Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
AUMENTANO LE FRODI SUI FINANZIAMENTI COMUNITARI, SOPRATTUTTO NEL SETTORE DELLA POLITICA AGRICOLA UE … MA NON CI AVEVANO DETTO CHE LE TRUFFE ERANO QUELLE DEL REDDITO DI CITTADINANZA?
L’Italia impegna una responsabilità finanziaria più complessa rispetto al passato nel prelevamento e nell’impiego dei fondi europei, “poiché una parte significativa di essi costituisce debito pubblico”. È quanto afferma la Corte dei conti nella Relazione annuale sui rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea, approvata dalla Sezione affari europei e internazionali.
“Malgrado l’imponente sforzo di fiscal policy del Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2021-2027 – si legge nel documento – le nuove emergenze geopolitiche e le pressioni inflazionistiche sopraggiunte hanno sottoposto a tensioni il bilancio dell’Unione europea, imponendo rilevanti correzioni per il reperimento e la destinazione di nuove risorse, con un conseguente ripensamento delle priorità”.
Con la proposta di revisione del Qfp approvata dal Consiglio europeo a febbraio 2024 – specifica, infatti, la Corte – il bilancio sarà incrementato di circa 64,6 miliardi di finanziamenti aggiuntivi e, in tale contesto, “l’obiettivo di una strutturale flessibilità del bilancio Ue diventa fondamentale per rispondere agli imprevisti e rivedere rapidamente le priorità di spesa”.
Nei rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea, sottolinea ancora la Corte, permane la centralità delle politiche strutturali e di coesione socioeconomica, la cui dotazione per il ciclo di programmazione 2014-2020 è di 197,9 miliardi (64,5 a valere sul bilancio europeo e 133,4 su quello nazionale). Per i fondi Fesr e Fse-Iog, la dotazione ammonta (dicembre 2023) a 64,4 miliardi, di cui 14,4 sull’iniziativa React-Eu.
A fronte di un totale programmato di 64,4 miliardi (di cui 47,9 di risorse Ue), la spesa certificata alla Commissione europea, sia a fine dicembre 2022 che a dicembre 2023, raggiunge rispettivamente 35 miliardi (di cui 28 cofinanziamento Ue) e 42,5 miliardi (il cofinanziamento Ue è 34,2). Considerando soltanto la quota di risorse unionali, al 31 dicembre 2023 il rapporto tra cofinanziamento certificato e risorse programmate si attesta al 71,4%.
Sul versante delle politiche agricole, nel 2022 (ultimo anno del periodo transitorio seguito al ciclo di programmazione 2014-2020), su una produzione agricola europea pari a circa 537,5 miliardi di valore, la produzione italiana si attesta a 71,5, collocandosi al terzo posto fra gli Stati membri, preceduta da Francia (97,1 miliardi) e Germania (76,2).
Nonostante la crescita del prodotto rispetto al periodo pandemico, permane l’andamento in calo dei livelli occupazionali, con un numero di occupati agricoli diminuito del 2,8% nell’ultimo decennio, a fronte di un incremento del 3,1 riscontrato per tutti i settori.
Sulle irregolarità e frodi a danno del bilancio europeo, si conferma in Italia la tendenza in crescita delle segnalazioni, dai 424 casi del 2022 (per 47 milioni da recuperare) ai 448 del 2023 (per 58,1 milioni). E’ quanto evidenzia la Corte dei conti contando la maggioranza dei casi nella Politica agricola comune.
Nel dettaglio le segnalazioni di irregolarità passano dalle 405 del 2021 (89 riferite ai Fondi strutturali e 316 alla Pac), alle 424 del 2022 (109 Fondi strutturali e 315 Pac) e alle 448 del 2023 (155 Fondi strutturali e 293 Pac), con una percentuale media di incremento del 5% annuo. La crescita delle irregolarità ha interessato principalmente il Fondo europeo di sviluppo regionale.
