Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
LA EX COSTA MAGICA CE DEVE OSPITARE 2.600 POLIZIOTTI VERSA IN CONDIZIONE PESSIMA, UNO SCONCIO COSTRINGERE I NOSTRI AGENTI AD ALLOGGIARE IN QUELLE CONDIZIONI DI DEGRADO
Quando i circa 2.600 poliziotti, carabinieri e finanzieri che
presidieranno i siti del G/ di Puglia sono saliti a bordo della Mykonos Magic, la ex Costa Magica venduta dal gigante italiano alla greco-cipriota Seajets, certo non si aspettavano di godere dello stesso lusso delle navi da crociera, a dispetto comunque della mole e del passato dell’imbarcazione.
Ma certo non potevano immaginarsi di ritrovarsi in una situazione da incubo, una sorta di fogna galleggiante. Bagni inagibili, con water intasati o con tubature bucate, acqua marrone dai lavandini e dalle docce, perdite d’acqua nei corridoi, sporcizia e sudiciume diffusi, cibo conservato in condizioni di scarsissima igiene, cabine senza aria condizionata, un disordine diffuso e generalizzato, con mobili, materassi e sedie accatastati ovunque. E chissà cos’altro.
Questo è quello che è trapelato dai video dopo che i sindacati delle forze dell’Ordine hanno visionato lo stato della nave alloggio che deve ospitare tutto il personale incaricato della sicurezza durante i giorni del vertice.
«Non è tollerabile trattare in questo modo donne e uomini che rischiano la propria vita per garantire la sicurezza del Paese», denuncia la Uil chiedendo l’intervento del Viminale. La nave ha attraccato alla banchina di Sant’Apollinare, nel porto interno di Brindisi. È stata la società di brokeraggio navale genovese Ferrando&Massone a provvedere al suo impiego. La Mykonos Magic fu venduta alla Seajets l’8 febbraio 2023: per due anni è sta in disarmo in Grecia e non è mai tornata in servizio.
«Un totale disprezzo per il benessere e la dignità del personale delle forze dell’ordine, trattati con disumanità e privati dei servizi più basilari per ore interminabili», ha sottolineato poi Antonio Nicolosi, segretario generale di Unarma, un sindacato dei Carabinieri, che ha criticato anche la disorganizzazione e il caos durante le fasi di accredito, che «ha aggravato ulteriormente l’attesa e ha messo a repentaglio la salute e la sicurezza dei nostri uomini e donne lasciati senza bagni e accesso all’acqua potabile, sotto un capannone rovente». E ancora: «Ciò che doveva essere un alloggio adeguato si è trasformato in una vergognosa dimostrazione di disorganizzazione: le camere sono sporche, prive di acqua e completamente inadeguate per ospitare militari che dedicano la propria vita alla protezione del Paese. Era davvero così difficile organizzare per tempo l’alloggio di migliaia di persone a Brindisi per il G7? La sicurezza dei nostri colleghi è sacra e non può essere messa in pericolo da una leadership incapace e negligente», si sfoga il Sim Gdf, sindacato della Guardia di Finanza. «Chiediamo immediatamente di interrompere le aggregazioni per tutti gli uomini impiegati, prima di parlare delle cose del mondo bisogna ripristinare la normalità per chi deve assicurare la sicurezza ai potenti», il commento amaro Andrea Cecchini, di Italia Celere, sindacato dalla polizia.
Il prefetto Vittorio Pisani ha poi assicurato che i poliziotti lasceranno la nave e troveranno sistemazione altrove.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
C’E’ UNA INSODDISFAZIONE VERSO I GOVERNI IN CARICA, MA ANCHE L’EMULAZIONE DELLE POLITICHE ILLIBERALI DA PARTE DI PARTITI TRADIZIONALMENTE MODERATI
L’estrema destra esce rafforzata da queste Europee. Ma la crescita non è stata così travolgente da rideterminare gli equilibri politici. O, almeno quelli del Parlamento europeo dove le due principali forze restano il Partito popolare europeo e i socialdemocratici, i cui seggi non sono cambiati di molto. Neppure il calo dei liberali, mette in discussione i numeri. E Ursula von der Leyen, la Spitzenkandidat del Ppe, potrebbe essere più vicina al suo bis alla Commissione Ue. Di certo, fanno rumore i risultati ottenuti dai partiti di ultradestra in Germania e Francia, dove Macron e Scholz sono i due grandi sconfitti di queste Europee. A Berlino l’Alternative für Deutschland, considerata da Le Pen «troppo radicale» anche per lei, ha scavalcato i socialdemocratici del cancelliere. E questo a poche ore dal risultato arrivato dall’Austria, dove gli estremisti del Fpo sono risultati per la prima volta in vantaggio su tutti. Mentre alla vittoria schiacciante del Rassemblement National francese ha reagito il capo dell’Eliseo sciogliendo l’Assemblea e convocando nuove elezioni per il 30 giugno.
E se in alcuni Paesi il vento dell’estrema destra soffia un po’ più forte, in altri sembra essersi affievolito rispetto al passato. In Ungheria, Viktor Orbán ha vinto ma è sceso sotto la soglia del 50 per cento. E in Polonia, l’europeista Tusk è riuscito ancora una volta e spodestare i sovranisti di Diritto e Giustizia (PiS). In Spagna Vox non ha sfondato come pensava, complice l’esperienza poco rivelante in alcune comunità autonome; in Portogallo Chega è scesa dal 18 per cento delle legislative di marzo al 9.
