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L’FMI SBERTUCCIA LA MANOVRA DEL GOVERNO MELONI: “NON SPINGE LA CRESCITA. L’ITALIA DOVREBBE AUMENTARE LA PRODUTTIVITÀ, LAVORARE DURO PER SPENDERE BENE I FONDI DEL PNRR E PENSARE A RIFORME STRUTTURALI E FAVOREVOLI ALLA CRESCITA, AL MOMENTO NON PREVISTE”

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

IL FONDO MONETARIO CONFERMA LA PREVISIONE DEL PIL ALLO 0,7%, CONTRO L’1,2% STIMATO DA PALAZZO CHIGI

La manovra del governo Meloni non spinge la crescita. Lo dice il Fondo monetario internazionale, confermando la previsione di un Pil allo 0,7% appena, contro l’1,2% di Palazzo Chigi, per il prossimo anno. L’Italia dovrebbe «aumentare la produttività» e «lavorare duro per spendere bene i fondi del Pnrr», suggeriscono da Washington. Per ora non avviene. Se ne sono accorti anche i sindacati, pronti a scendere in piazza.
Cgil e Uil con cinque scioperi di otto ore sui territori, dal 17 novembre all’1 dicembre, «contro la manovra ». La Cisl con una manifestazione nazionale a Roma il 25 novembre «per migliorare la manovra ». Scontenti, ma divisi.
Le critiche dell’Fmi descrivono un’Italia rinunciataria. Dovrebbe essere «più ambiziosa» e «pensare a riforme di bilancio strutturali e favorevoli alla crescita» che però «non sono previste» in manovra. Di qui l’esortazione a «usare bene » i fondi del Pnrr, benché «le difficoltà di attuazione del Piano siano comuni «a molti Paesi», concede Alfred Kammer, il direttore del dipartimento europeo dell’Fmi.
Il contesto globale e continentale non è dei migliori, ma il Fondo esclude, quasi per tutti, una recessione. E vede l’Eurozona solo «in frenata», dopo pandemia e shock energetico, in crescita dell’1,3% quest’anno dal 2,7% del 2022. «Un atterraggio morbido».
L’inflazione «finalmente in rallentamento » dovrebbe far respirare le famiglie e spingere i consumi, con un primo recupero di potere d’acquisto. Il rialzo dei tassi a opera della Banca centrale europea si avvia «alla fine», ma il costo del denaro che impatta su prestiti e mutui resterà «elevato» ancora per qualche tempo.
In questo contesto «la questione chiave» per l’Italia è «aumentare la produttività». Anche per non rimanere indietro rispetto a Francia e Germania che il prossimo anno cresceranno più di noi, all’1,3% e allo 0,9%
Neanche ai sindacati piace molto la seconda manovra del governo Meloni. Ma per il terzo anno di fila esprimeranno il malcontento da separati. Cinque giornate con scioperi di 8 ore per Cgil e Uil. Solo una manifestazione per la Cisl.
(da la Repubblica)

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GAZA, LO STRAZIO DEI BAMBINI RIMASTI SENZA NESSUNO

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

I “FERITI PRIVI DI PARENTI” SONO CENTINAIA… SAVE THE CHIDREN: “SOFFERENZE INDICIBILI, CESSATE IL FUOCO”

