Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
CARFAGNA E GELMINI VOGLIONO TORNARE ALL’OVILE DI FORZA ITALIA MA TAJANI DICE NO… CALENDA VORREBBE TORNARE NEL CAMPO LARGO, MA ORMAI SI È BRUCIATO (COME RENZI) … CONTE NON SI DIMETTE MA PATUANELLI VUOLE ACCOMPAGNARLO ALL’USCITA
Che conseguenze avranno le elezioni europee sul già disastrato panorama politico italiano? Ogni partito ha vincitori e vinti, questuanti che tornano all’ovile e leader (o presunti tali) ringalluzziti o nella polvere.
Partiamo dalla Lega. Matteo Salvini è riuscito a rimediare il 9%. Un risultato impietoso rispetto a quello di cinque anni fa (quando, in era pre-Papeete, arrivò al record del 34%), ma meno drammatico delle previsioni.
Il “Capitone” ha scommesso tutto sull’effetto Vannacci, e i risultati, almeno in parte, gli hanno dato ragione. Il partito, è la stima dei leghisti, senza il generale e le sue “decime”, sarebbe al 6,75%.
Numeri forse esagerati, ma non troppo. Il partito ha incassato 2.095.190 preferenze, di cui 552.323 sono andate al generale (il 26% dei voti ricevuti)
Sia come sia, dentro il partito è iniziata la resa dei conti verso Salvini: i governatori (Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana) e i capigruppo (Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo) sono usciti allo scoperto e vogliono non solo la promessa del congresso in autunno, come già annunciato dallo stesso Salvini per tenere buono il dissenso interno, ma anche la data precisa.
Le sparate contro Bossi rimarranno tali: nessuno pensa minimamente di cacciare il fondatore dalla Lega: sarebbe una lesa maestà inaccettabile per un partito già dilaniato dalla faida tra vecchia guardia bossiana e salviniani. Intorno al segretario sono rimasti solo i fedelissimi, tra cui Edoardo Rixi e Andrea Crippa.
Forza Italia è uno dei pochi partiti che può dire di essere uscito vincitore dalla tornata elettorale europea. Tajani si è ringalluzzito dal sorpasso sulla Lega e dal 9,6% rimediato domenica scorsa.
Una buona affermazione, che ha risvegliato l’interesse di qualche “pecorella smarrita”, pronta a tornare all’ovile. Sembra infatti che Mara Carfagna, passata con Carlo Calenda per i dissidi con Licia Ronzulli, dopo la performance loffia di Azione, sia andata a confessarsi sul cuore grande di Marina Berlusconi, chiedendo alla primogenita ll via libera per tornare in Forza Italia
Marina non sarebbe contraria, e avrebbe inoltrato la richiesta a Tajani. L’ex monarchico, tuttavia, ha già dimostrato la sua contrarietà. Secondo un retroscena di “Repubblica”, il ministro degli esteri avrebbe sbattuto la porta in faccia ai transfughi pentiti: “Forza Italia non è un albergo a ore”.
Non solo. Tajani, in piena ebbrezza post-elettorale, ha ragionato in grande con Marina: perché accogliere i “traditori” e fare l’opa sul Terzo polo quando ci possiamo prendere direttamente i loro (pochi) elettori?
Un’altra ex forzista migrata con Azione e vogliosa di tornare alla base è Maria Stella Gelmini. L’ex ministra dell’Istruzione è combattuta: non sa se lasciare la politica e ritirarsi a vita privata oppure chiedere “asilo” a Letizia Moratti, peso massimo del partito.
“Mestizia”, però, pur essendo stata eletta all’Europarlamento, non ha brillato nelle urne: sogna di ricevere più preferenze di Antonio Tajani, e si è dovuta accontentare di 41.897 voti.
Carlo Calenda osserva inerme: il “Churchill dei Parioli”, ridimensionato dagli elettori, deve ricollocarsi. Fosse per lui, tornerebbe ad allearsi con il Partito democratico per restare “ancorato” al campo largo.
Quello che Carletto non vuole vedere è che tra un vaffa ai dem e uno scazzo con Renzi e Bonino, è andato troppo oltre. Il suo progetto politico non ha convinto gli italiani, le sue scelte da capo-partito lo hanno reso inaffidabile, come del resto il suo ex compare Matteo Renzi, che però continua a guardare a destra.
E il Pd? Anche Elly Schlein è uscita più forte da un voto che sembrava destinato ad affossarla. E invece, l’ha rilanciata con il 24,1% dei consensi, ben oltre quanto ipotizzato dai sondaggi.
Il ventilato ritorno del bipolarismo ha rinforzato in Elly la convinzione di poter far da sé senza bisogno di papi stranieri o di “spalle” al centro.