«I partiti di ultradestra hanno primeggiato in alcuni contesti, si sono confermati in altri e in altri ancora hanno subito battute d’arresto. L’avanzata tuttavia non è un fenomeno nuovo e, quantomeno a livello europeo, è in corso dagli anni 90», dice a Open Andrea Pirro, ricercatore in Scienza Politica presso l’Università di Bologna. È direttore della rivista scientifica East Europea Politics e direttore della Routledge Book Series in Extremism & Democracy. «Le regioni del successo dell’estrema destra variano da Paese a Paese e dal contesto in cui si trovano», dice Marta Lorimer della London School of Economics e autrice del saggio Europe as Ideological Resource.
Il processo di normalizzazione dell’estrema destra
A giocare un ruolo c’è, come nel caso francese e tedesco, l’insoddisfazione diffusa nei confronti dei governi in carica o verso l’adozione di politiche sui grandi temi nazionali. L’opinione pubblica dei Paesi dell’Unione ha palesato il proprio malcontento sia attraverso l’astensionismo, in Italia il vero vincitore, sia mediante un voto a destra o a estrema destro dello spettro politico. Ma la spinta in avanti dell’ultradestra è anche «il frutto di un processo di normalizzazione che passa per l’emulazione delle politiche illiberali» dei partiti ultraconservatori da parte di quelli più moderati, spiega Pirro. «Il caso austriaco, francese e nederlandese – continua l’esperto – dimostrano che quando i partiti mainstream dell’area “liberale” recepiscono le proposte dell’ultradestra, l’elettorato tende a preferire l’originale alla copia». La legge sull’immigrazione di Macron ne è un esempio. Ciò che caratterizza questa avanzata reazionaria, la «quarta» per il politologo olandese Cas Mudde, è proprio l’istituzionalizzazione di certe realtà politiche che in passato non influenzavano in modo così nitido il dibattito. Complici anche i social network. Ma l’idea di Europa portata avanti dai partiti di estrema destra non sembra essere cambiata nel corso del tempo, è stata “soltanto” normalizzata: «Ci troviamo in una situazione in cui l’estrema destra è passata da circa il 20 per cento al 25 e, soprattutto, stiamo vedendo una normalizzazione delle loro idee da parte di altri partiti. In un certo senso, quindi, dal punto di vista dei concetti una vittoria di qualche tipo c’è stata», afferma Lorimer.
Ragazzo di (estrema) destra
Se guardiamo al passato, il voto di estrema destra «era maggiormente definito: si trattava di un elettorato prevalentemente maschile e di estrazione sociale medio-bassa. Oggigiorno si tratta di un elettorato maggiormente diversificato», spiega il professore. «In alcuni Paesi, l’estrema destra ha grande successo fra i giovani – non è il caso dell’Italia», dove gli under 30 guardano a sinistra. Non si può dire lo stesso per Germania e Francia, dove invece le giovani menti sono vicine alla destra estrema. «Questi partiti – afferma Pirro – sono molto attivi sui social media e una buona parte di queste formazioni ha investito nello svecchiamento del proprio profilo: il Rassemblement National ha candidato come capolista Jordan Bardella, 28enne delfino di Marine Le Pen, continuando il processo di “dediabolizzazione” avviato qualche anno fa. L’AfD in Germania ha beneficiato di campagne mirate su TikTok e Instagram. Il caso italiano dimostra invece che l’elettorato più giovane è ancora sensibile a tematiche come ambiente, sostenibilità e diritti civili». Ciò che si sta riducendo tra i votanti delle forze politiche estremiste «è anche il gender gap: cominciamo a esserci più donne che danno la loro preferenza per l’ultradestra. Ma ciò che in linea di massima li raggruppa è un’opposizione verso l’immigrazione», sottolinea Lorimer. «Nella sua diversità – continua Pirro -, possiamo dire che questo elettorato non è in una condizione oggettivamente precaria, ma si sente minacciato dal cambiamento socioeconomico e culturale in corso». Quella ultra conservatrice «è una visione di “Europa dei popoli e degli stati nazione” che valuta negativamente ogni passo in avanti nel processo di integrazione europea – e quindi di delega di poteri a livello sovranazionale. Dopo la Brexit, la fuoriuscita dall’Ue o dall’euro hanno perso appeal; questi partiti cercano ora di ostacolare i lavori dell’Ue dall’interno», dice l’esperto.
I partiti di ultradestra sono sempre stati «euroscettici»?
