Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
37 ANNI, SENZA TESSERE DI PARTITO, PSICOLOGA CLINICA E CAVALIERE DELL’ORDINE DELLA REPUBBLICA PER AVER TRASFORMATO UN RISTORANTE IN UN LUOGO DI CURA PER PERSONE CON PROBLEMI PSICHICI
Vittoria Ferdinandi, 37 anni, psicologa clinica, cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica per avere trasformato un ristorante in un luogo di cura è la nuova sindaca di Perugia.
Sostenuta dall’Alleanza per la Vittoria, la scelta su di lei è caduta nell’intenzione di allargare il campo del centro sinistra. E la vittoria, di fatto, non è altro che una conferma.
«Prima di questo – racconta Ferdinandi nella sua biografia – sono una cittadina innamorata di Perugia, della nostra comunità. Qui sono cresciuta, mi sono formata come psicologa clinica e ho deciso di rimanere. Mi sono occupata di “cura” e negli ultimi anni di cura dei più fragili, con un progetto di inclusione che restituisce il diritto al lavoro a persone che soffrono di disturbi mentali e che mi ha portato nel 2021 a essere nominata Cavaliere al merito della Repubblica. Ho scelto di candidarmi a Sindaca perché questo è il tempo del coraggio, il tempo in cui riaccendere il desiderio di partecipazione e il senso di appartenenza alla nostra meravigliosa città. Mi piace immaginare il futuro di Perugia e mi piace immaginare di costruirlo insieme a voi. Perugia è una città straordinaria e vorrei che tornasse al centro delle grandi storie di innovazione: la Perugia delle scale mobili, di Umbria Jazz, della Città della Domenica , della sanità pubblica d’eccellenza, la Perugia che per prima in Italia chiuse i manicomi».
Un coraggio «di guardare lontano che era proprio della politica, da tempo è venuto meno e vorremmo ritrovarlo. Mi sono candidata per ridare la sua anima a Perugia, un’anima “ingrifata” e fiera che deve tornare a guidare la nostra regione. Io non credo nei percorsi individuali, il nostro è un unico grande destino comune. Insieme siamo chiamati a decidere come comunità. C’è una sola strada di fronte a noi ed è il bene di Perugia e della sua gente. Insieme Vince Perugia».
Nel 2021 è stata insignita a Cavaliere al merito da Sergio Mattarella perché poco prima del Covid aveva aperto nel centro storico un ristorante di successo dove lavorano persone con problemi psichici. Laureata in Filosofia e Scienze Tecniche e Psicologiche, era partita con un forte svantaggio nei primissimi sondaggi per il centrosinistra. Ma una campagna elettorale quartiere per quartiere, frazione per frazione, ha cambiato il corso delle elezioni. E nel comitato elettorale della candidata sindaca di Perugia del centrosinistra e civici attorno alla neo sindaca sono già baci e abbracci.
(da La Stampa)
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Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
48 ANNI, PSICOLOGA, E’ ENTRATA IN POLITICA SEGUENDO LE TRACCE DEL NONNO, SINDACO DI FIRENZE AI TEMPI DELL’ALLUVIONE DEL 1966
Sara Funaro, 48 anni, è la nuova sindaca di Firenze. «Stasera alle 20 vorrei ritrovarmi con tutti per un abbraccio collettivo in piazza della Signoria con tutta la nostra meravigliosa comunità e poi da domani partire a costruire una Firenze sempre più bella».
Così la neosindaca di Firenze, Sara Funaro, durante il discorso post vittoria nel comitato elettorale Pd in città. «Il centrosinistra e il Pd – sottolinea Funaro – hanno dato una prova straordinaria già alle europee, risultato molto importante, sicuramente la partita di Firenze era estremamente importante, Firenze ha un’anima e una storia. Grazie a tutti quelli che si sono espressi al ballottaggio per sostenermi».
La neo sindaca ha ricevuto la telefonata della segretaria del Pd Elly Schlein: «La ringrazio per le congratulazioni ma soprattutto per il sostegno nei miei confronti sempre costante durante la campagna elettorale» ha sottolineato la Funaro nella sede de suo comitato elettorale parlando con i giornalisti quando i risultati dello scrutinio del ballottaggio la davano ormai vincitrice del confronto contro il candidato di centrosinistra Eike Schmidt.
Chi è
Nipote del sindaco dell’alluvione del 1966 Piero Bargellini, Sara Funaro ha vinto al secondo turno delle elezioni comunali 2024 contro lo sfidante di centrodestra Eike Schmidt. Fiorentina di nascita, nata da madre cattolica, la Funaro ha abbracciato la religione ebraica del padre Renzo Funaro, già presidente dell’associazione Opera del Tempio Ebraico. La neo sindaca è psicologa e psicoterapeuta. Dopo le scuole superiori si è laureata in Psicologia a Firenze e specializzata in Psicoterapia fenomenologica all’Università di Urbino. Ha frequentato un master di Etnopsichiatri al Centre Devereux di Parigi.