Dalle macerie e le rovine della Striscia Gaza, dalla deriva umanitaria che sta travolgendo come uno tsunami di morte la popolazione palestinese, talvolta mancano le parole per definire un dramma. Wcnfs è il nuovo straziante acronimo dell’orrore: l’hanno coniato i medici del reparto di terapia intensiva dell’ospedale al Shifa di Gaza City e rapidamente è stato adottato dai pochi ospedali ancora operativi nella Striscia. Significa Wounded Child with No Surviving Family, “bambino ferito e nessun sopravvissuto in famiglia”. Lo racconta la dottoressa Tanya Haj Hassan di Medici senza frontiere, nella Striscia da oltre un decennio. I Wcnfs sono diventati così tanti, già centinaia ormai, da dover dar loro un’identificazione, un nome che spesso non è nemmeno il loro, ma quello che gli danno infermieri e medici per distinguerli dagli altri, e poi quel cartellino al braccio è destinato a segnare il destino di una vita
Sono oltre 4 mila i bambini uccisi e identificati finora, esclusi i 1.270 dichiarati dispersi, i loro corpi sono ancora intrappolati sotto le macerie. Buona parte dei 15 mila feriti nella Striscia ha meno di 12 anni. La situazione in generale degli ospedali ancora attivi a Gaza è drammatica, l’operatività è al minimo. È finito il carburante che fa andare i generatori, che alimentano respiratori, macchine per la dialisi, incubatrici e nelle sale operatorie da giorni si opera senza anestetici e con illuminazione di fortuna. È finito persino il filo da sutura, si usano rocchetti di seta da cucito per chiudere le ferite. Save the Children avverte che la salute mentale dei bambini a Gaza è stata spinta oltre il punto di rottura. Con gli attacchi aerei israeliani dell’ultimo mese che hanno colpito migliaia di spazi civili a Gaza, comprese scuole e ospedali che ospitano famiglie, la violenza, la paura, il dolore e l’incertezza stanno causando gravi danni mentali ai bimbi.
Il ministero della Sanità di Gaza riferisce che 444 famiglie hanno perso da due a cinque membri a causa dei bombardamenti nelle ultime quattro settimane, comprese 192 famiglie che hanno perso dieci o più membri, lasciando molti bambini senza sostegno familiare. Non esiste un luogo sicuro a Gaza, nessun senso di sicurezza e nessuna routine. I bambini sperimentano tutta una serie di segni e sintomi di trauma tra cui ansia, paura, preoccupazione per la loro sicurezza e quella dei loro cari, incubi e ricordi inquietanti, insonnia, repressione delle emozioni e allontanamento dai propri cari. Il trauma che dà origine a questi sintomi è continuo, implacabile e si aggrava giorno dopo giorno. Un membro dello staff di Save the Children a Gaza e padre di tre bambini sotto i dieci anni ha raccontato alla Bbc: “C’è molto dolore. Abbiamo paura: di ciò che porteranno le prossime ore, di ciò che porterà il domani. La morte è ovunque. I miei figli mi guardano negli occhi ogni giorno, cercano risposte. E io non ho risposte per loro”.
Da quando nel 2007 Hamas ha strappato all’Anp il controllo di Gaza e Israele ha imposto il blocco terrestre, aereo e marittimo, i bambini nella Striscia hanno subito gravi privazioni, cicli di violenza e restrizioni alla loro libertà. Sono pietre le parole di Jason Lee, direttore di Save the Children per i Territori palestinesi occupati: “In tempi di guerra le persone di solito cercano rifugio in luoghi sicuri. Non ci sono posti sicuri a Gaza in questo momento, e non c’è modo di raggiungere la sicurezza fuori. Con un senso di sicurezza, la costante presenza rassicurante della famiglia, una sorta di routine e un trattamento appropriato, i bambini possono riprendersi. Ma in tanti hanno già perso i familiari, alcuni hanno perso tutto e la violenza e gli sfollamenti sono implacabili. Stiamo esaurendo le parole per lanciare l’allarme in termini sufficientemente forti o per articolare la portata della sofferenza dei bambini. Ci dev’essere un cessate il fuoco”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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IVANKA TRUMP PRENDE LE DISTANZE DAL PADRE: LA FIGLIA DEL TYCOON DEPONE IN TRIBUNALE, COME TESTIMONE NEL PROCESSO PER FRODE FINANZIARIA E FISCALE DELLE AZIENDE DEL PADRE, DONALD

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

A SALVARLA DA UNA POSSIBILE CONDANNA È STATA LA SCELTA DI SEGUIRE, NEL 2016, IL TRUMPONE ALLA CASA BIANCA LASCIANDO AI FRATELLI GLI INCARICHI OPERATIVI IN AZIENDA… IVANKA HA ANCHE CHIARITO CHE NON SEGUIRÀ DI NUOVO ALLA CASA BIANCA IL PADRE, SE VERRÀ RIELETTO

