Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
MA IL GOVERNO HA UN BISOGNO DISPERATO DI FARE CASSA CON I BTP PER COLMARE UN FABBISOGNO STATALE CHE CONTINUA A DRENARE RISORSE
A meno di colpi di scena, giovedì la Bce avvierà quel taglio dei tassi di interesse invocato a gran voce dagli esponenti del governo Meloni. La mossa rischia, però, di tornare indietro come un boomerang soprattutto per il ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti.
Ogni riduzione dei tassi tende a comprimere i rendimenti dei titoli di Stato, cosa che per quelli di nuova emissioni si traduce in una percentuale minore di interessi fin dal collocamento.
In altri termini, una medaglia a due facce per lo Stato, che da una parte risparmia sui costi di un debito pubblico elevato rispetto al quale ancora venerdì ha messo in guardia anche il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta. Dall’altro lato, però, il rischio è che rendimenti inferiori raffreddino l’entusiasmo verso i Btp da parte di famiglie e piccoli risparmiatori. Proprio gli investitori non professionali, i cosiddetti “retail”, negli ultimi mesi hanno acquistato titoli di debito del Tesoro a mani basse.
Il Tesoro a sorpresa a maggio ha collocato un nuovo Btp Valore, con tassi fino al 3,9% e un premio finale extra, ma le adesioni si sono “limitate” a 11,23 miliardi. Un segnale che il vento sui titoli di Stato sta cambiando, dopo la sbornia dei mesi passati. E da adesso in poi la raccolta potrebbe ulteriormente risentire dei minori rendimenti indotti dal taglio della Bce.
Eppure il Tesoro, per il 2024 così come già per il 2023, ha necessità di battere cassa con i Btp per colmare un fabbisogno statale che continua a drenare risorse. L’anno scorso, il dato ha raggiunto 109 miliardi, quasi 42 in più del 2022. Per farvi fronte, evidenzia Bankitalia, nel 2023 le emissioni nette di titoli di Stato sono cresciute a 100 miliardi, dai 27 dell’anno prima.
Mentre nel Def (Documento di economia e finanza) di aprile, nonostante l’effetto legato alla riduzione dei tassi della Bce, si legge che «nel 2024 la spesa per interessi è prevista crescere, in primo luogo per finanziare un più elevato fabbisogno statale, che determina maggiori volumi in emissione».
A marzo, senza quindi tenere conto dei collocamenti successivi compreso l’ultimo Btp Valore, il Tesoro stimava per la restante parte del 2024 emissioni nette fino a 59 miliardi. Da giovedì la strada per raccoglierli diventerà un po’ più ripida.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
SOLDI CHE SI AGGIUNGONO AGLI 850 MILIONI GIÀ PREVENTIVATI PER LA REALIZZAZIONE E LA GESTIONE DEI DUE CENTRI DI ACCOGLIENZA (CHE SARANNO PRONTI FORSE A SETTEMBRE)
Ancora soldi investiti dal governo nel protocollo Albania che non si sa ancora quando partirà. Agli 850 milioni già preventivati per la realizzazione e la gestione dei centri a Shengjin e Gjader per i prossimi cinque anni, adesso arriva pure l’appalto per una nave privata che dovrà portare i migranti dal Mediterraneo all’Albania.
Tredici milioni e mezzo se ne andranno solo per il noleggio, per 90 giorni, di una nave con il relativo equipaggio che – si apprende leggendo il bando pubblicato dal Viminale – sarà incaricato di scortare 200 migranti alla volta, più 100 uomini di scorta, fino al porto di Schengjin dove è in allestimento l’hotspot che la premier Meloni andrà a visitare mercoledì.
Dal che si deduce che non saranno i mezzi militari italiani, gli unici a potere effettuare i soccorsi dei migranti destinati all’Albania come da protocollo, a portarli fino in Albania ma ci sarà un trasbordo in mare. Operazione complessa e sempre rischiosa che, evidentemente, avverrà dopo che – a bordo della nave militare – verrà fatta una cernita delle persone destinate ai centri di trattenimento.
Dalla data dell’appalto si evince quando il governo pensa di far partire l’operazione che era stata inizialmente programmata per il 20 maggio. Se ne riparla non prima di metà settembre visto che la nave che il Viminale noleggerà dovrà essere disponibile dal 15 settembre al 15 dicembre.
Svelato anche dove il governo intende soccorrere i migranti destinati all’Albania: di fatto nel punto più lontano del Mediterraneo, la rotta tunisina, quella percorsa dai migranti a cui più facilmente possono essere applicate le procedure accelerate di frontiera, tunisini, marocchini, algerini.