Oggi le posizioni dell’Europa sull’estrema destra sono «euroscettiche». Ma, secondo Lorimer, sono cambiate nel corso del tempo. «Il fronte nazionale francese, ad esempio, originariamente non era euroscettico e neppure il Movimento Sociale Italiano (Msi), poi Alleanza Nazionale – spiega -. Quest’ultimo non partiva su posizioni anti-europee, anzi, vedevano l’Ue come una forma di resistenza contro il comunismo. La situazione comincia a cambiare intorno agli anni ’80 e primi anni ’90 soprattutto, quando l’Unione inizia a cambiare forma. E, infine, molti di questi partiti sono pro Europa, ma contro l’Ue». Anzi, l’estrema destra ha persino utilizzato «le tematiche europee» a suo vantaggio, per presentarsi come «attori più responsabili», afferma. «Una volta che è cominciato il processo di integrazione europea – continua la ricercatrice – hanno iniziato a parlare anche loro di tematiche europee e lo hanno fatto in un modo che ha permesso loro di avvicinarsi agli elettori tradizionali e a quelli nuovi, che forse non avrebbero originariamente votato per questi partiti, ma che invece ora cominciano a considerali come una parte legittima dello spettro politico».
Il peso dei governi di destra e ultradestra al Consiglio europeo
A Bruxelles, l’estrema destra è la “famiglia” politica più divisa: AfD è stato espulso da Identità e democrazia, di cui fa parte Le Pen, e molti altri partiti di ultradestra non appartengono ad alcun gruppo (come Fidesz di Orbán, che vorrebbe entrare in Ecr di Meloni). Secondo il politologo Mudde il nuovo centro del potere non sarà tanto l’estrema destra – che si tratti di Ecr o Id – ma «l’estrema destra del Ppe» che «spingerà più a destra i partner della coalizione su temi come l’ambiente, i diritti e l’immigrazione». Vi è, inoltre, la possibilità che le destre e l’estrema destra in Ue possano giocare un ruolo chiave nel modificare i rapporti di forza all’interno del Consiglio europeo (composto dai capi di Stato o di governo) dove, tra le altre cose, si prendono le decisioni più importanti. E dove Francia e Germania hanno un ruolo di primo piano. Ed è inevitabile che entrambi i Paesi (e pure l’Italia, FdI è il primo partito) dovranno tenere conto dei risultati dell’estrema destra a livello nazionale. «Abbiamo già visto l’enorme potenziale di veto – e dunque ricatto – esercitato dal Fidesz di Viktor Orbán. La consapevolezza di questo potere è destinata a crescere ed essere messa in atto per ostacolare una serie di obiettivi, soprattutto per quanto concerne ambiente e diritti civili, su cui destra e ultradestra condividono spesso terreno comune», afferma Pirro. «Bisogna vedere – conclude Lorimer – cosa succederà con le elezioni dei prossimi anni». Ma è inevitabile che il peso dei governi guidati o sostenuti dall’estrema destra avrà un impatto sull’Europa di domani.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
BOOM DI CONSENSI TRA I GIOVANI, CHE HANNO ABBANDONATO IN MASSA I VERDI PER “RADICALIZZARSI” SU IMMIGRATI E CRISI ECONOMICA – NELL’EX DDR È ANDATO BENE ANCHE BSW, IL MOVIMENTO POPULISTA E FILORUSSO GUIDATO DA SARAH WAGENKNECHT
Si respira aria di scampato pericolo all’indomani delle europee nella
Konrad Adenauer-Haus di Berlino, la sede centrale della Cdu. Il fischio della pallottola dell’ultra-destra è passata vicino, atterrando i rivali Spd e Verdi, e lasciando indenne il partito cristiano-democratico, che ieri ha consolidato i risultati del 2019.
L’ex ministro della Salute Jens Spahn commenta la débacle dei socialdemocratici con il sorriso di chi si prepara a giocare al gatto con il topo. «È un risultato irreparabile per l’Spd», sentenzia. Negli stessi minuti – da Monaco – affonda il coltello il leader della Csu, il governatore della Baviera Markus Söder.
«Olaf Scholz è un re senza terra», le conseguenze di questi risultati devono essere «nuove elezioni, il voto di fiducia e il passo indietro, così come ha fatto Macron o come fece a suo tempo Gerhard Schröder nel 2005». Ma l’ordine di scuderia che arriva dalla cancelleria è tutt’altro.
«La data prevista delle elezioni è il prossimo autunno (ndr 2025) e intendiamo attenerci a questo», ha replicato il portavoce Steffen Hebestreit. Nel pomeriggio lo stesso Scholz interviene per ammettere la sconfitta e dire che «non è consigliabile tornare semplicemente a lavorare come al solito», ma di fatto bisogna «impegnarsi a risolvere le sfide che abbiamo di fronte».
«È la coalizione di governo che ha perso voti e quei voti sono finiti all’Afd. Noi abbiamo tenuto», spiega. Che i giovani abbiano votato Afd non lo colpisce. «I ragazzi che hanno votato per la prima volta sono “incontaminati”, ma hanno visto che la politica di governo fa cose insensate: legalizza la cannabis ma non si occupa delle aziende che chiudono, litiga e non gestisce l’immigrazione. Lo sa che ci sono scuole dove oltre il 50% sono stranieri?».
La risposta di Haselhoff ci riporta a una canzone rap che sta spopolando su TikTok in lingua tedesca, una specie di inno all’ultra-destra: «Afd, io voto Afd», dove un giovane in passamontagna canta le sue ragioni. «Non può essere che non vedo più tedeschi. Mi sono stufato, l’integrazione è troppo. Sono l’unico tedesco seduto al banco al ginnasio», dice il testo.