Dopo gli interrogatori dei fratelli Eric e Donald Jr e la «corrida giudiziaria» di lunedì, quando Donald Trump ha trasformato la seduta del processo per frode finanziaria e fiscale delle sue aziende, nella quale era chiamato a testimoniare come imputato, nel palcoscenico per una raffica di comizi e attacchi ai magistrati, oggi tocca a Ivanka, la figlia prediletta: quella che Rosemary Vrablic, banchiera di Deutsche Bank, grande finanziatrice della Trump Organization, alcuni anni fa definì l’erede designata dell’impero di famiglia.
Eppure, a differenza di padre e fratelli, Ivanka si trova ora davanti al tribunale civile di Manhattan come semplice testimone, non come imputata. Ironia della sorte: a salvarla da una possibile condanna è stata la scelta di seguire, nel 2016, il padre alla Casa Bianca. Lasciando, quindi, ai fratelli gli incarichi operativi in azienda.
L’attorney general Letitia James, capo della procura di New York, aveva incriminato anche lei, ma un tribunale d’appello ha accolto il suo ricorso: i reati finanziari e fiscali per i quali era stata messa sotto accusa risalgono a parecchi anni fa e, quindi, sono ormai prescritti. L’incriminazione di Eric e Donald Jr è stata, invece, confermata dal tribunale d’appello perché loro hanno continuato a commettere reati anche in anni più recenti. Ivanka non è perseguibile perché, chiamata dal presidente al suo fianco alla Casa Bianca sette anni fa, ha lasciato tutti gli incarchi in azienda. Nella quale non è tornata nel 2021, dopo la fine dell’avventura presidenziale del padre.
Da allora Ivanka sostiene di aver scelto uno stile di vita molto privato, assorbita, com’è, dai tre figli. In realtà ha continuato ad avere una vita mondana molto intensa tra Miami e Los Angeles (qualche giorno fa era a Hollywood alla festa di compleanno di Kim Kardashian, poi è stata vista in compagnia di Jeff Bezos e della fidanzata, Laureen Sanchez). Quello che ha fatto dall’inizio del 2021 è stato allontanarsi dall’azienda di famiglia e dal padre: non è mai più comparsa al suo fianco, nemmeno ora che The Donald si è ricandidato ed è in piena campagna elettorale.
Ha anche già chiarito che non lo seguirà di nuovo alla Casa Bianca, se verrà rieletto. Avendo messo tanto impegno per separare la sua immagine da quella di Trump presidente e immobiliarista, Ivanka, evitata l’incriminazione, ha tentato disperatamente di evitare anche la citazione in tribunale come testimone.
È l’ultima testimone dell’accusa. Poi, dalla prossima settimana, toccherà alla difesa che chiamerà di nuovo Eric, Donald Jr e molti altri testimoni. Infine le arringhe e la sentenza prevista per la vigilia di Natale.
(da agenzie)

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MADRID, AGGUATO AL FONDATORE DI VOX, IL CATALANO VIDAL-QUADRAS

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

GLI HANNO SPARATO IN FACCIA NEL CENTRO DELLA CAPITALE… NON E’ IN PERICOLO DI VITA

Sarebbe in condizioni gravi ma non in epricolo di vita l’ex presidente del Partito popolare della Catalogna, Alejo Vidal-Quadras, oggi dirigente di Vox, colpito in faccia da un colpo di pistola in centro a Madrid.
Il 78enne sarebbe stato aggredito mentre camminava per strada, quando gli si è avvicinata una persona che ha sparato da una distanza di circa due metri.
Secondo El Diario, Vidal-Quadras sarebbe rimasto cosciente durante il trasporto in ospedale. Nato a Barcellona nel 1945, Vidal-Quadras è stato capo del Pp catalano dal 1991 al 1996 ed è stato deputato al Parlamento europeo dal 1999 al 2014. Alla fine del suo mandato ha lasciato il Pp guidato da Mariano Rajoy per passare al movimento di estrema destra Vox che ha contribuito a fondare.
L’attentato al dirigente di Vox sarebbe stato messo a segno da un professionista, secondo la polizia di Madrid. Gli inquirenti sostengono che l’azione sia stata «programmata» con l’intenzione di uccidere. Il leader di Vox, Santiago Abascal, ha intanto rassicurato sulle condizioni di Vidal-Quadras: «Grazie a Dio Alejo Vidal-Quadras è fuori pericolo di vita».
Chi è Alejo Vidal-Cuadras
Ex cattedratico di fisica atomica all’Università Autónoma di Barcellona, Alejo Vidal-Cuadras, 78 anni, ha una lunga esperienza nella politica catalana. Mosse i sui primi passi nel consiglio comunale della città, eletto nelle liste di Alleanza Popolare, il partito di centrodestra, dal 1987 al ’91. Quindi fu deputato regionale e senatore.
Venne eletto presidente del Pp dal 1991 al 1996, ma lasciò il partito in segno di protesta per l’accordo tra il premier Jose Maria Aznar e i catalanisti di Convergencia y Uniò. Nel 1999 rientrà nel Pp dal quale venne eletto eurodeputato tra il 1999 e sino al 2014 fu vice presidente del Parlamento Europeo.
Il 27 gennaio 2014, dopo oltre trent’anni di militanza, abbandona i popolari, per fondare il nuovo partito di estrema destra Vox di cui divenne presidente provvisorio. L’ anno dopo però si dimette anche da Vox, dopo essere stato sconfessato dal partito per aver sostenuto il riavvicinamento con il partito centrista di Ciudadanos.
(da agenzie)