La nave che dovrà poi trasferirli in Albania dovrà infatti prelevarli dalle navi militari “a circa 15-20 miglia nautiche a sud-sud/ovest dall’isola di Lampedusa”, tre o quattro volte al mese, dunque con un prevedibile trasferimento in Albania di circa 800 persone al mese, di fatto la capienza del centro trattenimento di Schengjin.
I tempi di navigazione dal punto di prelievo a quello di destinazione sono stimati in “circa 50 ore” nel documento del Ministero dell’Interno e viene indicata in “5/6 giorni” la durata di ogni operazione, compresi “il trasbordo dei migranti, l’attività di hub, il trasporto in Albania, le attività di sbarco e il rientro nell’area di operazioni”.
Inoltre, l’esecuzione del servizio include l’approvvigionamento di beni e generi alimentari, nonché la preparazione di vitto diversificato in relazione ai precetti religiosi o eventuali problematiche sanitarie. Qualora si superi la media di 300 unità per i giorni della durata del contratto, sarà riconosciuto un “costo aggiuntivo pro capite di 40 euro/giorno per il numero di passeggeri in esubero”.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
“QUANDO LA CHIESA DIFENDE LA FAMIGLIA A MELONI PIACE E QUANDO PARLA IN MERITO A IMMIGRATI E PREMIERATO NO?”… DELLA SERIE: I VESCOVI NON SONO AGENTI DELLA PROPAGANDA MELONIANA
Nella trasmissione televisiva Diritto e Rovescio, condotta da Paolo Del Debbio, il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana è intervenuta per parlare, fra le altre cose, della riforma del premieranno.
Tralasciando le diverse affermazioni fatte, le quali sinceramente poco ci importano, è bene soffermarsi sulle dichiarazioni di Giorgia Meloni in merito alla Conferenza Episcopale Italiana. Il conduttore, che ha condotto l’intera puntata sviolinando il premier, si è permesso di commentare: «Non pensavo che i presuli italiani fossero esperti di riforme istituzionali».
Innanzitutto, è bene rammentare che, a differenza di Del Debbio, ci sono diversi vescovi italiani che hanno ottenuto lauree in diritto e in diverse materie in università serie, non l’Urbaniana. Se le affermazioni di persone autorevoli, che rappresentano ancora gran parte dell’elettorato italiano, non piacciono a determinate forze politiche è bene che l’attacco venga fatto sul merito, non su una presunta “non ingerenza”.
Abbiamo visto in questi anni che, sia destra che sinistra, hanno giovato e puntato molto sull’intervento dei vescovi italiani. Nel 2024 è abbastanza ridicolo dover stare a spiegare a ridicoli conduttori lucchesi che la libertà dello Stato e della Chiesa non si esplicita in un silenzio obbligato. I vescovi sono cittadini come tutti gli altri e godono dei medesimi diritti e doveri.
Le preoccupazioni che sono state avanzate dovrebbero trovare una risposta da parte della politica che sia volta a rassicurare e non ad attaccare l’istituzione.
Sulla medesima scia, dimostrando ancora una volta la completa ignoranza dei soggetti che vengono eletti dal popolo italiano, è intervenuto il presidente del Consiglio. Se l’attacco arriva da un analfabeta conduttore televisivo il problema non si pone, ma se arriva dal presidente del Consiglio dei Ministri di uno Stato, la quale peraltro si dice cattolica, questo è ben più grave.
La risposta di Giorgia Meloni è stata imbarazzante: «La riforma del premierato non interviene nei rapporti fra Stato e Chiesa ma mi consenta anche di dire con tutto il rispetto che non mi sembra che lo Stato Vaticano sia una Repubblica Parlamentare, quindi, insomma, nessuno ha mai detto che si preoccupava per questo e quindi facciamo che nessuno si preoccupa». Non è ben chiaro come mai Meloni queste cose non le ha dette a Papa Francesco quando si trovavano entrambi sul palco dell’Auditorium della Conciliazione per gli Stati Generali della Natalità.
Meloni, infatti, sembra non aver considerato che lo Stato Vaticano con i vescovi italiani c’entra come i cavoli a merenda. Mentre questo Stato non ha alcuna giurisdizione su un vescovo, lo Stato italiano la ha eccome. È quindi giusto che i presuli parlino ed esprimano le loro idee e preoccupazioni.
Il sacerdote e il vescovo, infatti, non sono dei burattini che devono intervenire solo e soltanto quando si parla di qualcosa che è strettamente attinente al sacro. Guai a coloro che utilizzano la liturgia per esprimere idee politiche ma al di fuori dell’ambito liturgico i chierici sono cittadini e come tali hanno il diritto, e come pastori anche l’obbligo, di parlare di tutto.