La migrazione è il principale tema che ha orientato gli elettori dell’ultra-destra, dicono i sondaggi, mentre la sicurezza internazionale e la guerra in Ucraina è il tema che ha portato al voto l’elettorato il movimento di Sarah Wagenknecht. Secondo le rilevazioni Infratest Dimap la fascia tra i 16 e i 24 anni ha votato per il 16% Afd, per il 17% la Cdu-Csu, per l’11% i Verdi e per il 28% partiti minori. Tra i più giovani l’ultra-destra ha registrato l’incremento maggiore con un +11%, mentre i Verdi hanno perso il 23% rispetto a cinque anni fa.
Nel 2019, Fridays for Future era al massimo della sua spinta propulsiva e i Verdi il principale referente politico di opposizione, mentre ora sono al governo e di scelte impopolari – come il ripristino delle miniere di lignite a Lützerath – ne hanno fatte parecchie.
Cosa sfidare se non ciò che è massimamente proibito? L’aura di condanna sociale che aleggia su Afd è stato un propellente per molti. Soprattutto tra i giovani maschi, come annunciavano i sondaggi pre-elettorali. E pensare che è stato proprio l’Spd a spingere per portare i sedicenni al voto.
In filigrana, la foto della Germania che emerge dopo le elezioni è quella di un Paese ancora diviso in due, dove l’Est presenta una fisionomia propria. Nei cinque Länder orientali infatti non solo l’Afd è al 29,2% – contro il 15,9% al livello federale – ma il movimento populista di sinistra BSW di Sarah Wagenknecht – che nel resto del Paese ha il 6,2% – è il terzo partito, con il 13,8% dei consensi, prima di socialdemocratici e verdi.
In comune i due partiti hanno una certa benevolenza nei confronti della Russia, come ha spiegato di recente il più grande storico tedesco vivente Heinrich August Winkler in un’intervista a Süddeutsche Zeitung. «Oltre ai ricordi sentimentali dei “russi amici”, c’è anche una diffusa paura della Russia potente», dice Winkler. E «Nella DDR, sotto la maschera dell’antifascismo ufficiale come dottrina di partito e di Stato, hanno potuto sopravvivere alcuni modi di pensare della “vecchia Germania» (..) dove «c’è un forte sostegno ai modelli di pensiero nazionalisti, illiberali e anti-occidentali».
(da La Stampa)
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Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
GIÀ GHOST-WRITER DI JOERG HAIDER, DA MINISTRO DELL’INTERNO, NEL 2017, PROPOSE “DI CONCENTRARE I MIGRANTI IN UN SOLO LUOGO”, EVOCANDO I CAMPI DI CONCENTRAMENTO… I RAPPORTI CON LA RUSSIA E LE SUE “MANOVRE” PER CONTROLLARE L’INTELLIGENCE ANTITERRORISMO
«Come può qualcuno che nasconde tanta sporcizia chiamarsi Ariel?». All’inizio degli anni Duemila, Joerg Haider gela l’Austria. Ariel è un famoso detersivo. E il leader dell’ultradestra austriaca Fpoe gioca con l’assonanza con il nome del capo della comunità ebraica di Vienna, Ariel Muzicant. L’insulto antisemita suscita un’ondata di indignazione.
Pochi sanno che quella frase è stata scritta dal ghostwriter del leader del Fpoe. Un ex studente di filosofia dall’aria insignificante con una segreta passione per la legione straniera e le confraternite estremiste: Herbert Kickl. In quei turbolenti anni della coabitazione a Vienna tra i popolari della Oevp e la Fpoe, Kickl inventa per Haider un’altra espressione che si imprime nella memoria nazionale.
Quando il presidente francese Jacques Chirac spinge per infliggere le sanzioni europee all’Austria per aver sdoganato l’ultradestra al governo, conia per il presidente francese l’insulto “Napoleone da taschino”.
Da allora, Kickl ha fatto parecchia strada. E domenica ha festeggiato uno storico sorpasso. Per la prima volta dalla fondazione del partito, negli anni ’50, la Fpoe che lui guida da tre anni è arrivata prima conquistando il 25,7% dei voti. E a settembre, può sognare di diventare cancelliere.
Per anni, Kickl è stato un uomo nell’ombra. All’inizio degli anni 2000, quando Haider lascia il partito, lui decide di restare nella Fpoe e di dare una mano a un astro nascente: Heinz-Christian Strache. È Kickl a ispirare la sua radicale svolta islamofoba, a inventarsi slogan come “Daham statt Islam” (“Patria invece di Islam”) o “Deutsch anstatt ‘Nichtverstehen'” (“Tedesco invece di ‘Noncapisco’”).
Nel 2010 aggredisce un cronista sibilando «non saremo mai d’accordo se lei intende attribuire alle Waffen-SS una colpa collettiva». È appena il caso di ricordare che la Fpoe fu cofondata da ex membri delle Ss come Anton Reinthaller.
L’eventualità che Kickl possa diventare cancelliere è una prospettiva che spaventa molti, in Austria. Anche perché è già stato al governo come ministro dell’Interno del governo di Sebastian Kurz (Oevp). Neanche 24 ore dopo il giuramento, nel 2017, dice che «bisogna concentrare tutti i richiedenti asilo in un posto».
