Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE VENETO ROBERTO MARCATO CONTRO SALVINI: “SIAMO STATI UMILIATI. ANDIAMO SUBITO A CONGRESSO. SE NON ARRIVA L’AUTONOMIA, VIA DAL GOVERNO”
Cosa ne farà, il generale, di quel mezzo milione di preferenze incassate alle Europee? Se lo chiedono anche ai piani alti della Lega, perché l’ambizione di Roberto Vannacci è evidente, così come la sua fame di notorietà, di cui ha avuto solo un assaggio e di certo è lontana dall’essere appagata.
Ma se Bruxelles ha un potere, è quello di offuscare la luce dei riflettori sugli europarlamentari. Meno presenze in televisione, meno interviste sui giornali, poca quotidianità nei pensieri degli italiani. Chissà se Vannacci resisterà.
Intanto è chiamato a scegliere il collegio nel quale essere eletto. Si dice sia orientato a optare per il collegio Nord Ovest, dove ha preso più preferenze.
Lascerebbe così un posto libero a Susanna Ceccardi nella circoscrizione Centro, a Paolo Borchia nel Nord Est e ad Aldo Patriciello al Sud, lasciando a bocca asciutta l’europarlamentare uscente Angelo Ciocca, arrivato secondo nel Nord Ovest.
A pesare sembra ci sia anche il rapporto piuttosto freddo di Ciocca con Matteo Salvini, mentre Ceccardi e Borchia sono considerati più vicini. Patriciello, poi, porta molti voti al Sud, è appena stato strappato a Forza Italia e viene ritenuto prezioso per puntellare il progetto di una Lega nazionale.
Del futuro di Vannacci e del suo inquadramento, una volta eletto, si discuterà invece al prossimo consiglio federale della Lega, dopo i ballottaggi del prossimo weekend nei comuni andati al voto nel giorno delle Europee.
Salvini per il momento lo spalleggia. Ieri il gip del tribunale militare di Roma ha respinto la richiesta di archiviazione della procura nei confronti del generale, indagato per istigazione all’odio razziale per alcuni passaggi contenuti nel suo libro “Il mondo al contrario”, e Salvini è corso a difenderlo esprimendo al suo «recordman di preferenze alle Europee» solidarietà: «Da quando ha scelto la Lega ha iniziato ad avere qualche problema».
In questo momento Salvini ne ha bisogno. Vannacci non è solo l’uomo che gli ha permesso di sopravvivere a questa tornata elettorale. È la sua nuova “Bestia”. L’ariete con cui abbattere gli ultimi muri e trascinare la Lega all’estrema destra.
I leghisti, da quando alcune settimane fa hanno saputo del sondaggio interno che dava Vannacci come il loro candidato più votato alle Europee, sembrano seguirlo e imitarlo ciecamente.
Quanto possa durare questo tandem tra un leader che ha scelto di non misurarsi nella competizione elettorale e un generale che alla prima prova ha raccolto una valanga di voti, beh, è un interrogativo che inizia a essere un tarlo anche ai piani alti di via Bellerio.
Per ora Vannacci assicura di non avere idee bellicose: «Non ho mai pensato di fare un altro partito né di fare il successore di Salvini». C’è un però. «Ho detto che questa onda va trasformata in uno tsunami». Insomma, vuole far crescere il suo seguito. Non solo per vendere più libri, sospettano in tanti nella Lega.
I suoi nemici interni continuano a puntare il dito su quel comitato “Il mondo al contrario”, presieduto dal tenente colonnello in pensione Fabio Filomeni. Alcuni leghisti sospettano che Vannacci abbia affidato al suo ex compagno d’armi il compito di gettare le basi per un movimento.
C’è già un’operazione di tesseramento in corso e uno statuto in cui viene esplicitato il tentativo di organizzarsi sul territorio con delle «sezioni», di fare «attività politiche», di avere un coordinatore nazionale e altri referenti regionali, e cinque vice-coordinatori che, guarda caso, si occuperanno delle stesse cinque circoscrizioni elettorali delle Europee.
«Bisogna andare subito a congresso», scandisce Roberto Marcato. Assessore veneto allo Sviluppo economico, è leghista della prima ora, che in molti oggi vedono come uno dei possibili sfidanti di Salvini per la leadership del partito.
È Salvini il colpevole della disfatta della Lega in Veneto?
«La teoria dell’uomo solo al comando mi convince poco, perché le colpe sono a diversi livelli. Salvini è il nostro segretario e quindi ha anche un ruolo di parafulmine. Ma non è il solo responsabile di questa situazione: c’è una squadra di persone, intorno a lui, che ha altrettante colpe, che non sta pagando. Persone che, di fronte alle difficoltà, si defilano. Le elezioni si possono perdere, beninteso; ma le umiliazioni, no, non le accetto».
Quali umiliazioni?
«Il mondo è completamente rovesciato rispetto a quello che conoscevo io. Non solo non è stato eletto nemmeno un eurodeputato veneto della Lega, ma il più votato nel nostro partito è stato Roberto Vannacci, un signore che parla di Decima Mas e che è tutto tranne che autonomista. Se questi sono risultati da festeggiare, allora io non capisco nulla di politica».
Cosa deve fare la Lega, ora?
«Un congresso subito, per decidere quale partito essere: se esiste ancora una questione settentrionale, se siamo ancora un movimento federalista e autonomista, se siamo ancora contro gli sprechi. Anche la discussione sulla leadership, pur importante, deve venire dopo tutto questo».
Secondo lei, la Lega dovrebbe uscire dalla coalizione, per non tradire se stessa?
«Se arriva l’autonomia, io sto in qualsiasi maggioranza. Ma, se non arriva, allora no: andiamo a casa anche domani mattina».
(da La Stampa)
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Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
I PRINCIPALI INDIZIATI SONO TRE: IL TURBO-GARANTISTA ENRICO COSTA, MARIASTELLA GELMINI E MARA CARFAGNA… TAJANI PER ORA PRENDE TEMPO
“Presto arriveranno da qui dentro tre nuovi deputati dell’ex e ormai defunto Terzo polo, tra ex renziani ed ex calendiani”, dice Paolo Barelli al Foglio indicando l’ingresso dell’emiciclo di Montecitorio. Il capogruppo di Forza Italia alla Camera ripete la formula di rito pronunciata dopo il successo delle elezioni europee da Antonio Tajani: non siamo un autobus né un hotel a ore.
“Però siamo pronti ad accogliere e ad allargare”, continua Barelli con posa gigionesca. FI è dunque il partito della carezza, del sinite parvulos venire ad me. Altro che i cazzotti mulinati dal leghista Igor Iezzi in Aula, da cui non a caso gli azzurri hanno preso le distanze: nessuno di noi ha partecipato alla zuffa, noi preferiamo la riffa.
