Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
NEL VECCHIO MSI C’ERA ALMENO DI TUTTO , ANCHE CHI AVREBBE MESSO AL MURO GLI EVASORI E GLI SFRUTTATORI DEL LAVORO NERO, MILITANTI CHE SOGNAVANO UNA EUROPA NAZIONE CONTRO GLI IMPERIALISMI E CHE VOLEVANO LA PARTECIPAZIONE AGLI UTILI DEI LAVORATORI… ORA CHE NESSUNO RISCHIA PIU’ LA PELLE SONO ARRIVATI I “CONSERVATORI”, QUEI “BRAVI BORGHESI” CHE SANNO SOLO ODIARE LE MINORANZE E NEGARE DIRITTI PER “CONSERVARE” I PROPRI PRIVILEGI
Le polemiche di questi giorni sull’inchiesta di Fanpage non possono certo sorprenderci: certe “uscite” nostalgiche dei giovani dirigenti di Fratelli d’Italia sono il prodotto di un partito “acchiappagonzi” che aveva una specificità quando era al 5% ma che ha imbarcato di tutto pur di conquistare voti e poltrone. Dentro ex missini, ex leghisti, ex liberali, ex estremisti, razzisti, evasori fiscali, balneari e tassisti, lobby dei campi, partite Iva, ammiratori di Hitler ed esponenti della Comunità ebraica, intellettuali sfigati e caproni, sessisti ed omofobi, fautori della case chiuse e puttanieri di strada, un mix che permette in Italia di arrivare alle soglie del 30%, rappresentando degnamente tutte le “migliori” categorie del Paese.
Riconoscendomi solo nella categoria degli “ex missini” una domanda la pongo a questi giovani sedicenti “fascisti”: se vi ritenete fascisti che ci state a fare in Fdi? Se pensate di avere come riferimento il Msi , a maggior ragione, che c’azzecca con il partito della Meloni? NULLA è la risposta.
Dopo 80 anni dalla fine del fascismo l’unica cosa che siete capaci a fare è il saluto gladiatorio o quello romano? Fare gli anticomunisti quando il comunismo è morto? Insultare le minoranze quando per una vita siete stati minoranza? Scalare le cariche di un partito che parla di “Europa delle Patrie” e non di “Europa Nazione” come urlavamo noi vecchi missini nei cortei? Noi eravamo “alternativa al Sistema”, voi siete al “servizio del Sistema”, accettando di favorire poteri forti, lobby economiche e finanziarie. Noi facevamo le collette per la carta dei ciclostili perchè non c’era una lira, voi siete finanziati per centinaia di migliaia di euro dal partito che a sua volta li riceve dai gruppi industriali. Il Msi faceva i congressi dove si confrontavano le diverse anime, voi vi siete piegati per ambizione al “potere unico”. Avete fatto un congresso a Roma dove l’unica distinzione “ideologica” era tra essere meloniani o rampelliani, nel Msi si discuteva per giorni di “linea politica” non di spartizione delle poltrone. Dov’e’ finita la “partecipazione” dei lavoratori agli utili (in Germania i rappresentanti dei lavoratori sono nei Cda delle aziende)? Ora siete a difendere gli interessi di monopolisti, lobby e poteri forti: questa è DESTRA ECONOMICA speculativa, non “Movimento sociale”, non “Destra Sociale”.
Allora evitate di sporcare il passato con appartenenze non richieste, meno esibizioni da avanspettacolo che vi rendono ridicoli e imparate a studiare una destra del futuro che sia realmente “alternativa”: la politica deve dare rappresentanza a chi non l’ha, alle categorie deboli, alle minoranze sociali, ai diritti civili, alla meritocrazia che ha senso solo se prima assicuri a tutti uguali base di partenza.
Imparate l’umiltà, l’ascolto, la solidarietà, la coerenza, uno stile di vita non da ringhiosi bulli dei giardinetti ma da “portatori di valori” positivi.
A 20 anni si guarda avanti, non si recitano vecchi copioni, si fa teatro d’avanguardia.
O si finisce per essere VECCHI DENTRO come voi.
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Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
“FOSSERO COERENTI DOVREBBERO ESPELLERE LA META’ DEI GIOVANI E UN TERZO DEGLI ISCRITTI, TOGLIERE LA FIAMMA E COSI’ MELONI SI RITROVA AL 16%”
Sull’inchiesta di Fanpage sui giovani di Fratelli d’Italia è intervenuto Roberto Longhi Lavarini.
Si tratta di un noto esponente del neofascismo milanese, conosciuto come il Barone nero, che ha deciso di attaccare i vertici di FdI accusandoli di essere «pateticamente ipocriti».
Come riportato da Repubblica, Jonghi Lavarini ha attaccato il partito della premier Giorgia Meloni e commentato: «Metà dei giovani di Fratelli d’Italia è esattamente come queste belle e brave ragazze».
Il riferimento è a Flaminia Pace, Elisa Segnini e Ilaria Partipilo, le militanti di Gioventù nazionale. E poi è passato all’attacco: «I vertici di FdI sono pateticamente ipocriti, dovessero uscire fuori le loro battute…».
Per il Barone nero, Fratelli d’Italia ha dimostrato incoerenza e ipocrisia: «Fossero coerenti dovrebbero espellere la metà dei giovani e un terzo degli iscritti a questo punto. Fatelo, ma poi togliete la fiamma e vedrete i consensi scendere al 16 per cento».
Secondo Jonghi Lavarini i tributi al Duce e i cori fascisti e nazisti, oltre alle battute, sono all’ordine del giorno all’interno di FdI. E anche per questo se l’è presa con Giovanni Donzelli: «Invece di difendere i loro dirigenti giovanili, subito li scaricano come inutile zavorra. Donzelli non si era mai accorto delle idee della sua collaboratrice? Sapeva benissimo ed ora fa tutto lo scandalizzato, facendo un ignobile scaricabarile contro giovani e donne». E ancora: «Dovrebbe essere lui a dimettersi, non la sua segretaria».
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
LE AREE LIBERALI E CATTOLICHE SONO IN IMBARAZZO, SOTTO ATTACCO LA GESTIONE DI DONZELLI
L’inchiesta di Fanpage, che ha fatto emergere l’antisemitismo e l’ostentazione di retaggi fascisti dentro Gioventù nazionale, la giovanile di Fratelli d’Italia, è stata come una manciata di sale su una ferita aperta dentro il partito di Giorgia Meloni.
Esternamente il solco della difesa è stato tracciato dal responsabile organizzazione Giovanni Donzelli, abituato a parlare facendo le veci della premier, che su fatti di questo tipo preferisce il silenzio stampa.
Il deputato ha utilizzato due argomenti: quello delle singole mele marce di cui FdI ha già fatto repulisti ma, soprattutto, quello della critica all’inchiesta di Fanpage fatta «con modalità che sono incredibilmente inaccettabili».
Che la linea fosse concordata, tuttavia, è emerso dal commento che infine è stato strappato anche a Meloni, a margine del Consiglio europeo. «Quello di Fanpage è un metodo da regime, infiltrandosi in un partito», ha detto la premier, pur aggiungendo che interverrà perché «chi ha sentimenti razzisti, antisemiti e nostalgici ha sbagliato la propria casa».