Il grande sconfitto è Giuseppe Conte: La “percentuale Lidl” da 9,99% (copyright Travaglio) ha aperto il vaso di Pandora dell’opposizione interna al Movimento 5 stelle. Peppiniello appulo non ha alcuna intenzione di dimettersi, ma, secondo voci interne al partito, Stefano Patuanelli starebbe lavorando nell’ombra.
L’ex ministro dello Sviluppo economico, che su Facebook aveva preconizzato un pessimo risultato elettorale del M5s, in privato starebbe già evocando le dimissioni del suo ex dante causa “Giuseppi”. Non solo: avrebbe in mente un piano per sfiduciare il fu avvocato del popolo.
(da Dagoreport)
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Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
PROTESTE PER LA RICHIESTA ASSURDA DELLA CONSIGLIERA, REDARGUITA DA TUTTI I COLLEGHI… IL CONCETTO DI DEMOCRAZIA E’ LABILE PER CERTI SOGGETTI
”Mi sembrerebbe necessario fare un minuto di silenzio, forse basterebbero 60 secondi, per l’elezione della Salis alle Europee”. Queste le parole pronunciate dalla consigliera di Fratelli d’Italia di Lucca, Laura da Prato, durante la seduta di ieri sera.
Una provocazione, forse, rivolta a Ilaria Salis, 39enne originaria di Monza, è una militante antifascista che, a febbraio 2023, sarebbe stata coinvolta in alcuni attacchi contro militanti di estrema destra in Ungheria.
A fare scalpore, però i 15 mesi di detenzione in una carcere di Budapest. La donna, che si è sempre professata innocente, dopo aver ricevuto gli arresti domiciliari è stata candidata alle ultime elezioni Europee con Avs, ricevendo ben 173mila voti.
Ancora da capire le motivazioni che hanno spinto la consigliera comunale lucchese del partito della Meloni a dire quella frase. Subito redarguita, infatti, da tutti i colleghi e dal presidente Enrico Torrini, che l’ha ammonita. “Evidentemente non è possibile fare un minuto di silenzio per l’elezione di qualcuno”. Non sono mancate le proteste di altri consiglieri, il brusio di sottofondo e ci sono voluti alcuni minuti per riportare la calma.
(da agenzie)
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Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA, COMPAGNO DELLA SENATRICE, HA REGISTRATO LE PAROLE E COMMENTA: “TI RINGRAZIO PER L’APLOMB, SEI SEMPRE UN SIGNORE”
La frase è pronunciata in dialetto estense, si sente mentre l’ex assessore alla Cultura Marco Guinelli è al telefono in vivavoce con Fabio Anselmo, candidato del centrosinistra uscito sconfitto dalle elezioni comunali contro il sindaco rieletto Alan Fabbri.
E’ proprio quest’ultimo ad averla gridata all’altro capo del telefono contro l’avversario. «Anselmo, fat dar in tal cu*. Fat dar in tal cu* ti ec l’altra pu***na», avrebbe detto il primo cittadino di Ferrara, cresciuto nella Lega e candidato nel 2014 alla presidenza della Regione contro Stefano Bonaccini.
Anselmo, avvocato della famiglia Cucchi nel caso dell’omicidio di Stefano Cucchi e attuale compagno della senatrice Avs Ilaria Cucchi, stava registrando quella telefonata, poi diffusa dal quotidiano locale Estense.com, ed è netto sulle parole che ha pronunciato Fabbri: «Ecco perché non ho fatto i complimenti per la vittoria nelle elezioni al mio sfidante», dice pubblicando il video della telefonata che avrebbe ricevuto nel pomeriggio di domenica e spiegando di essere stato insultato, sia lui che la compagna, «ti ringrazio per l’aplomb Alan, sempre un signore».
(da Open)
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Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
IMPARATE A LEGGERE: ERA PRESENTE SOLO IN DUE CIRCOSCRIZIONI, OVVIO CHE NELLE ALTRE QUATTRO NON HA POTUTO RICEVERE PREFERENZE, MA DOVE CAZZO VIVETE?
Ilaria Salis ha ricevuto voti solo da due circoscrizioni delle sei in cui l’Italia viene suddivisa per le elezioni europee. Un fatto che viene definito da numerosi post sui social il simbolo di «un’elezione anomala». In realtà, non c’è niente di anomalo nell’elezione della neo europarlamentare. Vediamo perché.
Per chi ha fretta:
Post sui social fanno notare che Ilaria Salis alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno è stata votata solo in due circoscrizioni: Nord Ovest e Isole
Sulla base di ciò, si sostiene che la sua elezione ad eurodeputata sia stata ottenuta in maniera «anomala».
Nord Ovest e Isole erano le uniche due circoscrizioni in cui Salis era candidata.
Quindi, non c’è niente di anomalo nelle preferenze che hanno portato all’elezione di Ilaria Salis all’Europarlamento.