Dopo le scuole superiori si è laureata in Psicologia a Firenze e specializzata in Psicoterapia con un corso quadriennale in Psicologia clinica. Ha svolto – come scrive la stessa neo sindaca nella sua biografia – un corso di perfezionamento in Psicoterapia fenomenologica all’Università di Urbino e ho frequentato un master di Etnopsichiatria con docenti del Centre Devereux di Parigi.
Negli anni ha lavorato come psicoterapeuta clinica, come formatrice del personale e come supervisore di realtà che lavoravano con persone provenienti da situazioni traumatiche, in particolar modo situazioni migratorie. È cofondatrice della scuola di Psicoterapia fenomenologico dinamica.
La carriera politica
Ispirata dall’esempio del nonno Bargellini, nel 2014 ha iniziato la sua avventura politica amministrativa al fianco di Dario Nardella come assessora a Welfare e Sanità, Casa, Pari Opportunità, Accoglienza e Integrazione. Nel 2019 è stata eletta nel consiglio comunale e riconfermata nuovamente in giunta con deleghe a Welfare e Sanità, Immigrazione e Istruzione.
(da La Stampa)
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Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
61 ANNI, DA SEMPRE ATTIVO NEI MOVIMENTI AMBIENTALISTI
Una folla di sostenitori e di giornalisti, oltre ai membri dello staff, attendono assiepati dinanzi al comitato elettorale l’arrivo di Vito Leccese che, a scrutinio non ancora ultimato, è già dato per vincitore al ballottaggio per l’elezione del sindaco di Bari, tanto che il suo avversario, Fabio Romito, gli ha già fatto gli auguri.
Sessantunenne barese, da sempre attivo nei movimenti ambientalisti e vicino al mondo dei Verdi, Leccese è stato due volte deputato con il centrosinistra, tra il 1992 e il 2001. La sua carriera politica era iniziata proprio a Bari, città nella quale fu prima eletto consigliere comunale nel 1985 e poi nominato assessore nella giunta progressista guidata da Enrico Dalfino all’inizio degli anni Novanta, sempre come esponente dei Verdi. E sempre a Bari ha avuto importanti incarichi amministrativi in tempi più recenti, essendo stato capo di gabinetto dei due sindaci Michele Emiliano e Antonio Decaro.
Ora tocca a lui indossare la fascia tricolore, dopo la vittoria contro il candidato di centrodestra Fabio Romito. Sostenuto da Pd, Liste civiche, Europa Verde e Noi Popolari, è considerata la naturale prosecuzione del progetto del centrosinistra per Bari iniziato proprio con Emiliano e continuato poi con Decaro.
Laureato in Scienze politiche, ha mosso i primi passi in politica nel 1985. Ha due figli di 23 e 28 anni.
(da La Stampa)
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Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
UNA SPARATA CHE RISCHIA DI FAR PERDERE I VOTI DEI TANTI BI-NAZIONALI CHE HANNO PASSAPORTO FRANCESE E DI UN ALTRO PAESE.. MARINE LE PEN È COSTRETTA A SMENTIRE IL SUO DELFINO: “SOLO UN LAPSUS”
Nel cammino finora spedito verso la normalizzazione e l’accettazione sociale, il Rassemblement national conosce in queste ore qualche difficoltà. Nonostante la cordialità di Marine Le Pen e le esibite origini piemontesi di Jordan Bardella, perfette per farne un modello di integrazione riuscita, una frase di qualche giorno fa riapre un tema centrale
Ma chi è francese? Chi può definirsi tale senza avere nulla da temere? Se, grazie alla retorica anti-stranieri, il Rassemblement national conquistasse la maggioranza assoluta e Bardella la poltrona di primo ministro, chi avrebbe motivo di preoccuparsi?
Solo i migranti e i clandestini, specie quelli che commettono reati, oppure anche gli stranieri che vivono e lavorano in Francia da decenni? E i tanti bi-nazionali che hanno passaporto francese e di un altro Paese, fino magari ai milioni di francesi di origine straniera che il 30 giugno e 7 luglio andranno alle urne come gli altri?
«I francesi di origine straniera o di nazionalità straniera che lavorano, pagano le tasse, rispettano la legge e amano il nostro Paese non hanno niente da temere», ha detto Jordan Bardella venerdì 14 giugno durante un intervento televisivo.
Come se esistessero francesi di serie A e di serie B: i primi, i Jacques Dupont, che non devono dimostrare nulla e possono stare comunque tranquilli; i secondi, per esempio i Jordan Bardella o meglio ancora i Mohamed El Maghribi, che potranno restare in Francia, ma a condizione di fare i bravi.