Internamente, invece, le chat ribollono e la linea di quello che è stato soprannominato il “clan Meloni” ha messo in luce le due anime sempre più in contrapposizione.
Da un lato il vertice romano, composto da chi con Meloni ha condiviso la militanza giovanile o ha rapporti di parentela, vedi Andrea Delmastro, Giovanni Donzelli, Chiara Colosimo, Giovanbattista Fazzolari, Arianna Meloni e Francesco Lollobrigida, più Ignazio La Russa e la sua terminazione familiare Marco Osnato, cui si aggiungono di fatto tutti i vertici delle commissioni nei due rami del parlamento.
Dall’altra, invece, ci sono circa un centinaio di parlamentari, prevalentemente alla Camera, che hanno vissuto con insofferenza tutte le ultime scelte interne e provano imbarazzo a essere accostati alle immagini viste nei video.
Chi accetta di rispondere, tuttavia, lo fa off the record, perché – immancabile – dalla direzione del partito è arrivata la calda raccomandazione di non rilasciare dichiarazioni.
Del resto, i veleni interni sono molti, tanti quanti gli scontenti rispetto alla gestione che viene definita «verticistica» del duo Arianna Meloni-Donzelli, «che nemmeno nel Msi si era mai verificata», dice uno degli ex, ricordando che nel vecchio partito missino si confrontavano almeno altre due componenti oltre a quella di Almirante.
Lo stesso era anche nella vecchia Alleanza nazionale, dove coabitavano la componente sociale di Gianni Alemanno, l’area più liberale di Altero Matteoli e dell’attuale ministro Adolfo Urso, quella conservatrice di Ignazio La Russa. Oggi questa differenza dentro FdI è stata «schiacciata», generando insoddisfazione in chi è stato eletto – anche grazie al boom elettorale di FdI – ma viene da mondi più moderati.
In pochi parlano, però, anche se è opinione diffusa che qualcosa non solo dentro la giovanile, ma anche nel partito non vada. Nei giorni scorsi si è esposto il deputato Andrea de Bertoldi, storico esponente fondatore di An di area cattolico-liberale, il quale ha detto che è «inaccettabile vantarsi di essere fascisti, nazisti, razzisti e antisemiti» e sull’inchiesta di Fanpage ha espresso opinione molto diversa da Donzelli: «Se non si è stati in grado di estirpare le mele marce autonomamente, bisogna ringraziare chi, anche con metodi non cristallini, permetteranno di fare pulizia. E spero che non ci si tiri indietro nei riguardi di alcuno».
Del resto, da tempo girano voci di un suo rapporto piuttosto burrascoso con il responsabile organizzazione, che lo avrebbe osteggiato in varie occasioni anche in terra trentina. Contattato da Domani su questo, de Bertoldi si è limitato a un secco «no comment».
Anche il senatore Marco Silvestroni all’Huffington Post ha detto che nel 2016 una circolare aveva messo in chiaro di non affiggere immagini riferite al passato: «Noi nasciamo come conservatori europei e non abbiamo nostalgie fasciste, né tantomeno antisemite». A chiedere espulsioni si è spinto anche Fabio Rampelli, vertice dell’unica minoranza interna al partito riconosciuta e apertamente osteggiata dal “clan” della leader: «Le espressioni deliranti di intolleranza, nascoste dietro una facciata di paraculesca presentabilità, vanno immediatamente sanzionate. Chi sbaglia paga».
Una terza posizione ancora è stata espressa da Gianfranco Rotondi, esponente di razza della Dc e oggi eletto con FdI, che dà ragione a Donzelli «quando dice che non si può trarre un giudizio su un intero movimento giovanile dagli episodi mostrati. Anche perché obiettivamente, da Fini in poi, la destra italiana è stata sempre amica del mondo ebraico». Tuttavia non condivide l’attacco a Fanpage, «che non è un giornale che tende trappole, ma un giornale d’inchiesta tra i più interessanti».
Con assicurazione di anonimato, invece, le accuse alla gestione del partito si sprecano. La commissione dei probiviri verrebbe usata per regolamenti di conti interni. «Perché non è mai stato deferito nessuno di quelli pescati con il braccio teso?», si chiede un esponente dell’area cattolica.
Fastidio ha generato anche il fatto di aver ridotto a «ragazzate» le parole nei video, visto che le ragazze riprese sono tutte ultraventenni. Altra domanda è chi mai abbia consigliato a Ylenja Lucaselli, deputata FdI che ha avuto trascorsi nel Pd, di scegliere come capo segreteria Elisa Segnini, una delle giovani dirigenti che si sono dimesse.
Secondo fonti interne, sarebbe stato un modo per Lucaselli di accreditarsi agli occhi del “clan”. Del resto, a ora, l’ultima che ancora non ha fatto passi indietro è Caterina Funel, collaboratrice di Donzelli. Dietro la facciata del tutti uniti dietro il nemico di turno che ora è diventato Fanpage, questo è il clima dentro FdI. E anche i vertici iniziano ad accorgersene.
(da Domani)
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Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
MESSA IN UN ANGOLO DAL QUINTETTO MACRON-SCHOLZ-SANCHEZ-TUSK-MITSOTAKIS, ABBANDONATA PURE NEL SUO GRUPPO ECR, IERI SI È CONSUMATO IL FALLIMENTO EUROPEO DEL CAMALEONTE MELONI …UNO PSICO-DRAMMA CHE SI TRASFORMA IN UNA FARSA DEMENZIALE CON SALVINI CHE BERCIA AL “COLPO DI STATO EUROPEO”
Che cosa si prova a diventare una gallina lessa, una lingua in salmì, uno zampetto con mostarda, e finire sbattuta in un “carrello di bolliti misti”, a un passo dall’irrilevanza politica?
Vi ricordate quando, un anno e mezzo fa, in campagna elettorale, parlando di Europa, Giorgia Due-Meloni aveva detto, tra sbarramenti oculari e digrignar di denti, che con lei al Governo la pacchia a Bruxelles sarebbe sicuramente finita? Come no, oggi “La pacchia è finita”, ma per l’Italia.
Messa in un angolo dal quintetto Macron-Scholz-Sanchez-Tusk-Mitsotakis, ieri si è consumato il fallimento europeo di Giorgia Meloni. Grazie alla sua arroganza coatta, isto che le vice presidenze esecutive in dote alla Commissione sono tre e sono appannaggio ovviamente di Germania, Francia e Polonia, alla fine Meloni si porterà a casa quel merluzzone di Fitto come commissario di seconda fascia con una vicepresidenza altrettanto di “bandiera”, cioè priva di deleghe operative. (Deleghe che sarebbero cruciali per poter sostenere nel 2025 una situazione economica disastrosa. Il nuovo Patto di stabilità si traduce in oltre 12 miliardi di tagli l’anno per l’Italia. Tagli che ricadranno, è facile prevederlo, su sanità, scuola, lavoro e che comporteranno nuove tasse)
La più bruciante stronzata meloniana è stata sicuramente quella di aver votato no al socialista portoghese Costa come presidente del Consiglio Europeo, uno che viene eletto dai presidenti e premier dei 27 paesi dell’Unione e che ha ricevuto addirittura il voto favorevole pure del sovranista Orban.