La frase fa rabbrividire l’Europa, e Kurz comincia a capire di aver commesso un errore. Ma Kickl va avanti come un treno, dichiara «guerra al ’68», che «ha minato lo Stato e la famiglia». E la famiglia è per lui rigorosamente eterosessuale. Denuncia la «follia ecologista», minaccia di ignorare il diritto di asilo. Soprattutto, fa accordi con la “Russia unita” di Vladimir Putin e, secondo numerose inchieste giornalistiche, ne diventa la longa manus.
Nel 2018, Kickl organizza un blitz della polizia nel Bvt, l’intelligence antiterrorismo, per intimidire il capo dei servizi Peter Gridling. Uno scandalo che assume rilevanza internazionale quando emerge che la polizia ha sequestrato dati classificati e delicatissimi. Tanto che le altre agenzie internazionali interrompono ogni comunicazione con Vienna.
Una vicenda che si intreccia con il più grande scandalo finanziario e spionistico degli ultimi anni, quello dell’austriaco Jan Marsalek, ex direttore finanziario di Wirecard e da decenni spia importante di Putin. Scopo del raid organizzato da Kickl era quello di screditare e decapitare l’intelligence e infiltrarla con agenti di Mosca.
Quanto agli innumerevoli scandali che lo hanno travolto in questo quarto di secolo, Loew spiega che «è come con Donald Trump: ai suoi elettori non interessano gli scandali, nulla scalfisce la loro rabbia e la loro fiducia in Herbert Kickl».
(da La Repubblica)
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Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
“UNA SFIDA DI GOVERNO DIFFICILE. ANCHE PERCHÉ IL SUO CANDIDATO PRIMO MINISTRO, JORDAN BARDELLA, E’ IMPREPARATO”… IL PRECEDENTE TRA MITTERRAND E ROCARD
La festa europeista è finita, e non da ora. Due anni fa, i quattro grandi
Paesi dell’Europa occidentale erano guidati da un Emmanuel Macron appena rieletto con ampio margine, da un Olaf Scholz che si era presentato come «la nuova Cancelliera», insomma l’erede di Angela Merkel, dal socialista Pedro Sánchez non ancora indebolito e dal salvatore dell’euro, Mario Draghi: tutti e quattro pienamente solidali con Zelensky e la causa dell’Ucraina e della Nato.
Oggi Macron ha sciolto il Parlamento per una sfida «o la va o la spacca». Scholz ha visto l’Spd — il partito più antico d’Europa, fondato nel 1863, sopravvissuto a due guerre mondali e al nazismo, portato al governo da figure di immenso prestigio come Willy Brandt e Helmut Schmidt — superato e umiliato dagli anti-antinazisti dell’Alternativa per la Germania. Sánchez ha perso terreno rispetto alle elezioni politiche, quando è riuscito a riabborracciare un governo con un solo voto di maggioranza. E l’unico partito di opposizione al governo Draghi sfiora il 30 per cento.
Diciamolo con franchezza: il voto dell’8 e 9 giugno è stata l’ennesima prova di forza della destra italiana. Giorgia Meloni non ha fatto una campagna da destra moderata, conservatrice, europea. Non ha rinunciato a un’oncia di se stessa. Ha stretto un’alleanza con Eric Zemmour, uno che sta a destra di Marine Le Pen, e ha flirtato con la Le Pen stessa.
Ciò non toglie che ora Giorgia Meloni sia a un bivio. Che non è solo tra sostenere Ursula von der Leyen, unendosi alla maggioranza che governerà l’Europa ma spaccando il gruppo dei Conservatori di cui è presidente, oppure mantenere l’unità del gruppo ma schierando il governo italiano all’opposizione. Il vero bivio è tra il ritenere che i problemi dell’Italia — a cominciare dall’immigrazione e dalla sostenibilità del debito pubblico — si risolvano più facilmente facendo da soli, o collaborando con i partner europei e con le istituzioni di Bruxelles.
Marine Le Pen questo dilemma l’ha risolto da tempo: per lei la legislazione nazionale deve prevalere su quella comunitaria; il che implica la distruzione dell’Europa come l’abbiamo conosciuta. Molto quindi dipende dalla partita che si gioca oltralpe.
Vista dall’alto di un aereo, la Francia appare verde, pulita, ordinata, dolce: il giardino di Dio; «heureux comme Dieu en France», felice come Dio in Francia, si diceva ai tempi in cui Charles Trenet cantava «douce France».
Ma a girare nei villaggi cari agli chansonniers, fuori dalle grandi città e dalle rotte turistiche, la Francia è un Paese spaventosamente impoverito, slabbrato sul piano edilizio e sociale: è tutto un cartello «a vendre» o «a louer», vendesi, affittasi; si possono girare dieci paesi di fila in cui lo storico bistrot ha chiuso, prima di arrivare a Colombey-les-deux-eglises, dove il bistrot è ancora aperto per gli ultimi visitatori memori del generale De Gaulle, che qui visse e qui è sepolto.
Ecco, la Francia Macron è abituata a vederla dall’alto. Fatica a capire o anche solo a vedere la Francia profonda, sorvolata e sconfitta dalla globalizzazione, che intende affidarsi a una destra populista che all’evidenza non è la soluzione. Per questo Macron ha giocato la carta delle elezioni anticipate, che non mettono in gioco il suo posto all’Eliseo, al sicuro per altri tre anni, ma la maggioranza in Parlamento. Pensa di non avere nulla da perdere.
