Destra di Popolo.net

CASA ARBORE A FOGGIA, IL MUSEO DEI CIMELI RACCOLTI DALLO SHOWMAN: “SARA’ IL MIO TESTAMENTO SENTIMENTALE”

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

IL CANTAUTORE SPERA DI RIUSCIRE A INAUGURARLO PER IL SUO 87° COMPLEANNO

Tutti i «ricordi, cimeli, frattaglie apparentemente insignificanti» di Renzo Arbore, saranno esposti a Foggia. Più precisamente a Casa Arbore, una sorta di testamento sentimentale. «Ci siamo quasi, dobbiamo solo superare qualche incertezza burocratica e poi potremmo inaugurarla», racconta Arbore, all’anagrafe Lorenzo Giovanni Arbore, al Corriere del Mezzogiorno.
La scelta di donarla a Foggia (città natale di Arbore), nonostante le numerose richieste di ospitalità pervenute da almeno una ventina di città italiane, è motivata da una sorta di meccanismo di restituzione. «Arriva in un momento della vita in cui un uomo che ha avuto la mia fortuna ragiona per restituzione, un momento in cui si avverte il dovere di restituire quello che si è ricevuto», spiega il cantautore.
«Io devo tutto a Foggia – continua -, la mia palestra di vita, di sorriso, ironia e soprattutto di musica». È a Foggia, dunque, che Casa Arbore deve stare: «l’unico posto al mondo in cui sentirei di averla lasciata in buone mani». Il museo sarà allestito a Palazzo Dogana, in piazza XX Settembre, nella città pugliese. Ma il procedimento amministrativo, prima in capo al Teatro Pubblico Puglie poi passato all’agenzia Asset, si è arenato da circa un anno.
Cosa conterrà Casa Arbore
Alla domanda del giornalista su cosa conterrà il museo della sua vita e carriera?, Arbore risponde: «Tutte le e chincagliere, ninnoli, soprammobili e civetterie acquistate in giro per il mondo. Plastica, perlopiù. Modernariato ormai datato, nel senso che quando andavo in giro a comprarli questi oggetti avevano già un discreto valore, che oggi è decuplicato perché non ne fanno più. Specchi, spille, radio, sculture, pupazzi, piccole carezze all’anima prodotte anche negli anni Trenta e Quaranta, tutto ciò che oggi incanta gli ospiti di casa mia e che domani vorrei mettere a disposizione della mia città e dei suoi turisti», dice il musicista.
Ma anche tanta televisione: «Grazie alla Rai potremo allestire una specie di archivio permette della televisione di quelli anni, non solo delle cose che ho fatto io ma di quello che l’intelligenza e l’arte del nostro Paese producevano allora. Da Troisi a Benigni, da Boncompagni alla Carrà. Tutto in Casa Arbore, sotto la regia di Roberta Telesforo (sorella del musicista foggiano e suo discepolo Gegè, ndr), che renderà questo museo interattivo e contemporaneo».
«Sarei l’unico artista italiano a vedere il suo museo allestito da vivo»
Renzo Arbore sarà quindi il primo artista italiano a godere di un museo ancora da vivo. Scaramantico, il cantautore soprassiede sull’argomento: «Se tutto dovesse avverarsi prima del mio ultimo viaggio, sarei l’unico artista italiano a vedere il suo museo allestito da vivo. Una bella responsabilità, ma anche un bel modo di sdoganare l’argomento. La bellezza va celebrata quando chi l’ha prodotta può complimentarsi con chi è riuscito a concretizzarla, a metterla insieme. Bisognerebbe farla finita coi musei alla memoria, sarebbe bello se potessi inaugurare la stagione dei musei in favore della memoria», spiega l’artista, che spera, inoltre, di riuscire a inaugurarlo per il 87esimo compleanno, il prossimo 24 giugno. «Lo spero vivamente, c’è già tutto. Mancano dettagli amministrativi come le ho detto, per il resto le idee sono molto chiare. Ed io confido nella concretezza di Michele Emiliano (presidente della Regione Puglia, ndr), uno che vuol bene alla Puglia», conclude lo showman.
(da agenzie)

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ATTACCO ISRAELIANO SU CAMPO PROFUGHI DI JABALIA

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DI MEDICI SENZA FRONTIERE: “BIMBI IN OSPEDALE CON FERITE PROFONDE E USTIONI”