Ma la Poverina, per tenere a bada le sparate del mal-destro Matteo Salvini, aveva tuonato pubblicamente: “Mai con i socialisti” (come dice James Bond, in politica “Never say never!”). Come per “salvaguardare le sensibilità del governo”, si è astenuta poi su Ursula von der Leyen, cara al Ppe Tajani, con la speranza di un do-ut-des (voti FdI in cambio di un posto di primo piano in Commissione). Come finirà lo sapremo il 18 luglio con il voto in plenaria al Parlamento Europeo.
Altro capolavoro politico è stato poi il no all’invito del polacco Tusk che, su spinta di Tajani, l’aveva convocata a un pre-vertice del Consiglio ma doveva presentarsi unicamente in qualità di premier italiana, anziché di presidente dei Conservatori (i socialisti di Scholz e i liberali di Macron avevano posto un veto assoluto verso i sovranisti estremisti di Vox, Pis e compagnia cantante)
“Se qualcosa può andar male, lo farà”, prevede la Legge di Murphy. E così è stato. La presidentessa dei Conservatori si è pure ritrovata abbandonata come una orfanella sui gradini della chiesa dall’altro premier di Ecr nel Consiglio Europeo, il ceco Petr Fiala, che ha dato il suo assenso a tutti e tre i top jobs: Von der Leyen, Costa, Kallas.
E la “psiconana” (copy Grillo) lo sapeva benissimo, in quanto Fiala lo aveva prima del voto in Consiglio: “Per la Repubblica Ceca è fondamentale che la distribuzione rispetti non solo l’equilibrio politico, ma anche quello geografico. I nomi proposti soddisfano questi criteri. Inoltre li conosco tutti personalmente, hanno un rapporto positivo con la Repubblica Ceca e ho un’ottima esperienza di lavoro con loro”.
Il capitombolo di “Meloni, detta Giorgia” si è poi trasformato in un sadico “calci in culo” azionato dal giostraio ungherese Viktor Orban che ha pensato bene di sparigliare il “pacchetto top jobs”, infiocchettato da Macron-Sholz, votando contro Ursula, per astenersi poi sulla bella Kallas e infine votando addirittura a favore del socialista portoghese Costa.
Ma questo è niente: fallita a Roma l’intesa per entrare in Ecr, l’impresentabile Orban ha subito ingranato la quinta annunciando di aver i numeri (23 eurodeputati) per dar vita al quarto gruppo sovranista europeo. Olè!
Ma il peggio per la Sora Giorgia doveva ancora arrivare: Mateusz Morawiecki, che guida i polacchi del Pis, ha definito “non scontata” la permanenza all’interno dei Conservatori. Tentato di sbarcare nel nuovo gruppo di Orban, ha dichiarato: “La darei al 50%, siamo tentati da tutte e due le direzioni”. Un casino tale che è stato rinviata la nomina dei capogruppo di Ecr nella nuova Commissione
Particolare importante: il Pis rappresenta nei gruppo dei Conservatori la seconda delegazione (20 eurodeputati), dopo FdI con 24. In caso di trasloco, sarebbe una brutta botta per la Melona che aveva recentemente annunciato trionfate di essere il terzo gruppo europeo, sorpassando i liberali di Renew Europe di Macron.
Lo psico-dramma dell’Evita Peron del Colle Oppio diventa una farsa demenziale se si pensa che I tre partiti che compongono il governo Meloni viaggiano in Europa ognuno per i cazzi loro.
Se Fratelli d’Italia sceglie la via dell’astensione su von der Leyen, Forza Italia di Antonio Tajani conferma il suo sì convinto al bis della presidente di Commissione mentre Matteo Salvini alza le barricate: “Quello che sta accadendo sulle nomine Ue puzza di colpo di Stato“, ha tuonato il leader della Lega, al fine di costringere la premier della Garbatella a mantenere la sua sconsiderata posizione anti Consiglio Europeo.
Una dichiarazione talmente folle, quella del leader della Lega, che ha fatto rizzare i peli e capelli a tutta Bruxelles, compresi i più moderati: fino a prova contraria, Salvini è vicepremier del governo italiano. Se Tajani ha infatti subito precisato alle agenzie che “quel linguaggio non appartiene al Forza Italia”, la Melona non ha aperto la boccuccia.
‘’La Meloni ha preferito restare nel ghetto degli anti-europei e ha trascinato nella quarantena politica anche il Paese che rappresenta”, sottolinea l’editorialista di “Repubblica”, Andrea Bonanni. ‘Messa in un angolo dai governi europeisti, la premier rischia di essere rinnegata anche dai suoi camerati nazionalisti e anti-Ue. Un bel risultato, per chi voleva “andare in Europa a testa alta”, ma non sa che cappello mettersi”.
(da Dagoreport)
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Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
OK LE DIMISSIONI DELLE “MELE MARCE” FLAMINIA PACE ED ELISA SEGNINI, MA NON SARANNO PRESI PROVVEDIMENTI SULL’ORGANIGRAMMA DEL MOVIMENTO GIOVANILE “GIOVENTÙ NAZIONALE”… SARÀ AVIVATO UN PROCEDIMENTO DISCIPLINARE, MA I TEMPI SARANNO LUNGHI E NON SARANNO TOCCATI “QUEI RAGAZZI STUPENDI” (GIORGIA-DIXIT)… LA DELUSIONE DI ESTER MIELI, EBREA CHE SI È CANDIDATA CON FDI
«In merito ai filmati diffusi da Fanpage voglio precisare che, come senatrice della Repubblica italiana componente di FdI, non mi riconosco in quelle immagini, in quei comportamenti e in quelle parole. Non ritrovo la realtà che conosco di Fratelli d’Italia e Gioventù nazionale».
La secca reazione di Ester Mieli all’inqualificabile materiale emerso su di lei in quelle immagini non svela alcuna incrinatura col suo partito: «È evidente che la presenza di elementi nostalgici piegati a un passato riprovevole e criminale non mi appartengono. Le parole e i comportamenti sono per me motivo di condanna e di disapprovazione».
Frasi calibrate con attenzione per ribadire la sua fiducia in Fratelli d’Italia: «Sono sicura che i vertici sapranno confermare la vocazione e la sostanza di un partito conservatore completamente libero da ideologie e comportamenti nostalgici» .
Torniamo all’ottobre 2022. Ester Mieli si candida al Senato nel centrodestra in quota FdI. E non sono pochi a chiedersi perché una ebrea romana abbia deciso così.
La risposta arriva da molte sue affermazioni di quel periodo: «La mia è una candidatura da cittadina italiana, ogni ebreo in Parlamento rappresenta sé stesso e non la sua comunità di appartenenza». Un modo per non coinvolgere nella sua scelta politica la Comunità ebraica romana, straziata tra l’ottobre 1943 e il giugno 1944 dai rastrellamenti nazisti.