Analisi
Vediamo uno screenshot di uno dei post oggetto di verifica (qui un altro). Nella descrizione si legge:
“Ilaria Salis avrebbe preso la bellezza di 176mila preferenze ma la cosa strana è che le avrebbe prese nella circoscrizione insulare e in quella nord-occidentale. Nel resto d’Italia, zero, come se non esistesse, anomalo se consideriamo che non ha fatto campagna su quei territori”
Alternativamente anche:
RICEVO DA INFORMATO E AUTOREVOLE AMICO QUESTO MESSAGGIO. Ilaria Salis avrebbe preso la bellezza di 176mila preferenze ma la cosa strana è che le avrebbe prese solamente nella circoscrizione insulare e in quella nord-occidentale. Nel resto d’Italia, zero, come se non esistesse. Questo fatto è ancora più anomalo se consideriamo che la Salis non ha fatto nemmeno campagna su territori dove non la conosce nessuno e che ha preso più di politici che si portano dietro da anni i loro pacchetti clientelari. È sicuramente una votazione quantomeno “anomala”. Il partito di Ilaria Salis, Alleanza Verdi e Sinistra, è un micropartito e aveva poche speranze di entrare. Ma la “salvezza” sembra sia arrivata dai voti degli studenti fuori sede che avrebbero votato per il 40%, enorme cifra, Avs. Sono i “prodigi” del voto da fuori, giusto?
Le circoscrizioni di Ilaria Salis
Ilaria Salis ha ricevuto intorno a 176 mila preferenze. Per la precisione, come riporta l’Ansa, 176.008, di cui 125.967 nel Nord Ovest e 50.401 nelle Isole e non ha ottenuto voti in nessun’altra circoscrizione.
Il motivo è semplice, solo Nord Ovest e Isole erano le circoscrizioni in cui Salis era candidata. Era quindi impossibile che la docente italiana agli arresti domiciliari in Ungheria ricevesse preferenze da altrove.
Conclusioni
Nessuna anomalia nelle preferenze ottenute da Ilaria Salis. Provengono solo da due circoscrizioni – Nord Ovest e Isole – perché solo lì la docente era candidata con Avs.
(da Open)
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Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL PPE, MANFRED WEBER: “ABBIAMO VINTO, LE URNE CI HANNO DATO IL MANDATO PER GUIDARE L’UE”.. IL “ROMPICAPO” DEI TOP JOB È QUASI RISOLTO: IL SOCIALISTA PORTOGHESE COSTA AL CONSIGLIO EUROPEO, L’ESTONE KALLAS ALTO COMMISSARIO
“Iniziamo il lavoro guardando alla maggioranza che avevamo (con Socialisti e Rnew, ndr), non è sempre stata facile, ma ha funzionato”. Lo ha spiegato Ursula von der Leyen agli eurodeputati del Ppe riuniti a porte chiuse, a quanto apprende l’ANSA.
La presidente della Commissione Ue ha poi ringraziato il gruppo per la loro dura campagna elettorale sottolineando che senza l’unità del Ppe questo risultato non sarebbe stato possibile. Parlando del lavoro fatto nei 5 anni, von der Leyen si è soffermata sul Patto di Migrazione e Asilo, dicendosi soddisfatta d’aver portato a termine un negoziato tra i più difficili della legislatura.
Se vi aspettavate mesi di duelli, azioni politiche avvincenti e uomini di potere di Bruxelles pronti a brandire coltelli affilati per assicurarsi i posti di vertice dell’UE all’indomani delle elezioni europee, potreste rimanere delusi.
Sembra emergere un consenso insolitamente precoce sui nomi preferiti per i posti al tavolo dei vertici dell’UE: La tedesca Ursula von der Leyen per un secondo mandato come presidente della Commissione europea, il portoghese António Costa come presidente del Consiglio europeo, la maltese Roberta Metsola come capo del Parlamento europeo e l’estone Kaja Kallas come capo della politica estera.
“Toccate ferro, ma questa volta le cose potrebbero andare relativamente veloci”, ha detto un funzionario dell’UE, pur avvertendo che un accordo formale probabilmente non arriverà prima che i leader si incontrino di nuovo il 27-28 giugno. L’ottimismo sui tempi è in parte dovuto al fatto che il presidente francese Emmanuel Macron avrà poca libertà di manovra per i suoi soliti giochetti da grande disturbatore.
Nei giorni trascorsi da quando i liberali francesi e Macron, uno dei principali mediatori nella discussione sui posti di lavoro più importanti, hanno subito una dura sconfitta per mano dell’estrema destra alle elezioni europee, il suo potere negoziale a Bruxelles si è esaurito. La sua attenzione è ora rivolta alle elezioni lampo che ha indetto in Francia, piuttosto che ai posti di lavoro a Bruxelles.
Se a ciò si aggiunge la guerra della Russia in Ucraina e il potenziale ritorno dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca dopo le elezioni americane di novembre, l’Europa non può permettersi mercanteggiamenti interni che sacrifichino la stabilità, hanno dichiarato i funzionari e i diplomatici europei.