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SPAGNA, L’AMNISTIA PER PUIGDEMONT SPIANA LA STRADA A SANCHEZ

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

NUOVO GOVERNO A UN PASSO

A più di 100 giorni dalle elezioni politiche, la Spagna è infine vicina a vedere la nascita di un nuovo governo. Che avrà sempre lo stesso premier, Pedro Sanchez. I socialisti del Psoe erano stati sì battuti nel voto del 23 luglio dai popolari guidati da Alberto Núñez Feijóo, ma in maniera meno netta di quanto atteso/temuto: tanto che il Pp si è poi ritrovato di fatto con le armi spuntate, senza i numeri per poter formare una coalizione di governo anche in caso di accordo con l’ultradestra di Vox.
Mentre era apparso rapidamente evidente che una strada possibile verso un nuovo governo Sanchez, ringalluzzito dalla “non-sconfitta”, l’aveva eccome: quella dell’accordo con le forze indipendentiste, a cominciare dai catalani di Junts per Catalunya e di Esquerra Republicana (ERC). Una strada stretta e tortuosa, considerato che la richiesta degli indipendentisti di Barcellona era stata subito formulata in modo chiaro: amnistia per i leader che sei anni fa promossero il referendum per l’indipendenza della Catalogna considerato dalle autorità di Madrid un attentato alla Costituzione. Ma Sanchez, che già nei suoi anni di governo si era adoperato per stemperare la tensione tra Stato centrale e Catalogna, si è infilato testardamente in quel sentiero, ne ha messo alla prova la tenuta riuscendo a far eleggere ad agosto con quella stessa potenziale maggioranza una dei suoi, Francina Armengol, a presidente del Congresso. E stamattina, annuncia la stampa spagnola, l’accordo di governo è cosa fatta. Dopo settimane di trattative, svolte in gran parte a Bruxelles dove si trovano i leader secessionisti in esilio, a cominciare da Carles Puigdemont, Psoe e Junts per Catalunya presenteranno oggi l’accordo firmato all’alba. Al suo cuore, come previsto, sarà la legge per concedere l’amnistia ai leader che guidarono la “rivolta” secessionista dell’ottobre 2017, segnata dal referendum popolare auto-proclamato, dalla seguente solenne dichiarazione d’indipendenza votata dal Parlamento catalano, da violenti scontri tra indipendentisti e forze di polizia e infine dalla destituzione da parte di Madrid del governo catalano e dall’arresto o fuga dei suoi principali leader.
Le trattative per il nuovo governo e le proteste nel Paese
Ad anticipare per primo il raggiungimento dell’intesa di governo è stato ieri sera El Diario. Dal Psoe erano filtrati segnali di un accordo in vista già la scorsa settimana, ma gli indipendentisti catalani hanno voluto rivedere i dettagli della bozza di legge d’amnistia per assicurarsi – scrive El Mundo – che varrà anche per chi in questi anni ha collaborato con i leader secessionisti in esilio. A questo punto manca un solo tassello a Sanchez per avere la certezza di una solida maggioranza di governo: l’intesa con i nazionalisti baschi del Pnv. Superato anche quest’ultimo scoglio, il leader socialista potrebbe presentarsi in Parlamento per ottenere la fiducia già la prossima settimana: ampiamente nei tempi del mandato esplorativo concessogli ai primi di ottobre da Re Felipe (deadline al 27 novembre). Si prevede arrivi da subito in Parlamento anche la presentazione della legge d’amnistia, funzionale alla nascita del nuovo esecutivo. Una prospettiva che sta spaccando però il Paese. Negli ultimi giorni, con le notizie sull’accordo alle porte, la destra nazionalista ha portato in piazza migliaia di persone, che hanno manifestato con toni minacciosi di fronte alle principali sedi del Psoe. Un gruppo di attivisti a Madrid ha anche cercato di raggiungere il Congresso: fermati e arrestati dalla polizia. Proteste sostenute apertamente dall’ultradestra di Vox, in maniera più sfumata dal Pp, che pure si dice pronto a tutto pur di evitare la nascita del governo e il voto dell’amnistia. Entrambi i partiti accusano Sanchez di volere un «golpe» contro la Costituzione ai danni dell’unità della Spagna, e il Pp ha convocato per domenica manifestazioni in tutte le principali città del Paese.
(da agenzie)