Marine Le Pen si è incaricata di smontare il caso attribuendo la frase di Bardella alla stanchezza, ma il lapsus, se di questo si è trattato, riporta in primo piano una questione che attraversa l’estrema destra da sempre, ovvero la distinzione risalente al primo dopoguerra tra français de souche e français de papier, tra veri francesi sin dalle origini e gli altri, sospettati di essere tali solo nei documenti ma non nel cuore e nell’anima.
Il deputato Sébastien Chenu, che potrebbe ambire a un posto da ministro in caso di vittoria RN, annuncia in tv che non si potrà più avere la doppia nazionalità, tranne forse per i cittadini europei, perché «non puoi essere francese per certe cose e uruguaiano per altre». Chenu fa l’esempio di un franco-uruguaiano per evitare quello, l’unico che conta, dei franco-algerini e franco-marocchini, che dopo le vittorie dell’Algeria o del Marocco scendono in strada a festeggiare occupando gli Champs Elysées con immensa irritazione del RN e dei suoi elettori. Anche qui, dopo qualche ora il deputato Chenu precisa e dice che «Marine Le Pen ha rinunciato a questa misura».
Ma resta un fatto: nella proposta di revisione costituzionale da sottoporre a referendum, che è tuttora al centro del programma del Rassemblement national, è prevista di nuovo una distinzione tra francesi: a quelli bi-nazionali verrebbe vietato l’accesso agli impieghi «nell’amministrazione, nelle imprese e nei servizi pubblici», come nella Francia collaborazionista di Vichy (1940-1944), quando la funzione pubblica era riservata ai francesi di padre francese.
(da Il Corriere della Sera)
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Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA VUOLE SUBITO LA RIFORMA DELL’AZIONE PENALE: I PM DOVRANNO DARE LA PRECEDENZA A UNA SERIE DI REATI NELLA CONDUZIONE DELLE INDAGINI: PRIMA FURTI, STUPRI, RAPINE. SOLO DOPO GLI ILLECITI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE… UN TEMA ESPLOSIVO, PERCHÉ RIDUCE LA DISCREZIONALITÀ DELLE PROCURE, IL CSM SI È GIÀ ESPRESSO CONTRO
Prima furti, stupri, rapine. Poi, solo poi, i reati contro la Pubblica amministrazione. Corruzione, concussione, turbative d’asta. Cresce il pressing di Forza Italia per una riforma della giustizia delicatissima sul piano politico. Indicare ai pubblici ministeri una lista di “criteri prioritari” da seguire nella conduzione delle indagini. Ridurre la discrezionalità delle procure sui casi da affrontare. Dando la precedenza ai reati di “allarme sociale” e di violenza contro la comunità, rispetto ai cosiddetti reati dei “colletti bianchi”.
È un nodo intricatissimo, la legge sulla priorità dell’azione penale. Ma non si può rimandare all’infinito e per questo, su input del Parlamento, a via Arenula si inizia a mettere testa a una bozza. Del resto, il refrain della compagine forzista che su questo provvedimento ha tutta l’intenzione di mettere la firma, la riforma è esplicitamente richiesta per attuare la legge Cartabia,
La materia, politicamente parlando, è nitroglicerina pura. Perché senza i dovuti accorgimenti rischia di risultare in un’invasione di campo delle competenze dei giudici. Il Csm si è già espresso contro in passato e l’azione penale è un terreno scivolosissimo presidiato da vicino dal Quirinale, che ha chiesto e ottenuto dal governo Meloni di non toccare l’obbligatorietà dell’azione penale in Costituzione.
Fatto sta che la riforma si farà. Lo ha confermato lo stesso Nordio nell’intervista rilasciata al Messaggero questa domenica: l’azione penale «resterà obbligatoria, con criteri di priorità che sono stati in parte già definiti dalla Cartabia», ha spiegato il Guardasigilli, «è bene che siano omogenei, per evitare una confusione nei vari indirizzi investigativi delle singole procure».
Ma cosa dice la legge Cartabia sul punto? «Gli uffici del pm, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento per legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati da indicare nei progetti organizzativi delle Procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre».
Ricapitolando, i passaggi chiave sono due: i criteri devono essere “trasparenti” e a indicarli dovrà essere il Parlamento con una legge. Ebbene, qualcosa si è mosso in questa legislatura, nel centrodestra. Al Senato in Commissione Giustizia è depositata da mesi una proposta di legge a prima firma del forzista Pierantonio Zanettin e co-firmata dalla leghista Erika Stefani.