La Corte segnala un incremento significativo degli importi da recuperare nell’anno 2023 (58,1 milioni), rispetto al 2022 (47) e al 2021 (41,8). La programmazione maggiormente interessata è quella 2014-2020, rimanendo invece “del tutto residuali” le segnalazioni sopravvenute relative a quella 2007-2013.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
CHIEDE AL GIUDICE DI INCONTRARE I SUOI ALLEATI DI CENTRODESTRA ALLA REGIONE. VUOLE VEDERE ANCHE MATTEO SALVINI, CHE GLI HA PIÙ VOLTE ESPRESSO SOLIDARIETÀ (A DIFFERENZA DELLA MELONI, RIMASTA MOLTO FREDDA)
Tra i primi il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi e i vertici della coalizione di centrodestra alla Regione, più avanti il segretario della Lega Matteo Salvini: potrebbero essere questi i politici, nazionali e liguri, che Giovanni Toti chiederà di incontrare, di persona o in videoconferenza, agli arresti domiciliari in cui si trova dal 7 maggio, quando è scoppiata l’inchiesta che lo vede indagato per corruzione e falso
Mentre stamattina negli uffici della Procura di Genova riprenderanno le audizioni dei testimoni, il legale di Toti, l’avvocato Stefano Savi, potrebbe presentarsi nella cancelleria della gip Paola Faggioni per consegnare l’elenco delle persone con le quali il governatore ha intenzione di consultarsi «prima di prendere qualsiasi decisione sulla politica futura», ha detto il legale in un’intervista al Corriere della Sera nella quale ha anche escluso che l’argomento delle dimissioni rientri tra le cose di cui discutere.
Toti è stato già autorizzato nelle scorse settimane ad incontrare nella villetta di famiglia di Ameglia (La Spezia) l’assessore della sua lista Giacomo Giampedrone in vista della discussione in Consiglio regionale della mozione di sfiducia nei suoi confronti, che poi è stata bocciata dalla maggioranza
Tra i nomi non dovrebbero mancare i coordinatori regionali di FdI, Matteo Rosso, e di Forza Italia, Carlo Bagnasco, il segretario ligure del Carroccio, Edoardo Rixi, e il vice presidente della giunta Alessandro Piana (Lega), che sta svolgendo le funzioni di governatore dato che Toti è sospeso a seguito degli arresti domiciliari.
«Potranno seguire a stretto giro ulteriori richieste di incontri con altre personalità politiche», aggiunge l’avvocato Savi, ricordando che «Toti, oltre alla funzione istituzionale di presidente di Regione, riveste il ruolo di leader di una forza regionale assolutamente indispensabile per le scelte politiche del prossimo futuro».
Ruolo che Toti non sembra avere alcuna intenzione di lasciare, e per questo vuole confrontarsi anche con Salvini il quale, come Lupi, dopo l’arresto gli ha più volte espresso solidarietà. Infatti, Savi torna a evidenziare che «le dimissioni non sono l’oggetto degli incontri» e che i colloqui sono «indispensabili» per confrontarsi ad «ampio spettro sulle politiche regionali che il Consiglio, e specificamente la maggioranza, dovrà portare avanti in attesa del ritorno alla piena agibilità politica del Presidente».
Risultato per il quale, se arriverà, ci vorrà tempo: dopo il no di venerdì della gip alla revoca dei domiciliari, entro la settimana Toti ricorrerà al Tribunale del riesame che fisserà un’udienza entro i successivi 20 giorni.
Oggi i pm sentiranno come testimone l’avvocato Alfonso Lavarello, professionista di fiducia dell’armatore Gianluigi Aponte (ha già testimoniato) che è socio al 45 % di Aldo Spinelli nel Terminal portuale Rinfuse. Sono previste anche le audizioni di alcuni dirigenti e funzionari della Regione e del segretario generale della Giunta Pietro Paolo Giampellegrini.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL DIBATTITO PUBBLICO ERA DOMINATO DALLE “LEGHE”: UN MISCHIONE DI NAZIONALISTI, MONARCHICI E ANTISEMITI CHE URLAVANO CONTRO LA POLITICA CORROTTA, GLI EBREI, LE TASSE E GLI IMMIGRATI. RICORDA QUALCOSA?… EPPURE FU IL SOCIALISTA LEON BLUM A SPUNTARLA, E A DARE VITA AD UNA DELLE POCHE STAGIONI ESALTANTI PER LA SINISTRA EUROPEA. CHE PERÒ DURÒ POCHISSIMO: POI ARRIVARONO I NAZISTI E IL REGIME DI VICHY
Nel 1934 sembrava che la Francia stesse per essere travolta dalle destre. Alle successive elezioni politiche prevalse invece il Fronte popolare, una coalizione tra sinistre e centristi.
Grazie anche al sistema elettorale a doppio turno, collegio per collegio. Che è in sostanza quello tuttora vigente.
Andare e rivedere quello che successe negli anni 30 potrebbe aiutare a comprendere quello che a prima vista appare l’azzardo – coup de poker, pari extrême, scommessa estrema, da apprentis sorciers, da apprendisti stregoni, dicono i giornali francesi – di Emmanuel Macron.
Parigi, 6 febbraio 1934. Una grande manifestazione, sfociata in Place de la Concorde, cerca di attraversare il ponte per dare l’assalto all’Assemblea nazionale
E’ in corso la votazione sulla fiducia al governo del radical-socialista Édouard Daladier. La polizia spara per bloccarli. Ci sono decine di morti e feriti. Daladier si dimette, benché la fiducia l’avesse ottenuta.