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BOCCHINO, LO SCUDO UMANO CHE SFIDA LA LEGGE DI GRAVITA’ DEL SENSO DEL RIDICOLO

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

MANDATO IN TV PER DIFENDERE LA PATACCA DELL’ACCORDO CON L’ALBANIA HA MARCIATO IMPAVIDO VERSO L’INFAUSTO DESTINO

Perdonatemi se spezzo una lancia, e pure due, a favore di Italo Bocchino che martedì sera, a Otto e Mezzo, si è sottoposto volontariamente a un’impresa titanica: difendere come un solo uomo (e in effetti in giro non se ne videro altri) il patto sottoscritto da Giorgia Meloni sul trasferimento in Albania dei nostri migranti.
Incurante del fuoco nemico, Bocchino mostrando il petto rispondeva presente: “Sì, l’accordo è molto positivo”.
Mentre il nostro Franti, Marco Travaglio, se la rideva di gusto. Mentre lo sbigottimento s’impadroniva di Lucio Caracciolo e lo sdegno della professoressa Clara Mattei.
Perfino il premier di Tirana, Edi Rama, ammetteva che “non risolverà nulla” trasferire dall’altra parte dell’Adriatico il problema dell’immigrazione irregolare.
Inutilmente. Bocchino preferiva turarsi le orecchie e procedere impavido verso l’infausto destino. E se ci chiederemo cosa lo spinga a sfidare così spesso la legge di gravità del ridicolo ecco spezzata la seconda lancia. Non il farsi semplicemente scudo umano, poiché il sacrificio fine a se stesso non sembra rientrare nelle aspirazioni del genuino spirito napoletano da bon vivant quale egli è.
Meno che mai la cupidigia per scranni e poltrone. Ricordiamo, infatti, che da quando è riapparso sulle reti nazionali il sottopancia lo qualifica, senza tentennamento alcuno, come “direttore editoriale del Secolo d’Italia”. Quale ammirevole modestia.
Nulla infatti egli pretese, a differenza di altri, per il suo trasporto. Non biennali, non gallerie nazionali e neppure una pinacoteca o un museo. Poiché quello di Italo Bocchino verso Giorgia Meloni è amore (politico) che si trasfigura in tv nel senso più puro e commovente.
L’amore che non deve chiedere mai (una prebenda) per celebrare il quale ci sia consentita un’appropriata citazione. “Bizzarra è la mente umana repentina dimentica ma di fronte a grand’uomini e alle loro imprese eccola farsi granito e le parole scolpirla come col coltello romantici cuori nella corteccia d’albero” (Fascisti su Marte).
(da il Fatto Quotidiano)

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PENSIONI, DIETROFRONT DEL GOVERNO SU MEDICI E DIPENDENTI PUBBLICI

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

“RISCHIAMO LA FUGA DAL LAVORO”

