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SGARBI E I CACHET D’ORO, CHE SI DICE TRA I DEPUTATI DI CENTRODESTRA

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

TRA FUGHE E IMBARAZZI: “SE HA VIOLATO LE NORME DEVE DIMETTERSI”

“Ho un appuntamento”. “Ti rispondo la prossima volta”. “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. “Non è materia di mia competenza”. “Oggi parlo solo di donne”. “Non sono informato”. “Non dipende da me”. Sono le risposte date da alcuni deputati di maggioranza alla domanda sull’opportunità o meno delle dimissioni del sottosegretario alla cultura, Vittorio Sgarbi, dopo l’inchiesta de Il Fatto Quotidiano sui cachet d’oro.
Una raffica di risposte imbarazzate, che fanno sorgere sospetti sulla reale capacità di molti parlamentari di prendere una posizione, in assenza di una opinione già delineata dai leader dei partiti di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega.
Fortunatamente, qualche pensiero (raro) a Montecitorio l’abbiamo trovato. “Non ho approfondito la vicenda, ho capito ieri che era successo qualcosa. Ho anche letto parte del vostro articolo online, però non sono in grado di dare un opinione. Se ha violato le norme sicuramente si deve dimettere” afferma il deputato di Fratelli d’Italia, Marco Osnato.
“Non dipende da me”, dice Luciano Ciochetti, sempre di Fratelli d’Italia, “non conosco i fatti, conosco solo quello che ho letto sul vostro giornale. Se fossero vere secondo me si dovrebbe dimettere, però non so se sono vere”.
“Sono decisioni che prenderà il sottosegretario, non credo che ci sia necessità di dare una risposta in questo momento” afferma Fabio Pietrella, altro deputato del partito guidato da Giorgia Meloni. Pietrella cerca di congedarci, evita ogni minima prese di posizione e risponde: “La meloni sa bene cosa deve fare. La mia opinione? In un contesto come questo ognuno si assumerà le proprie responsabilità e riferirà in base a quelle che sono le proprie intenzioni”.
“Se la vedrà il ministro” sorride il leghista Andrea Crippa, vicesegretario e deputato Lega. “Ho letto che fa le conferenze, se l’ha fatto è abbastanza inopportuno. Poi se è vietato a maggior ragione, però sono questioni del Ministero e il ministro deciderà cosa fare”.
Per Maurizio Lupi “il sottosegretario ha detto che sta rispettando la legge. Ci sono delle leggi che vanno applicate ma sarà l’antitrust a decidere. Se Sgarbi ha applicato la legge – come dice lui – non si deve dimettere. Se invece non ha applicato la legge deve rinunciare a quell’incarico. Credo che la strada intrapresa dal ministro Sangiuliano di coinvolgere l’Antitrust sia la strada giusta ”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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“DA SETTE ANNI HO SCELTO DI VIVERE IN NORVEGIA, QUI LA PAROLA D’ORDINE E’ NO STRESS”

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

LA STORIA DI CRISTINA, ORIGINARIA DEL BERGAMASCO, INSEGNA LINGUE: “QUI C’E’ RISPETTO DEI DIRITTI DEL CITTADINO, GLI STIPENDI SONO ALTI E IL LAVORO LASCIA MOLTO SPAZIO ALLA VITA PRIVATA”