Alla manifestazione prendevano parte tutti i gruppi e le associazioni di destra e di estrema destra. Fu la madre di tutti i jours de la colère. Fino ai gilets jaunes, alla rivolta per tenere la pensione a 60 anni, anziché portarla a 62, alle montagne di concime scaricate dai trattori sui Champs Élysées.
Le parole d’ordine sono: “Via il governo di corrotti!”, “Niente più deputati!”, “Sciogliere il Parlamento!”, “Abbasso i ladri!”, “Via gli ebrei, via gli stranieri!”, “Al diavolo le tasse!”. E soprattutto: “La France aux Français”, la Francia ai francesi. Non un cenno alla minaccia fascista, al pericolo rappresentato dalla Germania dove, dal gennaio dell’anno prima, al governo c’è Hitler.
Suona familiare? Con gli ebrei la destra francese ce l’aveva da sempre. Gli immigrati sono i profughi dall’est (soprattutto ebrei), e gli italiani che “rubano lavoro” (nel sud della Francia li linciavano), ma anche i fuorusciti dall’Italia fascista, cui si aggiungeranno quelli dalla Germania nazista.
Antiparlamentarismo, ostilità alla democrazia e alla politica corrotta, sono temi tradizionali. La grande crisi, importata dall’America, ha esacerbato gli animi. Tutti ce l’hanno con parlamenti e deputati. Non solo in Francia. E’ sull’onda di rigetto della democrazia e della Costituzione di Weimar che ha appena vinto Hitler.
E’ il collante delle Leghe (sì così si chiamavano) che hanno organizzato la protesta del 6 febbraio.
Lo storico Zeev Sternhell avrebbe definito quell’amalgama “laboratorio del fascismo”. Ma non sono fascisti. Anche se molti dei dirigenti poi aderiranno al governo di Vichy . E’ un impasto multiforme.
Ci sono i “nazionalisti integrali”, i nostalgici monarchici e antisemiti viscerali dell’Action française, con un quotidiano che vende 200.000 copie.
Ci sono i Croix de feu, l’associazione combattentistica, di “nazionalisti cristiani”, guidata dal colonnello François de la Rocque, un milione di aderenti.
Ci sono i “centristi” moderati dell’Alliance démocratique di Pierre-Etienne Flandin e i centristi assai più a destra del Centre républicain di André Tardieu. C’è Solidarité Française, il partito creato dall’industriale François Coty, proprietario del Figaro. C’è l’attivissima Federazione nazionale dei contribuenti. C’è pure una costola della sinistra, che fa capo al populista Jacques Doriot
Fatto sta che tutta quella galassia non quagliò in un fascismo alla francese. Al contrario, finì inaspettatamente col quagliare una coalizione di centrosinistra, altrettanto composita.
Nel 1936 alle urne avrebbe prevalso il Fronte popolare. Riuniva forze disomogenee, fino a poco prima in cagnesco o in concorrenza: i Radicali, i socialdemocratici di Léon Blum, e il Pcf (che però non sarebbe entrato a far parte del governo). Durò poco. Ma diede vita ad una delle stagioni più esaltanti del movimento dei lavoratori e della sinistra nella storia europea. Con conquiste durature, tipo i contratti nazionali, la settimana di 40 ore, i diritti dei lavoratori nelle fabbriche, le ferie pagate.
Spirava un’aria nuova progressista, di libertà, anche nella vita quotidiana. Per la prima volta entrarono al governo ministri donna, anche se le donne francesi non avevano ancora diritto di voto, né di essere elette. Soprattutto fu un modello di unità delle sinistre, alternativa e concorrenziale all’unità delle destre.
Tra i punti deboli: la rissosità ereditaria tra le sinistre, l’incapacità di dare una risposta alla crisi economica, l’incapacità di rispondere alle ansie e alle richieste del ceto medio, degli agricoltori, dei bottegai, dei commercianti, la timidezza nel modificare le politiche restrittive e dure nei confronti degli immigrati e dei rifugiati politici, e i tentennamenti in politica estera.
Il governo Blum rifiutò di dare aiuto, o anche solo armi per difendersi, alla Repubblica spagnola. Andò dietro ai pacifisti senza se e senza ma.
Forse non voleva rompere col Regno Unito, governato dai conservatori, che propugnavano la “non ingerenza” in una guerra che pensavano non li riguardasse. O forse non osavano mettersi contro Hitler che aiutava i golpisti di Franco.