Il governo si rimangia il taglio delle pensioni dei medici e degli impiegati statali? Anche se nelle intenzioni dell’esecutivo la Legge di Bilancio non dovrebbe essere toccata, tanto che i parlamentari della maggioranza si sono impegnati a non presentare emendamenti, le proteste della sanità hanno aperto a un possibile dietrofront. La materia del contendere è l’articolo 34 della Legge di Bilancio nella versione attualmente in circolazione. Ovvero l’”Adeguamento aliquote rendimento gestioni previdenziali” delle casse dei dipendenti comunali, dei sanitari, degli insegnanti d’asilo e delle elementari e degli ufficiali giudiziari. L’esecutivo aveva partorito una norma che tagliava gli emolumenti fino a quasi settemila euro. Agendo sugli anni di lavoro prima del 1996 e sul retributivo.
Le conseguenze
Ma ora il governo si è accorto delle possibili conseguenze. La minaccia di sciopero delle categorie interessate, per esempio. Ma anche i rischi di incostituzionalità paventati dai sindacati. E soprattutto, la paura che la misura possa innescare una fuga di dipendenti pubblici. Per questo ufficialmente è partito il “supplemento d’indagine” sul dossier, come ha spiegato il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. Mentre uno degli interessati, ovvero il responsabile della sanità Orazio Schillaci, ha detto che «c’è tutto l’interesse a rivedere la norma». Stimolando l’altolà di via XX Settembre: secondo il ministero dell’Economia ogni modifica dovrà essere effettuata «a saldi invariati». Ovvero si dovrà rifinanziare all’interno del computo di spese e incassi della stessa Legge di Bilancio 2024.
La tutela delle pensioni di vecchiaia
Ma intanto cominciano ad affastellarsi le ipotesi per cambiare la norma. Una di queste è quella di circoscrivere l’intervento alle pensioni anticipate. Tutelando invece chi va in ritiro nei termini di legge. Sarà difficile invece togliere la categoria dei sanitari dalla norma. Anche se sembrava la strada più semplice per modificare l’articolo, in questo modo si escluderebbero 27.700 dipendenti rispetto ai 31.500 coinvolti. Intanto la Lega scalpita. Salvini spinge per cancellare la norma per recuperare consensi sull’argomento pensioni. Ma per farlo bisognerà trovare 2,7 miliardi di euro.
(da agenzie)

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RICORDATE LA TASSAZIONE EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE? NON ENTRERA’ UN EURO

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

LA GRANDE FUGA DELLE BANCHE E L’ENNESIMA DEBACLE DELLA MELONI… ADDIO AI 3 MILIARDI CHE DOVEVANO SERVIRE “AD AUMENTARE GLI STIPENDI”


Alla fine le previsioni si sono avverate. Il sistema bancario è riuscito a evitare la tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito. Anche se secondo la premier Giorgia Meloni il balzello avrebbe dovuto far entrare nelle casse dello Stato ben tre miliardi di euro. Il prelievo è stato approvato nell’agosto scorso. A settembre il governo aveva offerto la scappatoia alle aziende del credito. Dando la possibilità di scegliere tra pagare la tassa e porre gli utili a riserva, senza poterli distribuire agli azionisti. E così è andata. Per adesso si sono mosse le grandi banche quotate: Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio, Credem e Mediobanca hanno risparmiato circa 1,8 miliardi di euro di imposte. Aumentando il proprio patrimonio di 4,5 miliardi.
Le banche a controllo pubblico
La stessa cosa l’hanno fatta le banche a controllo pubblico come il Monte dei Paschi di Siena e il Mediocredito Centrale. Il vicepremier Matteo Salvini aveva detto che quei soldi dovevano andare «ad aumentare gli stipendi». Ma secondo le previsioni anche altri istituti come Crédit Agricole e Banca Nazionale del Lavoro, oltre al credito cooperativo, dovrebbero avvalersi della possibilità di mettere gli utili a riserva per scavalcare la tassa. Il Fatto Quotidiano pronostica oggi che quando finirà la stagione delle trimestrali il gettito fiscale sarà pari a zero o quasi. Anche se la somma da mettere a riserva è pari a due volte e mezzo quella che avrebbe dovuto incassare l’erario. Gli istituti hanno così incrementato la loro solidità e capacità di credito. Anche se nel frattempo era stata “ammorbidita”. Cambiando la modalità di calcolo dell’imposta dallo 0,1% dell’attivo allo 0,26% ponderato per il rischio.
La fuga
Il colmo dell’assurdo, spiega il Fatto Quotidiano, è però Mps. La banca è stata salvata nel 2017 con un investimento di 5,4 miliardi da parte dello Stato. Il ministero dell’Economia ne era diventato azionista con il 64%. E ha versato 2,1 miliardi di aumento di capitale su richiesta del management. Il Monte ha chiuso i conti con quasi un miliardo di utili e prevede profitti per 1,1 miliardi a fine anno proprio grazie al margine di interesse. Ma il Consiglio di Amministrazione ieri ha reso noto di aver deciso di destinare a riserva 312,7 milioni a livello di gruppo. Con buona pace di Giancarlo Giorgetti. «Il fatto che, mettiamola così, anche Giorgetti attraverso il Mps controllato dal Mef eluda la tassa della Meloni, è la fine grottesca di uno dei tanti esempi del populismo degli annunci che caratterizza questa maggioranza», ha detto il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova.
(da agenzie)