La legge propone di inserire nel Codice di procedura penale un nuovo articolo, il 3-ter, per indicare tre criteri di priorità che i Pm dovranno seguire «nella trattazione delle notizie di reato». Quali? Il primo: «la gravità dei fatti, anche in relazione alla specifica realtà criminale del territorio e alle esigenze di protezione della popolazione». L’invito è dunque a dare precedenza a reati della criminalità organizzata così come alla criminalità comune: furti, rapine, stupri.
Il secondo criterio: concentrarsi sulle indagini a «tutela della persona offesa in situazioni di violenza domestica o di genere e di minorata difesa». Dunque il terzo: «L’offensività in concreto del reato, da valutare anche in relazione alla condotta della persona offesa e al danno patrimoniale e/o non patrimoniale ad essa arrecato».
L’impressione, accusano le opposizioni, è che la proposta del partito berlusconiano istituisca uno “scudo” penale per i reati dei colletti bianchi.
(da Il Messaggero)
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Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
MA COME MAI NESSUNO CONTROLLA? C’ENTRANO ANCHE LE RIFORME: CON IL GOVERNO RENZI GLI ISPETTORI DELL’INPS SONO STATI ACCORPATI A QUELLI DELL’ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO, E IL LORO NUMERO È SCESO
Ma come è possibile che non ci sia in Italia la possibilità di smascherare in automatico chi dichiara di coltivare ettari di terreno senza manodopera?
Il direttore dell’Agea Fabio Vitale, già capo della Vigilanza dell’Inps, e attuale consigliere di amministrazione dell’istituto previdenziale, sul punto ha le idee chiare:
«Quello che è accaduto a Latina è uno scempio, una vergogna e il nostro impegno sarà costante per evitare che le organizzazioni criminali utilizzino soldi che devono andare agli agricoltori o che gli imprenditori disonesti sfruttino e addirittura uccidano povera gente che disperatamente cerca di sopravvivere».
Vitale spiega quali saranno i prossimi passi per evitare che si verifichino altri casi come quello di Latina: «Posso anticipare che inizieremo un’attività serrata di controllo sulle aziende che hanno dichiarato pochi o nessun lavoratore rispetto alla consistenza dei terreni e delle colture.
Recentemente abbiamo anche firmato un protocollo con l’Inps per incrociare i dati su terreni e lavoratori e capire chi stia sfruttando illegalmente la manodopera». Anche perché con il governo Renzi gli ispettori dell’Inps sono stati accorpati a quelli dell’Ispettorato nazionale del lavoro e per questo il loro numero è sceso, essendo il loro ruolo a esaurimento (non vengono rimpiazzati), da 1.600 a meno di 750.
«Con il numero attuale di ispettori Inail, Inl e Inps si può controllare al massimo il 5 per cento dell’aziende italiane, neanche lo 0,5 per cento di quelle agricole che sono 1,2 milioni» prosegue Vitale, che punta a a controlli basati su un’attività di intelligence collegata allo scambio di informazioni e all’incrocio dei dati.
(da La Verità)
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Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
“MIO PADRE HA CHIESTO DI CHIAMARE UN’AMBULANZA, MA IL TITOLARE HA DETTO DI NO”
L’incidente risale al 7 settembre 2023. Parambir Singh, 33 anni, laureato in Medicina, moglie e due figli nel Punjab, stava lavorando nelle campagne di Latina con il padrone Maurizio Di Pinto.
Un fermo tenda gli entra nell’occhio. «Stavamo cambiando la plastica della serra. Lui diceva di fare veloce, più veloce. Una bestemmia e un urlo, una bestemmia e un ordine. Lui dice che non crede in Dio, che si è fatto tutto da solo, senza aiuto di nessuno», racconta a Repubblica. Oggi porta una lente dell’occhiale appannata: «Gli occhiali me li hanno regalati al reparto oculistica dell’ospedale di Terracina». Il fermo tenda «ha perforato la cornea e ora vedo doppio. Lei, per me, sono due persone». La cartella clinica conferma: “Diplopia crociata costante”.
Diplopia crociata costante
Non appena la plique è entrata nell’occhio destro ha sentito «hn dolore atroce. Mio padre era vicino a me, ha capito subito la gravità. Ha chiesto di chiamare l’ambulanza». Ma il signor Di Pinto «ha detto di no, che bastava andare in casa a medicarsi. L’abbiamo fatto, ma si capiva che la ferita era grave. Abbiamo chiesto se ci accompagnava in auto all’ospedale di Fondi, pochi chilometri». E lui «alla dodicesima telefonata ha risposto e ha detto che non poteva, stava pranzando». A quel punto lui e suo padre sono andati a piedi alla fermata del pullman. «Il mio occhio aveva smesso di sanguinare. Abbiamo impiegato due ore ad arrivare al pronto soccorso, ma a Fondi mi hanno detto che non potevano operarmi, serviva un ospedale più attrezzato. Siamo usciti e di nuovo in pullman, verso Terracina. Abbiamo perso sette ore, avremmo potuto salvare l’occhio. All’ospedale di Terracina mi hanno dato sette punti interni».
