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TRUMP, DOPO AVER EVITATO LA LEVA PER BEN 5 VOLTE, VORREBBE REINTRODURRE IL SERVIZIO MILITARE OBBLIGATORIO

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

“THE DONALD” VORREBBE IMPORRE LA NAJA PER FRONTEGGIARE IL CALO DEI VOLONTARI, MA ANCHE PER “CREARE UN SENSO DI SACRIFICIO CONDIVISO” TRA I GIOVANI AMERICANI… IL TYCOON RIUSCI’ A NON ANDARE A COMBATTARE IN VIETNAM TROVANDO SEMPRE UNA SCUSA: LE PRIME QUATTRO VOLTE PER “MOTIVI DI STUDIO” E UNA PER UN “PROBLEMA AI TALLONI”

Il servizio militare obbligatorio per fronteggiare la “crisi” del calo dei volontari. E’ l’ultima idea che circola nell’entourage di Donald Trump, appoggiata da alcuni repubblicani in Congresso. L’obbligo di un servizio nazionale “dovrebbe essere fortemente considerato”, ha detto al Washington Post Christopher Miller, che era al Pentagono negli ultimi scampoli dell’amministrazione e che, in un secondo mandato dell’ex presidente, potrebbe avere un ruolo di primo piano. La leva obbligatoria dovrebbe essere considerata come un “rito di passaggio” per creare un senso di “sacrificio condiviso” fra i giovani.
Articolo dell’ANSA del 2 agosto 201
Donald Trump è stato esonerato dal servizio militare cinque volte, quattro per motivi di studio e una per motivi di salute. Esoneri che gli hanno evitato la guerra in Vietnam. Lo riporta il New York Times citando alcuni documenti, emersi dopo le polemiche fra Trump e la famiglia del soldato musulmano ucciso. L’esonero per motivi medici, problemi al tallone, ha consentito a Trump, finiti gli studi, di andare subito a lavorare con il padre.
Ma Trump di recente non è riuscito a ricordare neanche quale fosse il tallone malato. Il tycoon ha raccontato l’episodio in termini diversi, spiegando che gli era stato assegnato un numero di lotteria alto che non è stato estratto. Trump non è l’unico politico ad aver ricevuto vari esoneri e si è sempre opposto alla guerra in Vietnam.
(da agenzie)

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DOPO LE EUROPEE, ROMANO PRODI INDICA LA VIA A ELLY SCHLEIN: “PUÒ ESSERE LA FEDERATRICE DI TUTTA L’OPPOSIZIONE. VEDREMO SE SAPRÀ FARLO. AL PD SERVE CULTURA DI GOVERNO. AI TEMPI DELL’ULIVO NON È CHE CI FOSSERO SOLTANTO GRANDI AMORI. LA POLITICA È INTELLIGENZA E FLESSIBILITÀ”

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

SULLA MELONI: “NON SI È RAFFORZATA LA MAGGIORANZA, SI È RAFFORZATA LA PREMIER”