“Ormai sono 7 anni che vivo qui e con mio marito ci troviamo molto bene”. Cristina, 34 anni, originaria della provincia di Bergamo, vive in Norvegia ed è una dei tanti italiani all’estero che hanno scelto un Paese scandinavo come loro nuova casa.
§Dopo essersi laureata in Italia, si è trasferita: per 6 anni ha vissuto in un’isola fuori Trondheim e ora lei e suo marito si sono stabiliti a Bergen. A Fanpage.it Cristina ha spiegato la sua scelta e raccontato la sua vita in un luogo così diverso e lontano da quello di origine, ma che si trova al settimo posto nel World Happiness Report 2023, la classifica dei Paesi dove si vive meglio.
Quando e perché hai deciso di trasferirti in Norvegia?
Mi sono trasferita qui ad aprile 2016, ma avevo già iniziato a programmare il trasferimento nel 2015. Io ho studiato tantissime lingue, ma non quelle scandinave e inizialmente non avevo preso in considerazione la Norvegia, come posto dove spostarmi. Poi però è successo che quello che era all’epoca il mio ragazzo, e oggi è mio marito, aveva iniziato a fare dei corsi di subacquea ricreativa con un amico e insieme avevano pensato di fare anche un’esperienza lavorativa come sub commerciale, ovvero quelle persone che fanno immersioni per lavoro e non per divertimento. Il corso, della durata di 4 mesi, l’hanno trovato a Oslo.
Una volta che lui è arrivato lì ha parlato tanto con persone del posto e stranieri in Norvegia e valutato le opportunità a livello lavorativo, per lui nell’ambito della subacquea e dell’ingegneria, in cui poi si è laureato, e anche per me nell’ambito della lingue e dell’insegnamento.
Sono tanti gli stranieri che in Norvegia fanno gli insegnanti di lingue perché qui c’è molta richiesta ma i norvegesi non insegnano lingue un po’ più particolari. L’inglese è obbligatorio dalle elementari, dalle medie invece si studiano anche lo spagnolo, il tedesco e il francese. Alle superiori si può scegliere tra 44-45 lingue diverse, come il cinese, l’arabo o anche l’ italiano. Se sai delle lingue di nicchia, non si ha tanta concorrenza.
Il mio ragazzo ha quindi finito il corso e si è laureato, io anche. Abbiamo lavorato un po’ in Italia, studiato norvegese, siamo partiti e siamo rimasti qui.
Ora di cosa vi occupate? Come vi trovate a livello lavorativo?
Ci troviamo veramente bene. Lui ha lavorato circa 2 anni nella subacquea e ora fa l’ingegnere. Io ho cominciato come supplente, mentre ora ho aperto una mia scuola di lingue online. Qui è veramente facile aprire una partita Iva, tante persone mi hanno contattato sul web per avere informazioni a riguardo.
Perché tu ha deciso di condividere la tua vita in Norvegia anche sui social, giusto
Sì, quando mi sono trasferita ho iniziato a mettere foto e storie su Instagram e piano piano mi hanno iniziato a seguire tante persone che mi facevano domande sul Paese. Così ho deciso di aprire un canale su Youtube per rispondere a quelle più frequenti con video dove spiego qual è il costo della vita in Norvegia, come festeggiano il Natale qui e qualche piccola lezione di lingua. Quando ci siamo trasferiti noi, non è stato tanto facile trovare informazioni in italiano. Mi fa piacere spiegare agli altri come funzionano le cose qui e aiutarli a risolvere i loto dubbi.
Cosa ti piace della Norvegia?
Quando sono qui mi sento molto sicura ed è una cosa che noto quando torno in Italia o vado all’estero. Mi sento tranquilla anche a girare di sera. In Italia non sono mai stata spaventatissima, anche se quando studiavo a Milano sono sempre stata attenta. Però qui noto che non ci faccio più attenzione.
A livello di qualità della vita, quali sono le differenze con l’Italia?
Qui c’è molto rispetto dei diritti del cittadino e la parola d’ordine è ‘no stress‘ in qualsiasi ambito, a scuola, al lavoro, dappertutto. Gli stipendi sono più alti e gli orari lasciano tendenzialmente molto spazio alla vita privata delle persone. Si possono prendere permessi tranquillamente e nessuno fa pressioni. Non c’è quella cosa del ‘vivi per lavorare’ ma lavori per guadagnarti da vivere e avere una vita dignitosa e rilassata.
E le persone come sono? Com’è stato abituarsi a un Paese così lontano e così diverso?
Le trovo calorose e aperte, anche se il luogo comune è che siano fredde. Hanno solo un modo diverso di socializzare, sono un po’ più riservate e rispettose della privacy però sono sempre contente di fare amicizia con gli stranieri, soprattutto nelle città. Non necessariamente ti invitano a bere un caffè, ma magari ti chiedono di andare a fare insieme sci di fondo o di partecipare a un barbecue. All’inizio è dura, ti abitui prima al lavoro e ai ritmi diversi della giornata. Ma la cultura è difficile da sradicare per acquisirne un’altra. Bisogna un po’ adattarsi, anche se i norvegesi sono molto curiosi, gli piace tanto viaggiare all’estero e conoscere persone straniere.
Invece, cosa proprio non ti piace?
Una cosa che non mi manca quando vado via è il clima. E anche questa situazione “luce-buio” scombinata, mi manda in crisi. Però è molto soggettiva, mio marito non ha tutti questi problemi e tante altre persone la gestiscono in modo più tranquillo. In fatto di cibo, invece, devo dire che non mi trovo malissimo. Certo, noi italiani siamo molto “viziati” perché mangiamo bene e c’è una buona qualità. Qui c’è molta meno varietà, anche se ormai si trova di tutto, ma tanti prodotti sono importati e, di conseguenza, congelati.
Cosa ti manca dell’Italia?
La famiglia e gli amici, soprattutto, e anche il cibo. Un’altra cosa che mi manca tanto, anche se non l’avrei mai detto perché l’ho sempre data per scontata, è l’architettura. Capisco solo ora perché gli stranieri vengono in Italia così volentieri e passeggiano come se fossero in un museo a cielo aperto, me lo dicono tanto anche i norvegesi. Anche qui il paesaggio è molto bello però c’è molta più natura, ci sono boschi anche poco fuori dalla città. E questo influenza il modo di vivere. Qui si finisce di lavorare alle 16 e spesso si vedono papà e mamme che con i bimbi vanno in bici o vanno a passeggiare nei boschi dietro casa. Le persone hanno un rapporto con la natura completamente diverso e hanno proprio altri ritmi.
A chi consiglieresti la Norvegia come Paese dove trasferirsi?§La consiglio a chi sa adattarsi. Alcune persone a cui avevo fatto lezioni di norvegese online prima che venissero qui sono scappate dopo un mese o meno perché non ce la facevano a gestire il clima, il buio e non riuscivano a legare con le persone. Bisogna essere molto aperti a fare nuove esperienze, mettersi in testa che bisogna adattarsi e rinunciare a delle cose che per noi italiani sono la norma. Però questo Paese può dare anche tanto. La Norvegia è assolutamente un posto super adatto a chi preferisce passare tanto tempo nella natura. Molti mi hanno detto che qui la loro qualità della vita è cambiata. Se si cerca un rapporto stipendio/qualità della vita migliore questo è il posto ideale.
(da Fanpage)

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COSI’ IL SUD ARRICCHISCE IL NORD: SEI MILIARDI DI EURO SI SPOSTANO CON I FUORISEDE