La denuncia
Ora, spiega, ha perso la vista dall’occhio destro e anche il sinistro sta peggiorando. «In dieci mesi sono stato venti volte in ambulatorio, ma le possibilità di recuperare sono minime. A giorni farò un nuovo intervento», dice. Ha presentato denuncia «ai carabinieri di Fondi, ho faticato a farla accettare. Lesioni colpose, la procura ha aperto il fascicolo solo un mese fa». Come testimoni ha portato «mio padre e un bracciante irregolare. Il padrone l’ha appena assunto, non so se testimonierà più per me». Pinto non è mai andato a trovarlo: «Per lui non siamo umani, solo animali. Era così anche sul lavoro: bestemmie e ordini, “alzatevi”. Qui si inizia alle tre di mattina e si lavora fino a mezzogiorno. Dopo l’incidente ci ha minacciato: “Se andate dai carabinieri vi faccio cacciare dall’Italia”. No, io non sono un animale».
(da repubblica.it)
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Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
DA UN LATO IN STUDIO POLEMIZZA CON GLI OSPITI DELLE OPPOSIZIONI, DALL’ALTRO FA CRESCERE LE SUA ATTIVITA’ PARALLELE
Chissà se Max Steiner, quando ha composto il tema di Via col vento, avrebbe maipensato che i telespettatori italiani avrebbero finito per associare quella melodia alle interviste politiche.
Secondo la vulgata l’intuizione di utilizzarlo come sigla di Porta a porta, il più longevo programma di approfondimento politico del servizio pubblico, è stata dell’autrice Antonella Martinelli. Ci sarebbe stato scetticismo, nel 1996, ma la scelta ricalcava l’idea iniziale del programma, quella di mescolare politica e spettacolo.
Prima puntata: Romano Prodi e Milly Carlucci, un bingo inaspettato. Oggi, 28 anni dopo, il programma è ormai più che adulto e le sue tre seconde serate girano intorno al conduttore e alle sue idee: gli ospiti sono solo sparring partner a cui decidere di volta in volta se alzare la palla oppure schiacciarla in faccia.
Bruno Vespa, ottant’anni appena compiuti, in una recente intervista al Corriere della Sera ha detto che se fosse stato di sinistra la sua carriera sarebbe stata più semplice. Un’affermazione forte, per chi è in onda dal 1962, ha ricoperto all’incirca qualunque direzione di peso nel servizio pubblico tra cui quella del Tg1, e arriva a indicare come suo editore di riferimento nientemeno che «il Padreterno».
Con gli anni è diventato signore dell’approfondimento politico in Rai. Ma nel suo stile, quello per cui a chi è al potere – editore della Rai forse più del Signore – non si fa mai troppo male. Una condizione che gli ha permesso di organizzare un mondo di rapporti di potere che ormai vanno ben oltre le serate tra le poltroncine bianche degli studi di via Teulada.
VISIBILITÀ E ACCOGLIENZA
La contropartita che Vespa può offrire è sempre visibilità e accoglienza nel suo salotto. Che comunque è uno status symbol per chiunque, anche per chi non vorrebbe prestarsi ai riti rodati del sistema di potere politico-televisivo italiano. Certo, c’è chi ha approfittato della sua ospitalità più di altri, ma alla fine tutti si sono piegati.
Una certa resistenza l’avevano fatta i Cinque stelle, salvo poi cedere e adeguarsi, autorizzati dal grande ritorno in Rai di Beppe Grillo, che si era presentato con sottobraccio un plastico che raffigurava una “prigione” in cui erano rinchiusi politici e volti del sistema, incluso lo stesso Vespa. Ma per avere in studio il comico fondatore il giornalista sarebbe stato disposto a tutto: solo un intervento del centrosinistra di allora aveva evitato che Grillo portasse la sceneggiata in studio.
Ma offrire le condizioni migliori al potere per ospitarlo fa parte del ricettario di Vespa da sempre: indimenticato è anche il riferimento sulla puntata «cucita addosso» al leader di An Gianfranco Fini, come l’ex direttore aveva assicurato al suo portavoce prima della serata.
«Tutto stile personale» rispondono dall’azienda. In Rai ormai durano da più tempo di lui soltanto gli studi dai quali trasmette (perfino il Cavallo morente di viale Mazzini è arrivato quattro anni dopo la sua assunzione, nel 1966). Impossibile da mettere in discussione, impossibile negargli un desiderio.