Può sembrare un controsenso. Ma il collante della coalizione di Fronte popolare non era l’antifascismo. Così come il collante della potenziale coalizione di destra non era il fascismo. Era semmai il disprezzo per una classe politica ritenuta irrimediabilmente corrotta, l’anti-parlamentarismo, l’anti-politica, la diffidenza nei confronti degli intellettuali impegnati
Sembrerà strano, ma anche in seno alle sinistre di allora “fascismo” e “antifascismo” non erano i temi dominanti. […] anche il comunista Thorez e il socialista Blum usano pochissimo la parola “fascismo”.
Lo fanno solo nel 1934, attribuendo alla sommossa di febbraio l’obiettivo di volere il fascismo in Francia. Poi la parola stessa scompare dal loro vocabolario. Thorez aveva un problema in più: la dottrina dell’Internazionale comunista accomunava il fascismo dei fascisti e dei nazisti al “socialfascismo” dei socialdemocratici.
La svolta, il contrordine tardivo, sarebbe venuto solo nel 1936. Per poi essere nuovamente rinnegato quando Stalin nell’agosto 1939 fece il patto con Hitler. Per il socialista Blum il ricorso al lemma “fascismo” si limita alla politica interna. Scompare del tutto nel 1936, 1937 e 1938, gli anni della guerra di Spagna e dell’appeasement di Hitler a Monaco.
(da il Foglio)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL RUOLO DEGLI “SCAGNOZZI” PER LE AZIONI VIOLENTE E I “LUPI SOLITARI” CHE APRONO PROFILI SULLE APP DI DATING
Su Omofobia.org un contatore ricorda le cifre dell’odio contro la comunità Lgbtqi+: 1751 vittime dall’inizio del progetto, ovvero dal 2013, e 145 nell’ultimo anno, vale a dire quasi una al giorno dal primo gennaio con una crescita intuibile anche senza troppi calcoli. […] A Torino, la notte che ha preceduto il corteo, il gruppo La Barriera legato all’estrema destra ha attaccato degli adesivi con la scritta «L’unico orgoglio è quello nazionale» lungo il percorso. E a Roma Militia Christi ha imbrattato i vasi con i colori della bandiera arcobaleno disposti dal Servizio Giardini del Comune in omaggio al Pride.
Come spiega Massimo Battaglio, attivista e responsabile del progetto Omofobia.org: «È importante, nell’osservare l’omofobia, esaminare il contesto politico in cui essa si verifica. È infatti sempre più chiaro che l’atto omofobo vuol essere esplicitamente una dichiarazione di appartenenza politica. Magari è politica ammantata di religione, ma sempre politica. Sono dichiarazioni materiali compiute da chi non è in grado di esprimere le proprie idee in modo diverso e pacifico».
Militia Christi è un’organizzazione fondamentalista cattolica che da anni ha come obiettivo dei suoi attacchi la comunità Lgbtq+. L’anno scorso affisse manifesti lungo il percorso del Pride. Lo stesso accadde nel 2022, ma quell’anno a rivendicare l’azione omofoba ci fu anche la Rete dei Patrioti, movimento di estrema destra nato dopo la scissione di Forza Nuova avvenuta nel 2020. La Rete dei Patrioti si è concentrata sulla manifestazione che si terrà a Lucca il 7 settembre imbrattando i volantini che in questi giorni la annunciano nelle strade della città.
I militanti del movimento La Barriera di Torino, invece, non hanno rapporti con Forza Nuova o Casa Pound, ma con gruppi neofascisti che operano a livello europeo, dalla Serbia alla Spagna, alla Grecia, alla Romania. «Ci sono poi i movimenti per la vita e associazioni come Alleanza Cattolica, che non si espongono in modo diretto ma per le azioni violente usano degli scagnozzi», denuncia Massimo Battaglio.
Oppure, come spiega Vincenzo Branà, autore di un rapporto di Arcigay pubblicato il mese scorso, oltre a Forza Nuova e Militia Christi, «tra le associazioni protagoniste di aggressioni omofobe ci sono le comunità locali per le terapie riparative che compiono atti di violenza sistematica e ideologica, sono molto diffuse soprattutto al Nord ma anche al Sud».
Non è un caso che le aggressioni aumentino in alcuni momenti, racconta il sito Omofobia.org: «Immediatamente dopo la nomina di Salvini a ministro degli Interni, si era verificato un picco di violenza e fenomeni di odio a carico di tutte le categorie fragili della popolazione. Erano raddoppiati i casi di razzismo, antisemitismo, xenofobia, misoginia. Parallelamente, avevamo dovuto registrare rispettivamente 215 e 243 vittime. Nel 2020 le vittime erano calate a 180, sicuramente a causa del minor numero di interazioni sociali dovuto al Covid. Il fenomeno era tornato a crescere nel 2021 arrivando fino a 192 vittime in corrispondenza del dibattito sulla legge Zan. Era poi diminuito con il suo affossamento: nel 2022 c’erano state 153 vittime. Ora si torna a crescere».