Romano Prodi accompagna sempre i suoi giudizi con lo sguardo di chi ha guidato il “governo” europeo per cinque anni e quello italiano per due volte e sulla scorta di questa doppia esperienza, suggerisce di non scambiare il 9 giugno 2024 per una delle tante giornate importanti, perché stavolta potremmo trovarci dentro un vero passaggio d’epoca: «In questa “nuova” Europa non ci sono più la Germania e la Francia, almeno come le abbiamo conosciute per decenni. Sono state il motore dell’Unione, ma ora quel motore è in crisi.
E questa rischia di essere una rivoluzione».
E quanto ai nuovi equilibri che si sono determinati in Italia, al governo e all’opposizione, Prodi si scopre ottimista, ma ad una condizione: «Il Pd sarà capace di coltivare il campo largo che gli si è aperto davanti per meriti propri e anche per insperata fortuna? Se ci riesce, si riapre la battaglia politica in Italia. Abbiamo davanti un’occasione unica. ma bisogna saperla cogliere, costruendo una cosa che manca: una autentica coalizione e una cultura di governo».
In Italia la maggioranza di governo esce rafforzata: per quali ragioni?
«No, non si è rafforzata la maggioranza, si è rafforzata Giorgia Meloni. La sua campagna elettorale, a dir la verità, non è stata granché, né esteticamente, né programmaticamente, però è riuscita a dare il senso della sua forza di governo. I punti guadagnati sono tutti suoi. Anche grazie ad una opposizione, assolutamente fragile, che sinora non è stata capace di costruire un’alleanza alternativa».
Gli elettori hanno premiato il Pd e penalizzato i Cinque stelle: che scenario si apre?
«Il Pd è ora dominante all’opposizione, dato di fatto che nessuno aveva previsto. Si immaginava che i Cinque stelle avrebbero avuto più della metà dei voti del Pd e invece scopriamo che sono molto meno della metà. Renzi, che aveva cercato il “soccorso rosso” di Emma Bonino, non ce l’ha fatta.
Tutte queste novità cambiando lo scenario. Abbiamo davanti un’opportunità straordinaria che forse neppure Elly Schlein poteva immaginare si manifestasse così. Ora anche le alternative di centro sono disponibili»”.
Nel passato con gli ex Pd si sono consumati scontri avvelenati: non sarebbe tempo di finirla con i veti?
«Mi scusi ma lei pensa che ai tempi dell’Ulivo ci fossero soltanto grandi amori? La politica è intelligenza e flessibilità, mettere assieme i programmi che ci sono. Il Paese non ne può più delle differenze. Se costruisci un’alleanza sui grandi temi, le differenze personali perdono peso, perché c’è un disegno».
I nuovi rapporti di forze autorizzano qualsiasi ambizione per Schlein ma 30 anni fa i progressisti sono andati al governo per la prima volta nella storia della Repubblica, quando l’allora Pds, il triplo dei voti del Ppi, pensò che si potesse vincere con un federatore credibile, proprio lei: alla fine potrebbe riproporsi questo scenario? «Dissi tempo fa che poteva essere Elly la federatrice di tutta l’opposizione. Ora l’occasione si presenta: vedremo se vuole farlo e se saprà farlo».
I candidati riformisti del Pd hanno sommato quasi 2 milioni di preferenze: la loro cultura di governo, quando c’è, va preservata?
«La cultura di governo non va preservata, va costruita: questo è il problema. Però per la prima volta c’è l’occasione concreta per farlo».
Dal voto, è apparsa una nuova Europa: si prepara a cambiare dottrina sui fondamentali, o è solo una correzione? Un’Europa con un baricentro più spostato a destra?
«Se guardiamo ai risultati complessivi siamo davanti ad una semplice correzione. In fondo i Popolari dovrebbero aver guadagnato 9 seggi, i Socialisti ne dovrebbero perdere 4 e invece i liberali di Macron ne dovrebbero perdere più di venti. La destra guadagna qualche punto, persino meno del previsto, Ursula perde una quindicina di seggi: dunque, un piccolo passo indietro, non grave. Il problema, la vera rivoluzione è che in questa “nuova” Europa la Germania e la Francia non sono più insieme».
Il peso di quei due Paesi può ridursi così drasticamente da un giorno all’altro?
«L’Europa si è sempre retta sulla spinta di due motori e quei due motori sono in crisi.
Già da tempo avevamo una Germania e una Francia non più all’unisono come in passato. Ma improvvisamente Macron ha aperto il sacco, dando via libera forse a un governo Le Pen-Bardella.
Di lui ho letto la storia politica su Le Monde: un tipo che ha una formazione coerente, di estrema destra. La Germania invece continuerà ad essere guidata dall’attuale governo di coalizione, a cui si accompagna però un rischio enorme: per la prima volta dopo decenni, potremmo avere una Francia e una Germania collocati su schieramenti diversi. Ma soprattutto – ecco il punto – con due idee diverse di Europa».
E questo combinato disposto, maggioranza sulla carta e ridotto peso franco-tedesco concretamente cosa può causare sin dalle prossime settimane?
«O c’è compattezza assoluta nei parlamentari di “maggioranza”, cosa della quale dubito, oppure diventa tutto più complicato e a quel punto si apre un negoziato…». Era proprio lo scenario di chi immaginava di calare al momento “giusto” la candidatura di Draghi… «Dobbiamo partire da un presupposto: dati i risultati elettorali il Ppe non transigerà sulla Presidenza ad un proprio esponente. Dopodiché il Presidente della Commissione si deve eleggere in Parlamento a voto segreto che diventa spesso il luogo della vendetta».
Una specialità della politica italiana, a un certo punto da noi fu fortemente limitato.
«No, guardi il voto segreto anche a Bruxelles è il luogo del risentimento e dell'”ora ci penso io”».
E il voto segreto che c’entra con Francia e Germania?
«Davanti a quel passaggio stretto che riguarderà il Presidente della Commissione, un conto è avere Germania e Francia dalla tua, un conto è ritrovarteli depotenziati».
Ora l’Italia difficilmente potrà essere un punto di riferimento europeista e non potrebbe nemmeno esserlo, visto che Popolari, socialisti e liberali hanno espresso un veto verso la destra e dunque anche verso i Conservatori di Meloni».
(da la Stampa”)