Il rapido allineamento diplomatico intorno ai “Big 4” è in netto contrasto con le aspettative precedenti alle elezioni europee, quando a Bruxelles giravano voci che Macron stesse valutando alternative alla von der Leyen come capo dell’esecutivo dell’UE. In effetti, la velocità del consenso ha persino fatto temere ad alcuni diplomatici che stesse per arrivare un colpo di scena. “Più sento ottimismo, più divento nervoso”, ha detto un diplomatico dell’UE.
Il Partito Popolare Europeo, che rimane la maggiore forza politica dopo le elezioni europee, vuole garantire un secondo mandato quinquennale alla von der Leyen. Con Macron concentrato sulle sue turbolenze politiche interne, i leader continentali sono quasi certi di spingerla a passare.
“I leader non possono lavorare intorno a lei, nemmeno quelli che vorrebbero farlo”, ha detto un altro funzionario dell’UE. “È la loro candidata principale, sono il partito più grande. Sarà la prima a muoversi”.
Costa al Consiglio europeo
I socialisti, il secondo gruppo più numeroso del Parlamento europeo e parte fondamentale dell’attuale coalizione centrista, puntano alla guida del Consiglio europeo, che rappresenta i 27 Paesi membri dell’UE. Costa è il chiaro favorito nella corsa alla successione dell’attuale Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, tanto che i diplomatici stanno già speculando su chi potrebbe diventare il suo capo di gabinetto nel caso in cui ottenesse il posto.
All’inizio della settimana, l’attuale primo ministro portoghese di centro-destra, Luís Montenegro, ha dichiarato che Lisbona sosterrebbe Costa per l’incarico. “Montenegro lo farebbe solo se sapesse che Costa ha una seria possibilità”, ha detto il secondo funzionario dell’UE. Ma non si tratta di un accordo concluso: la candidatura di Costa potrebbe essere ancora complicata dai suoi problemi legali.
Lo scorso novembre, Costa si è dimesso dalla carica di primo ministro dopo che i pubblici ministeri lo hanno identificato come un funzionario sospettato in una vasta indagine sul traffico di influenze. All’epoca, i pubblici ministeri portoghesi non avevano rivelato quale reato fosse sospettato di aver commesso. A distanza di otto mesi, il caso rimane ancora sotto sigillo e il mistero persiste.
Non sono state formulate accuse contro Costa, ma i pubblici ministeri non hanno abbandonato le indagini sull’ex primo ministro. Su sua richiesta, il mese scorso Costa ha risposto alle domande del pubblico ministero e ha ribadito la sua innocenza.
Molte capitali europee non vedono più il caso giudiziario contro Costa come un ostacolo al suo trasferimento a Bruxelles. Costa ha un buon rapporto di lavoro con la von der Leyen ed è generalmente benvoluto dai leader europei. Secondo un funzionario francese, Macron apprezza l’ex premier portoghese, con cui ama confrontarsi in discussioni intellettuali.
Ma il sistema giuridico portoghese si muove a un ritmo glaciale e, mentre l’indagine su Costa continua, i suoi problemi legali potrebbero essere tirati in ballo dai nordici che cercano di promuovere la candidatura del primo ministro danese socialista Mette Frederiksen, il cui nome fluttua da mesi nelle conversazioni nella bolla di Bruxelles.
Capo degli affari esteri e del Parlamento
Il posto più incerto, a questo punto, è quello di capo della politica estera (Alto rappresentante), hanno detto quattro funzionari. Il primo ministro estone Kallas è in lizza per questo incarico e, in quanto donna liberale dell’Europa orientale e leader nazionale, sarebbe una scelta quasi ideale per i liberali nella scelta del successore di Josep Borrell.
Nel periodo precedente alle elezioni europee, i Paesi dell’UE con scarsa esperienza di aggressioni russe erano scettici sulle sue forti posizioni anti-Cremlino. Alcuni leader occidentali temevano che Kallas potesse concentrarsi esclusivamente sulla Russia e non prestare sufficiente attenzione ad altre regioni, in particolare il Medio Oriente e l’Africa. Ma questa opposizione si è poi spenta, poiché Kallas si inserirebbe perfettamente nel puzzle dei posti di lavoro attuali, dal punto di vista geografico, politico e diplomatico.
La più facile delle quattro nomine sarà l’assegnazione di un altro mandato di due anni e mezzo all’attuale Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, che fa parte del PPE. Ma è il Parlamento stesso, non i leader dell’UE, ad avere l’ultima parola su questa decisione.
Mi gratti la schiena…
Nei prossimi giorni, durante la cena informale e il vertice, i leader europei contratteranno con la von der Leyen per ottenere concessioni in cambio del loro appoggio, offrendo sostegno in cambio di portafogli chiave nella prossima Commissione europea.
“Questi sono capi di Stato e di governo. Non vengono a Bruxelles solo per approvare un accordo”, ha detto un terzo diplomatico dell’UE.