A grandi linee si può dire che le aggressioni omofobe hanno tre matrici, sostiene Massimo Battaglio: «Innanzitutto l’estrema destra, poi il fanatismo religioso che ha un tipo di rapporto con le gerarchie cattoliche che possiamo immaginare senza troppa difficoltà, tanto è vero che papa Francesco parla di troppa frociaggine». E poi esiste un terzo blocco che prescinde dalle ideologie. Da un lato è legato alla malavita. C’è poi una zona grigia, sempre più diffusa, composta da giovanissimi che agiscono attraverso i social.
Vincenzo Branà: «Spesso gruppi di ragazzi replicano una modalità tipica dei gruppi neonazisti attivi nei Paesi omofobi: si apre un profilo falso su Grindr, si adesca un gay adulto, gli si dà appuntamento in un luogo. Una volta lì, il ragazzo assieme ai complici pesta e rapina l’uomo. In alcuni casi si arriva anche alle sevizie, al ricatto, all’estorsione.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
MELONI COME PRESIDENTE DEL PARTITO HA SBORSATO 12MILA EURO. I PIÙ GENEROSI SONO I SENATORI MICHELE BARCAIUOLO E MARCO SCURRIA, CON 42MILA EURO DI “DONAZIONE”
Se la giovane Flaminia Pace si beava dei 500 euro pagati dallo stato ai giovani fasci di “Gioventù nazionale” per il servizio civile, gli adulti di Fratelli d’Italia pagano l’obolo al partito che li ha fatti eleggere in Parlamento.
Si chiama vincolo di gratitudine, o più semplicemente autofinanziamento, ed è una pratica comune a tutti i partiti. Nulla di strano. La cosa curiosa è vedere però la sproporzione tra i versamenti, segno dell’esistenza di una sorta di “privilegio” dell’anzianità: i seniores del partito pagano meno.
Il più “tirato” è Ignazio La Russa, che è in fondo alla classifica con appena 6000 euro versati. Accanto a lui il sottosegretario alla Salute Gemmato che, come parlamentare, versa appena 5mila euro (mentre la sua farmacia ne versa 8mila).
Come La Russa il sodale Marco Osnato (genero del fratello di ‘Gnazio, Romano), che contribuisce alla patriottiche casse del partito con 6000 euro, mentre l’uomo delle tlc della Meloni, Alessio Butti, versa 9000 euro.
E la Ducetta? Come presidente di Fratelli d’Italia ha sborsato 12mila euro, così come il suo braccio destro (e teso) Fazzolari, i ministri Urso, Fitto, Ciriani, Santanchè, Lollobrigida, i presidenti di commissioni Tremonti, Trancassini. Leo, viceministro dell’Economia e tributarista, è più generoso, come il sottosegretario alla giustizia, Delmastro, che tira fuori dalla “fondina” 13mila euro. Il coinquilino Donzelli si ferma a 11mila.
I più generosi? I senatori Michele Barcaiuolo e Marco Scurria, con 42 mila euro gentilmente donati al partito, il deputato Alessandro Amorese, con 37mila, la presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo, con 32 mila euro e il “gabbiano” Fabio Rampelli con 24 mila euro.
Nel computo non si fa menzione del ministro, Guido Crosetto, che evidentemente non versa più al partito, pur non essendosi mai dimesso, e il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano probabilmente perché non è iscritto. (O, se lo è, ha le braccia molto corte)
Gli eletti di Fdi alla Camera sono 118, al Senato 63, all’Europarlamento, nell’anno considerato, il 2023, erano 8 (dopo il 9 giugno sono 24).
In tutto, 189 fratelli e sorelle d’Italia che hanno contributo per oltre 3 milioni di 900mila euro. Infine, 80 mila euro arrivano da varie società, che hanno versato dai 20 ai 5 mila euro ( tra i quali Edit Holding, Publitalia International srl, Ingegneria Costruzioni Colombrita, Recupero Ecologico Interti)
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
ANZIANI E DISABILI RICEVONO IN MEDIA SOLO 18 ORE DI ASSISTENZA DOMICILIARE ALL’ANNO, CONTRO LE 20 AL MESE PREVISTE DAGLI STANDARD EU… MA IL GOVERNO DEVE PENSARE A CONDONARE GLI EVASORI
Se le persone non autosufficienti sono già 2,9 milioni diventeranno 5 milioni su 20 milioni di over 65 nel 2030. E non bisogna essere illustri epidemiologi per capire che andrà aumentando anche la popolazione che necessita di essere curata e assistita in casa propria. Ma l’Adi, l’assistenza domiciliare integrata, resta un miraggio per i più.