Se vincerà il fronte repubblicano che spera di costruire — ha già annunciato che non presenterà candidati contro gli uscenti dei Repubblicani, vale a dire la destra neogollista ed europeista —, tanto meglio. Se invece vincerà il partito di casa Le Pen, i francesi sperimenteranno cosa vuol dire l’estrema destra al governo, e faranno in tempo a cambiare idea alle presidenziali del 2027. Questo almeno è il calcolo di Macron.
Previsione: al ballottaggio del 7 luglio Marine Le Pen non avrà la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale. Avrà forse una maggioranza relativa, che le porrebbe una sfida di governo molto difficile. Anche perché il suo candidato primo ministro, Jordan Bardella, è molto popolare ma anche molto giovane (28 anni), e molto impreparato.
Nel 1988, appena rieletto senza patemi, François Mitterrand scelse come primo ministro il suo peggiore nemico interno: Michel Rocard. Ai fedelissimi, increduli, spiegò: «I francesi lo vogliono, e i francesi lo avranno».
Rocard durò meno di tre anni, e sparì. Anche Mitterrand si sentì poco bene.
Ma era Mitterrand, e fece in tempo a vincere il referendum sull’euro, che Kohl aveva accettato dicendo: «Non so se alla Germania convenga davvero. So che avevo un fratello, si chiamava Walter, ed è morto in guerra».
Se era una festa, non ce n’eravamo accorti. Ma forse la rimpiangeremo.
Aldo Cazzullo
per il Corriere della Sera
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Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
LA FANTASIOSA DIFESA DI “LOLLO”: “È UN PADRE DI FAMIGLIA CHE AMA SUA MOGLIE E I SUOI PICCOLI. DA ANNI NON SALTA UNA DOMENICA IN CHIESA, VA IN PELLEGRINAGGIO A MEDJUGORJE”
Dalla pagina Facebook di Francesco Lollobrigida
L’odio, la penna e la matita. Paolo Signorelli, per come l’ho conosciuto, è un padre di famiglia che ama sua moglie e i suoi piccoli. È incensurato e ha due lauree. Lavora con dedizione e professionalità. Mai l’ho sentito, in questi mesi, dire una cosa fuori dalle righe.
Certamente le cose che ho letto nelle chat sono ingiustificabili ma il contesto nelle quali sono state dette è molto più complesso di come è stato raccontato. Si tratta, comunque del suo passato che appare, a chi conosce il Paolo di oggi, molto più lontano dei soli anni che lo separano da quanto riportato dal quotidiano il giorno della chiusura della campagna elettorale. Ci si può trovare in situazioni terribili senza saperlo e volerlo per il contesto in cui sei cresciuto o lavori. Specie se un altro Paolo Signorelli è tuo nonno e non lo potevi certo scegliere….
Importante però dovrebbe essere non aver commesso crimini e aver avuto il coraggio di voltare pagina. Ma non è sempre così. Un giornale ha pubblicato intercettazioni che non hanno alcuna rilevanza penale se non, eventualmente, per chi le ha diffuse. Come ha ben scritto anche L’Unità.
Il quotidiano di De Benedetti, invece, ha raccontato un’altra persona rispetto a un giovane giornalista che da anni non salta una domenica in chiesa, va regolarmente in pellegrinaggio a Medjugorje, aiuta chiunque sia in difficoltà. Paolo si è dimesso, per non alimentare ulteriormente il tritacarne nel quale era finito. Persino nelle chat della scuola dei suoi figli…perché ha chiaro che attraverso lui si voleva colpire il Governo…perché la serenità della sua famiglia non è sacrificabile.
È stato un ottimo capoufficio stampa e mancherà molto ai suoi attuali colleghi. Tutti sanno bene che gli antisemiti devono stare lontano da Fratelli d’Italia.
Oggi perdo un collaboratore prezioso…
Con la serenità di sempre andiamo avanti.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
IL M5S NE PERDE 2 MILIONI, FDI 600.000, LEGA 400.000
Fratelli d’Italia ha aumentato la sua percentuale alle elezioni europee
rispetto alle politiche. Ma in termini assoluti ha preso meno voti. Lo stesso destino le urne l’hanno riservato a tutti i partiti in corsa l’8 e 9 giugno. Tranne che a due: il Partito Democratico e Alleanza Verdi Sinistra. E ancora: il crack dell’affluenza, per la prima volta sotto il 50%, lo ha pagato soprattutto il Movimento 5 Stelle. Che ha perso due milioni di voti.
Il partito di Giorgia Meloni intanto prende voti a Forza Italia e Lega e ne intercetta anche qualcuno che proviene dal Terzo Polo in pezzi. Nel complesso, dicono gli analisti, dalle urne per il Parlamento Europeo emerge una bipolarizzazione molto marcata. Ma con una differenza importante: il centrodestra ha già una coalizione. Il centrosinistra no.
I numeri dei voti
Confrontando i numeri del voto in termini assoluti cambiano molto le valutazioni dei risultati delle elezioni europee. FdI prende 6 milioni e 704 mila voti e porta a casa una percentuale vicina al 29%. Ma perde quasi seicentomila preferenze rispetto al 2022, quando ne aveva portati a casa 7 milioni e 300 mila.