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M5S, PROCESSO A CONTE. LUI RILANCIA: “VIA IL LIMITE DEI DUE MANDATI E LE PARLAMENTARIE”

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

E SENTE SCHLEIN

Prima gli elettori, ora i compagni di partito: Giuseppe Conte viene messo nell’angolo. Il popolo M5S si è ridotto al 10% dei votanti, diminuendo in neanche due anni di cinque punti percentuali e disperdendo oltre due milioni di consensi.
La batosta presa in queste elezioni europee è destinata a rimettere in discussione l’intero assetto del partito. Gli ex parlamentari e il direttivo chiedono al presidente un cambio radicale di questa gestione rivelatasi fallimentare e lui non può che dare un segnale in un momento in cui il suo ruolo è in bilico più che mai.
L’ex premier, malgrado i toni da campagna elettorale utilizzati fino alla scorsa settimana, non intende quindi abbandonare il Campo progressista. Sul fronte interno occorre una rivoluzione. L’idea è di abolire il limite dei due mandati ma anche la regola secondo cui i candidati devono essere scelti attraverso la selezione online.
Chi sarebbe voluto essere protagonista di queste elezioni europee non riesce ad accettare la sconfitta. «Dovevamo candidarci tutti», viene ripetuto come un mantra dagli ex parlamentari che hanno già ricoperto i due mandati a disposizione. Loro, i volti storici e conosciuti del Movimento, rivendicano di aver «iniziato dai meet up» e di aver «portato Conte sul tetto del mondo», e accusano l’ex premier di aver condotto una campagna elettorale in solitaria con candidati che non sono riusciti a intercettare i voti sperati. Anzi, il maggior contributo alla fine è stato dato dalle persone indicate da Beppe Grillo come Sabrina Pignedoli.
Il grande freddo con Beppe Grillo, sparito non a caso dai palchi della campagna elettorale, non lo fa stare tranquillo e l’unica soluzione è dimostrare di non aver perso il controllo degli eletti.
«Ma se fosse questa l’occasione buona per un cambio al vertice?», si chiedono in tanti e non è un mistero che il fondatore M5S immagini, ormai da tempo, una leader donna.
Quindi si parla di Virginia Raggi, che avrebbe voluto correre alle europee ma le è stato impedito perché anche lei ha terminato i mandati a disposizione. Ma viene indicata anche Chiara Appendino, la deputata ex sindaca di Torino, sempre apprezzata e stimata dal fondatore.
C’è anche chi immagina un ritorno di Alessandro Di Battista, che per adesso si sta dedicando all’associazione Schierarsi e non è sfuggito che l’ex sindaca di Roma domenica ha partecipato, con tanto di foto sui social, a uno dei loro banchetti. Immagine che suona un po’ come una provocazione ma anche come la volontà di voler riavvicinare quel mondo, che era la base grillina, ora andata perduta.
La nostalgia è canaglia in M5S e nei momenti difficoltà, come quello che si sta vivendo adesso, lo è ancora di più.
Ne è la prova l’ex ministro dei Trasporti e attuale probiviro, Danilo Toninelli: «M5S non è più un partito rivoluzionario. Grillo faceva sognare, Conte è un tecnico, bisogna avere il coraggio di dire che è una brava persona ma i tecnici non hanno capacità di emozionare». Non chiede ancora le dimissioni, ma non sembra essere così lontano. Mentre vorrebbe un passo indietro Davide Casaleggio, il figlio dell’altro co-fondatore: «Dovrebbe mettere a disposizione il proprio ruolo». Conte non vuole lasciare, ma per restare saldo al suo posto deve avviare un vero restyling. E senza perdere troppo tempo perché Grillo è in agguato e aspetta solo di vedere quali saranno le prossime mosse.
(da agenzie)