Suo figlio Federico ha lavorato in azienda da esterno con contratti sia a Isoradio sia a Radio 2. La sua storica inviata Vittoriana Abate, sposata con il deputato leghista Simone Billi, è appena sbarcata ad Agorà estate. Stile Rai 3 poco, cronaca à la modellino della viletta di Cogne tanta. Ma dal servizio pubblico «nessuna perplessità» anche sulle ultime prese di posizione del conduttore che si definisce «moderato» ma registra videoeditoriali nella sede Rai con sovrimpresso il logo di FdI.
TOCCO BRUNO
È di pochi giorni fa l’ultimo exploit, andato in scena con ospiti Marco Furfaro (Pd) e il neo eurodeputato leghista Roberto Vannacci. Dopo l’ennesima tirata del generale sulla gloria della X Mas, il deputato dem aveva provato a replicare polemizzando sul fatto che non fosse accettabile ascoltare «nel servizio pubblico un parlamentare europeo che dice che la Decima ha avuto una stagione gloriosa».
Apriti cielo. «Non le consento di dire che sul servizio pubblico non si possa ospitare un parlamentare europeo che ha preso 500mila preferenze» ha tuonato Vespa, che ha continuato spiegando che la Decima ha avuto «due momenti».
Un episodio simile, pochi giorni prima, con Elly Schlein. Di fronte alla segretaria che prometteva battaglia contro i pro-vita che si accingono a entrare nei consultori grazie a uno degli ultimi provvedimenti del governo, Vespa la correggeva. «Sono lì per impedire alle donne un accesso a un’interruzione di gravidanza sicura». «Non per non farle abortire». «Per fare pressione, dottore, per noi è lo stesso» «Per informare, mettiamola così». Conversazione chiusa, per Vespa: saluta Schlein, che sorride in camera con la stessa serenità di Mike Tyson.
Per non parlare dell’ormai leggendaria serata in cui si discuteva di aborto con sette ospiti maschi e della pezza peggiore del buco per giustificare gli inviti: le donne contattate «non hanno dato disponibilità». Momenti di cui il servizio pubblico dell’èra Meloni, già sotto osservazione per una lunga serie di altri motivi, non avrebbe granché bisogno.
Peraltro, con le serate speciali che totalizzano ascolti che fanno dubitare di quanto sia davvero necessario l’esoso ingaggio del giornalista-artista, categorizzazione con cui Vespa da anni giustifica il fatto di essere oltre il tetto dei 240mila euro annui.
Flop pesante, per esempio, l’ultima serata post elettorale: il 10 giugno Vespa commentava i risultati delle europee con un’ampia platea di ospiti, incluso il direttore dell’Approfondimento Rai Paolo Corsini. Risultato: un misero 5,87 per cento, con Rai 1 battuta sia da Rete 4 sia da La7.
Anche se la vera trovata della Rai targata Meloni sta proprio nell’ennesima riproposizione di Vespa, stavolta nell’access time: il suo Cinque minuti, incastonato tra Tg 1 e Affari tuoi, anticipa l’ospite della seconda serata o, in alternativa, offre una piattaforma solida per trasmettere anche ai telespettatori che in seconda serata saranno altrove, i punti chiave dell’agenda meloniana. Tipo quando è partito da Chico Forti in carcere a Verona per raccontare il glorioso ritorno in Italia di un condannato per omicidio. Riportato in patria nientemeno che da Giorgia Meloni.
TUTTO IL RESTO
Vista l’ultima serata elettorale, però, meno male che il core business del giornalista si muove anche su altre strade. Una su tutte, la masseria Li Reni, tenuta di proprietà dove il Forum in masseria negli ultimi anni ha ospitato talmente tanti membri del governo da rivaleggiare con una riunione del Consiglio dei ministri.
Tanti di loro che poi sono ospiti nel programma, ma questo è un dettaglio. Per il mese prossimo sono già in agenda Matteo Renzi, Vittorio Sgarbi e il generale Vannacci: i bene informati giurano che i piatti forti devono ancora arrivare.
Nell’edizione invernale di febbraio, alle terme di Saturnia c’erano otto ministri: Anna Maria Bernini, Marina Elvira Calderone, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Francesco Lollobrigida, Gilberto Pichetto Fratin, Gennaro Sangiuliano, Daniela Santanchè, Adolfo Urso.
C’è poco da stupirsi se appena qualche chilometro più in là, a Borgo Egnazia, la settimana scorsa ai capi di governo e di stato ospiti per il G7 veniva servito il suo vino (ma solo quando a offrire era palazzo Chigi, mentre il Quirinale ci ha tenuto a puntare su altre etichette).