Un’operazione del genere non sarebbe banale: allargherebbe i numeri della maggioranza che sostiene Giorgia Meloni. Da San Lorenzo in Lucina, quartier generale tajaneo, sono sicuri che la premier non si metterebbe di traverso, anzi.
Chi vuole fare il grande salto, specie chi proviene da Azione, tratta direttamente con Tajani, senza dirlo nemmeno al marito o alla moglie. Questa è la prima regola. Operazioni top secret, massima discrezione, smentire e negare sempre
È il partito di Calenda quello che appare in maggiore difficoltà. L’ex ministro dello Sviluppo e il suo braccio destro Matteo Richetti […] continuano a essere contrari alla reunion con Matteo Renzi. “Solo gli ultimi dei giapponesi pensano ancora al Terzo polo”, ha detto Calenda in una delle tante sedute di autocoscienza post voto che oscilla dalla linea “mani libere sui provvedimenti” all’ineluttabile destino che potrebbe spingerlo verso il Pd, come ala moderata di una coalizione che alla fine non potrebbe che non sfociare nel poco amato campo largo. Chiamasi effetti collaterali del bipolarismo, benedetto non a caso dalle due leader di Pd e Fratelli d’Italia, Schlein e Meloni.
Ecco è questo scenario che sta facendo suonare mille campanelli nella testa di chi, tra deputati e senatori, proviene da Forza Italia. I vertici del partito di Tajani fanno tre nomi: Enrico Costa, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Questione di tempo. Tutti e tre i parlamentari citati, contattati dal Foglio, smentiscono informalmente qualsiasi passaggio.
Nella fanta-lista che gira in Transatlantico escono fuori anche i nomi di Giusy Versace e Daniela Ruffino, ex azzurre, ora in molta sofferenza. Addirittura una super big azzurra ci dà una dritta: “Seguite bene i movimenti di Ettore Rosato”. Vero, falso? Chissà. Tutto si muove.
Mai come in questa fase Tajani si sta facendo calamita. Ascolta tutti, prende tempo, ci riflette su, calcola le conseguenze di certe scelte. Il tempo, d’altronde, non manca. E dopo questa scorpacciata elettorale se ne riparlerà, con calma, dopo l’estate. Quando inizierà la lotteria delle regionali. Tramestii, polpette avvelenate, ne riparliamo a settembre. Su questo spartito si muovono gli accordi e i disaccordi degli ex terzopolisti. Una dinamica, minore, che sta capitando anche delle parti di Italia viva di Matteo Renzi, dove la fedeltà al capo, seppur ammaccato, è quasi un’adesione religiosa da parte di (quasi) tutti.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
NIENTE ACCORDO, DECIDERA’ IL GIUDICE
È ancora aperta la vicenda giudiziaria tra il generale Roberto Vannacci e la pallavolista azzurra Paola Egonu, che lo aveva querelato per diffamazione. Il gip di Lucca si è riservato di decidere se archiviare o meno la denuncia e dovrebbe pronunciarsi nei prossimi giorni. Egonu aveva denunciato l’attuale eurodeputato della Lega, dopo che sul suo libro «Il mondo al contrario» aveva scritto: «Anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità». Egonu aveva denunciato Vannacci a Bergamo, con la pratica passata per competenza territoriale a Lucca, dove Vannacci risiede.
Il pm aveva chiesto l’archiviazione del caso, ma la pallavolista si era opposta. Nell’udienza di oggi era presente anche Vannacci, che ha sempre respinto le accuse. Lo scorso maggio aveva anche scritto una lettera a Egonu, nel tentativo di dare un’interpretazione «autentica delle parole e delle espressioni da me usate nei suoi confronti», aveva spiegato il leghista. Vannacci ha poi spiegato di non aver mai avuto dubbi sulla cittadinanza italiana della pallavolista «e sono personalmente e continuamente fiero che lei rappresenti il nostro tricolore, con la sua eccellenza sportiva. Ma questo non può celare visivamente la sua origine di cui sono convinto, lei stessa vada fiera». In aula a Lucca, la pallavolista era assente. E tra le parti al momento non sembra esserci nessuno spiraglio di accordo. Ognuna è rimasta sulle sue posizioni, nonostante un iniziale tentativo di conciliazione.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
IL LEADER DELL’ESTREMA DESTRA, DOPO GLI INSULTI RIVOLTI ALLA 34ENNE (“TRADITRICE, BUGIARDA!”), RIDUCE LA VICENDA A UNA QUESTIONE DI POLTRONE E FAVORI TRA PARENTI
La storia dei rapporti tra Marine Le Pen e Marion Maréchal comincia presto, anzi prestissimo, nell’istante in cui Marion viene al mondo. Il 10 decembre 1989, nell’ospedale di Saint-Germain-en-Laye, c’è Marine Le Pen in sala parto a tenere la mano della sorella più grande Yann, mentre Marion emette il primo vagito.
«Marine ha fatto la parte del padre», dirà Yann, perché il padre biologico di Marion, il giornalista e diplomatico Roger Auque, era assente ed è riapparso solo quando la figlia era ormai adolescente.
Nei primi anni Marine ha aiutato la sorella Yann ad allevare Marion, che poi ha preso il cognome da Samuel Maréchal, esponente del Front National sposato due anni dopo la sua nascita. E questo ruolo paterno di zia Marine ha sempre contato anche nella relazione politica tra le due donne, e tra i partiti della destra nazionalista francese.
Da quel giorno nella maternità di Saint-Germain-en-Laye sono passati 35 anni, di dissidi politici e contrasti ideologici, certo, ma la questione delle origini è rimasta centrale: sia quando Marion Maréchal ha voluto «uccidere il padre» e allontanarsi da Marine Le Pen e dal Rassemblement national per entrare in Reconquête di Eric Zemmour, sia quando — come sta succedendo in questi giorni — ha deciso di rientrare a casa.
Lo dice anche Zemmour, il grande sconfitto e abbandonato: dopo gli insulti («traditrice!», «bugiarda!»), riduce la vicenda a una questione di poltrone e favori tra parenti : «Alla fine Marion ha solo voluto tornare nel clan famigliare».
In questi anni si è detto che Marine Le Pen fosse interprete dell’anima «sociale» dell’estrema destra, quella forte soprattutto al Nord, attenta alle ragioni degli ex operai abbandonati dalla sinistra, mentre Marion Maréchal rappresentava l’ala conservatrice e tradizionalista, radicata nel Sud dei pieds noirs scappati dall’Algeria un tempo francese, ferocemente ostili agli immigrati (specie se maghrebini).