Quando la Chiesa difende la famiglia a Meloni piace e quando parla in merito a immigrati e premierato no? Se le idee sono diverse si discute sul merito e non si fanno attacchi di questo genere. Sarebbe forse il caso che l’Ambasciatore italiano presso la Santa Sede si facesse un giro in Terza Loggia e riporti a palazzo Chigi i malumori che le uscite da bullo del premier hanno creato.
(da Silere non possum)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
LE GARE PER LE CONCESSIONI BALNEARI VANNO FATTE, MA E’ ANCHE NECESSARIA UNA NORMATIVA CHE STABILISCA CRITERI DI ACCESSIBILITA’ E SOSTENIBILITA’
Non ci sono più dubbi giuridici: le gare per assegnare le concessioni sulle spiagge vanno fatte. I balneari le hanno tentate tutte, contando sul supporto di un Governo che si è rivelato inaffidabile rispetto alle tante promesse fatte al settore.
E’ grazie all’Europa, all’indipendenza della magistratura e anche ai cittadini che si sono organizzati a difesa del diritto di fruire liberamente delle spiagge, se si è arrivati a questa vittoria.
Ma non bastano le gare, serve una Legge per impedire che le spiagge siano accessibili solo per i ricchi, che stabilisca criteri per garantire accessibilità per tutti, qualità e sostenibilità dell’offerta.
Quanto sta succedendo sulle spiagge, rispetto alle gare per le concessioni, è un insperato squarcio di ottimismo, quasi a ricordarci che il nostro paese possiede ancora gli anticorpi per dare risposta a problemi che sembrano insormontabili per la forza di interessi e rendite.
Malgrado una battaglia in cui i balneari le hanno provate tutte, il responso è oramai inequivocabile: sono vietate le proroghe per l’assegnazione dei tratti di litorale. Sono infatti innumerevoli le sentenze che ribadiscono quanto le direttive europee hanno sancito da anni, ma che in tanti non vogliono accettare chiedendo deroghe e interventi legislativi.
Del resto, è difficile spiegare perché a Formentera siano stati messi a gara i chiringuitos frequentati ogni estate da migliaia di italiani, ma che invece la stessa cosa non possa avvenire in Romagna o Versilia. Se ha fatto notizia che nell’isola delle Baleari sia passata di mano la gestione dei più famosi locali, è solo questione di tempo perché avvenga lo stesso anche per gli spazi oggi occupati dal Papeete o dal Twiga.
Oramai lo hanno capito persino i balneari che, traditi dalle promesse di Salvini e Meloni per cui una volta al governo avrebbero posto un chiaro stop alla direttiva Bolkestein, si sono rassegnati a battersi per ottenere almeno un indennizzo dal gestore subentrante.
Qualche ultimo giapponese che insiste con i ricorsi esiste, ma oramai è evidente che il tentativo è di cercare di prendere tempo e rinviare di qualche anno le gare. Intanto, diventa ogni giorno più grande la crepa in un sistema di potere che sembrava inscalfibile.
LE RAGIONI DELLA SVOLTA
Come si è arrivati a questa svolta? Le ragioni e i protagonisti sono diversi e interessanti da approfondire. Di sicuro, senza l’Europa tutto questo sarebbe stato impossibile. E chi vuole ridurne il ruolo, già a partire dalla prossima legislatura, ha chiaro in mente l’obiettivo di sabotare l’applicazione dei principi di trasparenza, concorrenza e tutela dei consumatori scritte nei trattati e ribaditi in direttive che non potevano che cozzare con un sistema di gestione delle spiagge che in tante aree del paese si è trasformato in una privatizzazione di fatto, senza limiti temporali e controlli.
Ma alle gare si è potuti arrivare anche per l’indipendenza della magistratura italiana garantita dalla Costituzione. Perché tutti gli atti e le dichiarazioni del governo Meloni sono stati chiari nella richiesta di fermare quanto sancito dalle direttive europee in termini di procedure ad evidenza pubblica.
Ma sentenza dopo sentenza, il Consiglio di Stato ha continuato a ribadire che non è possibile altra strada per l’assegnazione di servizi in ambiti dove la risorsa a disposizione è oggettivamente limitata. Il governo ci ha provato in ogni modo, consegnandosi alle associazioni di categoria al punto da presentare a Bruxelles un incredibile studio che aumentava da 8mila chilometri a 11mila i tratti di costa in Italia. Attenzione, l’indipendenza della magistratura non è un concetto astratto nel nostro paese.