“Violenza insensata”. È di quanto parla questa sera Medici Senza Frontiere in seguito all’attacco israeliano al campo profughi di Jabalia, a Gaza. L’organizzazione si è detta “inorridita” dalle notizie provenienti dal campo e denuncia appunto “l’ultimo episodio di violenza insensata”.
“Dopo l’attacco, molti feriti sono arrivati all’ospedale di Al Shifa, dove le nostre équipe hanno contribuito a fornire cure di emergenza”, si legge in una nota. “Alcuni bambini piccoli sono arrivati in ospedale con ferite profonde e gravi ustioni. Sono venuti senza le loro famiglie. Molti urlavano e chiedevano dei loro genitori. Sono rimasto con loro fino a quando non siamo riusciti a trovare un posto, perché l’ospedale era pieno di pazienti”, la testimonianza di Mohammed Hawajreh, un infermiere di MSF.
“Msf condanna quest’ultimo episodio di violenza insensato e ribadisce l’appello per un cessate il fuoco immediato per evitare altre morti nella Striscia di Gaza”, conclude l’organizzazione.
Si registrano scontri feroci nella Striscia di Gaza tra le forze israeliane e le milizie di Hamas. Nel campo profughi di Jabalia le vittime sarebbero decine e centinaia i feriti. Almeno 145 i morti provocati dal bombardamento secondo le ultime cifre diffuse da fonti sanitarie.
Mohammad Al Aswad si trovava a soli 100 metri dal campo profughi nel nord di Gaza quando è avvenuto l’attacco. “Sono corso come un matto nella zona. Ho trovato la mia famiglia al sicuro, ma la scena era orribile”, ha detto alla CNN al telefono dalla Striscia di Gaza. “Bambini trasportavano altri bambini feriti e correvano tra le macerie. Alcuni perdevano sangue e altri erano bruciati”, ha aggiunto. Secondo la testimonianza, oltre 40 case sono state completamente distrutte.
Nel raid le forze israeliane sostengono di aver eliminato il comandante del battaglione centrale di Hamas a Jabalia, Ibrahim Biari, considerato tra i responsabili dell’attacco del 7 ottobre, e numerosi altri miliziani. Notizia falsa secondo Hamas, che sostiene che il governo israeliano stia cercando “di giustificare il suo crimine atroce contro civili, bambini e donne al sicuro nel campo”.
Il portavoce dell’Idf, Daniel Hagari, è tornato intanto ad accusare Hamas di costruire “intenzionalmente infrastrutture terroristiche sotto le case” dei civili.
Altre vittime si registrano nel campo profughi di Nuseirat, al centro della Striscia. Dopo aver denunciato le stragi, Hamas si è rivolta nuovamente ai Paesi arabi e musulmani chiedendo di prendere “posizione decisa per fermare i massacri commessi da Israele” e attaccando i governi che “tollerano i massacri dell’occupante sionista”. Fatah ha invece reagito proclamando una “Giornata della rabbia” nel nord della Cisgiordania.
(da Fanpage)

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LO SCHERZETTO DEI DUE COMICI RUSSI AVRÀ CONSEGUENZE NEGATIVE PER GIORGIA MELONI… A BRUXELLES LE DICHIARAZIONI DELLA DUCETTA VENGONO CONSIDERATE “UN PASSO FALSO MOLTO GRAVE” E “NEGATIVO”

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

LE SPARATE CONTRO MACRON E LE PAROLE SULLA “STANCHEZZA” RISPETTO AL SOSTEGNO ALL’UCRAINA “INDEBOLIRANNO MOLTO” L’ITALIA

“Uno scherzo telefonico molto negativo”, dice al Foglio un funzionario europeo. “Un passo falso grave”, conferma un’altra fonte.
Quando su X ieri è iniziata a circolare la registrazione della telefonata fra il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e due comici russi che si sono fatti passare per il presidente dell’Unione africana, i campanelli d’allarme si sono messi a suonare tra le capitali europee.
Non solo perché la Russia è riuscita a violare la sicurezza di una conversazione del capo di governo di un paese dell’Unione europea, della Nato e del G7.
Ma anche per il modo in cui si è espressa Meloni e il contenuto delle sue parole sulla fatica dei leader europei sull’Ucraina, sulla possibilità di un compromesso con la Russia, sulla Francia in Niger e sul ruolo dell’Ue nelle politiche migratorie.“E’ un bel regalo a Vladimir Putin”, dice un diplomatico di uno stato membro
Fonti del governo hanno cercato di minimizzare la gravità dell’incidente. Ma a Bruxelles viene fatto notare che, quando si parla al telefono con un leader di un paese terzo, vanno sempre “prese precauzioni” e viene utilizzato un “linguaggio codificato”. I contenuti sensibili delle discussioni riservate tra leader dell’Ue non devono arrivare a interlocutori fuori dalla cerchia del Consiglio europeo. Farlo significa compromettere la fiducia
Ma l’allarme vero riguarda gli effetti delle parole di Meloni sull’Ucraina. All’Assemblea generale dell’Onu, l’Ue era impegnata a dimostrare la sua determinazione e a reclutare paesi del sud globale. Dire a un leader africano […] che tra gli europei c’è “molta fatica” e che si sta avvicinando il “momento in cui tutti capiranno che serve una via d’uscita”, significa incoraggiarlo a prendere le distanze da Kyiv
La propaganda di Putin, che ha atteso oltre un mese prima di rendere pubblico lo scherzo telefonico, ora può sfruttarlo facilmente per mostrare che l’Ue è pronta ad abbandonare l’Ucraina e fare compromessi con la Russia. Le dichiarazioni di Meloni rischiano di rafforzare il gruppo anti Ucraina nel campo repubblicano che vuole bloccare ulteriori finanziamenti americani a Kyiv
Lo scherzo telefonico rischia anche di raffreddare nuovamente i rapporti con il presidente francese, Emmanuel Macron. Nella conversazione, Meloni sembra contestare la strategia della Francia sul colpo di stato in Niger, sostenendo che le principali motivazioni di Parigi sono l’uranio e il franco Cfa. “Posso chiederle una cosa tra me e lei. Pensa che ciò che accade in Niger sia contro la Francia?”, dice il presidente del Consiglio, spiegando che i francesi hanno “altre priorità rispetto all’immigrazione. Hanno l’uranio. Hanno il Fca (sic)”.
Se la Francia appare come un’ossessione, anche sulle migrazioni Meloni torna ad accusare l’Ue di complottare contro l’Italia. “Sono tutti d’accordo sul fatto che l’Italia deve risolvere questo problema da sola”, ha detto: “Agli altri non importa. Non rispondono nemmeno al telefono”
In realtà, in quei giorni la Commissione di Ursula von der Leyen era impegnata a difendere il memorandum con la Tunisia, firmato di corsa su richiesta dell’Italia […]. Alla fine, lo scherzo telefonico potrebbe avere ripercussioni sulla posizione di Meloni nell’Ue. “La indebolirà molto”, prevede il funzionario europeo.
(da il Foglio)