Ma questa differenza di sensibilità politica si è sempre articolata anche intorno alle vicende di Montretout, il maniero del patriarca Jean-Marie Le Pen sulle alture di Saint Cloud, sopra Parigi, dove le sorelle sono cresciute accanto al fondatore del Front National. E quando Marine ha voluto per prima, e per davvero, uccidere politicamente il padre estromettendolo dalla guida del partito poi ribattezzato Rassemblement, è anche in sfida alla zia che Marion è rimasta a fianco del nonno.
Nel Front poi Rassemblement national la politica è sempre stata affare di famiglia, e quindi con chi fa — o meglio ha fatto, al passato — coppia Jordan Bardella, possibile futuro premier? Con un’altra nipote di Marine Le Pen, Nolween Olivier, figlia dell’altra sorella di Marine, la primogenita Marie-Caroline.
E chi ha sconfitto Bardella, nel 2022, quando è diventato presidente del RN? L’ex compagno di Marine Le Pen, Louis Aliot.
In tutto questo, il destino di Eric Zemmour è davvero amaro. Da anni fautore di un’unione delle destre sempre respinta con sdegno da Marine Le Pen, vede ora realizzarsi o quasi il suo sogno politico: il RN prova ad allearsi con la destra gollista, e gode dell’appoggio di Marion Maréchal e di quattro sui cinque eurodeputati di Reconquête. Tutti insieme, finalmente. Ma senza Zemmour, che della famiglia non fa e non farà mai parte.
(da Corriere della Sera)
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Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
IL MINISTERO DEL LAVORO GUIDATO DALLA CALDERONE CERTIFICA CHE, GRAZIE AL REDDITO DI CITTADINANZA VOLUTO DAL M5S, IN MEDIA TRA IL 2019 E IL 2023 UN MILIONE DI PERSONE OGNI ANNO È USCITO DALLA CONDIZIONE DI POVERTÀ ASSOLUTA… MENTRE SUGLI EFFETTI DEI DUE SUSSIDI INTRODOTTI DALLA DESTRA, OVVERO L’ASSEGNO DI INCLUSIONE E IL SUPPORTO PER LA FORMAZIONE E IL LAVORO, PER ORA NON VENGONO FORNITI DATI
Un milione di persone in media all’anno fuori dalla povertà assoluta. Eccolo l’effetto del Reddito di cittadinanza nei quattro anni e nove mesi di vita, dall’aprile 2019 al dicembre 2023. Lo dice, in modo definitivo, il governo Meloni che quel Reddito, voluto dal M5S, l’ha cancellato. E sostituito con due sussidi – l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro – di cui però non si sa nulla.
L’attesa Relazione sulla povertà, pubblicata ieri sul sito del ministero del Lavoro senza conferenza stampa di presentazione (prevista in un primo tempo), non ne fa menzione. O quasi. Adi e Sfl vengono citati, quasi di striscio, solo alla fine del rapporto preparato dalla commissione povertà del ministero, presieduta dal presidente dell’Inapp Natale Forlani.
Spicca la proposta di indicizzare l’Isee d’accesso alle nuove misure pari a 6 mila euro: «La soglia va adeguata per tenere conto dell’impatto dell’inflazione avvenuto negli anni recenti». Almeno sedici punti, non banale.
Una raccomandazione che arriva dopo pagine di critica agli aspetti meno efficaci del Reddito di cittadinanza. A partire proprio dai requisiti di reddito e patrimonio che hanno consentito di coprire meno di un terzo dei poveri assoluti nel 2022, con un picco del 36% solo nel 2021.
Obiezione che da sempre muovono la Caritas e l’Alleanza contro la povertà, inascoltate. Un difetto che ha privilegiato single o solo adulti e solo italiani. Lasciando ai margini o penalizzando «famiglie con più figli a carico, nuclei con almeno uno straniero, residenti al Nord, over 64, coppie di anziani, famiglie con casa di proprietà».
Difetti in parte ereditati proprio dalle due misure meloniane, introdotte dal governo di destra per rimpiazzare il Reddito: l’Adi e il Supporto da 350 euro al mese, massimo per un anno non ripetibile, per gli occupabili, cioè gli adulti tra 18 e 59 anni, senza figli minori o disabili.
Anzi, l’esecutivo Meloni ha reso talmente stringenti i requisiti di Isee e i moltiplicatori applicati alle famiglie che, come ripete Bankitalia in uno studio (citato anche dal governatore Fabio Panetta), la platea dei beneficiari si dimezzerà.
Al momento non sono possibili confronti con i numeri perché, come detto, la Commissione Forlani non ne dà. Pur raccomandando al governo di correggere la stretta con l’indicizzazione dell’Isee. Quanto al vecchio Reddito, abolito dallo scorso gennaio, ha beneficiato con almeno una mensilità 2,4 milioni di famiglie e 5,3 milioni di persone per una spesa di 34 miliardi. Solo un terzo dei beneficiari ha percepito il sussidio per tutto il periodo, ovvero 56 mesi. In media, sono 26 le mensilità incassate di Reddito e 32 quelle di pensione di cittadinanza.
Come già ufficializzato da Istat, seppur con le storture sopra menzionate, il Reddito «ha consentito la fuoriuscita dalla condizione di povertà» di circa 450 mila famiglie all’anno nel triennio 2020-2022, corrispondenti a circa un milione di persone all’anno. Il rapporto mette poi il dito nella piaga delle politiche attive che non hanno funzionato.
E non funzionano ancora, visto che il governo non dice quanti seguono i corsi di formazione e hanno trovato un posto con i nuovi sussidi. Eppure nel 2022 c’erano 446 mila beneficiari già occupati, ma poveri: il 30,7%. Solo il 2,3% work-ready, pronti a lavorare. Mentre sette su dieci con «elevata difficoltà di inserimento o reinserimento». Tutto tranne che sul divano assistiti dallo Stato. Parola del governo Meloni.
(da La Repubblica)
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Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
E IN BUONA PARTE DEI COMUNI DEL CENTRO-SUD IL PD HA STACCATO NETTAMENTE FDI … “IL FOGLIO”: “DOPO DUE ANNI DI GOVERNO, FDI NON RIESCE A FORMARE CLASSE, DIRIGENTI CHE AMMINISTRANO. NEI COMUNI HA SOLO PODESTÀ SENZA FASCIA: UN PARTITO DI SAPONE. UNA BOLLA”
Meloni è Meloni, ma cosa resta di FdI senza Meloni? La buccia.
Alle elezioni comunali il Pd li doppia, nel Veneto anche la Lega, ammaccata, li affianca: votare “Giorgia” fino a quando può bastare? Può il partito della patria non conquistare le piccole patrie?