Ad esempio, a Lecce il loquace presidente del Tar ha idee completamente diverse e originali rispetto all’applicazione della Bolkestein, alle gare e perfino rispetto alla limitatezza della risorsa, tanto che ha provato a fermare il percorso di assegnazione con evidenza pubblica portato avanti con coraggio dal sindaco Salvemini. Salvo che queste tesi sono poi andate a sbattere contro il Consiglio di Stato.
Di sicuro, a vigilare e a mobilitarsi ci saranno i terzi protagonisti di questa vicenda, che sono i cittadini e i comitati che da tante parti d’Italia si battono per garantire l’accesso libero e gratuito alle spiagge. In questi mesi, contro ogni richiesta di proroga da parte dei Comuni, contro ogni assegnazione senza gara, puntuale è arrivata la diffida del Coordinamento nazionale Mare libero.
L’ultima azione ha visto i militanti entrare negli stabilimenti e stendere gli asciugamani per ribadire che le concessioni sono scadute per cui chiunque ha il diritto di farlo. Il livore dei balneari nei loro confronti è tale che in Romagna hanno scritto alle prefetture per chiedere di fermarne le comunicazioni via social sul tema della durata delle concessioni, di comunicare per conto di chi si muovono e riservandosi di procedere per «risarcimento danni subiti e subendi».
UNA LEGGE NECESSARIA
Non saranno certamente questi tentativi di intimidazione a fermare chi si batte per dei diritti che sono scontati in ogni altro paese europeo. A stupire è semmai come il vento sia cambiato, il consenso di cui godono queste iniziative. D’altronde chiunque si rende conto che va trovato un equilibrio tra gli interessi di pochi e quelli di milioni di italiani e di turisti che vorrebbero avere il diritto di scegliere se andare in uno spazio attrezzato a pagamento o in uno libero e gratuito.
Con il passare del tempo i balneari stanno diventando impopolari al pari dei tassisti, anche per lo stesso modo prepotente di porsi nella discussione e perché sicuri di avere al fianco una politica che qui evidenzia tutta la propria debolezza.
Il governo intanto ne esce malissimo, la strategia è quella della campagna elettorale permanente, per cui ogni giorno si rincorrono promesse da parte di parlamentari e persino presidenti di regione.
Ultimo il governatore della Calabria che ha stabilito che sulle sue spiagge il problema non esiste e le gare non si faranno. Il problema è semmai che si parla solo delle gare, mentre manca ancora un confronto – anche dentro l’opposizione – sul futuro delle spiagge.
Su una legge che punti a migliorare qualità e sostenibilità ambientale dell’offerta, garantire controlli, affrontare i processi di erosione e difendere le spiagge dalle mareggiate, a garantire l’accessibilità per tutti.
E proprio qui sta il punto più delicato, perché quanto pure si è smosso fino ad oggi non basta nei comuni dove non ci sono più spiagge libere. Il tema è politico, perché se non si fissano dei limiti alle spiagge da affidare ai privati si disegna una precisa linea che separa chi è ricco e chi è povero, chi può andare al mare e chi no.
(da editorialedomani.it)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
LA METÀ PIÙ POVERA POSSIEDE APPENA IL 7% TOTALE DEI BENI. E LA CLASSE MEDIA È IN PIENO DECLINO: NON HA RISERVE FINANZIARIE A CUI ATTINGERE… IL LIVELLO DI DISUGUAGLIANZA NEL NOSTRO PAESE È SUPERIORE A FRANCIA E SPAGNA
Il 10% delle famiglie più facoltose detiene il 60% della ricchezza, e questo patrimonio nelle mani di pochi dal 2010 a oggi è continuato ad aumentare. Invece, la metà meno abbiente dei nuclei possiede solo il 7% dei beni. La novità è che si impoverisce la classe media perché non ha riserve finanziarie a cui attingere.
Sono gli ultimi dati emblematici delle disuguaglianze in Italia, dove chi ha di più riesce ad accumulare sempre maggiori patrimoni, non c’è crisi né inflazione che tenga. L’analisi sulla distribuzione delle ricchezze delle famiglie compare nella relazione annuale della Banca d’Italia
Gli economisti di via Nazionale spiegano che la quota di ricchezza detenuta da questo 10% di famiglie tra il 2010 e il 2023 è cresciuta del 7%, passando appunto dal 53 al 60%, principalmente a scapito della classe media che ha perso il 4,8% del proprio patrimonio. La ragione di questo guadagno è riconducibile all’andamento favorevole degli strumenti finanziari più rischiosi, come azioni, partecipazioni, quote di fondi comuni, assicurazioni sulla vita. Il calo della ricchezza netta (che somma beni reali e finanziari) dei nuclei della classe media è dipeso dalla flessione del valore del patrimonio immobiliare. Mentre è rimasta sostanzialmente stabile, registrando un lieve calo, la ricchezza delle famiglie che Bankitalia inserisce nel «percentile» più basso.