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“GLI ITALIANI HANNO SEMPRE RIFIUTATO CHI HA PROVATO A TRASFORMARSI DA LEADER IN PADRONE: ANCHE STAVOLTA ANDRÀ COSÌ”

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

RINO FORMICA METTE IN GUARDIA LA MELONI: “IN ITALIA SIAMO GIÀ OLTRE IL PREMIERATO. ABBIAMO GIÀ UN SUPER-PREMIER CHE IMPEDISCE AI SUOI PARLAMENTARI DI PRESENTARE EMENDAMENTI ALLA LEGGE FINANZIARIA E UN PARLAMENTO ESAUTORATO. SE LA MELONI ANDRÀ AVANTI, QUESTE RIFORME SARANNO RIGETTATE AL REFERENDUM E L’ESECUTIVO SARÀ TRAVOLTO”

Il vantaggio di averne viste e vissute tante ha spesso consentito a Rino Formica di riuscire a leggere in anticipo gli eventi e anche sulla riforma costituzionale il vecchio dirigente socialista guarda lontano: «Nella loro storia gli italiani hanno sempre cercato un leader, ma al tempo stesso hanno rifiutato chi ha provato a trasformarsi da leader in padrone: anche stavolta andrà così.
Per un motivo semplice: in Italia siamo già oltre il premierato! A Costituzione invariata abbiamo già un Capo, un super-premier che impedisce ai suoi parlamentari di presentare emendamenti alla legge fondamentale dello Stato e un Parlamento esautorato. Se andranno avanti, queste riforme saranno rigettate e loro saranno travolti, tanto più se si andasse ad un referendum».
Perché lei nega l’utilità di una riforma che renda il sistema più efficace?
«Ascoltiamo la presidente Meloni sul premierato. A chi obietta, “scusi ma che bisogno c’è, i poteri già li avete?”, risponde: “ma lo tenevamo scritto nel programma, dobbiamo far vedere che nel primo anno abbiamo realizzato un pezzo del programma!” Più che una risposta insulsa, direi la conferma che si tratta di un’ammuina.
Non c’è un solo articolo della Costituzione che impedisca a questo governo di prendere una decisione importante».
Al netto della retorica sull’autoritarismo della destra, se il potere si concentra ancor di più, può diventare pericoloso?
«Certo, perché si parte dall’idea di un’inefficienza delle istituzioni, che non sarebbero in grado di decidere adeguatamente con gli strumenti a disposizione. Ma il potere di decidere e di fare, esiste già: lo sperimentiamo tutti i giorni. Ma stiamo tutti molto attenti, perché se si decide di risolvere i problemi con la forza, si può finire col fare la guerra».
La sinistra dice no e poco più: basta?
«No, non basta. Certo, è inutile dare più potere, perché il potere già c’é. Ma il problema, se esistesse una sinistra in Italia, non è solo denunciare una maggiore concentrazione di potere, ma battersi per rovesciare totalmente la prospettiva e aprire un grande processo di partecipazione popolare.
Di idee se ne debbono trovare tante, ma ad esempio si potrebbero introdurre i referendum propositivi, allargare la platea elettorale ai sedicenni, abolire il sistema bicamerale, fatto di organi inefficienti e insistenti e andare verso un Camera decidente e un’altra di controllo e di garanzia. Serve una forte iniezione di democrazia diretta, forme nuove di partecipazione diretta: le proposte possibili sono tante, ma a me pare che manchi in tutti la consapevolezza di quel che potrebbe accadere nel 2024…».
In che senso?
«Nel senso che nel 2024 cambieranno le classi dirigenti nel mondo. Si voterà negli Stati Uniti e in Europa, ma anche nel Regno Unito. E che succederà in Russia? Alla Casa Bianca, nelle istituzioni europei e anche in tanti altri Paesi cambieranno centinaia, migliaia di teste e si preannuncia un cambio che potrebbe non seguire un principio di ordine già stabilito.
Siamo in una situazione di disordine, con l’aggravante di guerre che, da locali sono diventate globali. E attenzione perché le nuove generazioni, pur prive di un disegno, sono sempre più contrarie all’ordine generato dalle attuali classi dirigenti. Non sappiamo che sbocco avranno tutti questi fermenti, sicuramente la contestazione cresce».
(da “la Stampa”)