Ester Mieli ha attraversato non pochi mari politici. Con Walter Veltroni sindaco di Roma partecipa alle primarie del Pd nel 2007 («di Veltroni ho grande stima e di lui mi colpisce soprattutto la forza»). Ma poi nell’ultima stagione di Gianni Alemanno, sindaco fino al 2013, diventa portavoce della giunta di centrodestra.
In quell’anno dice no anche alla proposta di candidatura nella lista Monti. Guida la comunicazione della Comunità ebraica romana ma resta, politicamente, nell’area del centrodestra.
Nel gennaio 2016 firma con suo nonno Alberto, classe 1925, scomparso poi nel 2018, sopravvissuto ad Auschwitz e a Mauthausen il libro Eravamo ebrei. Questa era la nostra ultima colpa (Marsilio).
Paolo Conti
(da il “Corriere della Sera”)
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Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
CASI IN AUMENTO DI 19.000 UNITA’… LA CASSA INTEGRAZIONE STRAORDINARIA HA SUBITO UN BALZO DEL 71%
Le difficoltà finanziarie delle aziende, aggravate dalla discesa più lenta del previsto dei tassi d’interesse, le tensioni geopolitiche e il calo dei consumi spingono in alto la cassa integrazione.
E cresce anche il numero di imprese in crisi, soprattutto nel settore metalmeccanico: il numero dei lavoratori coinvolti, calcola la Fim Cisl, è cresciuto di quasi 19 mila unità, superando così la soglia dei 100 mila addetti.
A maggio, comunica l’Inps, le ore totali autorizzate di cassa integrazione sono state 47,2 milioni, in crescita rispetto ad aprile (38,1 milioni), ma anche rispetto a maggio 2023 (34,5 milioni). I settori maggiormente coinvolti sono l’industria metalmeccanica, tessile e delle costruzioni (nel Nord Italia) e quello delle pelli, cuoio e calzature.
Rispetto ad aprile, è la cassa integrazione straordinaria (che viene chiesta per ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione aziendale) a registrare un balzo del 71%, mentre quella ordinaria cresce solo del 5,7%.
Gli incrementi registrati dall’Osservatorio, spiega l’Inps, sono dettati dalle dinamiche di mercato di alcune grandi aziende, che stanno attraversando un momento di profonda riorganizzazione e di riposizionamento nel mercato. Simili invece le variazioni su base annua, più 43,6% per la Cig e più 42,3% per la Cigs. In numeri assoluti, le ore di cassa integrazione ordinaria autorizzate a maggio 2024 sono state 26,3 milioni; 20 milioni la Cigs.
Se si guarda alle Regioni, per la Cig emergono aumenti tendenziali percentuali molto significativi, fino al 356%, per la Sardegna, seguita da Trentino e Puglia. Mentre per la Cigs in testa le Marche (+277%), seguite da Sicilia e Toscana.
Nelle aziende censite dalla Fim, in tutto 712, «si registra un forte calo delle commesse e la conseguente apertura della cassa integrazione in molte imprese». Si tratta di nomi di imprese che sono ormai entrate nella cronaca quotidiana: ex Ilva, Jsw di Piombino, Fimer che ha due sedi, Arezzo e Vimercate, ex Alcoa di Portovesme, Blutec, ex Lucchini, Superjet.
Resta sostanzialmente immutato secondo i metalmeccanici della Cisl il quadro delle “crisi storiche” affrontate al ministero delle Imprese e del Made in Italy per quanto riguarda il comparto metalmeccanico. Oltre 50 i tavoli di crisi, anche se ieri si è aperto uno spiraglio per una di queste aziende: la Fos di Battipaglia, gruppo Prysmian. Il sito sarà reindustrializzato con l’ingresso di Jcoplastic. Salvati i 278 lavoratori che saranno impiegati nella produzione di energia verde da idrogeno.
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
ALESSANDRA ROMPE IL SILENZIO SULLA LEGGE PER LA PROCREAZIONE ASSISTITA DEL 2004: “QUANTA CRUDELTA’ NEI CONFRONTI DEL CORPO DELLE DONNE”
Uno Stato, il Vaticano, che incide sulle politiche di un altro Stato, l’Italia. Si potrebbe sintetizzare così la denuncia fatta oggi – 28 giugno – da Alessandra Mussolini.
Al microfono di Simone Spetia, su Radio 24, l’europarlamentare di Forza Italia viene interrogata sul vasto tema dei diritti civili. Mussolini, che ha iniziato la sua carriera politica nel Movimento sociale italiano, passando per Alleanza nazionale per poi approdare in Forza Italia, ha sempre rappresentato un’avanguardia, in materia, per il centrodestra. «Non mi fate parlare del perché l’Italia non legifera su questo… io lo so molto bene, ma non lo voglio dire», afferma al cronista. Sollecitata, aggiunge: «Perché ci sono influenze religiose molto importanti. Gli emendamenti passano…».
A quel punto, Spetia insiste e domanda se gli emendamenti di deputati e senatori passano al vaglio del Vaticano o della Cei, prima dell’approvazione in Parlamento. Mussolini non nega, anzi racconta un episodio avvenuto durante la XIV legislatura, quando al governo c’era Silvio Berlusconi. Lei era una deputata di Alleanza nazionale e stava seguendo da vicino l’iter parlamentare di quella che diventerà la legge 40/2004. Ovvero, la legge che regolamenta la Pma, la procreazione medicalmente assistita. Mussolini, in Transatlantico, annunciò che aveva ottenuto dal leader Gianfranco Fini il via libera per proporre un emendamento che «stabilisce la diagnosi preimpianto e riguarda la revoca del consenso da parte della donna, nel caso di un embrione malato». Il testo si trovava al Senato, quindi l’emendamento doveva essere presentato lì.
«Fini ha giudicato che – senza emendamento – sarebbe stata un’atrocità sulle donne», aveva aggiunto Mussolini. «Non si può costringere una donna a farsi impiantare un embrione malato».
A distanza di più di 20 anni da quell’ottobre 2003, Mussolini spiega perché quell’emendamento non fu mai approvato. «Non volevano la diagnosi preimpianto. È un’assurdità: non è che tu produci gli embrioni e poi devi mettere tutto quello che hai prodotto nell’utero della donna, come se la donna fosse un laboratorio, una specie di contenitore. Bisogna invece selezionare gli embrioni che possono attecchire, ma anche vedere se ci sono malattie… Questa è civiltà, è libertà».
Quell’emendamento, denuncia oggi Mussolini, non è potuto passare perché è stata allontanata dalla commissione competente. «Sono stata mandata via dalla commissione e, al mio posto, sono entrati gli ultracattolici». Qual era la loro posizione? «Mettiamo tutto nel corpo della donna. Poi, al limite, si ricorre all’interruzione di gravidanza». L’esponente di Forza Italia imputa alle pressioni d’Oltretevere questa «crudeltà nei confronti della donna». E il legiferare in materia di diritti civili sarebbe stato più difficile «perché gli emendamenti venivano sottoposti al vaglio… e poi tornavano indietro». Quindi, conclude ironizzando, «noi abbiamo tre Camere: la Camera dei deputati, il Senato e il Camerino».