Il patrimonio delle famiglie facoltose, spiegano gli esperti che hanno realizzato lo studio, è diversificato: «Un terzo della ricchezza è costituito da immobili residenziali e poco più del 40% da strumenti finanziari rischiosi, mentre il debito ammonta al 5%».
Al contrario, sottolinea la Banca d’Italia, «alla fine del 2023 il patrimonio abitativo costituisce i tre quarti della ricchezza delle famiglie meno abbienti, una quota elevata nel confronto europeo, mentre gli strumenti finanziari più liquidi – depositi e obbligazioni – ne costituiscono il 17%. Il debito è pari a un quarto della ricchezza lorda». Ad aver influito sulla perdita di patrimonio degli immobili concorre il rialzo dei tassi sui mutui, che ha frenato le compravendite.
Lo studio di Bankitalia indica che la riduzione dei nuovi mutui ha riguardato tutte le classi di età, ad eccezione di quella composta dalle persone con almeno 55 anni. I giovani sono i più penalizzati: Consap conferma che i mutui con garanzia sul Fondo prima casa destinati agli under 36 si sono più che dimezzati.
La relazione di Palazzo Koch dà conto anche dell’indice di Gini della ricchezza netta, che sintetizza il grado di distribuzione della disuguaglianza, che ha mostrato un aumento della concentrazione tra il 2010 e il 2016 (passando dal 67 al 71%), per poi assestarsi. Il livello di disuguaglianza in Italia è superiore a Francia e Spagna, ma inferiore rispetto alla Germania perché le famiglie tedesche sono gravate da più debiti.
Alla fine del 2023 la ricchezza netta complessiva delle famiglie è cresciuta a 11 mila miliardi di euro, da 10.600 a dicembre del 2022. A guidare questo incremento è stata la ricchezza finanziaria che è cresciuta del 6%, superando 5.600 miliardi di euro, soprattutto per la rivalutazione delle quote di fondi – sia esteri sia italiani – e per il rialzo di azioni e partecipazioni.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
“OPERA DI DISINFORMAZIONE, LE CARCERI ITALIANE NON SONO GRAND HOTEL”
“La trasmissione di Bruno Vespa sul caso Forti rappresenta una vera opera di disinformazione rispetto alle condizioni degli oltre 61mila detenuti nelle carceri”.
A scriverlo è l’Unione delle Camere penali, il “sindacato” degli avvocati penalisti, attaccando la puntata di Cinque minuti del 31 maggio in cui Vespa ha intervistato su Rai 1 Chico Forti, l’ex velista condannato per omicidio negli Usa e di recente estradato in Italia, dove sta scontando l’ergastolo nel carcere di Verona dopo un breve passaggio nel penitenziario romano di Rebibbia.
In tv Forti ha raccontato di essere stato “accolto come un re” nella sua nuova sistemazione: “Mi hanno fatto un piatto di spaghetti all’amatriciana. Tutto quello che ho adesso, vestiti, biancheria, me lo hanno donato gli altri detenuti. Dagli Usa mi hanno fatto partire senza nulla, neanche un paio di calzini“. Poi ha elogiato le carceri italiane e i “valori umani” che dice di aver ritrovato, mentre in cella a Miami era “continuamente umiliato“. Un messaggio che non è piaciuto agli avvocati: “Quando attraverso la televisione pubblica si offre una distorta e irreale visione sulle condizioni detentive, oltre che rendere un cattivo servizio di informazione, si rende un pessimo contributo al miglioramento delle condizioni dei detenuti”, si legge nella nota delle Camere penali.
“Nei “cinque minuti” di pubblicità-regresso”, attaccano i penalisti, si è assistito all’esaltazione delle “dorate” condizioni detentive italiane. Carceri presentate come un grand hotel. Eppure, se solo le telecamere si recassero nelle varie sezioni del carcere di Verona, al pari di qualunque altro carcere d’Italia; se si soffermassero ad osservare le latrine, spesso alla turca, se riprendessero le numerose brande in cui si trovano appollaiati tra dieci e 15 detenuti per cella; se tutto ciò avvenisse, si offrirebbe ai legislatori, ai tanti magistrati, mai recatisi nelle carceri, l’opportunità di comprendere quanto l’esecuzione della pena avvenga in violazione della Costituzione, costringendo la popolazione detenuta in condizioni disumane“, prosegue il comunicato.
