tracciamento. Questa è la fase preparatoria, però non c’è dubbio che potrà partire, soprattutto in alcune Regioni, quando conteremo i nuovi casi sulle dita di una mano e non certamente con numeri a quattro cifre”.
Lo ha detto a Sky TG24 il membro del comitato esecutivo dell’Oms e consulente del ministro della Salute Walter Ricciardi.
“Stiamo facendo dei modelli che studiano quando presumibilmente ci sarà l’azzeramento dei contagi nelle prossime settimane o in certi casi nei prossimi mesi — ha continuato Ricciardi-. Solanto sulla base di quei numeri si potrà dare il via libera, perchè altrimenti quello che succede, come è successo nel passato, è che nel momento in cui si allentano le misure di sicurezza la pandemia riesplode con una seconda ondata, che il passato ci dice che molto spesso è peggiore della prima. Non ce lo possiamo permettere perchè significherebbe richiudere prontamente tutte le attività , risigillare tutti a casa in maniera forte e soprattutto esercitare quella pressione sul servizio sanitario nazionale che poi si traduce in malati, intubati e morti. È una cosa che non vogliamo che si ripeta”.
“Nella seconda fase proponiamo di estendere la tamponatura ai sintomatici molto lievi, quelli che hanno un solo sintomo e che esordiscono con un colpo di tosse e soprattutto con la febbre, e isolarli immediatamente nel caso risultino positivi e poi tracciarli tecnologicamente in modo tale da risalire ai contatti in modo rapido”, ha concluso.
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DI UN GIORNALISTA IN QUARANTENA
In Lombardia, la battaglia collettiva al Covid19 si combatte con l’iniziativa personale. E si vince solo se si ha la fortuna d’incontrare dei medici disponibili, che si prestano a fare quello che nessuno in Regione si organizza per fare: seguire i pazienti che si sono fatti la malattia a casa.
Sono in isolamento volontario per sospetto Covid dal 17 marzo. Ho già avuto tutti i sintomi classici — tosse, febbre, anosmia — e, su consiglio del medico curante, mi appresto a terminare la quarantena quando, il giorno di Pasqua (12 aprile), leggo che l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera paventa di allungare la quarantena da 14 giorni a 28 perchè “molte persone poi sono ancora positive, quindi a garanzia di tutti allunghiamo il periodo”.
Non vedo l’ora di poter uscire e tornare dalla mia famiglia, ma come faccio a essere sicuro di non essere più contagioso al termine della reclusione? Mi metto al telefono per cercare di capire. Il mio medico di base non sa nulla delle nuove disposizioni.
“Ho letto anch’io, ma di comunicazioni ufficiali dalla Regione non ne sono arrivate. Al momento le indicazioni per la quarantena restano 14 giorni”. A sentire Gallera, però, con buona probabilità potrei essere ancora una bomba virale, ufficialmente autorizzata a uscire, pronta per infettare tutti quelli che incontro per la strada.
Martedì 14 aprile chiamo nell’ordine: il 1500, l’Ats, il numero verde regionale, la clinica La Madonnina, il San Raffaele, il San Giuseppe, il Niguarda e il Policlinico.
Mi risponde gente più o meno affabile. Ma tutti con lo stesso messaggio: il tampone, a me, non lo possono fare.
Il numero nazionale dice che spetta al medico di base, il medico di base che spetta all’Ats, l’Ats alla Regione.
I rappresentanti di queste ultime due, sono gli unici che cercano anche di giustificare l’impossibilità di fare i tamponi a chi è a casa. “Non servono, sono solo una fotografia del momento”, m’informa un’infermiera dell’Ats.
“Siamo ancora in emergenza”, mi dice il centralinista della Regione che, per dare più peso alla sua opinione, si qualifica come tecnico di laboratorio prestato come volontario al call center. “Ma scusi, ma visto che Milano e province sono ormai rimaste le uniche a registrare numeri di contagi così alti, non si potrebbe smistare il carico di lavoro ad altri laboratori in giro per l’Italia?”, domando. Risposta: “Evidentemente ci sono altre priorità ”.