(da Open)
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Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
“HA MISTIFICATO I CONTENUTI DEL NOSTRO LAVORO, DETTO UNA SERIE DI FALSITA’ E OFFESO IL NOSTRO LAVORO DI GIORNALISTI”
Questo è un pezzo metodologicamente sbagliato, ve lo anticipiamo. Perché accetta consapevolmente il ribaltamento dei ruoli, ovvero giustificarsi di fronte a domande e accuse di chi detiene il potere; perché accetta un confronto in cui è invertito l’onere della prova, dando risposte ad attacchi generici e non circostanziati; infine, perché accetta i rischi dell’effetto Streisand, quello di amplificare bugie e mistificazioni.
Però, di fronte all’inaudita gravità di quanto accaduto in queste ore, crediamo sia un pezzo necessario, per fissare dei concetti e fare quello che abbiamo scelto da sempre: raccontare i fatti, in modo dare ai nostri lettori le coordinate per interpretare la realtà e farsi un’opinione.
Andiamo ai fatti, allora. Dopo una seduta piuttosto complicata del Consiglio Europeo, nella quale è emersa la scelta dell’Italia di non votare le tre più importanti cariche dell’UE (astensione su von der Leyen, contrarietà a Costa e Kallas), a notte inoltrata Giorgia Meloni ha tenuto un punto stampa con i cronisti che erano a Bruxelles. Superate le domande di rito sulla forte e gravida di conseguenze decisione di isolare politicamente il nostro Paese, la presidente del Consiglio ha risposto alle nostre domande sull’inchiesta Gioventù Meloniana, che appunto riguarda la giovanile del suo partito. Una piccola anomalia, data l’allergia alle domande, alle interviste e alle conferenze stampa dimostrata in questi mesi al governo.
Ora fermiamoci un attimo, perché prima di analizzare le sue risposte dobbiamo fare un veloce riassunto delle puntate precedenti. Dopo la pubblicazione della prima parte dell’inchiesta, infatti, la strategia utilizzata da Fratelli d’Italia era stata quella del silenzio. Con l’aiuto disinteressato dei giornali di area e le casuali amnesie del servizio pubblico, i dirigenti del partito che governa il nostro Paese avevano cercato di dare la minore visibilità possibile ai saluti romani, agli inni al Duce, ai Sieg Heil e agli altri gravissimi elementi che erano emersi nel primo servizio del team Backstair. Solo il ministro Ciriani era stato costretto a parlarne, obbligato da un’interrogazione parlamentare: ne era venuta fuori una difesa improponibile dei giovani di Fdi, con passaggi che sfioravano il ridicolo. Strategia che aveva funzionato solo in parte, dunque: se in televisione e sui giornali, tranne alcune rilevanti eccezioni, dell’inchiesta non c’era traccia, sui social e grazie al passaparola si raggiungevano numeri da record. Stando solo ai nostri canali di distribuzione interni, parliamo di circa 12 milioni di visualizzazioni per la video inchiesta (appunto senza contare tutti i contenuti ricaricati o su altri media), più quasi un milione sui pezzi correlati.
Un interesse enorme, che ha determinato anche l’arrivo alla nostra redazione di altre segnalazioni e contatti. Materiale che, opportunamente verificato dai giornalisti del team Backstair, ci ha consentito di chiudere in tempi brevi anche la seconda puntata dell’inchiesta, che abbiamo deciso di proiettare in anteprima in un evento pubblico a Roma e di rilasciare in Creative Commons (con un’incredibile partecipazione di pubblico). Uno degli elementi della seconda parte è senza dubbio la presenza di riferimenti antisemiti e razzisti da esponenti di Gioventù Nazionale con stretti legami con i maggiorenti di Fratelli d’Italia. È un piccolo game changer, perché dirigenti e parlamentari capiscono di non poter continuare a tenere la testa sotto la sabbia e di dover quantomeno esprimere vicinanza e solidarietà alla senatrice Mieli, vittima di quel doppio registro (pulito e moderato in pubblico, alquanto “diverso” nei discorsi tra i militanti) che è uno dei fili conduttori dell’intera inchiesta.
Dunque, la strategia cambia ed è ragionevole pensare che sia arrivata un’indicazione proprio da Palazzo Chigi. Donzelli, La Russa e altri autorevoli esponenti del partito esprimono la loro solidarietà a Mieli, ribadiscono che non c’è spazio per l’antisemitismo in Fdi e annunciano provvedimenti nei confronti dei soggetti che “hanno sbagliato”. Arriva qualche dimissione, anche la comunità ebraica si esprime. Tutto d’un tratto, prendono a parlarne i giornali di area (addirittura quei siti che avevano scelto di adeguarsi alla consegna del silenzio malgrado l’evidente rilevanza pubblica dell’inchiesta), la vicenda comincia a essere di interesse anche del servizio pubblico.
Nemmeno questa strategia funziona, però. Perché i contenuti dell’inchiesta sono forti, vengono condivisi ovunque e ripresi dalle maggiori testate internazionali. Non esattamente il massimo per Meloni, dato il contesto. Così si cambia ancora, c’è un nuovo piano. Ora si punta a delegittimare il lavoro dei giornalisti, rispolverando i grandi classici del taglia e cuci e delle ore di girato (ma ci torneremo), mistificando i contenuti, oppure giocando la carta del vittimismo spinto. C’è una tecnica consolidata, quella del whataboutism, che serve a fare confusione e a spostare l’attenzione. E c’è ovviamente la menzogna sistematica, soprattutto sui profili social, che si esplica in bufale rilanciate da politici di primissimo piano. Una su tutte, l’accusa a Fanpage di aver “invitato a sparare” sui giovani di Gioventù Nazionale, costruita prendendo a pretesto tre secondi di colonna sonora di una story Instagram del profilo del locale che ha ospitato l’evento di Roma. Una story mai condivisa o rilanciata dai profili ufficiali di Fanpage. Una calunnia che ha avuto ampia diffusione, senza che noi avessimo la possibilità di smentirla o difenderci in qualche modo.
Tutto sommato, comunque, una reazione prevedibile e anche comprensibile. Finché non è arrivata direttamente lei, Giorgia Meloni. Che ha ribaltato tutto e ha scritto una pagina nuova dell’intera storia.
Cosa ha detto Giorgia Meloni, punto per punto
La prima parte della risposta di Meloni alla nostra domanda di commentare le immagini dell’inchiesta è standard: “Penso che chi ha sentimenti razzisti, antisemiti o nostalgici semplicemente abbia sbagliato casa, perché questi sentimenti sono incompatibili con Fratelli d’Italia, con la destra italiana e con la nostra linea politica. Non accetto che ci siano ambiguità e ho chiesto al partito di prendere provvedimenti”.