“Siamo felici che finalmente al nostro “Chico” sia stato consentito il rientro in Italia per la prosecuzione della detenzione. Una mosca bianca rispetto agli oltre 2.600 italiani detenuti all’estero. Ma non è il primo caso e non sarà l’ultimo per cui i riflettori dei media si accendono a comando, a seconda degli interessi politici”, sottolineano le Camere penali.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
A DETERMINARE IL FUTURO INQUILINO DELLA CASA BIANCA SARANNO 60MILA PREFERENZE
«La differenza fra la vittoria e la sconfitta è in 60mila voti, sono distribuiti in sei Stati chiave. Lì ci sono contee che decideranno chi fra Joe Biden e Donald Trump andrà alla Casa Bianca».
A parlare è Ford O’Connell, veterano delle campagne elettorali Usa, nel 2020 era attivo in quella di Trump, e oggi ne è fra i consulenti. Che la corsa sarà serrata è la stessa opinione che si registra in casa democratica, dove lo stratega Bill Press spiega che nei battleground States il 2% di oscillazione dei voti determinerà il vincitore.
«E i repubblicani anti-Trump che magari l’hanno votato nel 2020 stavolta non lo faranno», dice con fiducia. A cinque mesi dalle elezioni la sfida è come conquistare i voti di Nevada, Arizona, Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, dove sono concentrati il 70% degli spot televisivi e degli investimenti delle campagne elettorali.
Lo scenario non cambierà con la condanna di New York. Le prime rilevazioni non rispondono in modo univoco sull’impatto della decisione della giuria. Il fatto che in 48 ore dopo il verdetto il repubblicano abbia raccolto 70 milioni in donazioni elettorali (la cifra l’ha data ieri in un talk show Lara Trump, co-chair del Partito repubblicano e nuora del candidato) è un segnale della resilienza del mondo trumpiano.
Ma per Reuters/Ipsos un repubblicano su dieci abbandonerà Trump, mentre secondo Morning Consult il 54% degli elettori registrati concorda con il verdetto della giuria; il 49% degli indipendenti ritiene che Trump dovrebbe chiudere la sua campagna.
Eppure, vi è anche un 43% di indipendenti che vede nell’operato della procura di New York il tentativo di distruggere la carriera politica del tycoon. Bill Press ritiene che la condanna di Trump sia comunque «la pietra tombale della sua carriera». «Non mi interessano i sondaggi – ci dice – io non credo che gli americani voteranno per un pregiudicato».
Quando i sondaggi si riferiscono ai register voters, evidenzia un analista vicino a Trump, Biden è in testa, ma quando la domanda è aperta a tutti i potenziali elettori, il vantaggio è per Donald.
Portare gli americani alle urne e conquistare gli swing voters sono gli obiettivi su cui sono sintonizzati gli staff: la campagna di Trump per ora, rivela una fonte del team, è più indietro nella organizzazione sul territorio. Biden ha invece aperto diversi uffici locali negli Stati del Midwest. Ma ha un problema di sfiducia presso i giovani, i bianchi meno istruiti e gli afroamericani. Ha appena il 71% del consenso dei neri, quasi 20 punti in meno dei consensi che i candidati democratici raccolgono.
Dentro la campagna di Biden si dibatte su come utilizzare il caso Stormy Daniels.
Nello staff di Biden convivono due scuole di pensiero: la prima è per plasmare il messaggio futuro sui rischi di avere un «convicted felon» alla Casa Bianca; l’altra invece è continuare a spingere sui buoni risultati di Biden e sul diritto di aborto e «stare alla larga dai guai di Trump: lasciare che si rovini da solo potrebbe essere la soluzione migliore».
Anche il mondo di Trump si interroga. L’idea di trasformarsi in martire della giustizia e denunciare «dopo le elezioni rubate» anche «la giustizia corrotta e truccata» risuona nella base Maga (Make America Great Again). E piace a Donald: ieri alla Fox News ha detto che, se fosse messo agli arresti domiciliari sarebbe «un punto di rottura per gli americani, non digerirebbero questa scelta», del giudice.