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

LA FUGA DEI GIOVANI VERSO GLI ATENEI SETTENTRIONALI ACCENTUA LA SPACCATURA TRA DUE ITALIE

Il tram numero 9 dell’Atm di Milano racconta storie diverse secondo l’ora e il giorno. Intorno al pranzo ci sono i senza fissa dimora che vanno a mettersi in fila all’Opera San Francesco di piazza Tricolore, accanto all’hotel di lusso Château Monfort. Nel fine settimana, dalla sera, il 9 diventa il mezzo di trasporto ufficiale dei giovani in transito verso i quartieri di movida attraversati dai binari: Porta Venezia, i Navigli, via Savona. Sono tirati a lucido, parlano di esami e di tesi magistrali. Non temono di affrontare i conti di bar e ristoranti dove l’autista Atm, con il suo stipendio da 1500 euro, avrebbe paura a entrare. Come il tramviere arrivato a Milano in cerca di lavoro, i passeggeri del 9 hanno in larga maggioranza accenti del Sud appena addomesticati da quel flair meneghino che oggi significa, per dirla con il Dogui dei film dei Vanzina, «stare in pole position».
Anche quest’anno la meglio gioventù della borghesia meridionale si è spostata in massa verso gli atenei del Centronord, quelli che promettono lavoro sicuro e persino qualificato. I politecnici di Torino e Milano, la Bocconi, la Cattolica, il San Raffaele Vita e salute, la Sapienza di Roma, Iulm, Lumsa, Ied. Privato è meglio. Si entra più facilmente anche se si paga di più.
Ma i figli sono pezzi di cuore. Nessuno lo sa meglio di una madre o di un padre che vivono in un Mezzogiorno travolto dalla crisi economica, demografica, dove persino le mafie ormai recalcitrano a investire. I bravi genitori che hanno accettato una decadenza senza fine, in peggioramento con l’imminente arrivo dell’autonomia regionale differenziata, gettano il cuore oltre l’ostacolo ogni mese fra tasse di iscrizione e rate di frequenza che possono arrivare a 20140 euro l’anno, come nel caso dell’International Md program del San Raffaele, contro un’immatricolazione per la magistrale in Bocconi a quota 16103 euro.
L’università può non essere la spesa maggiore. A Milano, soprattutto, ma anche a Torino, Bologna, Firenze, Padova, una stanza in condivisione a 900 euro entro i confini municipali è un costo ancora economico. Nello studentato milanese Hines in zona Bocconi (Aparto Giovenale) un vasto monolocale da 27 metri quadrati va a 1300 mensili. Però c’è lo studio yoga, il cinema e la palestra, anzi, il gym dove si può fare workout nel Milan lifestyle.
Per il Campus X Bicocca si può arrivare a 1700 euro, oltre ventimila l’anno. Molti di questi interventi immobiliari privati che aspirano a togliere i giovani contestatori dalle tende davanti alle facoltà sono cofinanziati dal Miur in base alla legge 338 del 2000. I genitori, invece, si finanziano da sé. La combinazione università più affitto può arrivare facilmente oltre i 30 mila euro l’anno, senza calcolare vitto, abbigliamento, libri e altri costi più o meno voluttuari.
«È la nuova questione meridionale», dice Luca Bianchi, direttore generale del centro studi Svimez nato nel dicembre 1946, sei mesi dopo il referendum monarchia-repubblica stravinto dai Savoia al Sud. «La migrazione dei talenti e delle competenze negli ultimi vent’anni ha portato a una perdita di 300 mila laureati al Sud e il saldo dell’ultimo anno disponibile, il 2021, è di -21 mila, con una quota in crescita. Gli emigrati laureati aumentano anche quando aumenta l’occupazione perché sono posti a basso valore aggiunto, nel turismo, nel commercio. Per le immatricolazioni agli atenei del Centro-nord, invece, si parla di un quarto di iscritti che vengono dal Sud».
Dal rapporto annuale che Svimez presenterà a fine novembre, l’Espresso può anticipare che ogni laureato vale 150 mila euro di spesa pubblica. «Questa cifra proiettata sui ventimila che vanno via ogni anno», aggiunge Bianchi, «dà 3 miliardi di euro di trasferimento implicito verso Nord. La contabilità territoriale chiesta dall’autonomia differenziata non ha senso in un paese integrato come l’Italia e lo svantaggio distributivo patito dal Nord è un mito».
I costi di investimento pubblico, ovviamente, non includono la spesa diretta delle famiglie sul mantenimento e, per così dire, la manifattura del futuro laureato. A volersi divertire con le cifre, il Miur ha annunciato che nell’anno accademico 2022-23 ci sono state 331 mila immatricolazioni (147 mila maschi, 184 mila femmine). È una cifra costante negli ultimi anni. Il 25 per cento di studenti meridionali fuori sede elaborato da Svimez si traduce in oltre 82 mila partenze. Applicando il criterio di spesa prudenziale dei 30 mila euro l’anno per ogni studente, il prodotto della moltiplicazione è di 2,47 miliardi di euro in fondi privati trasferiti dal Sud al Centro-nord, da aggiungere ai 3 miliardi di spesa pubblica dei laureati.
Comprare casa al rampollo, con la bolla immobiliare e i mutui alle stelle, significa sborsare non meno di un quarto di milione, se ci si accontenta di un tugurio. Oltre a questi aspetti più immediati, il travaso di risorse dal sud verso il nord pone questioni a medio-lungo termine. Per esempio, la riqualificazione energetica diventa più facile per un piccolo proprietario foraggiato dagli affitti e riguarda non solo la cintura urbana dei poli di maggiore attrazione ma anche l’hinterland. È più facile investire sul rinnovamento a Vimodrone, comune della periferia milanese sulla metro verde che porta al San Raffaele o magari nelle campagne dalle parti di Trigoria.
Nota per accogliere il centro sportivo dell’As Roma e il Campus Biomedico (da 13500 a 18 mila euro l’anno di iscrizione), Trigoria è a venti chilometri dal centro della città, oltre il Gra. Eppure una stanza quota intorno ai 500 euro al mese nonostante i posti della facoltà di medicina siano limitati a 150. In prospettiva dell’invecchiamento dei genitori-finanziatori, nella vicina Fonte Laurentina è pronto il co-housing per anziani dell’Over Senior residence. Sempre oltre il raccordo anulare, sulla Tiburtina c’è l’Unicamillus, parecchio oltre il capolinea della metro B di Rebibbia, che offre corsi in medicina a 21 mila euro l’anno.
Anche la Hunimed ha rette oltre i 20 mila euro proporzionate alla sua fama di ateneo internazionale. L’università del gruppo sanitario Humanitas di Rozzano si è insediata nel comune di Pieve Emanuele, che negli anni Ottanta era un esempio urbanistico da manuale di ghetto per meridionali con i palazzoni dell’Incis e il suo residence frequentato da poliziotti e carabinieri dove il dialetto lombardo era raro come una sera senza nebbia. Anche qui, il mercato immobiliare si è adeguato verso l’alto.