Come notato da molti, a prescindere dall’aver dimenticato la parola fascismo, se si fosse fermata qui, non ci sarebbe stato nulla da eccepire: posizione forte, chiara, più che legittima, da leader. Ma evidentemente Meloni aveva altre intenzioni. E continua: “Penso che se la stessa inchiesta, se vogliamo chiamarla inchiesta giornalistica, si facesse in tutte le organizzazioni giovanili dei partiti politici, noi non sappiamo cosa potrebbe uscire. E non lo sapremo, perché nella storia della repubblica italiana non è mai accaduto quello che Fanpage ha fatto con Fratelli d’Italia, con nessuna organizzazione giovanile, con nessuna organizzazione sindacale. Non si è mai ritenuto di infiltrarsi in un’organizzazione politica e riprenderne segretamente le riunioni…”
Questo passaggio, che la presidente del Consiglio ripeterà più volte e con enfasi crescente nel corso del colloquio con i giornalisti, è prima di tutto una falsità. Una balla.
Senza voler ricordare illustri esempi del passato di giornalisti che hanno documentato dall’interno riunioni di partito o assemblee sindacali, proviamo a rimanere sul lavoro di Fanpage. E vale la pena di ricordare che il metodo undercover (l’infiltrazione di cui parla Meloni e che ha decine di esempi nel mondo del giornalismo, soprattutto anglosassone) lo abbiamo già usato diverse volte per documentare le attività di altre formazioni politiche. Sorpresa, principalmente per il Partito democratico: con nostri giornalisti infiltrati, infatti, abbiamo più e più volte documentato la poca trasparenza delle primarie del Pd e finanche dimostrato l’inaffidabilità del sistema di controllo dei risultati elettorali. Allora, evidentemente gli esponenti di Fratelli d’Italia non avevano trovato nulla da obiettare. E gli stessi giornali della destra facevano a gara per riprendere i nostri servizi sul voto multiplo. Certo, meno contenti erano stati quando avevamo mostrato cosa accadeva in UGL, sul versante tesseramento e gestione dei conti, ma in quel caso possiamo pure capirlo.
Vedete, anche senza affrontare una discussione sul metodo undercover (che ha piena dignità in campo giornalistico e necessita di scrupolo, competenze e attenzione), il punto è che chi fa il nostro lavoro ha il dovere di cercare di far luce laddove la luce non c’è. Nel caso in questione, abbiamo mostrato un aspetto che riteniamo di estrema rilevanza pubblica: il doppio volto di un’organizzazione interna al partito che governa il nostro Paese, la fucina della futura classe dirigente. Il fatto che alla luce delle camere e davanti ai taccuini dei giornalisti mostrino un volto rassicurante e costruito, mentre restano ancorati a simboli e ideali che hanno devastato il nostro Paese e non solo, è per noi un elemento di interesse pubblico. Il lavoro giornalistico deve mostrare i fatti, nel loro contesto e nella loro dimensione adeguata: il metodo undercover ha reso possibile tutto ciò. Peraltro, ci sono diverse sentenze della CEDU che riconoscono la legittimità del metodo, quando esso è applicato a inchieste di pubblico interesse.
Meloni continua: “Prendo atto che questa è una nuova frontiera dello scontro politico, anche per come la politica lo ha utilizzato. Prendo atto che da oggi nello scontro politico è possibile infiltrarsi nei partiti e nelle organizzazioni sindacali, riprenderne segretamente le riunioni e pubblicarle discrezionalmente […] Quindi è uno strumento che sicuramente si potrà utilizzare a 360 gradi”.
Qui occorre fare attenzione, perché la presidente del Consiglio alza il tiro. Non solo mette in discussione il metodo, ma lo cala nello scontro politico. Il giochino è interessante, ma è appunto un esercizio retorico: si vuole far passare il concetto che il nostro giornale agisca direttamente come o per conto di forze politiche di opposizione a Fratelli d’Italia. In effetti, se qualcuno violasse la sacralità di partiti e sindacati per tornaconti politici o per metterne in crisi i processi democratici, si tratterebbe di un fatto gravissimo. Noi, però, facciamo i giornalisti. Lavoriamo nella direzione dell’esclusivo e supremo interesse del lettore, raccontando fatti veri e non ci prestiamo a strumentalizzazioni di natura politica, attenendoci a precise regole deontologiche. Peraltro, la parte finale del discorso di Meloni è abbastanza criptica e non capiamo come interpretarla. Suona come una minaccia, del tipo: ora cominciamo a farlo anche noi. I giornalisti? O intende infiltrare delle persone negli altri partiti? In quel caso le consigliamo di riflettere sulla differenza tra chi ha il potere politico e chi quel potere lo racconta. Tra un politico e un giornalista.
La leader di Fratelli d’Italia è un fiume in piena: “Perché in 75 anni di storia repubblicana nessuno ha ritenuto di infiltrarsi in un partito politico e riprenderne segretamente le riunioni. È consentito? Lo chiedo a lei, lo chiedo ai partiti politici, lo chiedo al Presidente della Repubblica?”
Già detto che quella dei 75 anni eccetera è poco più di una balla, qui però siamo al salto di livello. Perché la presidente del Consiglio di un Paese del G7, una delle grandi democrazie occidentali, si rivolge direttamente al Capo dello Stato per chiedere di intervenire su un’inchiesta di un giornale indipendente che ha mostrato la proliferazione di saluti fascisti, riferimenti a Hitler e Mussolini, insulti antisemiti e razzisti nelle fila della giovanile del partito che governa il Paese.
Siamo in presenza di un fatto inusitato e gravissimo, un’intimidazione alla stampa e un modo indecente di tirare per la giacca il Presidente della Repubblica. Cosa immagina che debba fare Sergio Mattarella? Mandarci una nota di biasimo per aver documentato i Sieg Heil o gli inni al duce? Magari Meloni potrebbe essere più specifica, avere per una volta il coraggio delle proprie azioni: cosa si aspetta che faccia il supremo garante della Costituzione? Che la vìoli?
“Sa perché glielo dico? Perché questi sono i metodi che usavano i regimi, infiltrarsi nei partiti politici”
Qui Meloni deve aver perso per un attimo la lucidità, perché opera una totale inversione della realtà: i regimi intervengono per censurare e limitare la libera stampa, attaccando e intimidendo i giornalisti proprio perché non vadano a guardare cosa c’è dietro la versione ufficiale e approvata dal governo.
La presidente poi scende nel dettaglio su alcuni aspetti dell’inchiesta: “Non è un metodo giornalistico, sono stati usati degli investigatori”. Molto sinteticamente: è l’ennesima balla. L’inchiesta è stata realizzata dai giornalisti di Backstair e sostenuta dalla redazione di Fanpage.it. L’accusa di aver usato “investigatori” non ha alcun fondamento.