Anche se il Consiglio europeo dovesse raggiungere un rapido accordo sul puzzle delle cariche, c’è ancora l’ostacolo del Parlamento europeo, che potrebbe votare un secondo mandato quinquennale per la von der Leyen già il 18 luglio. “C’è sempre una sorpresa nelle discussioni sui posti di vertice”, ha dichiarato un quarto diplomatico dell’UE.
(da Politico. Eu)
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Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
ANNUNCIA UNA COSTITUENTE IN AUTUNNO E PENSA A TOGLIERE IL LIMITE DEI DUE MANDATI (L’ULTIMO TABU’ DI GRILLO)… LE MOSSE DI PATUANELLI E DEI BARRICADERI DI BATTISTA E RAGGI
Non si dimette ma rilancia. Non usa la parola congresso ma a questo pensa Giuseppe Conte quando dice ai parlamentari che è «venuto il momento di avere una grande assemblea collettiva, un’assemblea costituente, con la partecipazione di tutti gli iscritti».
Ed è qui che si discuterà di come cambiare e migliorare le regole del M5S. Quelle regole, come l’impossibilità di ricoprire una carica istituzionale per la terza volta, che hanno portato, secondo le riflessioni tra i 5Stelle, il partito al minimo storico del 9,99%.
Ai deputati e ai senatori, il presidente vuol dare anche l’impressione di non essere per forza legato al suo ruolo: «La mia guida rimane e rimarrà sempre e solo funzionale agli interessi superiori della nostra comunità». Tuttavia, afferma questo nella convinzione che per ora non esiste un’alternativa, anche perché in questi anni ha modellato il partito a sua immagine e somiglianza, e ora sotto accusa degli esponenti storici del Movimento è finita anche questa eccessiva personalizzazione.
Quindi Conte si batte il petto quando si dice pronto ad ascoltare i parlamentari per «approfondire con franchezza le ragioni di questa sconfitta». E in effetti ieri ha avviato un giro di colloqui per cercare di dare nuovo slancio al Movimento. Prima di vedere i parlamentari, l’ex premier ha riunito i componenti dei direttevi di Camera e Senato, e poi anche gli eurodeputati neo eletti.
Nel frattempo, nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama, si aggiravano i volti dei grillini tra delusione e horror vacui. Un senso di vuoto e di paura del futuro. I tempi in cui si aspettava il verbo di Beppe Grillo, l’unico capace di dare la linea al Movimento, sono passati e ora tutto il quadro è più fragile. Quello dell’assemblea costituente sarà un percorso molto lungo, qualcuno vede solo un modo per prendere tempo e superare la batosta elettorale.
Di certo, però, una dead line c’è: arrivare in tempo per consentire, eventualmente, a Roberto Fico di candidarsi presidente della Regione Campania nel 2025. E farsi trovare pronti per le prossime elezioni quando serviranno i volti noti per trainare il Movimento.
Quindi l’unica possibilità di venir fuori da questa crisi passa da un cambiamento profondo: via il limite dei due mandati, che non ha consentito ai più conosciuti di correre per un seggio a Bruxelles, immaginare anche di abolire il sistema del voto online per scegliere le persone in lista e una rivisitazione dell’attuale assetto di comando.
Sul piatto, dunque, c’è di tutto. Tranne le sue dimissioni. In fondo lo dice lo stesso Conte in serata prima di entrare a Montecitorio per la riunione dei gruppi parlamentari: «Dimissioni sul piatto? Sì…della cena… ». E con una battuta allontana le voci di chi, anche all’interno del partito, immaginava una sua resa e un avvicendamento alla guida di M5s
L’ordine di scuderia, in questa fase di tattiche e di manovre, è infatti respingere un cambio al vertice.
Stefano Patuanelli invita tutti alla «lucidità». Un monito che, pronunciato da chi aveva previsto la caduta al 10% per M5s, scatenando le ire di Conte, porta a credere che serve appunto una fase di riflessione non autoassolutaria e lungimirante.
(da agenzie)
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Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
MOLTI SONO COSTRETTI A FARLO PER DARE UNA MANO ALLA FAMIGLIA, CON UNA PAGA MENSILE MEDIA DI 320 EURO PER I MASCHI E DI 259 PER LE FEMMINE … “SAVE THE CHILDREN”: “SI SOTTOVALUTA IL PROBLEMA. TRA I MINORENNI FINITI IN CARCERE, IL 40% AVEVA AVUTO UN’ESPERIENZA LAVORATIVA PRECOCE. SI LASCIA LA SCUOLA, SI INIZIA A LAVORARE SFRUTTATI ED È FACILE COSÌ SCIVOLARE NELLE RETI CRIMINALI”
Il fenomeno del lavoro precoce e dello sfruttamento coinvolge sempre più ragazzi, anche piccoli, spesso poco più che bambini. Un fenomeno sommerso e quasi impossibile da monitorare, proprio perché svolto in nero e fuori da ogni legge. Per questo a mapparlo sono soprattutto le organizzazioni che si occupano dei diritti dei più piccoli.