Per assaggiarlo però basta prendere un Frecciarossa, dove pure c’è possibilità di gustare il suo primitivo “Il Bruno” in carrozza-bar. Così come non stupisce che alle presentazioni dei suoi libri ci siano sempre ospiti blasonati, oppure che ci sia sempre qualcuno che veda in lui il miglior moderatore possibile per un convegno di settore, dal Vinitaly alla candidatura dell’Aquila a capitale della cultura, passando per appuntamenti gestiti da ministeri di ogni tipo. Sempre gli stessi volti al tavolo, che sia il programma in seconda serata, una presentazione, una cena o un convegno.
Tanto domani è un altro giorno, come diceva Rossella O’Hara, e con un po’ di fortuna è uno di quelli in cui va in onda Porta a porta.
(da editorialedomani.it)
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Giugno 24th, 2024 Riccardo Fucile
MANCANO TANTI DECRETI ATTUATIVI PER LA LEGGE SULLA PRODUZIONE ITALIANA
La capacità di resistenza al potere è inossidabile come il migliore acciaio. Ma per Adolfo Urso, con un cursus honorum che va da Gianfranco Fini a Giorgia Meloni, l’acciaio vero è la pena quotidiana fin dal giorno in cui è diventato ministro delle Imprese e del made in Italy. L’ex Ilva è del resto l’atavico problema di chiunque si occupi dello sviluppo economico. Urso sta cercando un passo in più, mettere mano nel suo complesso a un settore strategico, la siderurgia, che necessita di una riconversione green.
Ma i risultati stentano a vedersi a due anni dall’approdo a via Veneto, sede del Mimit. Il piano nazionale siderurgico era stato annunciato entro l’inizio di quest’anno dopo il tavolo a cui hanno partecipato imprese e parti sociali. I diretti interessati sono in attesa di novità. Rallentamenti che fotografano l’affanno a trovare una soluzione. E per uscire dalle secche mediatiche, Urso ha lanciato un’offensiva che va dal sottosuolo, con il decreto per l’estrazione delle materie prime, allo spazio, con l’apposito provvedimento sulla ricerca nel settore dell’aerospazio.
SENZA DECRETI
A riportare sulla terraferma il ministro, c’è il magro bilancio sulla legge per il Made in Italy, approvata a dicembre dello scorso anno per rimodellare il sistema produttivo italiano a immagine e somiglianza del sovranismo meloniano. Il pacchetto di norme è stato salutato con grande soddisfazione del ministro che gongolava, parlando di «provvedimento storico per la politica industriale». Dopo sei mesi, tuttavia, nessuno ha potuto valutare i reali effetti: la riforma esiste solo sulla carta.
Mancano 32 decreti attuativi sui 35 previsti. Così lo stock di risorse economiche – di oltre un miliardo di euro – giace nei cassetti del Mimit. La rivoluzione delle politiche industriali non si scorge nemmeno all’orizzonte, come testimonia lo stallo sul fondo per il Made in Italy, che prevede un plafond di 700 milioni di euro per il 2024 e di altri 300 milioni di euro per il 2025. La responsabilità, in questo caso, è condivisa con il ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti, chiamato ad apporre la firma decisiva per definire i criteri di accesso ai finanziamenti. Resta che il pilastro del provvedimento ancora manca.
Urso ha comunque lasciato a bagnomaria quasi tutti i testi, compresi quelli che fanno capo direttamente al suo dicastero. Sono infatti inutilizzati gli otto milioni di euro previsti per il «voucher innovazione», i 25 milioni di euro destinati alla filiera del legno 100 per cento italiano, i 20 milioni di euro spettanti al comparto fieristico e i 30 milioni di euro per la tecnologia del blockchain impiegata per favorire la tracciabilità. Con un paradosso aggiuntivo: in molti casi il Mimit aveva fissato a marzo o aprile la scadenza per emanare i provvedimenti attuativi.
I termini auto-indicati sono stati superati abbondantemente. Il Made in Italy può attendere addirittura per una delle bandiere della propaganda meloniana, i piatti tricolori. Sono bloccati i due milioni di euro messi per il «fondo per la promozione della cucina italiana all’estero» nel biennio 2024-2025. La strategia è in linea con quella del governo Meloni: puntare tutto sull’effetto annuncio mettendo i fiocchetti della propaganda intorno per abbellire i messaggi. Del resto era avvenuto pure con le misure anti-inflazione del carrello tricolore, il trimestre di prezzi bloccati da ottobre a dicembre, presentato con notevoli aspettative ma che si è perso nelle nebbie in pochi giorni. I prezzi hanno frenato la corsa, ma per altre dinamiche.