Stesso risultato per Forza Italia (2 milioni e 237 mila voti contro 2 milioni e 279 mila) e Lega (due milioni di voti contro 2 milioni e 400 mila). Il crollo più impressionante è quello del M5s. Che due anni fa aveva portato a casa 4,3 milioni di voti e nel week end ne ha presi 2,3 milioni.
In controtendenza soltanto due partiti: il Pd di Elly Schlein e Avs. Il partito di Fratoianni e Bonelli beneficia della candidatura di Ilaria Salis e porta a casa un milione e mezzo di voti, ben 500 mila rispetto alle politiche 2022. I Dem prendono 5 milioni e 604 mila voti, 250 mila in più rispetto alle elezioni di due anni fa quando erano 5,3 milioni.
I flussi
Poi ci sono i flussi di voti. La Stampa spiega oggi che secondo l’Istituto Cattaneo la crescita di FdI e Pd viene da una base di elettori stabili, mentre entrambi i partiti per crescere attingono dal Terzo Polo. Il successo di Fi dipende in larga parte dalla Sicilia. E dalle preferenze di Edy Tamajo, che ha portato a casa 120 mila suffragi. Secondo Swg Meloni guadagna voti sulla Lega e Forza Italia, mentre Avs li sottrae a Conte e al Pd. Che a sua volta li prende dai grillini, Italia Viva e Azione.
A scegliere l’astensione in questa tornata elettorale è stato il 35% degli elettori che nel 2022 alle Politiche avevano votato per il M5s. La percentuale scende al 30% per l’ex Terzo Polo. Secondo Lorenzo Pregliasco di Youtrend la caduta dei grillini è dovuta alla perdita di consensi nelle regioni meridionali e nelle isole, dove quasi si dimezzano.
Centrodestra e centrosinistra
Nel complesso, spiega oggi Repubblica, il centrodestra è stabile al 46/47%. «Il voto proporzionale ha finito comunque per favorire il centrosinistra», dice Pregliasco. Il Pd ha fatto un balzo in chiave anti Giorgia. Avs grazie al voto identitario (Salis) e giovanile. «Il Pd ha mobilitato i propri fedelissimi nell’80 per cento dei casi rispetto alle politiche, Fratelli d’Italia del 50-60 per cento», afferma il politologo Roberto D’Alimonte. «La loro crescita, unita a quella di Alleanza Verdi Sinistra, è il prodotto di una tendenza abbastanza uniforme su tutto il territorio nazionale», precisa Salvatore Vassallo del Cattaneo.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
MACRON ANNUNCIA: “NON MI DIMETTO, QUALUNQUE SIA L’ESITO”
A pochi giorni dalla decisione di Emmanuel Macron di sciogliere le camere e convocare elezioni anticipate, in Francia tutti gli occhi sono puntati su Les Républicains, partito della destra moderata guidato da Eric Ciotti e attuale “stampella” politica dei macroniani.
In vista del primo turno del 30 giugno – ma anche del ballottaggio del 7 luglio – i partiti sono alla ricerca di alleati nella corsa contro il tempo per trovare una nuova maggioranza di governo. Una delle formazioni politiche più ambite sono proprio i Repubblicani, eredi dei neogollisti.
Nella mattinata di oggi, martedì 11 giugno, Le Figaro ha rivelato che il presidente del partito, Eric Ciotti, ha raggiunto un accordo elettorale con l’estrema destra del Rassemblement National, guidata da Marine Le Pen e Jordan Bardella e nettamente in testa ai sondaggi. Si tratterebbe di un’intesa inedita nella storia della quinta repubblica francese.
Il dilemma dei Repubblicani
La mossa di Ciotti, potenzialmente decisiva per la vittoria dell’estrema destra alle elezioni, ha fatto infuriare i parlamentari di Repubblicani, che hanno scritto un comunicato in fretta e furia per manifestare tutta la propria contrarietà all’accordo con l’estrema destra. «I senatori repubblicani hanno riaffermato all’unanimità quella che deve essere la linea chiara e responsabile della destra francese: restare se stessa mantenendo la [sua] indipendenza e la [sua] autonomia, sia nei confronti del campo macronista come del campo di Le Pen», scrivono i parlamentari de Les Républicains.
Il loro appello, però, è rimasto inascoltato. «Abbiamo bisogno di un’alleanza con il Rassemblement National», ha detto Ciotti in un intervento televisivo. «Spero – ha aggiunto – che la mia famiglia politica si muova in questa direzione». A elogiare le sue parole è Marine Le Pen, che parla di «scelta coraggiosa» e conferma la volontà di collaborare.