Il 28,8 per cento ottenuto da FdI alle europee nasconde una verità. FdI non riesce a esprimere amministratori, FdI raccoglie i voti della Lega e di FI in uscita, ma nei comuni ha solo podestà senza fascia: un partito di sapone. Una bolla.
Quando Meloni tornerà dal G7, quando Meloni non dovrà più occuparsi dei ministri che querelano in maniera temeraria, come il suo ministro Adolfo Urso scorra i dati delle ultime comunali, in particolare quelli del Veneto. E’ la regione che FdI vuole scippare a Luca Zaia, alla Lega, la regione degli uomini spicci, vino buono e fatica.
Esiste FdI in quei comuni? Quanto ha preso rispetto alle politiche? A Vittorio Veneto, paese simbolo, dove la Lega è frantumata, FdI è passata dal 32,70 per cento, al 7,74; a Monselice dal 35,88 al 13,92 per cento; a Bassano del Grappa dal 32,99 è scesa all’11,52. Si dirà: FdI nei comuni è andato sempre male, e le Europee sono elezioni differenti, con alto astensionismo.
Prendiamolo per buono, ma se FdI continua ad andare male, dopo due anni di governo, se FdI non riesce a formare classe, dirigenti che amministrano, tra cinque anni quali altri ministri presenterà? La città più importante del Veneto andata al voto è Rovigo ed FdI è scesa dal 36,50 delle europee al 20,13.
Se una Lega costretta a candidare generali, in caduta, riesce ancora a battere FdI, nei paesini dimenticati dalla stampa, significa che il partito di Meloni non è invincibile e che un giorno potrà essere facilmente sostituto.
Sempre in Veneto, la Lega ha riconfermato il 92 per cento dei sindaci uscenti, ed esiste poi un elenco di paesi dove ha perfino battuto FDI, come Negrar, Cassola, Schio.
Meloni sa che a Firenze, la città del responsabile dell’organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, FdI è al 13,15 per cento contro il 30 per cento del Pd? Il candidato del centrodestra di Firenze è l’ex direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, e corre al ballottaggio.
A Bari, la città sospesa, lì dove il governo ha spedito una commissione per verificare possibili infiltrazioni mafiose, FdI, alle comunali, ha raccolto solo 11,13 per cento contro il 19,77 del Pd. Un’altra città simbolo dove la destra ha ingaggiato una battaglia di coscienza è Piombino, la città del rigassificatore. Il sindaco di FdI, Francesco Ferrari, si è sempre opposto all’opera, ma il governo Meloni ha avallato l’opera.
E’ la città dove più si misura l’affidabilità di Meloni, dove andrebbe spiegato che quel cambiare opinione è solo l’arte di amministrare. FdI a Piombino si è fermata al 6.93 per cento mentre Ferrari, che continua la sua battaglia, ha assemblato una lista civica. E si potrebbe naturalmente continuare in quel nord che Meloni ha l’ambizione di scalare. A Bergamo, FdI è al 14 per cento contro il 26 per cento del Pd, a Pavia, stessa cosa: i Fratelli d’Italia sono al 15 per cento.
Gli imprenditori del nord, nelle loro cene, dicono: “Ah, Meloni è tanto brava” ma una brava che non è generosa, che non apre, che dice “ci penso io” o “questa idea è mia” è come chi cerca di recintare il cielo: ha già perso orizzonte. Porte chiuse equivalgono sempre a teste strette.
(da il Foglio)
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Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
COME HA EGEMONIZZATO LE STRUTTURE STUDENTESCHE E GIOVANILI
Cosa pensano, cosa leggono, a quali ideali si ispirano i giovani di Fratelli d’Italia e della destra italiana? E perché è così importante capirlo? Perché da qui uscirà la futura classe dirigente: consiglieri comunali, regionali e poi parlamentari, dirigenti di partito e di aziende pubbliche, e un domani magari ministri, sottosegretari.
Lo hanno capito i settori più radicali della destra, che hanno puntato a egemonizzare le organizzazioni giovanili come Azione Studentesca e Gioventù Nazionale, muovendosi tra dentro e fuori il partito, stringendo rapporti con i gruppi neofascisti.
È l’area della destra identitaria, che sta velocemente costruendo un network nazionale. L’obiettivo esplicito è quello di influenzare la militanza giovanile, occupandosi della formazione politica e di trasmettere un corpus di testi, riferimenti e idee che provengono direttamente dal fascismo e dal neofascismo. Con questa inchiesta, che si aggiunge al lavoro su Gioventù Nazionale del team Backstair, portiamo all’attenzione e allo scoperto quello che i vertici del partito nelle stanze del governo fanno finta di non vedere.
Tutto parte da Firenze: Casaggì
È il 18 febbraio del 2023 quando, di fronte al Liceo Michelangiolo di Firenze, un gruppo di ragazzi di sinistra viene aggredito a calci, pugni e cintate da un gruppo di militanti di Azione Studentesca, organizzazione giovanile che fa riferimento a Fratelli d’Italia. Sono anche appartenenti a Casaggì – destra identitaria, un’esperienza nata nel 2005 da alcuni appartenenti all’allora Azione Giovani. Il gruppo apre un “centro sociale di destra”, puntando sull’aggregazione e il lavoro culturale. È chiara la fascinazione per quella che in quegli anni era la più significativa novità nel panorama della destra radicale, ovvero CasaPound. Ma quelli di Casaggì, invece di spostarsi nell’area dei gruppi neofascisti, scelgono di collocarsi nell’area di Fratelli d’Italia.
I militanti di Casaggì rifondano Azione Studentesca, egemonizzando da subito il gruppo. Nel 2014 nasce Gioventù Nazionale, organizzazione ufficiale di Fratelli d’Italia. Ci vogliono altri due anni per il rilancio di AS, con lo stesso nome e lo stesso simbolo (la croce bretone, così simile a una croce celtica) che era stato del gruppo studentesco di Alleanza Nazionale di cui la stessa Meloni era stata portavoce nazionale.
“L’impulso alla rinascita del mondo studentesco, allora, giunge dalla Comunità di Casaggì Firenze, che si assume la responsabilità di ricostruire il tessuto militante nazionale e di traghettarlo nel nuovo progetto. – si legge nel sito ufficiale dell’organizzazione – Dopo mesi di duro lavoro sotterraneo e costante, coordinato da Anthony La Mantia, una nuova generazione di attivisti sceglie di ripartire dalle origini: il 5 settembre 2016, in una partecipatissima assise del campo Fenix, viene rifondata Azione Studentesca. A guidarla è proprio Anthony La Mantia, dirigente fiorentino e riferimento nazionale delle tante Comunità militanti che vanno a costituire lo zoccolo duro del Movimento”. La sede nazionale di Azione Studentesca è domiciliata proprio a Casaggì.