Alla fine, sempre il 14 aprile chiamo l’ospedale Sacco.
Spiego la mia storia, che credo sia simile a quella di migliaia di persone che hanno avuto i sintomi del virus, si sono diligentemente chiuse in casa senza che nessuno venisse a visitarle, sono guarite e ora aspettano di uscire. Faccio presente che a giorni dovrebbe finire la mia quarantena. Ma che l’affermazione dell’assessore Gallera mi ha confuso. “Sarò ancora positivo al termine dei 14 giorni?”. Mi risponde una donna molto gentile. Mi chiede di aspettare in linea, si consulta con un collega e alla fine mi dice: “E’ una situazione assurda. Venga qui che le facciamo il tampone”.
Al Sacco trovo personale disponibile e professionale. Ci passo 10 ore e mi fanno tampone, esami del sangue, elettrocardiogramma, lastre, ecografie. I raggi rivelano che l’infezione da virus c’è stata, ma l’ecografia dice che non è più in atto. Il peggio è passato e mi lasciano andare a casa, in attesa dei risultati del tampone. Congedandomi il medico mi fa firmare le carte in cui m’impegno all’isolamento e mi dice: “Potrebbe essere ancora positivo, non si può sapere”.
Il giorno dopo, 15 aprile, arriva il risultato: negativo. Al telefono mi dicono che, al termine della quarantena posso tornare a uscire.
Resta che, se non mi fossi incaponito, a sei settimane dall’inizio dell’emergenza, nessuno si sarebbe preoccupato di verificare le mie condizioni, lasciandomi libero di andare in giro, anche se infetto.
Se il contagio non arretra, come avviene nelle altre Regioni d’Italia, forse chi ha la responsabilità delle politiche sanitarie in Lombardia, dovrebbe cominciare a cercare strategie alternative, come seguire i pazienti a casa e testare quelli che sono teoricamente guariti, anzichè incolpare falsamente i cittadini di andarsene in giro disobbedendo alle direttive.
(da “Business Insider”)
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Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
IL TENNISTA: “FOLLE LA RIPRESA DEL CALCIO MENTRE OGNI GIORNO MUOIONO ANCORA CENTINAIA DI PERSONE”
Nella vulgata comune, anche durante questa fase di emergenza sanitaria, sembra che uno dei principali e più impellenti problemi nel nostro Paese sia la ripresa dei campionati di calcio.
Fabio Fognini non usa mezzi termini per definire le posizioni di chi non vede l’ora di far ripartire la Serie A, sottolineando come anche tutti gli altri sport abbiano deciso — come inevitabile — di fermarsi vista la situazione.
Il tennista ligure sottolinea come di fronte ai morti non possa passare la linea dell’egoismo da business.
«Per me sono matti. Sono morte migliaia di persone e pensano al pallone- ha detto Fabio Fognini nella sua intervista rilasciata a Il Corriere della Sera -. Scherzano con la salute delle persone, inseguono solo il business. Che senso ha riaprire senza spettatori? Che senso ha San Siro vuoto? Non esiste, dai».
Insomma, il 32enne tennista italiano ha le idee ben chiare: no alla ripresa degli sport — con particolare riferimento al calcio — fino a che la situazione non sarà tornata alla normalità .
Fognini ha detto di aver parlato anche con molti calciatori, ma anche con alcuni suoi colleghi tennisti. La sua posizione sembra essere piuttosto netta anche per il prosieguo dell’attività agonista fino alla fine dell’anno in corso: «Io ho una mia idea: nel 2020 non si gioca più. Come fa un direttore di torneo a prendersi la responsabilità della salute di giocatori, staff, media, spettatori? Ne parlavo ieri in chat con Perin, Criscito e Viviano, i miei amici calciatori. Va bene il discorso economico, ma io finchè non sono sicuro al 110% non mi muovo. Perderò punti e soldi? Pazienza».
(da agenzie)
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