Macron: «Niente dimissioni»
Nel frattempo, anche Emmanuel Macron torna a parlare. E lo fa in un’intervista a Le Figaro Magazine. «Non potevamo far finta di niente, la decisione che ho preso apre una nuova era», ha detto il presidente francese definendo «necessaria» la scelta di convocare elezioni anticipate. «È stata la decisione giusta, nell’interesse del Paese. E dico ai francesi: non abbiate paura, andate a votare», ha aggiunto l’ex presidente. Attualmente, sono tre i principali schieramenti in corsa alle elezioni: l’estrema destra di Marine Le Pen e Jordan Bardella (che i sondaggi danno intorno al 34%), la sinistra unita nella sigla Nupes (22%) e la coalizione macroniana (19%). «Non ho mai creduto nei sondaggi. Sono in campo per vincere», insiste il presidente francese. In ogni caso, Macron ha precisato che, a prescindere dall’esito del voto e dall’orientamento politico del nuovo governo, continuerà a essere presidente della Repubblica e non si dimetterà.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile
A ROMA NON ARRIVA AL 5%, NEL NORD EST AL 7 E AL NORD OVEST E’ SOTTO LA MEDIA NAZIONALE (SE LO RICORDI TAJANI PRIMA DI VOTARE L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA)… L’OPERAZIONE LETIZIA MORATTI NON È STATA UN TRIONFO: L’EX SINDACA DI MILANO ANDRÀ A BRUXELLES CON SOLE 41MILA PREFERENZE – IL NO AL RIENTRO DI CARFAGNA E GELMINI DA AZIONE: “NON SIAMO UN ALBERGO A ORE”
Alle due di notte di domenica, quando le proiezioni davano per certo il
sorpasso sulla Lega, Antonio Tajani ha festeggiato così: con una tazza di latte caldo. Non è la Forza Italia bollicine di Berlusconi. Però al segretario azzurro è riuscito un colpo che pochi pronosticavano, un anno fa, alla scomparsa del Cavaliere: tenere in piedi la creatura azzurra, intanto. Portarla sopra al Carroccio. Sfiorare quota 10%.
La Real casa di Arcore apprezza: ieri con Tajani si sono fatti vivi sia Marina che Pier Silvio Berlusconi. Messaggini e telefonate: congratulazioni. Da Villa San Martino ha chiamato pure la quasi vedova dell’ex premier, Marta Fascina, che nella vita del partito (e del Parlamento) latita. La famiglia Berlusconi si riunirà domani, per la messa nella cappella privata della residenza brianzola, a un anno dalla morte del patriarca. Il vice-presidente del Consiglio non ci sarà.
FI ha più peso, adesso, per insistere sulle sue battaglie: «Ci sarà grande impegno per la riforma della giustizia». Quanto al disastro dell’ex Terzo Polo, Tajani chiude le porte a possibili cavalli di ritorno (i forzisti malignano su Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, passate con Azione): «Non siamo un albergo a ore».
Dentro FI stiracchiano la portata di questa vittoria elettorale. «Arriveremo al 20%, intanto siamo già la terza forza politica d’Italia», azzarda il vicepremier. Il dato secco del Viminale, in realtà, dice che gli azzurri sono dietro ai 5S e non sono in doppia cifra (9,6%), anche se di poco. «Ma no, siamo sopra, perché c’è un accordo con la Sudtiroler Volkspartei», calcola il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri. Di sicuro il vicepremier è stato un campione di Lego, è riuscito ad assemblare tanti pezzi: non solo la Svp tirolese. Pure Noi Moderati di Lupi, che un mezzo punto percentuale l’avrà portato. E poi l’Mpa di Raffaele Lombardo in Sicilia.
Proprio la Sicilia riserva gioie e dolori, nel day after delle urne. Perché sì, nell’isola, FI vola al 23%, primo partito, davanti pure ai Fratelli. E il dato pesa, sulla bilancia nazionale. Anche perché, per dire, a Roma, la città del vice-premier, gli azzurri arrancano al 5%. Nel Nord Est sono al 7, al Nord Ovest sotto alla media nazionale.
Sono soprattutto i consensi del Meridione – l’11% circa in Campania, il 18% in Calabria – a trainare FI. Però appunto in Sicilia la capolista di Tajani, l’ex dem Caterina Chinnici, è arrivata solo terza, nonostante tanti big, a partire da Giorgio Mulè, si siano spesi pancia a terra. Primo è arrivato Edy Tamajo, fedelissimo del governatore Renato Schifani, che in teoria avrebbe dovuto restare neutrale e semmai sostenere la capolista. Secondo, Marco Falcone. Risultato: oggi Chinnici è clamorosamente fuori dall’Eurocamera, nonostante l’appoggio di Lombardo.
L’unica possibilità, per la figlia del magistrato ucciso dalla mafia, è che rinunci uno tra Tamajo e Falcone, magari con una promozione nel partito. Complicato. Nelle chat azzurre è già l’ora dei veleni: «Schifani ha remato contro. Con l’aiuto di Cuffaro». Pur di favorire Chinnici, Tajani non si era candidato nelle Isole.
Negli altri 4 collegi, ha raccolto oltre 400mila preferenze. Un discreto bottino. «Ma Vannacci l’ha superato», nota qualche big.
Anche l’operazione Letizia Moratti non è stata un trionfo: l’ex sindaca di Milano andrà a Bruxelles, ma con sole 41mila preferenze. Tajani, al Nord Ovest, l’ha più che doppiata. E questo potrebbe aiutarlo, perché spazza via la suggestione di una staffetta al comando di FI. Anche il ritorno di Renata Polverini al Centro è stato un flop: niente seggio. Come Alessandra Mussolini.
(da agenzie)
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