Secondo un’indagine realizzata dall’organizzazione Save the children il lavoro minorile coinvolge almeno 336mila ragazzini, tra i 7 e i 15 anni. Di questi circa 58mila, tra i 14 e 15 anni, sono impiegati in mansioni dannose per la salute e che compromettono la conclusione del regolare percorso di studi. C’è chi lo fa per avere qualche euro in più, ma anche chi è costretto a lavorare per dare una mano alla famiglia. Secondo la ricerca “Domani (Im)possibili”, che si basa sulle interviste di un campione rappresentativo di adolescenti tra i 15 e i 16 anni, il 43,7% lavora per aiutare i genitori ad affrontare le spese. Di questi, il 18,6% lo fa solo per non gravare sulla famiglia che ha problemi economici.
«Si sottovaluta il problema, innanzitutto perché parliamo di un fenomeno difficilmente intercettabile e fuori dai contratti di lavoro – spiega Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Ue di Save the children -. Eppure ci sarebbero alcuni indicatori, soprattutto nelle aree depresse, che andrebbero monitorati con attenzione. Non è difficile entrare in un bar in periferia o dove i dati ci dicono che la povertà è maggiore, e vedere un ragazzino servire ai tavoli».
Per Milano bisognerebbe guardare anche ai dell’abbandono scolastico, molto spesso correlati all’inizio del lavoro minorile. «Tra i minorenni finiti in carcere, il 40 per cento aveva avuto un’esperienza lavorativa precoce. È una catena difficile da spezzare: si lascia la scuola, si inizia a lavorare sfruttati e senza contratto. Ed è facile così scivolare nelle reti criminali» aggiunge la responsabile di Save the children. Un circolo vizioso che riguarda anche i minori stranieri, che arrivano soli nel nostro paese e che spesso spariscono. Ma che nella realtà vengono intercettati per essere sfruttati anche da reti criminali.
L’organizzazione stima nel 2023 almeno 78.530 occupati minorenni solo nella fascia d’età tra i 15-17 anni. Il reddito medio settimanale stimato per i maschi è di circa 320 euro, per le donne di 259. Ancora più allarmanti sono i dati sugli incidenti sul lavoro. Nel periodo compreso tra il 2018 e il 2022 le denunce di infortunio presentate all’Inail relative ai lavoratori entro i 19 anni di età, ammontano a 338.323 di cui 211.241 per i minori fino a 14 anni e 127.082 nella fascia d’età 15-19 anni.
Mentre le morti bianche (nello stesso periodo) sono state 83: 9 sotto i 14 anni e 74 tra i 15 e 19. «Il lavoro minorile è un tema da osservare con attenzione perché rappresenta una spia dello stato di salute della nostra società e del benessere e del futuro dei giovani nel nostro Paese» sottolinea Carmela Pace, presidente Unicef Italia. E la situazione non riguarda solo il Sud. Le quattro regioni con la percentuale più alta di minorenni occupati (15-17 anni), in relazione alla popolazione residente per tale fascia di età, sono Trentino-Alto Adige, Valle D’Aosta, Abruzzo e Marche.
(da “la Stampa”)
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Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
ECCO PERCHE’ NESSUNO STA PAGANDO I RISARCIMENTI
«Si trattò di gravissimi crimini di guerra, contrari a qualunque regola internazionale e all’onore militare. E, ancor di più, ai principi di umanità».
Parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che il 25 aprile scorso ha scelto di trascorrere la festa della Liberazione a Civitella in Val di Chiana (Arezzo), dove il 29 giugno del 1944 uno squadrone nazista circondò la piazza ed entrò in chiesa, mentre era in corso la messa. Divisero i fedeli in piccoli gruppi e li uccisero con un colpo alla testa, uno dopo l’altro. Infine incendiarono le case, bruciando vivi quei pochi che erano riusciti a nascondersi nelle soffitte. I morti di Civitella furono 115.
Ad ascoltare Mattarella c’era anche Cipriano Boniti, che aveva 8 anni quando gli uccisero il padre, e ha consegnato una lettera al presidente, chiedendogli di intervenire per sbloccare i risarcimenti alle vittime delle stragi naziste che da ottant’anni aspettano giustizia. «Non è una questione di soldi – dice Boniti – ormai siamo vecchi. È per affermare il principio che abbiamo subito un grave torto».
I numeri della strage
L’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia ha contato 5.607 episodi di violenza, che hanno portato all’uccisione di 23.669 persone, 1.521 delle quali avevano meno di 16 anni. A questi eccidi si aggiungono coloro che finirono nei campi di lavoro e nei lager del Terzo Reich dopo l’8 Settembre 1943: 716.000 militari italiani internati, 33.000 deportati politici e 9.000 ebrei e zingari d’Italia. Dal Dopoguerra in avanti si è aperto il tema di come risarcire le vittime dei crimini nazisti, ma ancora oggi la stragrande maggioranza di quelle vittime o dei loro discendenti sta ancora aspettando.