L’ultimo rilevamento di Agenas, di pochi giorni fa, parla infatti di 529mila anziani in più che hanno beneficiato dell’Adi nel corso del 2023, che sommati ai 459mila in carico l’anno precedente fanno quasi un milione, 988mila per l’esattezza, pari al 6,9% degli over 65. Bene si dirà. «Nemmeno per sogno», replica secco Alessandro Chiarini, presidente Confad, il Coordinamento nazionale delle famiglie con disabilità,
Un rapporto del ministero della Salute che, quantificando in circa due milioni la quota di popolazione assistita in un anno a domicilio, svela poi l’arcano, indicando in sole 18 ore l’anno quelle di assistenza offerte contro le 20 minime, ma mensili, ritenute a livello internazionale necessarie per consentire a un non autosufficiente di restare a casa senza peggiorare. E le cose vanno ancora peggio dopo la pandemia.
Una recente indagine dell’Osservatorio malattie rare ha rilevato che nel 60% dei casi le prestazioni sono molto diminuite e in un altro 8% si è comunque avuta una riduzione delle ore erogate. Insomma in 7 casi su dieci si è persino andati indietro anziché avanti.
Un problema per chi ha bisogno di assistenza e un costo maggiore per le casse dello Stato, «visto che dove si fa meno Adi aumentano i ricoveri», fa notare Salvatore Pisani, epidemiologo e direttore del centro studi Fismu, sindacato dei medici territoriali.
«E quando si leggono quei numeri risibili sulle ore di Adi da erogare agli anziani bisogna considerare che il problema è ancora più grave al Sud , dove – spiega ancora Pisani – sia per ragioni culturali che per le difficoltà a sostenere le spese della retta in Rsa, molti anziani non autosufficienti vengono assistiti in casa, con grande sacrificio dai familiari».
Comuni e Servizio sanitario nazionale, si sa, sono da sempre alle prese con buchi di bilancio «e a pensar male si potrebbe dire che questa è la causa della disinformazione sul come attivare i servizi, che raramente Asl e Comuni comunicano a chi ne avrebbe diritto», spiega a sua volta Chiarini.
E poi, l’assistenza domiciliare «è molto tarata sulla popolazione anziana, disapplicando di fatto la legge 328 del 2000, che affida ai Comuni il compito di attivare progetti di vita indipendente anche a persone di età inferiore, mentre l’assistenza a ragazzi e bambini sotto i 14 anni spesso non è proprio contemplata», denuncia sempre il presidente Confad.
C’è poi il problema di chi eroga l’Adi, sempre più affidata a cooperative private, «che spesso contingentano il personale, magari inviando operatori socio-sanitari anziché infermieri, fisioterapisti e medici», precisa Chiarini.
Ora il Pnrr dovrebbe aiutare ad implementare l’offerta di servizi. Ma ancora una volta si rischia di far messa senza il prete, perché sul mercato scarseggiano proprio infermieri e fisioterapisti. Le figure cardine di un’assistenza domiciliare negata, offerta a un numero maggiore di italiani, ma sempre più con il contagocce.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL LEGALE DI PAOLA: “INACCETTABILE, VALUTEREMO ALTRE AZIONI”… ORMAI LE PROCURE SONO PIENE DI MAGISTRATI SOVRANISTI O CHE NON VOGLIONO ROGNE
Archiviata l’accusa di diffamazione avanzata dalla pallavolista Paola Egonu contro il generale Roberto Vannacci. Cosi ha deciso il gip Alessandro Dal Torrione che ha accolto la richiesta della procura di Lucca
Era stata la campionessa a querelare il generale, neo eletto al Parlamento europeo, dopo che sul suo libro, “Il mondo al contrario” aveva scritto: “Anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità…”.
Quella frase “ben può’ essere valutata come impropria e inopportuna” anche “in merito al riferimento (che appare ingiustificato) a una specifica persona che legittimamente si è doluta di essere chiamata in causa”. Ma “non risulta tuttavia emergere un superamento del limite della continenza che possa dirsi indicativo della volontà, da parte dell’indagato, di offendere gratuitamente la reputazione” di Egonu, “di denigrarla, di sminuirne il valore, di portare un attacco indebito alla persona”.