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VINCITORI, VINTI E FINTI

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

L’ANALISI DI MARCO TRAVAGLIO SUL M5S

Precipitati alla percentuale Lidl del 9,99, sono i veri sconfitti. Le cause sono arcinote e, altro paradosso, figlie più dei loro meriti che dei loro difetti. Hanno fatto un sacco di cose buone nei governi Conte-1 e Conte-2, tant’è che Draghi (col loro consenso, o sindrome di Stoccolma) e Meloni hanno passato il tempo a demolirle, seminando frustrazione e rassegnazione fra i loro elettori.
E sono prigionieri di regole rigide ben oltre l’autolesionismo, come la scelta di gran parte dei candidati affidata agli iscritti e il limite di due mandati.
Gli sconosciuti scelti dagli iscritti, appena cominciano a farsi conoscere, scadono e devono sparire. Ma le liste di sconosciuti (tranne Tridico e pochi altri, che infatti vanno bene) non attirano voti e non smuovono astenuti, specie se gli unici elettori interessati sono quelli di opinione che non vendono o scambiano il voto. Se poi l’unico valore aggiunto rimasto, cioè Conte, non può e non vuole candidarsi per finta mentre gli altri lo fanno senza pagare pegno, anzi guadagnandoci, è dura restare a galla.
Tanto più se il 51% degli elettori italiani ( il 57al Sud e il 63 nelle isole), quelli non cammellati, restano a casa. II resto l’ha fatto la bipolarizzazione fittizia Meloni-Schlein imposta dai media filo-governativi (Giorgia, come competitor, preferisce mille volte Elly) e quelli filo-Pd: cioè tutti.
Ciò detto, può darsi che un movimento “biodegradabile” come lo definì Grillo, che a biodegradarlo contribuì da par suo conficcandolo nel governo Draghi, sia vicino all’estinzione. Ma può anche darsi che il suo peso nazionale, con un’affluenza da elezioni Politiche, sia ancora il 15 dei sondaggi di sabato.
E anche se fosse quello di terzo partito al 10, il secondo fra i giovani, meriterebbe un rilancio, non una resa, con nuove regole diverse da quelle pensate quando nella loro utopia Grillo e Casaleggio gli davano dieci anni di vita. La tentazione di Conte di passare la mano è comprensibile: sbattersi tanto per raccogliere cosi poco è frustrante e restare dopo tale batosta può sembrare avvitarsi alla poltrona. Ma, senza di lui, il M5S sarebbe morto già con la cura Draghi e ora si sognerebbe pure il 9.99%.
Marco Travaglio
per “il Fatto quotidiano”

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TRAVAGLIO, CONSIDERATO IL VERO IDEOLOGO DEL M5S, INFIOCINA CONTE: “PRECIPITATO ALLA PERCENTUALE LIDL DEL 9,99, CONTE È IL PRIMO GRANDE SCONFITTO. IL MOVIMENTO DEVE DECIDERE SE SCIOGLIERSI E FARLA FINITA O SE HA SPERANZE”

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

SEMBRA CHE L’EX MINISTRO STEFANO PATUANELLI, IN PRIVATO, “SUGGERISCA” LE DIMISSIONI DI “GIUSEPPI” … LA POSSIBILE CONTROMOSSA DI CONTE: ABOLIRE IL LIMITE DEI DUE MANDATI PER RIABILITARE I BIG DEL PARTITO