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TG E PROGRAMMI FLOP: LA RAI AFFONDA E MEDIASET LA SORPASSA

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

NON ERA MAI ACCADUTO CHE LE RETI MEDIASET SIPERASSERO LA RAI DI TRE PUNTI

C’è il sorpasso. E non era mai accaduto. Al netto di una fuga generalizzata dalla tv, mai Mediaset aveva battuto la Rai per un tempo tanto lungo: in passato c’erano stati sì giorni in cui la concorrenza aveva sottratto il primato degli ascolti al servizio pubblico, era però un fatto episodico, non una tendenza stabile.
Né Canale5 si era stata così vicina alla rete ammiraglia, che resta la più vista, ma solo per un soffio. Mentre Italia1 ha ormai surclassato Rai2 e, in prima serata, pure Rai3. Con i telegiornali delle due reti principali che perdono più degli sfidanti privati
È il capolavoro dei vertici sovranisti di Viale Mazzini: dei loro nuovi palinsesti, dei conduttori e dei direttori di provata fede che rischiano di affondare la Tv di Stato. Creando non poche fibrillazioni all’interno delle redazioni, alcune persino in rivolta per i programmi-zavorra che dovrebbero trainare i tg e invece li affossano
Secondo l’elaborazione dello Studio Frasi su dati Auditel, nelle prime sette settimane della stagione autunnale (dal 10 settembre al 28 ottobre) Mediaset fa meglio della Rai nell’arco dell’intera giornata: 38,45 a 35,37% di share, più di 3 punti sopra che, in prospettiva, valgono oro. Oltre 200mila spettatori hanno abbandonato i canali pubblici — 2 punti in meno di share e il 6,8% di audience — contro i 21mila delle reti berlusconiane. E nemmeno a dire che è sempre stato così: l’anno scorso, nello stesso periodo, il servizio pubblico guidava la classifica e tutti gli altri inseguivano.
Il segnale peggiore arriva dal Prime time, la fascia più appetita dagli sponsor, in grado influenzare gli incassi pubblicitari presenti e futuri: anche qui il Biscione ha messo la freccia, scavalcando la Rai di oltre un punto (pari a quasi 400mila spettatori in ritirata) nonostante le fiction, che restano la salvezza di TeleMeloni
Stavolta, per vincere la partita, non basta neppure l’espediente utilizzato da Viale Mazzini nel diramare i dati d’ascolto: ovvero, proporre il paragone fra i soli canali generalisti (le tre reti, più Rainews24), escludendo i tematici dove la concorrenza è più forte. Pure in questo caso la gara, oltre che truccata, non c’è. Lo spiega bene Francesco Siliato, media analyst dello Studio Frasi: «L’editore Rai fa meno audience di Mediaset perché perde di più sia in prima serata che nella media dell’intera giornata. Un risultato che prescinde dalla circostanza che uno ha tredici canali e l’altro sedici (tre, kids, in comproprietà). Semmai, tale divario dimostra che Mediaset ha puntato sullo sviluppo e ha investito, attivando un nuovo canale ogni due anni, mentre il servizio pubblico è rimasto fermo, ha rinunciato a crescere: il suo più recente, Rai5, è nato nel 2010. E in ogni caso quando si opera un confronto tra media company, per esempio tra Sky e Warner Bros Discovery o La7, che ha solo due reti, non si sta a contare il numero di canali: c’è chi ha più seguito di pubblico e chi meno»
Entrando nei dettagli dei singoli Tg e programmi, il trend al ribasso osservato al debutto si è drammaticamente confermato nel mese e mezzo successivo. Tra il 10 settembre al 31 ottobre, il Tg1 delle 20 resta in testa con il 24,5% di share ma perde più di un punto e mezzo, pari a 415mila spettatori. Il Tg3 cala di pochi decimali (lo 0,07) attestandosi al 12,97%. Mentre il Tg2 crolla al 5,54: colpa di un traino, il famoso Mercante in fiera condotto da Pino Insegno, che a dispetto dei vip invitati per invertire il pessimo esordio, non schioda dal 3% (ossia, in termini di audience, il 24,8% in meno e 158mila spettatori persi).
Al punto da scatenare l’ira dei giornalisti del Tg2, che, in un’infuocata assemblea, hanno espresso all’unanimità «severa preoccupazione per i risultati d’ascolto del programma che precede l’edizione delle 20,30, una situazione per noi molto penalizzante».
Stesso discorso per Avanti popolo, il talk del martedì guidato da Nunzia De Girolamo su Rai3. Non solo è partito basso (3,6% nella prima puntata) ma è pure in discesa: l’altro ieri ha fatto il 2,7 di share, ultimo fra tutti i programmi della serata, compreso Pechino Express su Tv8. Un crollo del 40% di audience rispetto a un anno fa. A riprova della crisi di rigetto che questi innesti stanno provocando nel pubblico. Vale anche per Caterina Balivo nel pomeriggio di Rai1: diviso in due parti tra presentazione e trasmissione (altro espediente abusato per alzare gli ascolti) La volta buona sta quasi 3 punti di share (e 270mila spettatori) sotto il programma condotto nella scorsa stagione da Serena Bortone. Così come Agorà, il talk mattutino di Rai3 dove è stato reclutato un altro buon amico della premier, Roberto Inciocchi: per lui una media, fra prima e seconda parte, del 5,7%, oltre un punto sotto Monica Giandotti che l’aveva preceduto. «Il cambiamento voluto dal nuovo corso non funziona», conclude il professor Siliato: «Far andar via Fabio Fazio o Bianca Berlinguer senza avere sostituti all’altezza si sta rivelando un boomerang. Avanti popolo come ascolti vale quasi la metà di CartaBianca. E a farne le spese è soprattutto Rai3». Ma perché non funziona? «Stanno facendo una tv più vecchia di quella che c’era prima», conclude l’esperto. «Hanno indebolito la presenza di bravi conduttori per premiare gli amici. E il risultato, purtroppo, si vede».
(da La Repubblica)