Ma Maga rappresenta il 30% del blocco elettorale. «Dobbiamo conquistare gli indipendenti e i moderati», dice O’Connell. Non è aizzando la base che si prendono voti, ma puntando sui due temi che dominano le preoccupazioni degli americani, ovvero il costo della vita e l’immigrazione.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
DOCUMENTI INTERNI CERTIFICANO I FINANZIAMENTI A SITI FILORUSSI EUROPEI, LA FONDAZIONE E’ IN MANO AI SERVIZI SEGRETI RUSSI
Alcuni documenti interni che sono trapelati all’esterno hanno fatto luce sulle attività della fondazione di difesa legale Pravfond sostenuta dallo Stato russo che secondo le agenzie di intelligence e gli analisti europei è in realtà un’operazione di influenza del Cremlino attiva in 48 paesi in Europa e nel mondo.
Dai documenti interni del Fondo per il sostegno e la tutela dei diritti dei compatrioti che vivono all’estero (Pravfond) emerge che la fondazione finanzia siti web di propaganda rivolti agli europei, ha contribuito a pagare la difesa legale del trafficante d’armi Viktor Bout e dell’assassino Vadim Krasikov, e ha impiegato un certo numero di ex ufficiali dell’intelligence come direttori delle sue operazioni nei paesi europei.
Dai documenti emerge che il gruppo ha speso milioni di euro per finanziare campagne di propaganda e azioni legali. I dati pubblici mostrano anche che i partner locali di Pravfond hanno ricevuto milioni in sussidi statali da un certo numero di stati europei in cui la fondazione gestisce filiali locali, sollevando dubbi sull’uso dei fondi pubblici e preoccupazioni sulla sicurezza nazionale pochi giorni prima delle elezioni al Parlamento europeo.
Più di 40 documenti Pravfond, ottenuti dall’emittente pubblica danese DR da una fonte di intelligence europea e condivisi con un consorzio di giornalisti europei tra cui il Guardian, mostrano che l’organizzazione ha avuto tra i suoi dirigenti un certo numero di ex agenti dell’intelligence. Tra loro Vladimir Pozdorovkin, che è stato identificato da fonti di intelligence europee come un agente dell’SVR, il servizio di intelligence straniero della Russia, e nei registri pubblici come curatore di Pravfond per le sue operazioni nei paesi nordici e baltici; e Anatoly Sorokin, che i documenti mostrano è un membro della SVR e cura la divisione Medio Oriente, Moldavia e Transnistria di Pravfond.
Il capo dell’Istituto della diaspora russa, che nei documenti ufficiali è indicato come “l’esecutore del progetto” di Pravfond, è Sergey Panteleyev, che è stato oggetto di sanzioni nei paesi dell’UE in quanto membro di un’unità di intelligence militare russa specializzata in psicologia. operazioni di guerra.
Andrei Soldatov, esperto dei servizi segreti russi e coautore di The Compatriots, ha detto che Pravfond sembra essere un “classico tentativo di soft power” e che i legami tra intelligence e organizzazioni connazionali sono “ben documentati”.
Egli ha osservato che Andrey Milyutin, vice capo del dipartimento di informazioni operative del quinto servizio dell’agenzia di sicurezza russa, l’FSB, era membro del comitato governativo sui “compatrioti che vivono all’estero”, indicando il legame tra attività di intelligence e sensibilizzazione verso la diaspora russa.
In un rapporto sulla sicurezza nazionale del 2020, i servizi di sicurezza estoni hanno definito il Pravfond uno “pseudo sistema di protezione legale” che “in realtà è un fondo per operazioni di influenza”, e hanno affermato che l’FSB utilizza i gruppi per reclutare collaboratori all’estero, anche tra i sostenitori della rivoluzione del 2014. annessione della Crimea, molti dei quali avevano legami con il gruppo.
Pravfond è stato fondato nel 2012 con decreto presidenziale ed è stato sostenuto dal Ministero degli affari esteri russo e dall’agenzia federale Rossotrudnichestvo, che amministra gli aiuti esteri ed è stato descritto dal capo del Pravfond, Alexander Udaltsov, come un “elemento unico del soft power russo ”. Udaltsov è soggetto a sanzioni da parte dell’Unione Europea dal 2023 per “aver sostenuto e attuato azioni e politiche che minano e minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina”.
Pravfond non ha risposto alle domande inviate dal Guardian e dai suoi partner segnalanti nella settimana precedente questa pubblicazione, sebbene alcuni dei destinatari delle sue sovvenzioni locali lo abbiano fatto.