“Conte è il primo grande sconfitto di queste elezioni, ma credo che l’ultimo dei suoi problemi sia il rapporto con Elly Schlein , anche perché più il M5s si avvicina a Schlein, più perdono voti: primum vivere oppure decidere se morire. Quante volte abbiamo parlato della morte dei 5 Stelle? Ma prima o poi succederà, Grillo lo aveva definito un movimento biodegradabile”.
Così a Otto e mezzo (La7) il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio risponde alla conduttrice Lilli Gruber, che gli chiede cosa farà adesso il leader del M5s, Giuseppe Conte, alla luce del deludente risultato raggiunto dal Movimento alle elezioni europee.
“Non sto dando affatto per morti i 5 Stelle – precisa Travaglio – ma dico che sulla base delle loro analisi devono decidere loro se è venuto il momento di sciogliersi e di farla finita con una eutanasia oppure se hanno speranze per il futuro. È una partita aperta“.
E aggiunge: “Certamente non li ha aiutati l’astensionismo, certamente le loro regole troppo rigide li costringono a presentare continuamente liste di sconosciuti. Un’altra regola che io difendo ha imposto a Conte di non candidarsi: evidentemente ora staremmo raccontando un risultato diverso se le liste fossero state sormontate da Conte. Credo che alla sua lista avrebbe portato forse più voti di quelli che ha portato la Meloni, perché in questo momento il Movimento si identifica in Conte. Ricordo che il M5s era morto”
“E quindi cosa deve fare Conte?”, chiede Gruber. “Adesso i 5 Stelle devono decidere se esistere – ribadisce il direttore del Fatto – se il leader continuerà a essere Conte, cioè se Conte avrà ancora voglia di fare tanti sforzi per raccogliere così pochi risultati o se sarà un altro, se devono cambiare le regole e quali. Credo che dovranno avviare una grossa riflessione interna e non penso che faranno finta di niente“.
(da agenzie)

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FIGLIO DELLE BANLIEUE, MA SOPRATTUTTO DI PAPÀ: JORDAN BARDELLA, IL GALLETTO COCCODÈ DEL RASSEMBLEMENT NATIONAL, AMA DEFINIRSI “UNDERDOG” CRESCIUTO IN PERIFERIA E IN POVERTÀ, MA SONO BALLE

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

CERTO, HA VISSUTO CON LA MADRE IN UNA CASA POPOLARE, TRA SPACCIATORI E IMMIGRATI. MA CHISSÀ COME MAI NON PARLA MAI DEL BENESSERE DEL PADRE, PATRON DI UN’AZIENDA DI DISTRIBUTORI AUTOMATICI… PER LA MATURITÀ IL GENEROSO PAPARINO GLI REGALÒ UN VIAGGIO A MIAMI, POI UNA SMART, UN APPARTAMENTO, E HA DISPENSATO A JORDAN BONIFICI REGOLARI FINO AL PRIMO STIPENDIO DA POLITICO