Il gruppo fiorentino però non è attivo solo nelle attività sociali e culturali, oltre che nella militanza giovanile, ma è anche in grado di candidare ed eleggere i propri militanti nelle liste del partito, come per esempio Alessandro Draghi nel consiglio comunale di Firenze, e Francesco Torselli alla Regione Toscana, oggi candidato all’Europarlamento alle prossime elezioni di giugno. Gli identitari organizzano gli studenti e le conferenze, ma anche voti e preferenze.
La rete nazionale della destra identitaria
A partire dal controllo di Azione Studentesca gli identitari iniziano, con una certa dose di pazienza e senza bruciare la tappe, a costruire una rete nazionale. Nella città della torre pendente c’è una struttura gemella di quella fiorentina, Casaggì Pisa. A Modena è nata “Aretè – Spazio Identitario”, che si definisce una “comunità giovanile di destra sociale e identitaria”. A Sassari meno di un anno fa ha aperto i battenti “Domus Turritana – Spazio Identitario”, mentre in Veneto c’è una parte importante della rete con “La Contea” a Padova, “Casarhéa – Spazio Identitario” a Belluno e “Riconquista” a Vicenza. Spostandosi verso ovest Casaggì ha aperto una filiale a Brescia, e poi a Torino con “La Barriera”, una realtà nata anche questa da pochi mesi che anima “Edoras Spazio Militante”, e che ha intensi rapporti con le rete dell’estrema destra d’Oltralpe e di altri paesi europei.
Un discorso a parte merita Roma. Qui nella rete identitaria compare “S29 Laboratorio militante”, che altro non è che la storica sede del Fronte del Gioventù di via Sommacampagna, a due passi dalla Stazione Termini. Questa storica sede della militanza più dura del neofascismo romano, è oggi patrimonio dei cosiddetti Gabbiani, ovvero l’area politica che fa riferimento al vicepresidente della Camera Fabio Rampelli. Qui i ragazzi e le ragazze di Azione Studentesca sono allo stesso tempo rampelliani e identitari.
A ufficializzare l’esistenza di una rete a livello nazionale è un’azione simbolica condivisa dalle diverse “comunità militanti”, come si definiscono, in occasione dell’anniversario della battaglia di Lepanto. Striscioni per ricordare la “vittoria” contro l’invasore, coordinati con altri gruppi identitari in giro per l’Europa.
Ecco chi sono i nemici degli identitari: Immigrazione incontrollata e oicofobia, “guerra dei sessi” e calo delle nascite, pensiero unico dominante e affossamento delle sovranità, decostruzione degli spazi e sovversione dei riti, subalternità politica e burocrazie elefantiache, perdita del sacro e omologazione globalista, sciovinismo divisivo e complessi di inferiorità, colpevolizzazione indotta e sradicamento dei legami, cultura della cancellazione e derive tecno-finanziarie: la nostra Europa, dimentica delle proprie radici e schiacciata tra Bruxelles e Lampedusa, attraversa una crisi senza precedenti
Un testo oggettivamente indistinguibile da un qualsiasi volantino di un gruppo neofascista. Negli “spazi identitari” si organizzano anche i ragazzi e le ragazze di Azione Studentesca e di Gioventù Nazionale, e i gruppi giovanili forniscono i militanti agli spazi identitari, in un gioco di vasi comunicanti che rende indistinguibile quello che è nel partito e quello che è fuori.
Passaggio al Bosco e l’Identitario
Dicevamo il lavoro culturale. Casaggì si è ben attrezzata in questo senso. Nel 2017 alcuni militanti del gruppo fondano Passaggio al Bosco, la casa editrice in questo momento più vitale dell’area. In catalogo troviamo libri sul fascismo e discorsi di Benito Mussolini, ma anche un libro di un soldato nazista come “Camerata. Il mio onore si chiama fedeltà”, stampato nel 1943 dall’Alto Comando della Wehrmacht. Passaggio al Bosco ha anche deciso di pubblicare un libro di Sir Oswald Mosley, il capo del fascismo britannico, e “La Guerra Rivoluzionaria” di Rodolfo Graziani, fortunato manuale di contro insurrezione anticomunista scritto dall’ex gerarca fascista come appendice della rivista “Ordine Nuovo”, e base teorica dello stragismo di estrema destra.
Oltre ai memorabilia e i grandi classici del neofascismo, non mancano poi libri sui temi d’attualità contro l’ideologia gender, l’autorazzismo dei bianchi, il femminismo e l’ideologia antifascista. C’è poi una collana che traduce in italiano i lavori dell‘Institut Iliade, nato in Francia nel 2014 per continuare il lavoro di Dominique Venner, a lungo protagonista dell’estrema destra francese e della cosiddetta nouvelle droite con Alain de Benoist. Venner si tolse la vita sparandosi il 21 maggio 2013 nella cattedrale di Notre Dame a Parigi in segno di estrema protesta: “Io mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite. Mi ribello contro la fatalità del destino. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che stanno distruggendo i nostri ancoraggi identitari, prima su tutti la famiglia, intimo fondamento della nostra civiltà millenaria. Mentre difendo l’identità di tutti i popoli a casa propria, mi ribello nel contempo contro il crimine che mira alla sostituzione dei nostri”.
Al lavoro della casa editrice, che organizza presentazioni e eventi anche nelle sedi dei partiti e dei movimenti dell’estrema destra extraparlamentare, è stato da poco affiancata una rivista online, l’Identitario, che ha invece il compito di rappresentare un punto di riferimento e autonarrazione per l’area politica che qui stiamo raccontando, diffondendone iniziative comuni, riflessioni, auto interviste, oltre che contributi più d’occasione legati alla stretta attualità.
“Il nostro onore si chiama fedeltà”: le SS di Hitler l’esempio proposto ai giovani di Meloni
Sia il coordinamento di Passaggio al basco che dell’Identitario è affidato proprio Marco Scatarzi, anche lui proveniente dalla fucina fiorentina di Casaggì. Scatarzi è anche l’autore di un libricino indirizzato proprio alla formazione del militante identitario. “Essere Comunità. Orientamenti per il militante identitario” è il titolo del volume, un catechismo infarcito di neofascismo. Il testo non a caso vuole dare degli “orientamenti”, citando il titolo del testo con il quale Julius Evola nel 1950 dava delle indicazioni dopo la sconfitta del fascismo e del nazismo.