Gli ultimi dati disponibili sulle immatricolazioni fuori regione sono spettacolari. Nell’anno 2019-2020 gli iscritti non residenti erano 64165. La pandemia è passata senza tracce perché nel 2021-2022 sono stati 72994, quasi novemila in più. Le percentuali più alte di fuori regione, manco a dirlo, sono in Bocconi (72,7 per cento), a Trento (66,5 per cento), al San Raffaele di Milano (64,1 per cento). Sopra il 50 per cento ci sono le romane Luiss, Biomedico e Link campus.
La macchina che ha tenuto in piedi il boom economico del secolo scorso era fatta di contadini o sottoproletari emigrati verso le industrie del settentrione con le loro rimesse ad alimentare il Mezzogiorno. Oggi quel sistema è completamente saltato e nemmeno un insegnante può permettersi la vita da fuori sede al Centronord. In un certo senso, vige la teoria economica del trickle-down al rovescio. Al posto dei ricchi che guadagnano sempre di più e che fanno “gocciolare” parte della ricchezza verso gli strati inferiori della scala sociale, ci sono le famiglie borghesi del Sud che aumentano il benessere già consistente di chi ha una rendita di posizione nei centri urbani del Nord. E il fenomeno si allarga dai giovani ai genitori stessi che, alla lieta novella dell’impiego dei pargoli, ergo della possibile nuova famiglia, progettano di trasferirsi a fare i nonni con il vantaggio di un sistema sanitario migliore.
Proiettato in un futuro più vicino, lo scenario della nuova migrazione diventa catastrofico se l’aspetto di depauperamento patrimoniale si combina con il cosiddetto inverno demografico. L’Istat ricorda che nell’anno di grazia 2061, al Sud vivrà il 30,7 per cento degli ultrasettantenni e nel rapporto dello scorso 12 ottobre dedicato ai “Giovani del Mezzogiorno” segnala un crollo nel numero di giovani in tutta Italia. Nel periodo 2002-2022 i cittadini fra 18 e 34 anni sono scesi di 3 milioni dai 10,2 milioni di vent’anni fa. Ma in percentuale il Sud ha perso quasi l’8 per cento in più del Centronord e questo dato è ancora ottimistico perché gran parte degli studenti meridionali fuori sede aspetta di avere trovato un lavoro post laurea prima di cambiare residenza. Altri decidono di fare la triennale al Sud e prendere la magistrale al Centronord. Il totale è che nelle città meridionali, durante la stagione accademica, è arduo vedere in giro un ventenne.
«Per i giovani del Mezzogiorno», afferma l’istituto nazionale di statistica, «la migrazione universitaria, che si attiva soprattutto verso gli atenei settentrionali, assume proporzioni considerevoli: coinvolge oltre un caso su quattro all’atto dell’iscrizione, e oltre un terzo al conseguimento della laurea. Inoltre, il fenomeno della mobilità per studi universitari nel Mezzogiorno riguarda in misura leggermente superiore gli uomini rispetto alle donne».
Per un minimo di verifica sociologica basta guardarsi attorno e ascoltare i discorsi dell’estate, dominati dall’esodo verso nord dei pargoli appena diplomati. Prendiamo tre coppie. Una è medico più avvocato. La seconda è bancario più avvocato. La terza è monoreddito con coniugi divorziati. Qui il caso è aggravato dal fatto, in teoria positivo, che la diplomata è in classifica sia in un’università privata sia in una pubblica. In attesa dei vari slittamenti delle graduatorie secondo le scelte dei meglio piazzati, il padre ha dovuto anticipare 14 mila euro all’Unicamillus che perderà se la figlia entrerà alla Sapienza. I sei genitori di queste matricole hanno tutti studiato nell’ateneo di prossimità. In questo caso, si tratta di Messina, che è stata a lungo il riferimento universitario per parte della Sicilia orientale e della Calabria meridionale.
È probabile che anche le loro famiglie negli anni Ottanta del secolo scorso avrebbero potuto sostenere il sacrificio economico di mantenere un figlio in un ateneo fuori sede. Ma per la generazione dei boomers sembrava avere meno senso spostarsi verso nord e l’iscrizione in università era non solo un segno di distinzione sociale ma anche una probabilità maggiore di trovare posto senza emigrare, grazie al “pezzo di carta” chiamato laurea.
Oggi basta guardare la classifica Censis delle università italiane pubblicata nel luglio 2023 per capire dove conviene studiare. Nell’elenco dei grandi atenei privati, con oltre 10 mila iscritti, è in testa la Bocconi con 90,4 punti seguita a distanza dall’altra milanese, la Cattolica.
Nei medi atenei privati da cinquemila a diecimila studenti il podio è: Luiss di Roma, Iulm di Milano e Lumsa, che ha sede nella capitale con poli a Palermo e a Taranto. Nel pubblico, c’è ancora meno partita. Fra i mega atenei che contano oltre i quarantamila iscritti, la prima è Bologna. Seguono Padova, la Sapienza di Roma, Pisa e la Statale di Milano. Palermo è settima, Bari nona e la Federico II di Napoli decima.
Per trovare traccia di Sud nelle parti alte del ranking bisogna andare sui grandi atenei, quelli che hanno fra ventimila e quarantamila iscritti, con l’Unical di Cosenza al terzo posto. L’università calabrese rimane uno dei rari poli di attrattiva accademica del Mezzogiorno, soprattutto nel campo dell’intelligenza artificiale. Ha fatto scalpore il colpo di mercato del rettore Nicola Leone che a settembre ha ingaggiato da Oxford un luminare dell’Ai come Georg Gottlob. Quest’anno Cosenza-Arcavacata ha anche inaugurato il suo corso in medicina in concorrenza con l’università della Magna Graecia di Catanzaro-Germaneto. La sanità è di sicuro un’emergenza in tutto il Mezzogiorno. Ma c’è da capire quali strutture troveranno i dottori in formazione che, come dice la madre medico di una delle ragazze in partenza per Roma, «vogliono tutti fare i dermatologi per entrare nel privato e guadagnare con l’estetica».
È la stessa logica dei bocconiani che, appena laureati, finiscono nei i colossi della consulenza come Kmpg, Deloitte, Pwc, Ernst Young, Boston o nella finanza a lavorare quattordici ore al giorno in attesa di salire nella scala gerarchica e retributiva.
Magari qualcuno di loro deciderà di tornare al Sud, sull’onda di crisi di rigetto individuali. Sono i casi che finiscono raccontati sui giornali in modo consolatorio con titoli come: lavoravo a Goldman Sachs, oggi allevo capre sui Nebrodi. Con tutto il rispetto per i neorurali, la macchina dell’economia nazionale non vive di formaggi erborinati ma di fatturati e asset. Su questo fronte, la spaccatura sotto Roma si fa sempre più profonda.
(da L’Espresso)