I soldi della Germania OvestIl passo più importante risale al 1961, con gli accordi di Bonn: la Repubblica Federale Tedesca paga all’Italia 80 milioni di marchi (in due tranche, qui e qui) e l’Italia si impegna a sospendere ogni altra pretesa risarcitoria. In realtà, sulla base delle leggi approvate negli anni successivi, quei soldi finiscono a chi ha investito nella moneta e nelle banche del Terzo Reich, mentre per le vittime dei criminali nazisti si applicano criteri molto restrittivi, col risultato che delle 323.731 richieste vagliate dalla commissione governativa, ne vengono accolte appena 12.673, quasi tutti deportati per motivi politici o razziali, mentre sono soltanto 1.077 gli indennizzi agli ex internati militari, a fronte di 266mila domande. Ma di quali cifre stiamo parlando? Per un deportato che morì ad Auschwitz, negli anni Sessanta la famiglia fu risarcita con 432.859 lire, che alla rivalutazione di oggi corrispondono a 4.686 euro.
I processi
Per decenni prevale l’orientamento che vieta di condannare, sulla base delle proprie leggi, gli atti commessi da uno Stato estero. Ma le cause intentate dai sopravvissuti ai lager e agli eccidi – sostenuti da Joachim Lau, un avvocato tedesco che ha dedicato la vita alle vittime italiane – nel 2004 spingono la Cassazione a riconoscere la giurisdizione italiana per i crimini contro l’umanità commessi dai soldati del Terzo Reich a danno dei nostri connazionali e, da lì in poi, fioccano le sentenze che condannano la Germania a cospicui risarcimenti. I tedeschi rifiutano di pagare e fanno ricorso al Tribunale dell’Aja e nel 2012 la Corte penale internazionale dà loro ragione, riconoscendo l’immunità tra Stati ma auspicando un nuovo accordo con il governo italiano. In realtà, i tavoli per le trattative non iniziano neppure, e nel 2013 l’Italia fa una legge che vieta di processare altri Paesi quando si è già pronunciata la Corte di Giustizia internazionale. La norma viene però bocciata dalla Consulta e i tribunali italiani possono riprendere da dove avevano lasciato, arrivando perfino a pignorare gli immobili di proprietà della Repubblica federale sul territorio italiano. A quel punto, la Germania fa un nuovo ricorso a L’Aja.
Il fondo Draghi
Il 30 aprile 2022 il governo Draghi decide di mettere la parola fine: ci penserà lo Stato italiano a risarcire le vittime delle stragi nazifasciste, e istituisce il Fondo per le vittime del Terzo Reich con una disponibilità di 55 milioni di euro. Poi arriva il governo Meloni che a luglio 2023 conferma il fondo e lo estende a 61milioni di euro: 20 milioni per il 2023 e 13.655.467 euro per ciascun anno dal 2024 al 2026. Per averne diritto serve che la causa civile sia stata promossa dalla vittima (o dai suoi eredi) entro il 31 dicembre 2023, una sentenza di condanna alla Germania, e la quantificazione del risarcimento del giudice. Tutto chiaro quindi? Manco per niente.
Giuliano non ha sofferto abbastanza
Tribunale di Firenze: Mirella fa causa per la morte del padre Giuliano nell’eccidio di Passignano, il 23 luglio del ’44, quando i nazisti fucilarono 12 civili inermi. Ai magistrati, racconta: «Avevo compiuto 8 anni ed ero in braccio al mio babbo quando un tedesco mi ha buttato a terra e sono stata raccolta da mia zia. Mio padre e gli altri uomini sono stati trovati in un bosco: erano stati fucilati». Mostra i registri comunali dell’epoca, gli atti della procura militare e dei carabinieri che indagarono, le denunce dei testimoni oculari. Tutto dimostra che il racconto è autentico. Eppure l’avvocatura dello Stato italiano chiede al giudice di non condannare la Germania, perché non si può essere sicuri che il padre di Mirella sia morto proprio nell’eccidio e non in un contesto diverso. E comunque, azzarda: anche fosse morto per mano nazista, la sofferenza patita da Giuliano non va risarcita perché i soldati del Reich l’hanno ucciso subito. Il giudice dispone 50mila euro di risarcimento perché la morte nell’eccidio è dimostrata e il papà di Mirella ebbe almeno 15 minuti di tempo (da quando fu strappato alla famiglia a quando gli spararono nel bosco) per rendersi conto che stava per morire. L’avvocatura dello Stato a dicembre 2023 ha presentato ricorso. Adesso pare che le parti abbiano trovato un accordo (Mirella si è però dovuta impegnare a non chiedere mai più un soldo alla Germania) ma di pagare il risarcimento ancora non se ne parla
Lo Stato dice no ai risarcimenti