I manifesti con la scritta «Bardella primo ministro» sono già pronti. Jordan Bardella e la sua mentore Marine Le Pen hanno 20 giorni di tempo per riuscire a passare dagli attuali 89 seggi del Rassemblement National — già cifra record — ai 289 necessari per arrivare alla maggioranza assoluta.
Come recuperare questi 200 seggi? In parte con le alleanze, naturalmente: Bardella si è dedicato già da ieri alle manovre, e ha incontrato Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen oggi nel partito rivale Reconquête. Maréchal è in rotta con il fondatore Zemmour, e potrebbe tornare in famiglia sostenendo il Rn.
Poi Bardella ha cominciato l’opera più difficile, ovvero convincere la destra gollista ad abbandonare l’ormai decrepito «fronte repubblicano» anti-estrema destra. I primi sondaggi danno il Rn a 265 seggi, i Républicains a 55: basterebbe portarne la metà, se non tutti, dalla propria parte, e «Bardella premier» diventerebbe realtà.
È molto merito della personalità del 28enne Bardella se il Rassemblement National è stato il partito di gran lunga più votato in tutte le categorie sociali, in tutte le fasce d’età, e in tutte le zone, tranne una: Parigi, isola nel mare di un Paese così diverso dalla capitale.
Jordan Bardella è cresciuto proprio alle porte di quella Parigi che continua a rifiutarlo, nella banlieue di Saint-Denis.
È figlio di Luisa Bertelli-Motta nata a Nichelino (Torino) e immigrata in Francia dall’età di un anno, impiegata comunale e donna di servizio, e di Olivier Bardella, a sua volta di origine piemontese, patron di una piccola azienda di distributori automatici di bevande. I genitori di Jordan divorziano quando lui ha un anno, e lui resta a Saint-Denis con la madre.
Jordan e Luisa vivono in una casa popolare, con gli spacciatori nella hall del palazzo e i ragazzini che gridano akha per avvisare dell’arrivo dei poliziotti. Jordan ama raccontare dell’infanzia in banlieue e della povertà della madre.
Parla meno del benessere del padre, che gli ha offerto un viaggio a Miami per la maturità, poi una Smart, un appartamento, e bonifici regolari sul conto fino al primo stipendio da politico.
Quando è diventato presidente del Rn, nel novembre 2022, nel discorso davanti ai militanti Jordan Bardella ha parlato di lei, Luisa, «che aveva la dignità delle persone che si alzano presto per un salario di miseria. Non eravamo di qui ma, per amore della Francia e del suo popolo, lo siamo diventati».
Bardella rivendica spesso il suo 75% di origini italiane (l’altro quarto è algerino Kabyle) per dire che integrarsi è possibile, se lo si vuole. Ha cominciato a militare nell’allora Front National a 16 anni folgorato dalla vista di Marine Le Pen in tv, e per amore della politica ha interrotto geografia all’università.
Nei duelli di questi mesi è apparso talvolta poco competente, specie davanti all’iper-diplomato premier Gabriel Attal. Ma tra il professorino severo Attal e lo studente non brillantissimo ma di buona volontà Bardella, i francesi — non i parigini — sembrano preferire quest’ultimo.
(da Corriere della Sera)

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“NON CONOSCO MIO PADRE E MIA MADRE LA SENTO DI RADO. I FIGLI SONO DI CHI LI CRESCE”: PARLA CHITURU ALI, NATO IN ITALIA DA PAPA’ GHANESE E MAMMA NIGERIANA, CHE HA VINTO L’ARGENTO NEI 100 METRI AGLI EUROPEI DI ROMA

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

“HO AVUTO UN’INFANZIA COMPLICATA. CONSIDERO GENITORI I SIGNORI CHE MI VENIVANO A PRENDERE AL NIDO”… IL RAZZISMO, L’OBIETTIVO OLIMPIADI E MARCELL JACOBS: “PRIMA O POI LO BATTERO’…”