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DAL QUIRINALE AI SINDACATI, GIORGIA MELONI VUOLE TUTTI ZITTI E BUONI

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

PARLAMENTO SILENZIATO, STAMPA INDICATA COME NEMICA, ORA SI COLPISCE IL QUIRINALE

Passi, si fa per dire, lo scontro con i magistrati, la battaglia ingaggiata con la stampa e il siluramento del parlamento. Ma il passaggio più atteso, il momento clou di questa prima fase di legislatura è la riforma della Costituzione, snodo decisivo per indebolire l’ultimo bastione dei poteri statali: il Quirinale. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in questi mesi ha vissuto i contrappesi istituzionali (e non) come un fastidio, dei lacci da cui liberarsi anche con piglio ruvido. Resta solo il Colle più alto e la soluzione è stata trovata con le nuove regole istituzionali che arriveranno in consiglio dei ministri nelle prossime ore.
A differenza di altri casi, il Quirinale non viene attaccato frontalmente. Si usa più il fioretto che la sciabola. Dai vertici di Fratelli d’Italia, e di parte della maggioranza, si ripete il mantra che «le funzioni del capo dello stato non saranno toccate», anche al costo di rasentare il ridicolo di fronte a chi fa notare che la norma cosiddetta anti-ribaltone rappresenta uno stop al capo dello stato. Il presidente della Repubblica non potrà gestire le crisi di governo. Diventa un notaio, un’istituzione proforma.
CARI NEMICI
Il Quirinale è solo l’ultimo pezzo, quello decisivo. L’irritazione verso i contropoteri del governo si è manifestata in mille modi. La casistica del comportamento infastidito verso l’informazione è ricca. Roberto Saviano è finito a processo per delle affermazioni sulla premier ed è stato condannato. Tra le numerose istantanee, forse la più nitida, c’è la conferenza stampa in cui Meloni ha illustrato la manovra. Dopo il soliloquio, in cui ha elencato i titoli, ha salutato la compagnia, rifuggendo dalle domande dei giornalisti, e dando la parola ad altri, proprio mentre prendeva forma lo spauracchio dei «emendamenti zero». Momento topico: in un colpo solo ha mostrato il fastidio verso due poteri, parlamentari e mediatici. Non va certamente meglio ai corpi intermedi, il confronto con i sindacati si limita al minimo indispensabile.
Dai salari alla previdenza, passando per i diritti, le istanze, presentate dalle sigle più importanti, vengono puntualmente disattese. Un canale privilegiato resta la Cisl, che finora ha assunto una posizione filogovernativa. Ora pure segretario Luigi Sbarra ha alzato i toni, addirittura lui, prefigurando una mobilitazione contro la manovra con un focus sull’insoddisfazione per l’intervento sulle pensioni. Ma all’orizzonte non si scorge un’attenzione di Palazzo Chigi verso i sindacati. Anzi, gli annunci di sciopero vengono accolto con una metaforica alzata di spalle. Eppure, la leader di Fratelli d’Italia insiste nella descrizione di lei come l’underdog: lo aveva detto nel discorso di insediamento alla Camera e lo ha fatto, seppure con toni inferociti, nel video inviato in occasione della festa di un anno di governo. Un attacco indistinto contro tutto e contro tutti, inclusi quei poteri rei di bilanciare quello esecutivo, che opera già in un meccanismo di “premierato di fatto”.
PARLAMENTO IN VACANZA
Ne sanno qualcosa in parlamento, istituzione assurta ad agnello sacrificale della volontà di Meloni di liberarsi dai “lacci” istituzionali. La manovra economica è finita sottochiave da Palazzo Chigi. Ed è la sintesi dello spostamento definitivo del potere legislativo nelle mani del governo, che sulla carta (costituzionale, anche) è titolare solo del potere esecutivo. Le Camere sono spodestate sull’onda della sfiducia popolare alimentata dai lavori che si trascinano stancamente con i parlamentari abili a farsi autogol. A dare fiato all’antiparlamentarismo. Un esempio? Questa settimana a Montecitorio è andato in scena un ponte lunghissimo, dalla mattina del 31 ottobre fino a lunedì 6 novembre. Del resto, i rappresentanti del popolo hanno poco da rappresentare. «Saremmo rimasti qua a fare nulla, in attesa dell’ennesimo decreto da convertire», allarga le braccia un deputato di opposizione sollecitato sulla questione. C’è il ricorso incessante alla questione di fiducia che va a braccetto con la martellante decretazione d’urgenza. Tanto che spesso c’è un ingorgo di provvedimenti da smaltire per evitarne la decadenza.
L’umore alla Camera è un mix di rassegnazione e depressione. In Transatlantico, nei giorni scorsi, si aggirava un amareggiato Luigi Marattin, deputato di Italia viva, che incalzava i vari colleghi: «Sai cosa dobbiamo votare? Mozioni su tutto. Ma qua si votano le leggi non le mozioni». E ogni interlocutore gli dava ragione. Marco Grimaldi, deputato di Alleanza verdi-sinistra, ha denunciato: «Meloni si è presentata in un anno una sola volta alle interrogazioni a risposta urgente. mentre presidente o vicepresidente dovrebbero intervenire due volte al mese». Il cosiddetto premier time è sparito dai radar. Meloni non riesce a ritagliarsi un’oretta nell’agenda per presentarsi il mercoledì, giorno in cui è previsto il question time. Con buona pace dei presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, che – a parole –ricevono garanzia sul rispetto del rispetto del parlamento.
PICCOLE RIFORME GIUSTIZIA
A chiudere il cerchio c’è la magistratura. I rapporti non sono – per usare un eufemismo – all’insegna della serenità. La giudice di Catania, Iolanda Apostolico, è solo il caso più rumoroso, diventato obiettivo di attacchi politici, con una sentenza che ha lasciato, testualmente, «basita» la premier I successivi pronunciamenti sui decreti sull’immigrazione, di fatto depotenziati, hanno scatenato la reazione di Meloni: «Mi preoccupa la difesa corporativa dei magistrati».
Dalle parole si passa ai fatti. Come? Con una sequenza di mini-interventi legislativi, a cominciare dal ritocco dell’uso di intercettazioni, recentemente passato al vaglio del parlamento. C’è poi in agenda il cambiamento sulla prescrizione, già votato in commissione alla Camera e che attende i passaggi successivi nelle prossime settimane. Sullo sfondo resta il ddl Nordio, la riforma complessiva che porta con sé l’abolizione dell’abuso d’ufficio, mentre si accarezza l’antico sogno berlusconiano della separazione delle carriere per i magistrati. Il fronte con i giudici è aperto, come sempre. Esattamente come per gli altri poteri.
(da editorialedomani.it)