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L’EUROPARLAMENTARE DI FDI CARLO FIDANZA E IL DEPUTATO DI FDI CALOVINI PATTEGGIANO LA PENA DI UN ANNO E QUATTRO MESI PER CORRUZIONE

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

AVEVANO CONVINTO UN CONSIGLIERE COMUNALE FDI DI BRESCIA A DIMETTERSI PER FAR POSTO A CALOVINI IN CAMBIO DELL’ASSUNZIONE DEL FIGLIO NELLA SEGRETERIA POLITICA DI FIDANZA A BRUXELLES

Il gip di Milano ha ratificato l’accordo di patteggiamento a un anno e quattro mesi di carcere, con pena sospesa, raggiunto a giugno con la Procura dall’europarlamentare di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza e dal deputato Giangiacomo Calovini.
Entrambi erano indagati per corruzione per aver convinto Giovanni Acri, ex consigliere comunale a Brescia con FdI, a dimettersi per far posto a Calovini, ricompensandolo con l’assunzione del figlio nella segreteria politica di Fidanza a Bruxelles.
L’accordo di patteggiamento prevede la riqualificazione dell’accusa da “corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio” a quella meno grave di “corruzione per l’esercizio della funzione”.
Oltre alla sospensione condizionale della pena, a Calovini e Fidanza non sarà applicata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici pertanto entrambi potranno rimanere nelle rispettive assemblee parlamenrtari.
(da agenzie)

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PIU’ DELLA META’ DEGLI ITALIANI NON RIESCE A RISPARMIARE PIÙ DI 100 EURO AL MESE, MENTRE SOLAMENTE IL 9% DEI NOSTRI COMPATRIOTI RIESCE A METTERE DA PARTE ALMENO 500 EURO

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

LA DIFFERENZA TRA UOMINI E DONNE È NETTA: SOLO IL 7% DELLE DONNE RISPARMIA RISPETTO AL 12% DEGLI UOMINI— TRA PAGHE DA FAME E PREZZI GONFIATI ALLE STELLE, È QUASI IMPOSSIBILE ARRIVARE A FINE MESE SENZA SVENARSI

La metà degli italiani non riesce a risparmiare più di 100 euro al mese. Lo afferma uno studio della app finanziaria Revolut realizzato in collaborazione con la società di ricerche Dynata. Secondo la ricerca, quasi 1 italiano su 5 (il 19%) afferma di non riuscire a risparmiare nulla, mentre il 32% risparmia meno di 100 euro al mese. Il 9% riesce a mettere da parte invece almeno 500 euro al mese con picchi del 12% tra gli intervistati di età 45-54. Ma la differenza tra uomini e donne è netta: solo il 7% delle donne sono super-risparmiatrici rispetto al 12% degli uomini.
Il 51% degli intervistati dallo studio, condotto in occasione della giornata mondiale del risparmio, afferma di avere uno o più conti deposito in banche digitali, tradizionali o una combinazione tra le due. Il 14% ha aperto conti deposito esclusivamente in banche digitali.
La fascia d’età che più ne fa uso è quella dei Millennial, con il 63% che afferma di averne almeno uno. Anche in questo caso la differenza tra uomini e donne è evidente: solo il 45% delle donne afferma di avere almeno un conto deposito, mentre tra gli uomini la percentuale sale al 57%.
(da agenzie)

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MARTA FASCINA: “TORNERO’ IN PARLAMENTO, MA RESTO A VIVERE NELLA VILLA DI SILVIO AD ARCORE”