Prima dell’argento nei 100 metri agli Europei di Roma, Chituru Ali, 25 anni, una delle facce dell’esuberante Italia che vince, ha ascoltato trap e techno. Poi ha ritirato fuori gli auricolari e, come sempre, ha letto le due parole sulla custodia: «Ali Bomaye», il mantra che si tiene in testa a ogni gara: «Ali è il cognome più pesante da portare, lui se lo è scelto, io l’ho trovato. C’è tutto in quel grido della folla. La motivazione, il tifo, il campione».
Ali è una voce politica. Oggi il mondo ha ancora bisogno di campioni militanti?
«Lui stava con Malcom X, per quel che ho capito, l’uomo che sposava la linea più aggressiva contro il razzismo rispetto a Martin Luther King. Ali aveva idee chiare e le difendeva, ha una storia che mi affascina, era un tipetto tosto (ride) e non a caso è considerato lo sportivo più influente, perché lottava per i diritti degli afroamericani: bisogna avere una certa statura per fare i suoi discorsi».
Quel razzismo è superato?
«È un problema che non si supera mai del tutto, ma non so se la via tanto arrabbiata oggi sia giusta. Non sono abbastanza informato e non mi esprimo mai su cose che non ho compreso fino in fondo. Il Black Lives Matter lo condivido, ma mi fermo lì».
Si è mai sentito discriminato?
«Insulti sì, ma non in faccia. Tanti via social, però per strada, anche chi la pensa a quel modo e mi guarda a quel modo non mi dice niente».
È nato in Italia, padre ghanese, madre di origini nigeriane ed è cresciuto con una famiglia affidataria di Como. Infanzia complicata.
«Mio padre non lo conosco, non ho memoria di lui. Mia madre, con cui sono ancora in contatto, anche senza scambi frequenti, oggi sta in Svizzera. Considero genitori i due meravigliosi signori che chiamo zia e zio e ci sono stati sempre. Mi venivano a prendere al nido. Erano amici di mia madre, sono diventati subito figure di riferimento. I figli sono di chi li cresce».
Come hanno reagito dopo l’argento?
«Li ho portati qui. È mio dovere renderli felici, è stato un momento particolare».
Hanno detto di lei “se si allenasse davvero, sarebbe eccezionale”. Oggi si allena davvero?
«Tutti abbiamo una crescita personale che non dipende solo dall’età, io ho avuto bisogno di spazio. Qualsiasi talento non può essere un’ossessione, la passione che hai la devi anche incontrare».
Quando ha incontrato davvero i 100 metri?
«Nel 2020, gara dell’innamoramento i 150 metri a Milano, record mondiale under 23. Ho guardato il cronometro e ho pensato “la vita è questa”. I 100 metri di Tokyo li ho visti a Milano, da un amico. Ero carico, mi sarei messo a correre quella notte».
E si è trasferito a Roma per allenarsi con Claudio Licciardello, ex quattrocentista, tecnico delle Fiamme gialle.
«Lic. Non mi dimenticherò mai il giorno in cui è venuto a prendermi con la sua Mini alla stazione: “Ascolta, tu hai i numeri per fare una Olimpiadi da protagonista». Ci crede quanto me. È giovane, ha l’energia giusta, sa come parlarmi. È severo in pista, ma leggero: è il coach, non è mio fratello o mio padre. Mi migliora. Prima facevo una gara e poi mi fermavo un anno: infortuni a catena».
Si è fidanzato. Coppia mista, come la maggioranza di voi oggi in nazionale. Siete l’Italia che verrà o quella che già c’è?
«È naturale, io vedo atleti, persone non certo l’albero genealogico e lo status che si porta dietro. Non ci avevo fatto caso che io Valeria siamo una coppia mista. Bello, no?».
Agli Europei di Roma ha pensato di poter battere Jacobs?
«Succederà. L’ho capito due anni fa ai campionati italiani di Rieti: sono arrivato a 4 centesimi. Lo posso superare. Comunque, per la velocità azzurra lui è fondamentale. Hai il più titolato in casa, è un apripista, una spinta»
Come è la strada che porta alle Olimpiadi?
«Tortuosa, ma guardo dritto a Parigi. Non ci sono mai stato e mi piace poterla scoprire così».
Crei lo sprinter perfetto. Può prendere il meglio da chi vuole.
«Sono sedotto dalla coordinazione di Livio Berruti e correva sulla terra… Poi di Usain Bolt prendo l’elasticità, la decontrazione unica. Per la forza Asafa Powell, molto simile a Marcell e aggiungo l’accelerazione di Coleman. Mi piace la potenza che esprime a terra, la cattiveria, il dinamismo, la violenza con cui usa i piedi. Ogni centesimo di secondo è colpire e andare».
(da la Stampa)

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‘NDRANGHETA, LE MANI DEL CLAN ARANITI SULLE ELEZIONI: INDAGATO IL SINDACO DI REGGIO CALABRIA E IL CAPOGRUPPO FDI IN REGIONE