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“ASSUMETE GIAMBRUNO”: LA TELEFONATA DI CONFALONIERI CHE GLI APRI’ LE PORTE DI MEDIASET (GRAZIE A UN ESPONENTE DI FDI)

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

RICCI: “SE PARLA LUI SCOPPIA UN CASINO”

La paura della presidente del Consiglio Giorgia Meloni è ancora quella di finire risucchiata nel gorgo Mediaset. Perché sa di non essere del tutto estranea all’andamento della carriera dell’ex compagno Andrea Giambruno, lunedì tornato al lavoro.
E sa anche, nonostante sempre ieri Pier Silvio Berlusconi si sia detto “dispiaciuto” per i fuorionda che hanno inguaiato il padre di sua figlia, che se metti solo un dito dentro l’azienda della famiglia rischi poi che ti resti impigliato: “Non sono ricattabile”, disse non a caso dopo gli sgarbi fatti al Cavaliere durante le trattative sul governo e la frase, sibillina, del fondatore di Fininvest che sussurrò: “Il suo compagno è un mio dipendente”.
Ma da dove arriva il vero timore di Meloni di finire risucchiata in questo gorgo? Per rispondere a questa domanda bisogna fare qualche passo indietro. Giambruno è davvero un underdog: famiglia borghese, studi all’Università Sacro Cuore, dopo una breve esperienza in una televisione locale lombarda, Telenova, inizia a collaborare intorno al 2010 a Mattino Cinque allora diretto da Claudio Brachino. La segnalazione arriva da Lele Mora, che gestiva la sua agenzia di star e meno star che frequentavano l’abitazione di viale Monza.
Ma Mora non ha mai spinto la carriera di Giambruno. E chi frequentava in quegli anni viale Monza assicura: “Giambruno non era uno che saliva al secondo piano dell’appartamento di Lele, dove c’erano molte donne e ragazzi belli”.
Come dire, non era nel giro degli amici intimi. Non a caso fa molta gavetta a Mattino Cinque, con il compito di cercare gli ospiti. Poi lavora anche con il suo “mito” giornalistico Paolo Del Debbio a Quinta Colonna, e ritorna a Mattino Cinque dove cura la nota politica avendo come capo redattore Francesco Vecchi: ha conosciuto da poco, siamo nel 2013, Giorgia Meloni negli studi Mediaset ed è scoccata la scintilla.
Da tutti è considerato un lavoratore: sa anche di essere piacente e fa il piacione, ma a Brachino o a Vecchi non arrivano segnalazioni di comportamenti scorretti.
Poco dopo l’inizio della sua relazione con Meloni viene mandato a Roma negli studi del Palatino per lavorare a Matrix, allora condotto da Luca Telese. È ancora un semplice ‘collaboratore’ con contratti a tempo.
Ai dirigenti Mediaset arriva un giorno della fine del 2018 una telefonata da Fedele Confalonieri: “Assumetelo”. E negli studi televisivi si rincorre subito la voce che a perorare la causa sia stato un “autorevole esponente” lombardo di Fratelli d’Italia che conosce bene la linea alta di Mediaset composta dallo stesso Confalonieri, ma anche da Adriano Galliani e Mauro Crippa. Sono gli anni di FdI in ribasso. Ma a Cologno registrano la richiesta.
Andato nel frattempo via Brachino, Giambruno passa per un periodo a Tgcom24 e arriva a condurre qualche telegiornale: salvo poi essere rimesso in redazione pochi giorni dopo una intervista di Meloni che disse di “non dovere nulla a Berlusconi”.
Gli alti e i bassi in Mediaset legati alle vicende politiche della illustre compagna. E lui un po’ inizia a giocarci su con l’essere nelle reti berlusconiane fuori sistema: la barbetta (un particolare che Berlusconi detesta per i suoi dipendenti), il ciuffo, il guascone che vuole rimarcare il suo essere di provincia. Si arriva ai giorni recenti: la nomina del governo Meloni, la promozione alla conduzione di Diario del giorno.