Il testo cita come modelli di comunità militanti ai quali aspirare la Legione del collaborazionista e antisemita Corneliu Zelea Codreanu, e la Militia dell’irriducibile sostenitore del Terzo Reich Leon Degrelle, che scrisse “Hitler per 1000 anni”. Il testo, decisamente didattico nel tono, risponde anche al ruolo che deve avere la donna all’interno della comunità. E la risposta in breve è: deve stare al suo posto rispettando le naturali gerachie. Scatarzi invita “le militanti più giovani” a superare “le dinamiche di attrito che spesso caratterizzano le donne di una comitiva: piccole invidie, antipatie più o meno taciute, frecciatine, incomprensioni banali che si trasformano in cataclismi sconfinati”.
La comunità militante proposta dagli identitari è una comunità sotto assedio, partendo dall’assunto che i popoli europei stanno subendo una sostituzione etnica: Un popolo che subisce una sostituzione etnica è un popolo comunque destinato all’estinzione: il soft power e l’hard power del mondialismo possono innescare un meccanismo, ma nessuno è obbligato a patirne le conseguenze in silenzio e docilmente; non è scritto da nessuna parte che ci si debba far condurre al mattatoio docili e con il sorriso sulle labbra. (…) Quello che ha contraddistinto le Civiltà millenarie è oggi sotto attacco, l’equilibrio che le ha tenute in piedi per secoli è sovvertito in ogni livello e necessita di un risveglio che ne ripristini i canoni e le idee-forza. Le comunità militanti hanno il compito specifico di contribuire a produrre questo risveglio
L’assonanza in questo caso con i terribili manuali e manifesti dei terroristi suprematisti è impressionante. Quello che voleva fare con la strage di Utoya Andres Breivick era proprio risvegliare i banchi e gli europei invitandoli a resistere contro l’invasione, e ribellandosi al “marxismo culturale”.
Al termine della lettura, noiosa quanto significativa dal punto di vista politica, ecco l’esempio che l’autore propone ai militanti di Azione Studentesca e della destra identitaria: le SS di Adolf Hitler. L’esempio da seguire è quello raccontato da Rutilio Sermonti in Vita Est Militia, che riporta le lettore di un sedicenne arruolato nelle Waffen. Il ragazzo prima di morire dice a Semonti: “Noi vinceremo signor tenente, è vero? Perché noi abbiamo ragione”. E quello risponde: “Ti giuro che non ci fermeremo mai, niemals, finché non avremo vinto”. Poco prima Scatarzi aveva preso aggiornandolo il motto delle SS: ““Il nostro onore si chiama fedeltà” letteralmente significa questo: la coerenza rispetto ai principi propugnati, l’essere fedeli alla propria natura e al proprio cammino di ascesi. Disonorarsi, quindi, significa aver tradito i presupposti che tengono insieme il tessuto comunitario, ovvero il “terzo elemento” cui è vincolato il soldato politico”.
Fuori e dentro Fratelli d’Italia: identitari e gruppi neofascisti
Marco Scatarzi partecipa anche al Centro studi KulturEuropa, vera e propria struttura teorica che con un blog, convegni e una radio web, fa da cerniera tra la rete degli identitari e la destra extraparlamentare. C’è Adriano Scianca, già responsabile culturale di CasaPound e collaboratore del La Verità, e Carlomanno Adinolfi, anche lui vicino al La Verità. Gli identitari sembrano così la cerniera tra la destra di governo e i gruppi più radicali, socializzando libri, idee e programmi tra i gruppi giovanili delle rispettive organizzazioni. Tra i link proposti dall’Identitario troviamo anche “Fuoco” che invece è un progetto editoriale legato agli “evoliani” della Comunità Militante Raido di Roma, anche questi tra i soggetti della destra extraparlamentare molto vicini al circuito degli identitari.
Gabriele Adinolfi, ex esponente di punta di Terza Posizione, che dagli anni Novanta si propone come ideologo della destra neofascista, nel 2008 scriveva un documento intitolato Sorpasso Neuronico. In questo saggio di una trentina di pagine, ancora reperibile in rete liberamente, Adinolfi descrive il ruolo che a suo modo di vedere dovrebbe avere l’estrema destra con la sua azione culturale e militante. In particolare Adinolfi propone alle forze dell’estrema destra di superare definitivamente le vecchie identità nostalgiche, puntando a influenzare le classi dirigenti dei partiti del centrodestra.
Un ruolo particolare viene riconosciuto alle organizzazioni giovanili:
Al secondo livello vanno curate e potenziate le espressioni giovanili e studentesche che hanno la funzione essenziale di far crescere, nella responsabilizzazione e nel confronto con i loro coetanei, i giovani quadri. Inoltre il particolare ruolo di giovani che sono radicati in un’identità e allo stesso tempo parte integrante di una nuova generazione consente loro di assolvere alla funzione di trasformazione e innovazione nell’ancoraggio. A questo livello, peraltro, le forze autonome e quelle istituzionali, tutte fornite di componti giovanili di qualità, s’incrociano, convivono e superano gli steccati preconcetti operando così le prime, significative, rivoluzioni. Non è un caso se le avanguardie del dopoguerra sono state quasi tutte studentesche o universitarie.
Sembra proprio il lavoro che sta perseguendo il network degli identitari con Azione Studentesca, Passaggio al Bosco e KulturEuropa, anche con l’aiuto dello stesso Gabriele Adindolfi, autore di diversi volumi per Passaggio al Bosco, e prolifico conferenziere e autore di articoli e interventi.
Ecco cosa ha scritto lo scorso 2 maggio Adinolfi sul suo blog per ricordare la resa della Germania nazista: “La famosa tesi secondo la quale l’Europa moriva quel 2 maggio a Berlino non mi ha mai convinto: “ho sempre pensato, al contrario, che quel 2 maggio essa nacque nella mistica del sacrificio. Ho sempre pensato che il sangue di tanti giovani europei, fusi tra loro nell’epica tragica, fosse la linfa dell’Europa che verrà”.
Così invece ricorda il suicidio di Adolf Hitler e Eva Brown: I giovani di Fratelli d’Italia che vogliono essere “soldati politici”
Quella che abbiamo descritto finora è una vera e propria area politica, per ora piuttosto mimetizzata, in grado di influenzare le idee, le letture e l’ideologia dei futuri quadri dirigenti del partito di Giorgia Meloni. Lo attesta anche il fatto che, quando devono cercare qualcuno cui discutere del compito di un militante politico di destra oggi, l’organo ufficiale della giovanile di Fdi intervisti proprio Scatarzi.