Dai documenti risulta che Pravfond ha sponsorizzato la difesa legale di Krasikov, un presunto agente dell’FSB condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’ex comandante ceceno Zelimkhan Khangoshvili nel Tiergarten di Berlino nel 2019. Dai documenti risulta che l’avvocato Robert Unger ha ricevuto 60.000 euro delle spese legali pagate dal bilancio di Pravfond nel 2021 come approvato da Udaltsov. Una fonte dell’intelligence europea ha affermato di essere in possesso di documenti che dimostrano che Unger aveva ricevuto una somma di denaro maggiore per rappresentare Krasikov nelle sessioni precedenti, ma non è stata in grado di fornire documentazione.
Interrogato sui pagamenti, Unger ha confermato di aver ricevuto una richiesta dal consorzio dei giornalisti, ma ha detto che il suo mandato per Krasikov è terminato nel 2021 dopo la condanna all’ergastolo e che poiché era “ancora soggetto al segreto professionale legale anche dopo la fine del mandato e ha non ne sono stato liberato, purtroppo mi è impedito di rispondere alle vostre domande”.
Un documento di bilancio Pravfond del 2014 mostrava anche che l’organizzazione aveva fornito somme significative per finanziare la difesa legale di Bout e del trafficante di droga condannato Konstantin Yaroshenko, entrambi poi tornati in Russia come parte degli scambi di prigionieri negoziati tra Mosca e Washington.
(da Globalist)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile
LA MOSSA RISCHIA DI STRAVOLGERE LA POLITICA IN GRAN BRETAGNA: NON TANTO PERCHÉ POTREBBE CAMBIARE IL RISULTATO DELLE ELEZIONI, GIÀ MESSO IN BANCA DAI LABURISTI, MA PERCHÉ RAPPRESENTA UN VERO TERREMOTO TRA I CONSERVATORI… FARAGE POTREBBE PUNTARE PROPRIO ALLE CENERI DEI TORY
Terremoto nella politica britannica: Nigel Farage, Mr Brexit, ha annunciato la sua candidatura alle elezioni politiche del 4 luglio, mettendo così fine a settimane di speculazioni. È una discesa in campo in grado di cambiare la corsa in atto e potenzialmente rimodellare tutti gli scenari a Londra per gli anni a venire. «Ieri ho portato a passeggio il cane, sono andato a pesca, poi al pub e ho avuto modo di riflettere», ha spiegato Farage: tanta gente, ha raccontato, negli ultimi giorni lo fermava per strada chiedendogli perché non si candidasse e così lui ha concluso che non se la sentiva di «abbandonare milioni di persone».
Allo stesso tempo, Farage si è ripreso la guida del Reform Party, l’ex Brexit Party da lui fondato e di cui era finora solo presidente onorario: il Reform era dato nei sondaggi già sopra il 10%, al terzo posto dopo laburisti e conservatori, ma adesso con Farage a tirare la volata finirà per moltiplicare i consensi. È una buona notizia, paradossalmente, per i laburisti, perché il Reform ruberà consensi a destra ai conservatori, che adesso rischiano una sconfitta di dimensioni catastrofiche. Farage non pensa di poter mutare l’esito delle elezioni: «Il Labour ha già vinto», ha ammesso; lui punta piuttosto a cambiare gli equilibri a destra.
Stiamo assistendo «alla campagna elettorale più noiosa di sempre», ha scandito Farage, con laburisti e conservatori che ormai «sono la stessa cosa»: nessuno dei due partiti maggiori, secondo lui, è in grado di fermare l’immigrazione di massa, abbassare le tasse e soprattutto invertire quello che ha definito il «declino» della Gran Bretagna.
Non che l’impresa di Farage sia facile: a causa del sistema elettorale britannico, uninominale secco, lui in passato ha fallito per ben sette volte nel tentativo di farsi eleggere a Westminster. Questa volta, però, potrebbe essere diverso, perché quel rigetto della classe politica tradizionale che lui ha denunciato nel suo discorso è qualcosa di reale: e dunque il Reform Party potrebbe riuscire a eleggere una manciata di deputati, incluso Farage.
Ma in realtà le sue ambizioni vanno ben oltre dopo l’inevitabile disfatta, il moncone sopravvissuto del partito conservatore diventerebbe terra di conquista e non è escluso che Farage possa lanciare un takeover sul modello di quanto fatto da Donald Trump in America con i Repubblicani.
Non sono pochi fra i conservatori quelli che pensano che il partito debba scartare vigorosamente a destra, magari richiamando in servizio anche Boris Johnson
Il paradosso è che a Londra si sono sempre vantati di non avere in Parlamento un partito di destra populista, a differenza di quanto avviene in tutti i Paesi dell’Europa continentale: ora quello scenario potrebbe prendere vita dalle ceneri di un partito conservatore “faragizzato”.
(da Il Corriere)
argomento: Politica | Commenta »