Lui sembra subito voler dimostrare che dopo tanta gavetta la conduzione se l’è meritata, ma diventa anche più spavaldo: non solo nei confronti di colleghi anche di altre aziende, promettendo buoni uffici con il governo, ma anche in un luogo che lui considera comunque la sua casa, Mediaset. E saltano fuori quelle frasi con allusioni sessuali a colleghe e collaboratrici inaccettabili e inscusabili. Fuorionda come sempre registrati dai tecnici: e che in azienda pure i muri sanno finire quasi sempre sul tavolo di Antonio Ricci a Striscia. Registrati a luglio, vengono mandati in onda a ottobre.
Nel frattempo alcune tensioni tra Meloni e i Berlusconi. Per Palazzo Chigi non si tratta di una coincidenza. Da dieci anni a questa parte c’è stato un filo che ha legato Meloni e Giambruno in Mediaset: “E quindi perché non dovrebbe essere così anche questa volta?”, è il ragionamento nel cerchio magico meloniano.
Ieri Pier Silvio Berlusconi, in un’intervista a Bruno Vespa per il suo libro, è tornato a dirsi “dispiaciuto”: “Sono vicino a Giorgia, le dietrologie sono ridicole”. E Ricci intervistato su Radio1 ha detto sibillino: “Se Giambruno parla è un casino”. E poi ha ribadito: “Nessuno sapeva che stavano andando in onda quegli audio”.
Ma in Mediaset sussurrano: come faceva la direzione generale, che tutto osserva, a non sapere di quel modo di fare non accettabile? Nessuno ha riferito qualcosa alla direzione di Tgcom24? Intanto Giambruno, visto ieri dalle parti di Palazzo Chigi, è tornato a lavorare: giubbotto di pelle e capello corto con gel. Lo stile spavaldo non cambia, e non sembra volersi adeguare nemmeno ai canoni berlusconiani.
(da agenzie)

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ILARIA CUCCHI E I REATI PRESCRITTI PER LA MORTE DI STEFANO: “I CARABINIERI TOLGANO LA DIVISA A MANDORLINI”

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

“ME LO AUGURO PERCHE’ DEVO AVERE FIDUCIA NELLA GIUSTIZIA”

Ilaria Cucchi chiede ai carabinieri di togliere la divisa al maresciallo Roberto Mandorlini. Ovvero al comandante di stazione condannato da tre corti d’assise diverse per i reati commessi al fine di proteggere i responsabili del pestaggio di suo fratello Stefano.
In un articolo su La Stampa la senatrice ricorda che la Cassazione ha dichiarato la prescrizione per i processi di Mandorlini.
«Tra verbali rifatti, annotazioni non veritiere e telefonate a chi di dovere, riuscì nell’intento. Stefano Cucchi è stato affidato alla polizia penitenziaria di Piazzale Clodio in perfette condizioni fisiche. Era soltanto molto magro e aveva due eritemi sotto gli occhi».
Poi conclude: «Il 28 aprile 2011 il maresciallo Mandolini testimoniò di fronte ai giudici affermando, sotto giuramento, che vide Stefano Cucchi come «persona tranquilla, spiritosa».
Sostenne di aver fatto «quattro chiacchiere con lui», di aver «scherzato» con lui «con linguaggio romanesco, simpatico insomma».
Aveva la sua divisa con tutte le varie decorazioni e parlava sfoderando l’arroganza di una tranquillità che solo i superiori potevano dargli mentre faceva processare degli innocenti. Oggi chiedo che l’Arma gli tolga quella divisa. Sono passati 14 anni dall’uccisione di mio fratello. Prescritto. E sono prescritti anche i reati per i quali sono stati condannati gli alti ufficiali della scala gerarchica. Ma per loro si troverà modo di assolverli perché le loro carriere e i loro lustrini sono più importanti della nostra vita. Mi auguro di essere smentita. Me lo auguro davvero perché devo aver fiducia nella Giustizia. Devo».
(da agenzie)