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

L’INTERVISTA RILASCIATA PER IL LIBRO DI VESPA

Marta Fascina è pronta a tornare in Parlamento. Lo ha confermato lei stessa in un’intervista che sarà pubblicata nel nuovo libro di Bruno Vespa Il rancore e la speranza. «Sono un deputato alla seconda legislatura. Come ho sempre detto, seguo e faccio politica fin da adolescente. Continuerò a svolgere il mandato parlamentare che mi hanno conferito i cittadini; la mia assenza è stata motivata da una sofferenza indescrivibile», ha detto Fascina.
Quanto ad un ruolo in Forza Italia, Fascina risponde: «Non ho mai chiesto, né aspirato ad incarichi di partito. Dunque no, al momento, non immagino particolari ruoli per me».
Oltre a un suo ritorno alla Camera, la deputata Fi ha inoltre confidato a Vespa che resterà a Villa San Martino, la storica residenza di Silvio Berlusconi. Rispondendo alla domanda se – dopo i rumors sui giornali – continuerà a vivere nella residenza di Arcore, la deputata di Forza Italia ha fatto sapere di «sorridere, anche se è una cosa che mi risulta difficile in questo momento, quando leggo fantasiosi articoli di stampa. La categorica smentita della famiglia Berlusconi vale più di qualsiasi infondato pettegolezzo», ha ribadito nell’intervista.
«La scomparsa di Berlusconi un vuoto incolmabile»
La scomparsa di Berlusconi, il 12 giugno scorso, all’età di 86 anni, «l’ho vissuta, la vivo e la vivrò con un senso di angosciante vuoto che resterà incolmabile per tutto il resto della mia vita», ha detto Fascina.
«Il mio amato Silvio – continua – donava amore a profusione. In un simile contesto di armonia ed unione che lui, nella sua unicità, è stato capace di creare sarebbe stato difficile non stringere eccellenti rapporti con i suoi amati figli a cui resto legata da sentimenti di stima ed affetto sinceri e profondi».
Poi il “retroscena” sui progetti a cui stava lavorando il Cav.: «Ha lavorato sino a poche ore prima di raggiungere la casa del Signore. Leggeva giornali, scriveva appunti, ragionava di politica interna ed internazionale e di aziende, telefonava ad amici, politici, collaboratori. Fino agli ultimi istanti è rimasto pienamente lucido ed operativo. Aveva deciso di candidarsi alle prossime elezioni europee, in tutte le circoscrizioni. Questo la dice lunga sulla tempra di un uomo straordinario e sul suo ineguagliabile attaccamento alla vita», conclude la deputata Fi.
(da agenzie)

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“IL BOSS E L’AVVOCATO DELLA DESTRA, COSI’ LA CUPOLA HA INFILTRATO FRATELLI D’ITALIA”

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

IL LEGALE, “CONSULENTE” DEL PARTITO VICINO AI VERTICI, INTERCETTATO AL TELEFONO CON L’UOMO DEL CLAN

Le cosche lombarde unite volevano infiltrarsi in Fratelli d’Italia. La strategia messa in campo in alcuni casi ha dato i suoi frutti. Grazie anche ai legami dei boss con avvocati legati al partito, consulenti di alcuni big meloniani, con assistenti parlamentari e professionisti dell’ambiente. Sono loro il «capitale sociale», che ha permesso alla cupola mafiosa lombarda di entrare nei salotti che contano, in prossimità dei vertici dell’estrema destra al governo.
Nelle carte dell’ultima indagine della procura antimafia di Milano sono citati i nomi della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, della sottosegretaria all’Istruzione, Paola Frassinetti, e della parlamentare Carmela Bucalo. Sono solo alcuni dei personaggi emersi dalle migliaia di pagine del fascicolo dell’inchiesta. Per capire però la genesi dell’infiltrazione è necessario partire dalle voci dei capi clan.
«Abbiamo costruito un impero», la sentenza di Gioacchino Amico, considerato uno dei capi dell’alleanza tra mafie che ha conquistato la Lombardia. «Sistema mafioso lombardo», lo hanno definito i magistrati antimafia di Milano nell’ultima indagine, condotta assieme al nucleo investigativo dei carabinieri, che ha svelato una sorta di cupola composta dalle tre organizzazioni più note e potenti nel panorama internazionale: del «sistema» fanno parte le cosche della ’ndrangheta, clan di camorra e famigerati esponenti di Cosa nostra siciliana.
Su questo c’è una spaccatura profonda, però, tra la procura e l’ufficio del giudice per le indagini preliminari. I pm avevano chiesto 154 arresti, il gip ne ha concessi undici e ha smontato diverse accuse. L’indagine, tuttavia, prosegue. Per i pm l’impianto resta solido.
Al pari di un consorzio ogni componente ha una sua quota e una sua specialità. La politica, tuttavia, è la passione che lega tutti i partecipanti al tavolo. O meglio, più che una passione, si tratta di una necessità per raggiungere obiettivi imprenditoriali e finanziari che valgono svariati milioni di euro. Politica vuol dire pubblica amministrazione e, quindi, appalti nelle costruzioni ma anche nel settore della sanificazione degli uffici.
I più attivi nel corteggiamento dei politici sono Amico e Giancarlo Vestiti, quest’ultimo «espressione della famiglia Senese». Il clan Senese, legato ai Moccia, è l’aristocrazia del crimine a Roma. Ma i pm antimafia milanesi hanno scoperto che è anche parte del «sistema» lombardo. È l’immagine di organizzazioni mafiose non più identificabili solo con un luogo, con un territorio, con un quartiere. Si muovono rapide, molto più agili di quanto lo facciano le autorità che hanno il compito di inseguire i loro capitali.
IL CAPO E IL PARTITO
Di certo c’è che Amico ha ottenuto la tessera del partito grazie alla collaboratrice della sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti. «Ho firmato io per te.. tra 4 giorni ti arriverà la tessera», dice al boss la donna. Amico ne parlerà poi a un suo sodale: «Mi è arrivata la tessera di Fratelli d’Italia».
È nero il colore politico della bandiera sventolata dal gruppo in questione. Negli atti dell’indagine un capitolo è dedicato ai rapporti con esponenti politici lombardi. Tra questi ci sono anche parlamentari, come raccontato nella prima puntata.
Per esempio Paola Frassinetti, con la quale Amico ha avuto un incontro a Roma nel 2020. Amico è ufficialmente un imprenditore. In contesti alti utilizza un eloquio forbito. In altri, da narcotrafficante, il lessico cambia. «Ti stermino la famiglia», ha detto a una vittima. Al pari di Amico c’è Vestiti, che briga con il sottobosco politico della destra milanese: è molto amico dell’avvocato Mario Marino, storico esponente della destra estrema del capoluogo lombardo, che vanta rapporti con le alte sfere di Fratelli d’Italia sul territorio.
Vestiti e Marino parlano al telefono di dinamiche politiche e di volti noti del partito di Giorgia Meloni. Marino, per esempio, si definisce un «consulente» di Fratelli d’Italia e ammette di conoscere molto bene Daniela Santanchè.
L’avvocato dei misteri dà l’impressione di conoscere l’ambiente tanto da aver contribuito a costituire l’associazione Noi repubblicani popolo sovrano, fondata, si legge negli atti, da «Santanchè, Dimitri Kunz, Mario Mantovani…». I primi due sono fidanzati e sono al centro dell’indagine per falso e bancarotta che stava portando quasi alle dimissioni della ministra. Mantovani è un ras del centrodestra lombardo, un tempo potentissimo da qualche tempo scomparso dai radar.
L’AVVOCATO–CONSULENTE
Per districarci meglio in questa storia abbiamo contattato l’avvocato Marino: «Non ho incarichi politici, faccio l’avvocato e niente più. Noi repubblicani era una corrente più moderata dove andavano quelli incazzati con La Russa (Ignazio, presidente del Senato, ndr)». Nelle intercettazioni Marino dice di essere vicepresidente di Noi repubblicani di Milano. Lui a Domani replica: «Da quando avevo 14 anni sono di destra. Non ho mai avuto alcun ruolo. Forse c’era l’ipotesi di fare un circolo, ma poi che reato è?». Infatti Marino non è indagato nell’inchiesta sulla cupola, è però molto intimo di uno di quelli considerati a capo del sistema.
In questo gran parlare, Marino spiega all’uomo del clan di essere un consulente di Fratelli d’Italia e amico di Mantovani e Santanchè. Sarà vero? «Più che consulente sono un loro avvocato di riferimento per tante cose, mi chiamano e mi interpellano. Sono vicino al partito, conosco tutti. Ho relazioni amicali con Santanchè e Mantovani e altri cento deputati. Ho fatto riunioni con loro per dargli una mano. Diversi amici del partito mi hanno chiesto di candidarmi, ma ho rifiutato».
Marino ha conosciuto Vestiti «perché aveva bisogno di una consulenza legale sul penale, lui è incensurato, lui ha sempre lavorato nella moda e nell’abbigliamento, rappresentante di Versace e grandi marchi e poi si è messo in proprio». Secondo Marino, Vestiti è solo una vittima del luogo di origine, mica un mafioso: «Siccome è napoletano e conosceva Michele Senese (boss di camorra a Roma, ndr)». Aggiunge che le strade di Vestiti e Senese «si sono poi separate da giovanissimi».
(da editorialedomani.it)