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“LA RIFORMA DELLA MELONI? UN BALLON D’ESSAI”: GIULIANO URBANI, CO-FONDATORE DI FORZA ITALIA E TEORICO DELLA “RIVOLUZIONE LIBERALE” DEL CAV, STRONCA IL PREMIERATO

Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile

“È UNA RIFORMA INGENUA CHE RIDUCE I POTERI DEL COLLE. IL REFERENDUM? UNA ROULETTE, E’ DA INCOSCIENTI”

“Questa riforma? Un ballon d’essai”. Giuliano Urbani, ex docente universitario e co-fondatore di Forza Italia, di norme per il funzionamento delle istituzioni e della politica ne ha viste da vicino parecchie. Una, datata 1998, portava proprio la sua firma insieme a quella di Giulio Tremonti: e mirava tra l’altro a eliminare i ribaltoni. Venticinque anni dopo, il progetto Meloni-Casellati si pone lo stesso obiettivo. Ma convince poco il politologo che è stato due volte ministro nei governi Berlusconi.
Partiamo dalle intenzioni, non nuove: favorire governi più stabili.
“La direzione è quella giusta: il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo. Diciamo che mi aspettavo una riforma un po’ più presidenziale, mettiamola così. Ma mi faccia aggiungere che, anzitutto, questa iniziativa mi sembra ottimista e ingenua”
Entrando nel merito della riforma: elezione diretta del premier ma senza un meccanismo che comporti lo scioglimento del Parlamento in caso di sfiducia o dimissioni del primo ministro. Punto molto discusso.
“Sì, e se è vero che il simul stabunt simul cadent è il vero l’obiettivo della premier, mi chiedo perché la norma non sia stata inserita sin da adesso. Evidentemente non c’è un accordo. E si vuole ancora discutere”.
C’è in compenso una norma anti-ribaltone fondata sulla possibilità che il capo dello Stato dia l’incarico a un altro parlamentare, collega di maggioranza del premier eletto e poi cessato dalla carica. Ma quest’ultimo deve impegnarsi ad attuare il programma del primo.
“La parte più debole della riforma: secondo me è difficilissimo che si crei una situazione del genere. Se c’è una vera crisi questo è un pannicello caldo. La verità è un’altra: si sente l’esigenza di una riforma e si mette sul tavolo questa”.
Tutto da discutere, insomma.
“Forse è eccessivo dire che si tratta di un disegno di legge che ha funzione di propaganda, non parlerei neppure di slogan, di certo questa riforma mette in un quadro normativo molti dei cavalli di battaglia del centrodestra, come i no ai ribaltoni e ai governi tecnici. Però, allo stesso tempo, siamo di fronte a uno scenario che vede chi ha proposto il testo già disponibile a modificarlo. Vediamoci e parliamone, è il motto. Si lascia aperta ogni speranza. È un ballon d’essai”.
Meloni dice che si toccano “minimamente” i poteri del presidente della Repubblica. È d’accordo?
“È inevitabile che con una riforma che prevede l’elezione diretta del premier vi sia una riduzione dei poteri del Capo dello Stato. Ma questa maggioranza avrà la forza per marciare su questa strada?”.
È evidente che lei non ci crede.
“Secondo me le possibilità di riuscita dell’operazione si fondano su un gentleman agreement fra maggioranza e opposizione. Senza un dialogo stretto e costruttivo non si procede”.
Ci sono le condizioni?
“Serve un piccolo miracolo. E dipende anche dall’opposizione: non so se Schlein, per esempio, abbia questa disponibilità al dialogo. Pur potendo vantare numeri inferiori rispetto a quelli del passato. È l’ora di fare un elogio della debolezza. Se tutti, anche chi oggi si crede più forte, prenderà atto della propria debolezza, allora una riforma che rafforza i poteri dell’esecutivo e che serve a tutti procederà nel cammino”.
L’alternativa è il referendum. E nel centrodestra sembrano quasi rassegnati a quest’ipotesi. Che non spaventa. Marcello Pera, in un’intervista a “Repubblica”, avverte sul rischio che l’esito della riforma, alla fine, dipenda da una sorta di lotteria.
“È da incoscienti fare affidamento sul referendum. È una puntata massima alla roulette”.
Si vogliono abolire anche i senatori a vita, avrà letto.
“Questa proposta, più che dubbioso, mi lascia indifferente. Perché non credo che si arriverà mai a quel punto. La norma sarà modificata, può giurarci”.
(da Il Corriere dela Sera)

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