In un’intervista uscita su Magnete, la rivista online di Gioventù Nazionale, il coordinatore del lavoro culturale dell’area risponde così a una domanda su come reagire al “declino” del Vecchio Continente. “L’Europa, nostro malgrado, si trova sull’orlo dell’abisso. Se dovessimo identificare una data simbolica, senza dubbio, la troveremmo nel 1945: lo spirito di Yalta, dapprima imposto con la forza e successivamente adottato da buona parte delle élite europee, è la quintessenza di questo declino doloroso”, la fine del nazismo e l’egemonia americana sul blocco occidentale coincide con l’inizio del declino. E ancora “il declino spirituale, dettato dalla perdita del sacro e dalla subalternità psicologica indotta, la cui massima espressione è quel latente senso di colpa che il pensiero woke ha innescato con successo, producendo la furia iconoclasta della cancel culture e la ridicola autocensura delle nostre genti; il declino antropologico, immortalato dal calo demografico, dalla sostituzione etnica, dalla subalternità culturale nei confronti del nulla d’oltreoceano”.
La strada da percorrere? Quella indicata dall’intellettuale del neofascismo francese sparandosi un colpo di pistola in bocca: “Come ci ha suggerito Dominique Venner prima di mettere in atto il suo rito sacrificale, occorre insorgere contro il fatalismo: questo letargo, profondo e prolungato, non è un fatto perpetuo o un destino immutabile. Noi, come identitari e come europei, abbiamo il dovere di produrre un risveglio delle coscienze che possa generare un nuovo rinascimento”. Di Venner Passaggio al Bosco propone anche un poster da mettere nelle camerette dei militanti identitari.
In ultimo il dirigente della giovanile di Fratelli d’Italia che lo intervista per la rivista dell’organizzazione domanda: “Sei d’accordo sul fatto che una nostra missione dev’essere quella di mantenere e ripristinare la Paideia?”. Con Paideia si intende “cultura, tradizione, perfezionamento, pensiero, espressione, maturazione”, e per prima cosa il ripristino della scuola depurata dall’anti autoritarismo e dall’egualitarismo figli del Sessantotto, e della famiglia tradizionale. Poi la proposta per i militanti meloniani: “Il militante non è un piccolo amministratore in erba, ma un soldato politico che ha scelto di fare propria una visione del mondo, adottadola come metro di misura di ogni azione. Ecco perchè, da anni, sottolineiamo l’importanza di un percorso di Formazione che non sia soltanto la scuola dei comunicati stampa o delle mozioni istitituzionali, ma un più radicato percorso di vita che permetta al giovane militante di assumere su se stesso, attraverso la condotta e lo Stile, un preciso modo di stare al mondo”.
La fiamma che non si è spenta
“Le radici profonde non gelano”, è una frase da cui la destra postfascista italiana è ossessionata. Talmente presente da essere spesso attribuita a Benito Mussolini. In realtà arriva dai libri di J. R. R. Tolkien, è un componimento che Bilbo Baggins dedica a Aragorn: “Non tutto quel ch’è oro brilla, Né gli erranti sono perduti; Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza E le radici profonde non gelano. Dalle ceneri rinascerà un fuoco, L’ombra sprigionerà una scintilla, Nuova la lama ora rotta, E re quei ch’è senza corona”.
Le radici profonde sono quelle che affondano nella storia del fascismo e della militanza missina nel dopoguerra, e sono le radici nella tradizione e nell’identità nazionale, in un continuum immaginario che va dal Risorgimento alle trincee della Prima Guerra Mondiale, dagli “eroi” della X Mas ai “martiri” come Sergio Ramelli o i morti di Acca Larentia, e prima ancora ai fasti dell’Antica Roma
Un mondo e un insieme di riferimenti che sono rappresentanti nella fiamma che è ancora accesa nel simbolo di Fratelli d’Italia, la fiamma che nel logo dell’Msi nasceva dalla bara del Duce. Una fiamma che la galassia della destra identitaria vuole fare in modo che non venga mai spenta, passando la fiaccola che era il simbolo del Fronte della Gioventù alle nuove generazioni.
Fratelli d’Italia e la selezione della classe dirigente
Il successo elettorale di Fratelli d’Italia e della leadership di Giorgia Meloni ha poco o nulla a che fare con l’identità politica postfascista. L’elettorato del centrodestra è un elettorato estremamente mobile, pronto a premiare e a dirottare il proprio consenso sul leader che meglio sa interpretare la fase politica. Il tramonto di Silvio Berlusconi e la lunga stagione dei governi tecnici e di unità nazionale hanno portato all’ascesa della Lega nazionale di Matteo Salvini. Lo stesso elettorato che ha punito l’esperienza di governo del Capitano, premiando alla tornata elettorale successiva Fratelli d’Italia e la sua leader.
Alle elezioni del 2013, le prime a cui il partito fondato da Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto, si presenta con il suo simbolo dopo aver abbandonato il Popolo delle Libertà, raccoglie l’1,92% dei consensi al Senato, non elegge nessun senatore (il gruppo nascerà solo successivamente). Alla Camera raccoglie l’1,96% dei voti eleggendo 9 deputati. Alle elezioni del 2022 raccoglierà il 25,98% al Senato e il 26% alla Camera eleggendo 65 senatori e 119 deputati.
La tabella sopra, con riferimento ai risultati alla Camera, mostra la mobilità del voto di centrodestra. Evidentemente la fiamma nel simbolo vale poco meno del 2% e il voto a Fratelli d’Italia non è un voto ideologico identitario con riferimento alla storia del Movimento Sociale Italiano, ma è il successo di una leadership premiata per essere stata all’opposizione del governo giallo-verde e del governo di Mario Draghi, sapendo interpretare al meglio i bisogni di un elettorato e di una società che si è spostata a destra (non solo Italia ma a livello globale, possiamo dire).
La cosa interessante è che gli eletti del 2022 nel 2012 erano già quasi tutti dentro Fratelli d’Italia. Si tratta dunque, questa sì, di una classe dirigente piuttosto omogenea, che viene dallo stesso sostrato ideologico e culturale, che ha in comune una storia comune di militanza che viene da lontano. La selezione della classe dirigente nel partito di maggioranza relativa non avviene dunque per cooptazione o imbarcando possibili portatori di voti da altri partiti, ma per adesione a un progetto politico e con un cursus honurum che passa quasi sempre per la militanza già negli anni della scuola e dell’università, per passare poi per municipi e comuni e salire successivamente.
Per questo sapere, capire, interpretare cosa si muove in basso nel partito che oggi detiene il potere in Italia è così importante.
(da Fanpage)
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Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
IL PD ATTACCA: “CI DEVONO SPIEGARE PERCHE’ SI PERMETTE CHE ATTINGANO IMPROPRIAMENTE A FONDI DELLO STATO DESTINATI AL SERVIZIO CIVILE”…. “PIANTEDOSI TI SEI ACCORTO CHE C’E’ APOLOGIA DI FASCISMO?”