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MANOVRA, LA RIVOLTA DI LEGA E FORZA ITALIA E I TIMORI PER IL GIUDIZIO DELLE AGENZIE DI RATING

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

LA DUCETTA, COME SEMPRE, SI SENTE SOTTO ASSEDIO: “SEMBRA UN AGGUATO”…LA PROSSIMA SETTIMANA ARRIVA FITCH, IL 17 NOVEMBRE C’È IL GIUDIZIO DI MOODY’S

«Dureremo quattro anni», diceva mercoledì la premier. Eppure la giornata di ieri restituisce un’immagine non proprio rassicurante. Le indiscrezioni sulle bozze del provvedimento atteso in Parlamento hanno scatenato Lega e Forza Italia. Il Carroccio, dopo aver propagandato lo smantellamento della legge Fornero e la cosiddetta pace fiscale, deve accettare norme che inaspriscono le condizioni per lasciare il lavoro e aumentano i controlli nei conti correnti degli evasori.
Forza Italia non riesce ad ingoiare il rospo della stretta sulle tasse immobiliari, in particolare l’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi.
L’intervento sulle pensioni, voluto all’ultimo momento da Meloni, è l’assicurazione contro il declassamento delle agenzie di rating. Il perché lo raccontano gli ultimi dati Inps sulla spesa previdenziale. L’anno scorso è salita del 2,9 per cento a 322 miliardi, più di un terzo del bilancio pubblico, quasi il triplo della spesa per la sanità, sei volte più di quel che lo Stato dedica alla scuola.
Delle quattro agenzie che si devono esprimere sull’affidabilità dei titoli italiani, finora a confermare il giudizio è stata solo S&P Global. Oggi è il turno di Dbrs, la settimana prossima di Fitch, il 17 novembre chiude il giro Moody’s. Se quest’ultima peggiorasse anche solo di un gradino il giudizio, il debito italiano perderebbe il livello “investmente grade” con conseguenze gravissime sui mercati.
All’ora di cena contro la norma che rafforza i poteri dell’Agenzia delle entrate si scaglia Salvini: «Non ci saranno incursioni sui conti degli italiani». Poco dopo un’indiscrezione fatta circolare da Palazzo Chigi spiega che non ci sarà nessuna norma per permettere all’Agenzia di «entrare direttamente nei conti», ma solo «la possibilità di utilizzo di strumenti informatici per efficentarne di già esistenti». Un giro di parole per confermare senza smentire. Poi siccome dei giornali è bene non fidarsi, Meloni riscrive il concetto su Facebook con tono polemico: «Avviso ai naviganti: quella norma non c’è».
Se la bozza circolata ieri fosse quella concordata con i partiti, si dovrebbe desumere che fra Meloni, Giorgetti e i partner sia in atto un gioco delle parti. Le modifiche alle pensioni sono limitate, così come non ci sono cambiamenti enormi sul fisco.
Le novità rilevanti sono tre: la modifica dei moltiplicatori per gli assegni dei più giovani, il limite minimo di mille euro per i debiti fiscali che prevedono il pignoramento sui conti bancari, il tetto a 50mila euro per usufruire dell’esclusione dei titoli pubblici dal calcolo dell’indicatore di ricchezza (Isee).
Per fermare il corto circuito mediatico il Tesoro ha comunque dovuto fare una nota per smentire l’ufficialità delle bozze fin qui diffuse. Il banco di prova della maggioranza sarà in Parlamento.
(da La Stampa)