Le cause civili avviate contro la Germania sono 1.350, circa la metà nel distretto della Corte di Appello di Roma, poco meno di 200 in quello di Venezia. Lo Stato tedesco non riconosce l’iniziativa dei magistrati italiani, non si presenta in tribunale, e quindi viene dichiarato contumace. In aula si costituisce invece l’Avvocatura dello Stato italiano con lo scopo di opporsi al risarcimento, o quanto meno ridurne il più possibile l’ammontare. Le ragioni accampate sono diverse. Ecco le principali: il reato di riduzione in schiavitù cade in prescrizione; l’internamento in un lager e i lavori forzati non sono un «crimine contro l’umanità» se la vittima è un soldato; il «trattamento inumano» è avvenuto in Germania, quindi a decidere dev’essere un tribunale tedesco. Le prime sentenze danno ragione alle vittime: la competenza è italiana e reati tanto gravi non si prescrivono. Lo Stato tedesco viene quindi condannato, e lo Stato italiano deve risarcire. Ma siccome l’Avvocatura spesso fa ricorso, la vittima deve attendere la sentenza definitiva e poi mandare copia al ministero dell’Economia, che gestisce il Fondo, e che per legge ha 180 giorni di tempo per pagare. Le prime richieste risalgono a settembre, di mesi ne sono passati otto, e ancora non hanno visto un soldo. A titolo di esempio: Mirella e Cipriano di anni ne hanno 88, Antonio (che ha passato 24 mesi in un campo di concentramento) ne ha 107. È questa la parte spregevole: faccio una legge per riconoscerti un diritto e poi utilizzo tutti i cavilli che consentano al tempo di stendere il definitivo velo.
Milena Gabanelli e Andrea Priante
(da corriere.it)
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Giugno 12th, 2024 Riccardo Fucile
I CAMPUS DEL NORD ITALIA SONO I PIU’ CARI
I centri estivi sono sempre più cari. La cifra si aggira sui 1.200 euro per un bambino, 2.300 circa se si aggiungono anche un fratello o una sorella. Lo rivela il secondo rapporto dell’istituto di ricerca economiche e sociali Eures e dell’Associazione difesa orientamento consumatori (Adoc) realizzato analizzando i prezzi dei centri estivi in cinque città (Milano, Bologna, Roma, Napoli e Bari).
Il problema, infatti, si ripresenta ogni anno: le scuole chiudono per 12 settimane (contro le 6-8 di Germania, Francia e Regno Unito), i genitori cercano, invece, di capire dove lasceranno i propri figli mentre saranno al lavoro. C’è chi potrà contare sul supporto dei nonni, chi ha già preso accordi con una baby-sitter. Per tutti gli altri la soluzione rimasta è una sola: mandare i propri figli al centro estivo.
Milano la città più cara
L’analisi ha rilevato un aumento medio del 10 per cento rispetto al 2023. E le differenze di costo sono significative anche a livello geografico: i centri estivi del Nord Italia – si legge nella report – risultano i più cari, con un costo medio per una settimana di 175 euro a tempo pieno, contro i 148 euro del Centro e i 118 euro del Sud. Milano è invece la città più cara, con un costo medio a settimana di 218 euro (che scende a 176 euro per l’orario ridotto), registrando un valore pari a circa il doppio di Bari e Napoli. Il costo medio di una famiglia milanese che decide di portare il proprio figlio al campo estivo si aggira sui 1.748 euro, con due figli arriva a 3.374.
La denuncia: «Costi troppo elevati e ingiustificati»
«Troppo elevati, ingiustificati e spesso inaccessibili per la maggior parte dei genitori i costi dei centri estivi – dichiara Anna Rea, presidente Adoc – tutto ciò è aggravato dal lungo periodo di chiusura delle scuole. Un problema che si ripropone ogni anno e che pesa esclusivamente sui genitori, in particolare su quelli che lavorano entrambi, sono senza il supporto della famiglia di origine o dove il carico è sostenuto solo dalle madri». A rischio ci sono «l’apprendimento e le competenze acquisite durante l’anno dai bambini e dai ragazzi – continua la presidente – e l’amplificarsi delle disuguaglianze sociali.
Le strutture pubbliche
Non tutti, infatti, possono permettersi attività, centri estivi o vacanze studio e i più fragili restano parcheggiati sul divano davanti a tablet o cellulari». I costi scendono per i centri estivi organizzati nelle strutture pubbliche. Lo rivela monitoraggio realizzato da Onf (Osservatorio Nazionale Federconsumatori). La spesa settimanale è di 75 euro (+50% rispetto al 2019) per chi sceglie l’opzione mezza giornata e di 95 euro (+17% rispetto al 2019) per chi preferisce invece il tempo pieno.
(da agenzie)
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