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ARMIAMOCI E PARTITE! YAIR NETANYAHU, IL FIGLIO DEL PREMIER ISRAELIANO “BIBI”, VIVE A MIAMI. HA 32 ANNI QUINDI POTREBBE ARRUOLARSI PER ANDARE A COMBATTERE HAMAS, COME HANNO FATTO MIGLIAIA DI SUOI COETANEI. MA LUI NON CI PENSA PROPRIO

Novembre 2nd, 2023 Riccardo Fucile

RESTA IN FLORIDA E SI LIMITA A SOLIDARIZZARE CON I SOLDATI SU INSTAGRAM…SCOPPIA LA POLEMICA. UN MILITARE ISRAELIANO AL “TIMES”: “LUI SI DIVERTE A MIAMI BEACH, IO SONO IN PRIMA LINEA”

Nadav Padan abita a Brooklyn, New York. All’indomani dell’attentato terroristico di Hamas ha ricevuto decine di telefonate ed e-mail dagli amici in Israele. Molti sono soldati, altri sono riservisti, ma tutti erano in prima linea per difendere Israele.
Così Padan non ha esitato un attimo ed è salito su un volo per Tel Aviv per unirsi con altri 360mila riservisti alla difesa dello Stato ebraico. La sua storia è simile a quella di almeno duemila giovani di New York che secondo il portavoce del Consolato israeliano della città, sono subito partiti per Tel Aviv. Un altro migliaio ha lasciato altre città d’America.
Yair Netanyahu ha un cognome importante. È il figlio del premier Bibi che da aprile vive in un piacevole “esilio” a Miami. Yair ha 32 anni e quindi ancora in tempo per arruolarsi e servire la patria. Eppure, a differenza di Padan, Nurieli e di altre centinaia di persone che hanno spiegato a moglie, figli e genitori le ragioni di arruolarsi e combattere una guerra a migliaia di chilometri di distanza, il figlio di Netanyahu ha limitato il suo sostegno ai soldati in prima linea e nelle retrovie a qualche storia su Instagram.
La bella vita, insomma, del controverso figlio del leader del Likud non è stata granché sconvolta dai fatti del 7 ottobre e mentre il 4% della popolazione di Israele indossa mimetica o monta su un tank, Yair non cede e osserva dalle coste della Florida. O da New York dove ha trascorso – a giudicare dalle storie postate sui social – diversi giorni a cavallo dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
«Lui si diverte a Miami Beach, io sono in prima linea», si è sfogato un soldato con il Times di Londra. «Siamo noi che abbiamo lasciato il lavoro, la famiglia, i nostri bambini per proteggere il futuro di tutti e non coloro che sono responsabili di questa situazione», ha aggiunto un altro sempre dietro anonimato. E molti hanno ammesso che questo comportamento non aiuta «il nostro morale».
Yair è tecnicamente “reclutabile” avendo meno di 40 anni ma la sua vicinanza alla causa di Israele la spaccia su Instagram dove posta interviste con organizzazioni che aiutano le famiglie colpite dalla brutalità dell’azione di Hamas. Il figlio maggiore del premier ha svolto il servizio militare, è stato nell’esercito a più riprese ma non è mai stato in combattimento. È stato nell’ufficio di comunicazione dell’Idf.
Yair vive negli Stati Uniti da aprile quando Bibi e mamma Sara hanno deciso che le sue sparate politiche e gli attacchi frontali contro i detrattori del governo stavano diventando un problema troppo grande. Il giovane, infatti, si era distinto per post su X (Twitter) al vetriolo contro la sinistra e contro tutti coloro che criticavano le riforme del Likud.
Dichiarazioni spesso incendiarie che non avevano contribuito ad allentare il clima di tensione dello scorso inverno e primavera nello Stato ebraico segnato dalle proteste di piazza più grandi di sempre contro la riforma giudiziaria voluta dall’estrema destra. La sua fuga a Miami l’ha sottratto a denunce per diffamazione, la sua attività compulsiva sul social è andata via via riducendosi. Zero ormai su Twitter, ha invece continuato saltuariamente su Instagram fino appunto al 7 ottobre quando è diventato “un soldato dei social” anziché “del teatro di battaglia”.
(da La Stampa)

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