Prima ancora aveva detto che avevamo “ripreso i fatti personali di minorenni”, agganciandosi alle dichiarazioni incredibili di Donzelli secondo cui avremmo seguito “negli affetti personali” e nell’intimità alcuni minorenni. Questa non solo è una balla, come può verificare chiunque guardi i filmati, ma è una calunnia vergognosa. Fanpage.it non solo non ha pubblicato immagini di minorenni, né in chiaro né blurati, ma non detiene riprese di fatti o affetti personali. Anche qui, vi segnalo una cosa piuttosto singolare: Meloni parla di “denunce dei loro genitori” e sarebbe interessante conoscere la provenienza di tale informazione e se l’abbia verificata prima di lanciare accuse tanto infamanti. Se ha utilizzato le stesse fonti di Donzelli, che conosce dettagli sorprendenti e non pubblicati della nostra inchiesta, avremmo la conferma che il nostro lavoro riguarda davvero dirigenti di primo livello della giovanile, molto addentro alle dinamiche del partito. Altro che tifosi della Casertana, insomma.
Andiamo avanti, occupandoci di uno dei cavalli di battaglia della destra italiana contro i giornali, da sempre: “Se lei infiltrasse l’organizzazione giovanile di un partito che dice pubblicamente che è legittimo occupare abusivamente le case e che oggi chiede lo scioglimento di Gn […] lei potrebbe anche trovare qualcuno che dice delle cose sbagliate”.
Questa è la versione riveduta e corretta de “perché non fate un’inchiesta sui centri sociali”. Sugli altri partiti, però, Meloni può stare tranquilla, perché si riferisce al giornale che per primo ha sollevato la vicenda Soumahoro, con un’inchiesta molto dettagliata e in più fasi, pubblicata prima delle elezioni proprio nell’idea che i cittadini abbiano il diritto di avere a disposizione tutte le informazioni per farsi una loro opinione. Per quel che riguarda i centri sociali (quali? Di che tipo? Meloni ha informazioni di attività illecite o pericolose per la democrazia in qualcuno di essi? Ipotizza possibili violazioni della Scelba o della Mancino?), scegliamo di non prestarci alla tecnica della confusione tanto cara a chi è in difficoltà e decide di buttarla in caciara. Da giornalisti ci occupiamo di notizie da qualunque parte provengano, senza interessi o tornaconti politici. Ma non possiamo avallare l’equiparazione fra un centro sociale X di una città Y e le attività in diverse parti d’Italia della giovanile del partito che ha in mano le redini del Paese. Meloni lo accetti: il potere porta con sé anche la responsabilità di essere oggetto privilegiato dell’interesse della stampa, proprio in virtù del peso che si ha nella vita dei cittadini quando si è al governo.
“Avete fatto due inchieste nella vostra storia su questo tema e le avete fatte su Fratelli d’Italia. Una, voglio ricordare, è finita con un’archiviazione di un esponente politico la cui vicenda è stata sui giornali a lungo e poi si è scoperto che non c’era niente”.
Come detto in precedenza, la tesi che ci occupiamo solo di Fratelli d’Italia è semplicemente falsa. La Presidente del Consiglio in questo passaggio ricorda Lobby Nera, l’inchiesta con la quale riuscimmo a documentare la permeabilità dei partiti della destra a personalità e formazioni nostalgiche del fascismo. Lo fa con una consapevole mistificazione dei fatti, confondendo inchiesta giudiziaria e giornalistica. Nel primo caso, l’archiviazione della posizione di Fidanza era inevitabile, anche perché, come hanno scritto i giudici, non era mai stata nostra intenzione corrompere nessuno, dunque non sarebbe stato possibile la configurazione di qualunque reato (ne ho scritto più dettagliatamente qui). L’inchiesta giornalistica invece resta in tutta la sua rilevanza ed efficacia, il girato integrale è stato giudicato coerente con quanto pubblicato dalla stessa magistratura e, sorpresa delle sorprese, in realtà non era nemmeno su Fratelli d’Italia. Eravamo infiltrati in una lobby di estremisti di destra e nostalgici: sono loro che ci hanno portato a iniziative elettorali di Fratelli d’Italia e a conoscerne esponenti di primissimo piano dei partiti ora al governo (anche della Lega). Noi volevamo solo occuparci di fascisti, ecco.
“Quando si è chiesto anche di poter avere tutte le informazioni relative a questo caso, ci avete risposto di no”.
È il refrain delle “100 ore di girato”, diventato iconico e riproposto in chiave diversa anche stavolta. Su questo abbiamo risposto più volte, cito: “Noi non rispondiamo a una leader di partito, ma ai nostri lettori, verso i quali abbiamo obblighi di natura morale e deontologica. Ci sono prerogative che Meloni non ha, tra queste la possibilità di acquisire la documentazione, il materiale di lavoro e le informazioni sulle fonti di un giornalista. Difendere la nostra posizione è difendere un principio. Le immagini che abbiamo mandato in onda sono frutto di un lungo lavoro di documentazione e analisi; i tagli, le riduzioni e montaggio sono operazioni giornalistiche di cui il giornale si assume come sempre la responsabilità”.
Come avevamo anche detto dopo la prima puntata, sarebbe poi piuttosto complicato manipolare un coro per il duce, una distribuzione di adesivi con motti fascisti. A meno che qualcuno non ci dica come andrebbe contestualizzato o deframmentato un “Sieg Heil”, ecco.
Quando gli chiediamo, infine, perché non ci ringrazia per aver mostrato la pervasività di tali pratiche nella giovanile del suo partito, Meloni torna a parlare del metodo. Peccato che, qualche anno fa, quando le mostrammo l’inchiesta Bloody Money, che riguardava diversi esponenti politici, lei ci rispose: “Le immagini mi fanno capire quali sono le responsabilità di questa persona e speriamo di avere ulteriori elementi per fare chiarezza”. In quel caso, l’undercover andava bene.
Infine, da ultimo l’accusa che noi riteniamo peggiore, la più ingiusta. Lei dice: “Se ci sono delle forme di condizionamento rispetto al fatto di iscriversi al partito, di farne parte liberamente […] Lei capisce che un ragazzo che vuole iscriversi alla giovanile di odi può essere spaventato […] È o non è un condizionamento della democrazia?”
Ecco, senza girarci troppo intorno, noi abbiamo realizzato questo lavoro anche grazie alle testimonianze di ragazzi di destra che sono usciti schifati e sconcertati da quello che hanno visto in Gioventù Nazionale. E che ci hanno spiegato quale fosse il rischio di radicalizzazione e indottrinamento verso una dimensione che rimanda alle pagine peggiori della storia europea. Noi crediamo di aver tutelato l’impegno dei tanti ragazzi di destra che del fascismo e del nazismo hanno l’idea chiara e corretta: ideologie che non devono trovare spazio nel dibattito politico e che sono fuori dall’arco costituzionale.
Infine, ce lo consenta, Presidente. Il pericolo di condizionamento della democrazia non viene da un’inchiesta giornalista. Ma dall’avere i fascisti nel proprio partito.
(da Fanpage)
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Giugno 28th, 2024 Riccardo Fucile
“POLITICO”: “LO SCETTICISMO DEL MERCATO NEI CONFRONTI DELL’ECONOMIA ITALIANA, CON LA SUA CRONICA BASSA CRESCITA E IL PESANTE ONERE DEL DEBITO PUBBLICO, POTREBBE METTERE IN CRISI L’ATTENTO GIOCO DI EQUILIBRI ECONOMICI DELLA MELONI”
Mentre tutti gli occhi sono puntati sull’incombente lotta tra la Commissione europea e la Francia per le regole di spesa dell’UE, un altro Paese di alto livello potrebbe presto subire uno shock. Da quando si è insediata nel 2022, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha sfidato le aspettative di eccessi populisti con una gestione dell’economia per lo più non drammatica.