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GIORGIA MELONI È ACCERCHIATA: DA UN LATO C’È LO SCAZZO IN ATTO CON FORZA ITALIA PER LA QUESTIONE GIAMBRUNO, DALL’ALTRO SALVINI CHE HA RICOMINCIATO LA STRATEGIA DEL LOGORAMENTO SULLA MANOVRA

Ottobre 27th, 2023 Riccardo Fucile

IL TUTTO, MENTRE AL CONSIGLIO EUROPEO DOVRÀ SPIEGARE AI LEADER COSA FARÀ CON IL MES

Arriva a Bruxelles senza nessuna voglia di parlare della manovra. È infuriata. Condensa la rabbia per l’atteggiamento degli alleati, consegnando ai suoi un concetto che suona così: «Sembra quasi un agguato politico». Pesa soprattutto la tempistica degli attacchi delle ultime ore, prima ancora del merito.
Perché le richieste di modificare una legge di bilancio che doveva essere “blindata” arrivano appena l’aereo presidenziale decolla da Ciampino. Di fronte all’Europa che deve giudicare la serietà della finanziaria. A partner con cui deve trattare il Patto di stabilità. E al cospetto dei mercati che da settimane si agitano per i titoli di Stato.
“Slealtà”: ecco l’altro sentimento confidato in privato. Anche perché le critiche l’hanno colpita nel momento di massima difficoltà personale. Prima di entrare nel salone del Consiglio europeo, legge le ultime agenzie. Attacchi, ancora attacchi, anche da Forza Italia. Deve lasciare il cellulare fuori, durante il summit funziona così.
In alcuni momenti, però, lascia la riunione per fare il punto con le sentinelle che presidiano Palazzo Chigi. Indica la linea, dopo rapida consultazione con Giancarlo Giorgetti: «Soltanto minimi aggiustamenti, a saldi invariati ». Qualcosa sulle pensioni, ma molto meno di quanto chiedeva Salvini.
Una formale e pasticciata retromarcia sul prelievo forzoso dai conti correnti, più che altro per ridurre l’impatto devastante di una notizia che in mezza giornata allarma l’elettorato di destra. Anche perché cedere troppo significherebbe accettare la logica della slavina: più arretri, più chiederanno.
La verità è che è ripresa la campagna di logoramento, che si era interrotta da qualche settimana, subito dopo gli attacchi contro Israele. Non è un caso, allora, che il contatto più aspro sia quello con Matteo Salvini. Fin dal mattino, due fedelissimi del segretario del Carroccio come Riccardo Molinari e Andrea Crippa si accaniscono contro la manovra, passandosi il testimone.
A un certo punto, la premier decide di chiarire all’alleato il metodo: «Sulla legge di bilancio non si scherza Già è difficile spiegare agli italiani le scelte che abbiamo dovuto assumere, certo non c’è spazio per polemiche ». Se non si arresta subito la guerriglia, è il senso del messaggio, «sarà la Lega a spiegare la manovra agli italiani». Come a dire: questo è il nostro testo, su questo mettiamo la faccia, fuori da questo schema c’è soltanto la crisi della maggioranza.
A dire il vero, la presidente del Consiglio non è sorpresa dall’atteggiamento di Salvini. A Palazzo Chigi pensano che sia deluso per quanto ottenuto per il Ponte sullo Stretto. Irritato per alcune resistenze del Tesoro sul dossier. Meloni pensa che il suo vice voglia incunearsi nel rapporto tra lei e Giancarlo Giorgetti, mettere pressione, costringere il titolare del Tesoro a schierarsi contro via Bellerio.
E poi ci sono i dettagli: già l’altro ieri, il vicepremier aveva disertato l’intervento di Meloni alle Camere, ufficialmente per un impegno istituzionale. La circostanza non è passata inosservata a Palazzo Chigi.
Senza contare che negli ultimi giorni – quelli durissimi della separazione da Andrea Giambruno – il responsabile dei Trasporti non ha mai pubblicamente contestato l’accordo sulla finanziaria. L’aveva anzi “blindata” in conferenza stampa. Fino ad alcune modifiche che adesso proverà a rivendersi.
Una strategia. Sa che i leader vogliono logorarla e lasciarle l’onere di una manovra austera. E nel frattempo la colpiscono sul terreno su cui meglio si è mossa, quello internazionale. Criticandola durante una missione all’estero. Sono segnali che di solito preludono a guai peggiori, che anticipano la fine di un esecutivo: accadde a Silvio Berlusconi, a Matteo Renzi, a Enrico Letta.
Ma anche a Giuseppe Conte e, per ultimo, a Mario Draghi. Anche per questo Meloni, che si sente forte di un consenso personale ancora alto, non ha voglia di concedere altro terreno all’alleato leghista. Non permetterà di cambiare ancora la manovra. E se l’assalto dovesse continuare, si spingerebbe fino a denunciare la violazione dei patti politici assunti e a minacciare una vera e propria crisi.
(da La Repubblica)

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