Il passato è ormai alle spalle, al Mimit si pensa al futuro affidato a figure chiave, come Mattia Losego, responsabile della struttura di crisi aziendali, convocato dal Veneto – regione di Urso – dove il dirigente aveva lo stesso incarico. Mentre l’uomo macchina è il capo della segreteria, Mario Melillo, ex dirigente Sace. Sul loro tavolo ci sono altri dossier da affrontare: prima della pausa estiva è atteso il disegno di legge sulla Concorrenza, uno degli obiettivi del Pnrr. Bisogna farlo per forza, benché a destra non si guardi con entusiasmo dell’apertura concorrenziale. Preferendo salvaguardare le rendite di posizioni. Basti pensare ai dossier su balneari e tassisti, che vedono Urso in secondo piano. Sono gli altri i ministri che hanno preso i dossier in mano.
Il prossimo ddl conterrà interventi light come la proroga dei dehors per i locali e ritocchi al mercato delle assicurazioni. Mentre la vera scalata cha attende il ministro è il riordino del settore carburanti. In Italia, osservano dagli uffici ministeriali, ci sono troppi distributori: occorre una razionalizzazione che non diventi una mattanza. Serve costruire una riconversione, che già fatto scattare sospetti tra gli operatori. Il timore è che a beneficiarne siano i player più forti.
CALMA E NERVOSISMO
La storia degli ultimi mesi racconta anche che Giorgia Meloni avesse manifestato perplessità sull’operato di Urso in conversazioni private, e non è un mistero che Raffaele Fitto non abbia condiviso alcune scelte di Urso. Con gli altri colleghi non si segnala un particolare feeling, ma «nemmeno una particolare ostilità» riferisce una fonte interna. Il carattere di Urso è quello di conservare comunque un buon vicinato. Così, al netto di alcune insoddisfazioni, la linea di palazzo Chigi è tracciata: proteggere pubblicamente i ministri, la presidente del Consiglio ha messo al bando la parola rimpasto.
Urso, da navigato politico sulla scena da decenni, non si è mai scomposto rispetto alla leader del Fratelli d’Italia. La risposta indiretta è arrivata comunque dalle europee con il risultato ottenuto nel Veneto, suo feudo politico. E questo significa che vuole avere voce in capitolo per le prossime regionali dove si intrecciano partite interne a FdI oltre al braccio di ferro con la Lega per il post-Zaia.
Da settimane, però, si percepisce un certo nervosismo di Urso, dall’approccio solitamente mite, che da mesi si dimostra infastidito dalle critiche a mezzo stampa. Agli atti ci sono delle precisazioni inviate ai giornali, compreso Domani, talvolta sollecitata dai legali e non dall’ufficio stampa, come da prassi. In altre occasioni si è passati alle querele a quotidiani non ostili al governo.
Il caso principale ha riguardato un cronista del Tempo. La decisione di adire le vie legali è «motivata dalla volontà di proteggere mia moglie e i suoi familiari» ha fatto sapere il ministro. Poi il salto di qualità con la querela al Foglio e al Riformista per alcuni articoli sul commissariamento dell’ex Ilva. Inizialmente sembrava che non avesse gradito il nomignolo di «Adolfo Urss», usato in alcuni articoli e affibbiatogli pure dal leader di Italia viva, Matteo Renzi, per criticare un presunto approccio statalista sulle politiche industriali. Il ministro ha smentito questa ricostruzione, dicendo che la querela ha altre motivazioni. Schermaglie che lasciano sul campo una riflessione: l’innalzamento della tensione con i media. A prescindere dalla linea editoriale.
SOLITA ILVA
E si torna comunque al punto di partenza, la pena quotidiana dell’acciaio dell’ex Ilva, attualmente in amministrazione straordinaria. Intanto è stata allargata la platea della cassa integrazione, un «sacrificio necessario per ripartire» secondo la narrazione di Urso. Le soluzioni sono di là a venire nel tempo. Si attende il prestito ponte di 320 milioni di euro per cui serve il pronunciamento dell’Unione europea per evitare che si configuri un aiuto di stato.
«Ci sono dei player internazionali interessati», è il mantra che rimbalza dal dicastero di via Veneto ed è stato ripetuto all’ultimo question time alla Camera. In quell’occasione Urso ha fornito un cronoprogramma della riaccensione degli altiforni dello stabilimento pugliese, a cominciare da questa estate. «Questa non è una conferma banale. La aspettavamo e, quindi. La monitoreremo», ha osservato il deputato del Pd, Luca Pastorino, che ha presentato una delle interrogazioni sul tema. Il punto è che, di promesse ne sono state fatte tante, si attendono passi concreti. «La messa a terra degli investimenti ancora non c’è stata», dice a Domani Loris Scarpa della Fiom-Cgil. Insomma, si attendono risposte. Al netto delle bandiere tricolori piazzate sull’etichetta mediatica del made in Italy.
(da editorialedomani.it)
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