L’inchiesta di Fanpage.it Gioventù Meloniana, che tramite una giornalista infiltrata per mesi ha rivelato le dinamiche interne a Gioventù nazionale (che forma la futura classe dirigente di FdI), “alza il velo sull’inquietante realtà che gravita attorno al movimento giovanile di Fratelli d’Italia che, da quanto riportato nell’inchiesta giornalistica, sembrerebbe inneggiare e promuovere il fascismo anche attingendo impropriamente fondi dalle casse dello Stato”. Lo ha dichiarato Matteo Mauri, responsabile Sicurezza del Pd ed ex viceministro degli Interni.
Nell’inchiesta ci sono diversi aspetti che, “se confermati, dovranno essere chiariti dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni”, ha detto Mauri. “A partire dalle dichiarazioni di alcuni esponenti dell’organizzazione giovanile che parlano di un escamotage per utilizzare dei fondi del servizio civile per finanziare attività politiche e campagne di propaganda e apologia del fascismo”.
Sul tema, Mauri ha annunciato che il Partito democratico presenterà un’interrogazione parlamentare. Anche la senatrice Quartapelle ha contestato: “È vero che le associazioni giovanili di Fdi impiegano per la propria attività operatori volontari del servizio civile nazionale?”
Il servizio civile è “sotto diretta responsabilità della presidente Meloni”, e “non è prevista la possibilità di operare all’interno di partiti politici”, tanto più se per “attività che appaiono a tutti gli effetti finalizzate all’apologia del fascismo”.
Il deputato dem Matteo Orfini, sui social, ha commentato: “Ovviamente appena terminato il G7 Giorgia Meloni commissarierà l’organizzazione giovanile del suo partito ed espellerà quei parlamentari che hanno consentito quanto emerso nell’inchiesta di Fanpage, ovvero una continua e organizzata apologia del fascismo. Vero Giorgia?”.
Marco Furfaro, deputato del Pd, ha definito l’inchiesta “inquietante. Inni al Duce, a Hitler, ai Nar. C’è tutto il peggio della nostra storia”. Furfaro ha lamentato: “Da Giorgia Meloni e dagli esponenti del suo partito solo silenzi incomprensibili. Perché non riescono a dire che quella roba è vergognosa e verrà punita ed espulsa dal partito?”
La risposta è che “quei giovani sono indottrinati, portati da adulti sulla strada dell’ideologia fascista. Con la solita codardia, tipica: gli viene detto di non parlarne con i giornalisti, di non fare foto e video mentre si inneggia al fascismo. Il silenzio di Giorgia Meloni allora diventa chiaro, lampante, illuminante”.
Il senatore dem Francesco Verducci ha chiamato in causa il ministro Piantedosi: “Riferisca nelle aule parlamentari su quali misure intenda adottare al fine di fare piena chiarezza sui fatti riportati e per impedire rigurgiti e ricostruzione di organizzazioni di chiara marca neofascista. Stiamo presentando una interrogazione urgente al ministro”.
La senatrice Simona Malpezzi ha chiesto che Meloni faccia “chiarezza su gesti, parole, canti che, da quanto appare nel servizio, sembrano condurre all’apologia di fascismo sotto lo sguardo compiacente di parlamentari di FdI”.
Anche la deputata Michela Di Biase ha detto che “le accuse che emergono dall’inchiesta richiedono risposte in primis dalla presidente Meloni, tanto sull’aspetto politico della vicenda che su eventuali implicazioni legate al finanziamento dell’organizzazione giovanile”. Walter Verini, senatore Pd, ha commentato dicendo che “la destra sporca l’immagine dell’Italia”.
(da Fanpage)
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Giugno 14th, 2024 Riccardo Fucile
I PAESI PIÙ RICCHI OSPITANO “SOLO” IL 21% DI CHI FUGGE DALLA PROPRIA NAZIONE. IN ITALIA CI SONO 138 MILA RIFUGIATI A CUI SI AGGIUNGONO I 147 MILA RICHIEDENTI ASILO E 161.000 UCRAINI CON PROTEZIONE TEMPORANEA… SECONDO L’ONU LE PERSONE IN FUGA NEL MONDO SONO ARRIVATE A 120 MILIONI
Scappano da guerre ed emergenze climatiche, sempre di più, 10 milioni solo nell’ultimo anno. E continueranno a farlo. Le persone in fuga nel mondo sono ormai arrivate a 120 milioni, certifica il nuovo rapporto Global trends di Unhcr, una popolazione quasi pari a quella dell’intero Giappone. Solo nei primi mesi del 2024, con il prevedibile acceleratore dei tanti conflitti in corso, dall’Ucraina ad Israele ma soprattutto al Sudan, sei milioni di persone sono state costretta a lasciare le loro case.
E tre su quattro provengono da Paesi dove l’emergenza climatica è ormai il quotidiano. «È giunto il momento che le parti in conflitto rispettino il diritto bellico e il diritto internazionale. Senza sforzi concertati per affrontare conflitti, violazioni dei diritti umani e crisi climatica, il numero di persone costrette alla fuga continuerà a crescere, portando nuova miseria e costose risposte umanitarie», il monito dell’alto commissario per i rifugiati Filippo Grandi, che chiede nuovi percorsi di inclusione.
Soprattutto ai Paesi ricchi che ospitano appena il 21% di chi fugge. Tutti gli altri si fermano nei Paesi più vicini a casa e così, in cima alla classifica di chi ospita di più, troviamo Iran, Turchia, Colombia, Pakistan e solo dopo la Germania, il Paese che più di tutti in Europa apre le porte ai rifugiati.
L’Italia — i dati lo certificano — non è certo tra gli Stati che accolgono più rifugiati: appena 138.000, alla fine del 2023, i titolari di un permesso di protezione internazionale a cui si aggiungono 147.000 richiedenti asilo, circa 3.000 apolidi e 161.000 ucraini con protezione temporanea.
«Dietro a questi numeri, in netto aumento, si nascondono innumerevoli tragedie umane. Questa sofferenza deve spingere la comunità internazionale ad agire con urgenza per affrontare le cause profonde degli sfollamenti forzati», l’appello di Filippo Grandi.
Il Sudan è una delle aree che più preoccupano, sia per la sorte della popolazione che per le conseguenze che un esodo così massiccio, 10 milioni di persone, potrebbe avere sui flussi migratori versi i Paesi vicini o nell’alimentare il traffico di uomini.
In Congo e in Myanmar, milioni di persone sono state costrette alla fuga l’anno scorso a causa di feroci combattimenti e l’Unrwa stima che nella Striscia di Gaza 1,7 milioni di persone (il 75% della popolazione) siano sfollate. La Siria rimane l’area di crisi più grande, con 13,8 milioni di persone costrette alla fuga. [
(da La Repubblica)
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