Questo le ha fatto guadagnare il rispetto dell’establishment dell’UE e dei mercati internazionali, ma i suoi sforzi potrebbero presto essere vanificati: Il disagio dei mercati per la prospettiva di una rottura politica in Francia si sta già diffondendo in Italia e l’establishment politico italiano è sempre più nervoso.
Nelle turbolente due settimane trascorse da quando il presidente francese Emmanuel Macron ha sciolto il parlamento dopo la batosta subita da Marine Le Pen, leader della destra, alle elezioni europee del 9 giugno, il premio di rischio sul debito italiano è aumentato notevolmente: Lo “spread” tra i rendimenti dei titoli decennali di riferimento italiani e tedeschi è aumentato di 0,20 punti percentuali.
Sebbene sia ancora un punto percentuale in meno rispetto a quando la Meloni si è insediata, questo ci ricorda che la fiducia degli investitori non è mai qualcosa che si può dare per scontata.
I costi di indebitamento dell’Italia stanno di conseguenza aumentando proprio mentre si intensifica la campagna dell’UE per la riduzione del deficit di bilancio. All’inizio del mese, la Commissione europea ha rimproverato sette Paesi dell’UE – tra cui Francia e Italia – affermando che le cosiddette “procedure per disavanzo eccessivo”, che impongono loro di ridurre il debito, sono giustificate.
Ciò significa che lo scetticismo del mercato nei confronti dell’economia italiana, con la sua cronica bassa crescita e il pesante onere del debito pubblico, potrebbe mettere in crisi l’attento gioco di equilibri economici della Meloni, progettato per placare sia gli elettori che Bruxelles.
Con i partiti di destra e nazionalisti rafforzati nelle elezioni europee e che si prevede aumenteranno in Francia, gli investitori vedono meno probabile la continuazione delle politiche europee di solidarietà economica, da cui paesi come l’Italia sono dipesi durante gli shock economici
La domanda è se la Meloni sarà in grado di capitalizzare la buona volontà esistente per superare qualsiasi turbolenza – o se sarà costretta ad abbandonare le promesse chiave su tasse e spesa.
Perché la Meloni – una volta populista euroscettica, il cui partito Fratelli d’Italia trae le sue origini dai resti postbellici dei fascisti di Benito Mussolini – è stata così popolare tra i mercati finanziari?
Come ha spiegato a POLITICO Fabio Balboni, analista senior di HSBC per l’Europa, la Meloni ha imparato dagli errori del suo predecessore di estrema destra Matteo Salvini, che è stato ministro dell’Interno dal 2018 e il 2019. Al contrario, la Meloni ha collaborato con i legislatori di Bruxelles sostenendo una politica estera atlantista e favorevole alla NATO, anche se in patria rimane un’integralista nascosta.
Questa cooperazione le ha permesso di guadagnarsi la benevolenza sia delle istituzioni europee (assicurando che quasi 200 miliardi di euro dei fondi UE di nuova generazione per il rilancio dell’economia dopo la Covida fossero destinati all’Italia) sia dei mercati finanziari. Un funzionario della Banca Centrale Europea, parlando a condizione di anonimato, ha sostenuto che, a differenza della Le Pen, la leader italiana è diventata una vera moderata, prevedendo che probabilmente si atterrà alle regole fiscali.
“Sprecherebbe molto del suo nuovo capitale politico” se non lo facesse, ha concordato Davide Oneglia, economista senior della società di consulenza TS Lombard di Londra.
La turbolenza dei mercati francesi ha dato alla Meloni un forte incentivo a giocare con questa reputazione, e il suo governo ha già assicurato che sarà conforme. “Intendiamo rispettare assolutamente [gli impegni fiscali]”, ha dichiarato la scorsa settimana il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti in risposta alla mossa dell’UE.
Due funzionari dell’UE in stretto contatto con il governo Meloni hanno dichiarato a POLITICO che non c’è alcun segno che Roma abbia intenzione di opporsi alle regole, sostenendo che farlo sarebbe avventato. O, come ha detto un ex funzionario del Tesoro: “Sono attanagliati dal terrore”.
Super oneroso
Allo stesso tempo, le buone intenzioni potrebbero non essere sufficienti.
Come ha osservato Balboni, il debito sovrano dell’Italia, il più grande d’Europa con oltre 2.900 miliardi di euro, la rende vulnerabile a qualsiasi panico dei mercati europei, a prescindere da quanto sia stata rigida con i suoi cordoni della borsa.
“Possiamo sostenere che i mercati sono ingiusti, ma è inutile”, ha detto Carlo Cottarelli, ex senatore italiano e alto funzionario del FMI che ora dirige il programma di scienze economiche e sociali dell’Università Cattolica di Milano. “È un dato di fatto quando c’è uno shock per l’economia dell’UE, dato il nostro debito pubblico. Anche se non è giusto”.
Ma la verità è che l’economia italiana ha molte vulnerabilità, tra cui una crescita cronicamente bassa, l’invecchiamento della popolazione e una regolamentazione invasiva supervisionata da una burocrazia occulta.
Forse la ferita aperta più evidente è il cosiddetto Superbonus, un incentivo fiscale per la ristrutturazione delle case che ha contribuito a gonfiare il deficit di Roma al 7,4% del PIL lo scorso anno.
Roma si è impegnata a dare la colpa del deficit solo a questa politica, ma è un’affermazione un po’ azzardata. Oneglia sostiene che l’Italia non ha ancora abbracciato una riforma seria e sta facendo solo il minimo indispensabile per evitare l’imbarazzo economico. Secondo Oneglia, con un ulteriore controllo, i mercati potrebbero iniziare ad accorgersene.
Se così fosse, l’aumento dei costi di interesse potrebbe costringere la Meloni a prendere misure impopolari, come l’inversione del taglio di 12 miliardi di euro alle tasse sul lavoro che ha contribuito al deficit dello scorso anno. Molto dipenderà dalla capacità di Giorgetti di ottenere concessioni quando presenterà alla Commissione i suoi piani di riduzione del deficit alla fine dell’estate.
Dipende anche dall’atteggiamento che l’UE e il nuovo governo francese assumeranno reciprocamente. L’UE ha storicamente assecondato la Francia, soprattutto sulle questioni di bilancio, e soprattutto quando non era l’unica a peccare. Questo potrebbe incoraggiare la Meloni a deviare dalle regole, suggerisce Oneglia.
Ma è un’ipotesi azzardata. Per esperienza dolorosa, Roma sa meglio di chiunque altro che sono i mercati finanziari, non l’UE, a tenere sotto controllo i governi che spendono liberamente. “Si può discutere con la Commissione”, ha detto Cottarelli. “Ma non si può discutere con i mercati”.
(da Politico.Eu)
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