Lo scrive il gip di Lucca Alessandro Dal Torrione nell’ordinanza di due pagine con cui ha archiviato l’accusa di diffamazione nei confronti della pallavolista Paola Egonu per il generale Roberto Vannacci.
Ulteriori indagini, come richiesto dal legale della campionessa, scrive ancora il gip “non appaiono esperibili con profitto e utilità concreta tale da poter condurre a una diversa valutazione in ordine alla sostenibilita dell’accusa in giudizio”.
“E’ la vittoria della liberta di opinione – commenta l’avvocato Massimiliano Manzo, difensore di Vannacci – Siamo felici dell’esito del procedimento e di aver trovato un giudice che ha ascoltato le nostre ragioni”.
Avvocato Egonu, ‘archiviazione Vannacci?Valuteremo altre azioni’
“Inaspettatamente archiviata, valuteremo altre azioni. Decisione inaccettabile”. Sono le parole dell’avvocato di Paola Egonu, Simone Facchinetti, di fronte alla decisione del gip di Lucca.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL CONTO DELL’AUSTERITÀ SARÀ DI UNA DECINA DI MILIARDI OGNI 12 MESI, A CUI VANNO SOMMATI I 20 MILIARDI CHE SERVIREBBERO A CONFERMARE LE MISURE MINIME DELLA MANOVRA… COME FARE? VISTO CHE ALTRO DEFICIT È ESCLUSO, O SI TAGLIA LA SPESA, O SI ALZANO LE TASSE
Archiviate le elezioni europee, l’Italia torna con i piedi per terra. Dopo la politica, ecco l’economia. Mercoledì la Commissione europea metterà undici Paesi, tra cui il nostro e la Francia scossa da venti di destra, in procedura per deficit eccessivo. Venerdì invierà ai governi la “traiettoria tecnica”, il sentiero di aggiustamento della spesa alla base del piano di bilancio che il governo Meloni dovrà presentare a Bruxelles entro il 20 settembre.
Le regole sono nuove. E figlie del nuovo Patto di stabilità che i nostri parlamentari di maggioranza non hanno votato a Bruxelles, astenendosi. Ma che l’esecutivo ha benedetto in seno al Consiglio Ue di fine aprile. Una contraddizione che esploderà, inevitabilmente, quando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, come promesso «entro l’estate», presenterà il Def programmatico in Parlamento.
Quella parte cioè del Documento di economia e finanza omessa in aprile, perché con le elezioni alle porte il governo ha preferito inserire cifre di deficit e debito per il prossimo anno solo “tendenziali”, a “politiche invariate”. In pratica, congelate: senza prevedere il rinnovo di almeno 20 miliardi di misure, tra cui il taglio del cuneo e dell’Irpef che ne valgono 15.
Per paradosso, l’infrazione europea conviene all’Italia. Perché quando un Paese ha un deficit eccessivo, deve abbassarlo di mezzo punto all’anno (al netto della spesa per interessi). E mentre lo fa non deve applicare la nuova regola del Patto: il taglio del debito di un punto all’anno che dunque viene rimandato all’uscita dell’Italia dall’infrazione sul deficit. Un gioco ad incastri tutto sommato favorevole.
Non fosse che la regola base del nuovo Patto di stabilità – il tetto massimo della spesa netta da non sforare – non può essere derogata, a meno di circostanze eccezionali. E solo con l’autorizzazione del Consiglio Ue, ovvero degli altri governi, in questo momento (soprattutto Francia e Germania) alle prese con forti fibrillazioni politiche interne. Ecco quindi che l’Italia dovrà per forza di cose mettere i suoi conti pubblici a dieta. Non ci saranno più “tesoretti” da usare (se ci fossero, sarebbero vincolati al fondo taglia-debito). O “extra deficit” da fare, come ormai tutte le manovre dal 2020 in poi ci hanno abituato.
Se dunque spendere in deficit non è più un’opzione, da questa settimana si apre la caccia alle coperture per la manovra d’autunno. Mentre infatti i tecnici dell’Economia passeranno l’estate a scrivere il Piano di bilancio con l’aggiustamento dei conti in 7 anni accompagnato dall’indicazione obbligatoria di riforme e investimenti da fare, il governo Meloni dovrà decidere se rinunciare a 20 miliardi di misure e stare in “traiettoria” Ue.
O se salvarne almeno 15 (cuneo e Irpef) per evitare di perdere la faccia e alzare di fatto le tasse da gennaio. Circa 7 miliardi potrebbero spuntare nei prossimi mesi, tra avanzi dei nuovi sussidi per la povertà (andati a metà dei beneficiari) e risorse dall’attuazione della delega fiscale.
Per il resto, solo opzioni lacrime e sangue: tagliare la spesa (con sanità e scuola nel bisogno) o alzare le tasse, ad esempio Iva e accise. Poi ci sono le rinunce. Possibile quella a rifinanziare il pacchetto pensioni da 630 milioni: Quota 103, Ape sociale, Opzione donna, aumento delle minime.
La richiesta della Lega di fare Quota 41 sembra lunare. Anzi, il governo sarà tentato di tagliare ancora l’indicizzazione degli assegni all’inflazione che da gennaio torna ad essere più favorevole.
Che fine farà poi il taglio del canone Rai a 70 euro caro a Salvini (vale 430 milioni)? E la social card “Dedicata a te” di Lollobrigida (altri 600 milioni)? Lo sgravio per le mamme lavoratrici con due figli (368 milioni)? La garanzia per il mutuo prima casa delle giovani coppie (282 milioni)? Il pacchetto del welfare aziendale con i fringe benefit (483 milioni)?
Tutte misure che scadono a fine anno, figlie della politica miope dei bonus a tempo del governo Meloni, senza un disegno o una strategia. La manovra d’autunno più complessa degli ultimi anni comincia a delinearsi per quello che è: una manovra d’austerity.
(da Repubblica)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
ADOZIONI E ABORTO
Alessandra Mussolini ha da tempo cambiato rotta sui diritti civili. Ha sostenuto il Ddl Zan e ha rifiutato il passaporto diplomatico per denunciare come discriminatorio l’obbligo di dichiararsi maschi o femmine.
Oggi in un’intervista a La Stampa dice che il governo Meloni è rimasto indietro rispetto alla società e che la Costituzione deve tutelare il corpo delle donne. «L’anno scorso l’Italia ha posto il veto in Consiglio europeo sul regolamento che uniforma le procedure di riconoscimento dei figli in tutti gli Stati dell’Unione, di modo che i bambini nati in famiglie omogenitoriali vengano automaticamente riconosciuti come figli di entrambi i genitori, cosa che avviene in tutta Europa ma non da noi: da noi, il genitore non biologico deve adottare il bambino», dice.
Le adozioni dei single
Mussolini dice che tutto ciò è assurdo «almeno quanto il fatto che i single non possano adottare. Gli italiani non godono di diritti che altrove sono consolidati, quindi, se anche il governo non ha fatto passi indietro rispetto alle nostre leggi, è rimasto indietro rispetto all’evoluzione della nostra società e indietrissimo rispetto all’Europa, di cui fa parte. In campagna elettorale, più che sentire parlare di questo, ho sentito cose invereconde sull’aborto». Tra queste, sostiene, «l’importanza di indurre il ripensamento nelle donne che decidono di abortire. Anche se è stato detto in termini più gentili. Dovremmo affrontare, invece, la questione dell’obiezione di coscienza, che è una violazione del giuramento di Ippocrate ed è, soprattutto, pericolosa per chi decide di interrompere una gravidanza: allunga i tempi per farlo e aggrava il peso psicologico che può derivarne».
L’aborto in Costituzione
Sulla proposta di mettere l’aborto in Costituzione, dice che non la convince «perché l’aborto è una libertà individuale, ma è pur vero che garantirla in Costituzione significherebbe rendere anticostituzionali gli obiettori di coscienza. Sarebbe un ottimo escamotage. Quasi quasi…». Ma non ha intenzione di traslocare nel Pd: «Neanche per sogno, sto bene dove sto. Forza Italia ha una visione laica e inclusiva, io ho sempre detto quello che penso e non ho mai ricevuto pressioni. E poi il Pd non è un partito particolarmente coraggioso in tema di diritti. Al parlamento europeo sono stata io a porre il problema dell’identità di genere, mica la sinistra». Ma il Pd ha proposto il ddl Zan. «E io l’ho sostenuto».
Due punti
E quando le chiedono tre punti del suo programma sui diritti, replica: «Gliene dico due. Primo, riconoscimento dei minori a prescindere da dove e come siano nati. Secondo, pagare le donne più degli uomini: aggiustiamo il gap salariale, mettiamo le donne in condizione di essere indipendenti, e rafforzeremo la loro capacità di denunciare le violenze, quindi di arginarle. Ecco cosa dovremmo mettere in Costituzione: che le donne guadagnino non quanto gli uomini, ma un po’ di più, così che possano pagarsi gli assorbenti, le terapie ormonali per la menopausa, la cura e l’assistenza durante la gravidanza e l’allattamento. Ci sono donne che non hanno neanche un conto corrente e dobbiamo sentire maschi che straparlano di pensioni che non pagheremo perché le donne non fanno figli?».
(da agenzie)
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