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

VOTI FALSI ALLE ELEZIONI 2020 E 2021

Fratelli d’Italia e Partito democratico sono i due partiti che secondo l’accusa sarebbero stati favoriti dalla ‘ndrangheta alle elezioni regionali del 2020 e del 2021 e alle amministrative di Reggio Calabria nel 2020.
C’è anche il sindaco della città metropolitana Giuseppe Falcomatà (Pd) tra gli indagati nell’inchiesta dei carabinieri del Ros per il reato di scambio elettorale politico mafioso. Nei suoi confronti, la Dda non ha chiesto l’arresto, come, invece, ha fatto per il consigliere regionale Giuseppe Neri, capogruppo di Fratelli d’Italia e per un consigliere comunale del Pd, Giuseppe Francesco Sera.
Arresti, quelli dei politici, che sono stati rigettati dal giudice per le indagini preliminari Vincenzo Quaranta e per i quali la Procura guidata da Giovanni Bombardieri ha fatto appello al Tribunale del Riesame.
L’indagine riguarda la cosca Araniti. Tra gli arrestati, infatti, c’è Domenico Araniti detto il “Duca” e ritenuto il vertice della consorteria mafiosa operante nel territorio di Sambatello, nella periferia nord di Reggio Calabria. Sono 14 complessivamente le misure cautelari disposte dal gip: 7 indagati sono finiti in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 3 all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. I reati contestati sono associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, reati elettorali, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
La Procura ha ricostruito l’operatività della cosca Araniti. Le indagini del Ros, infatti, avrebbero consentito ai pm di delinearne gli assetti, le attività estorsive in danno di appalti pubblici, l’ingerenza nella conduzione della discarica di Sambatello attraverso l’imposizione, alle ditte di volta in volta impegnate nella gestione dell’impianto, del personale da assumere e le relazioni con le omologhe consorterie criminali attive nei territori confinanti di Diminniti e Calanna. Stando agli elementi emersi nell’inchiesta, la ‘ndrangheta avrebbe esercitato uno stringente controllo sul territorio che ha portato finanche alla limitazione dell’attività venatoria nell’area agreste della frazione.
Iniziate nel 2019, sul fronte politico le investigazioni avrebbero permesso di acquisire elementi sintomatici del condizionamento delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria, nel 2020 e nel 2021, vinte dal centrodestra, e del Consiglio comunale di Reggio Calabria nel 2020, vinte dal centrosinistra. In particolare, pm e carabinieri avrebbero accertato irregolarità presso alcuni seggi elettorali nella zona nord di Reggio Calabria. Arrestato per falsità elettorale e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio non aggravati dal metodo mafioso, uno degli indagati, legato da vincoli di parentela ad un esponente apicale della cosca Araniti, avrebbe alterato le operazioni di voto con la complicità di diversi scrutatori compiacenti. Il tutto con il fine di sostenere i candidati di interesse: il consigliere regionale di Fratelli d’Italia Giuseppe Neri e il consigliere comunale del Pd Peppe Sera.
In sostanza, è emerso che l’indagato si sarebbe procurato le schede elettorali di cittadini impossibilitati a votare ed avrebbe espresso, al posto di questi ultimi, la preferenza in favore dei candidati sostenuti. L’esito delle urne è stato ricompensato da questi ultimi: in cambio del sostegno elettorale, infatti, l’arrestato ha ricevuto nomine nell’ambito di enti pubblici o come professionista esterno. Da qui, la richiesta di arresto in carcere per Neri e Sera, formulata dai pm e non accolta dal giudice per le indagini preliminari. Un rigetto contro il quale il procuratore Bombardieri, gli aggiunti Musolino e Ignazitto e il pm Salvatore Rossello hanno già presentato appello al Tribunale della Libertà che dovrà decidere nelle prossime settimane.
Risulta solo indagato, sempre per scambio elettorale politico-mafioso, il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà per il quale non è stato chiesto l’arresto dalla Dda che, nei suoi confronti, non ha ritenuto compiutamente integrati tutti i presupposti legittimanti la misura cautelare.
(da ilfattoquotidiano.it)

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IL BOCCONE AMARO DI SALVINI: TRA IL TRADIMENTO DI BOSSI E VANNACCI CHE PORTA VOTI SOLO A SE STESSO

Giugno 11th, 2024 Riccardo Fucile

LA LEGA SORPASSATA DA FORZA ITALIA PERDE 400.000 VOTI: SALGONO I MALUMORI MENTRE IL GENERALE PENSA A UN PARTITO TUTTO PER SE’ E PER IL CAPITONE C’E’ ARIA DI COMMISSARIAMENTO

Il muscolo della mandibola scatta come in un tic nervoso, come se stesse masticando qualcosa di molto duro e invisibile e in effetti Matteo Salvini non riesce a mandare giù quella che da qualsiasi punto la si guardi risulta come una sconfitta: Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi che pareva destinato alla scomparsa sincronica a quella dell’estinto, diventa il secondo partito del centrodestra, superando la Lega.
Umberto Bossi, viene accusato di aver fatto trapelare a urne aperte che il suo voto non sarebbe andato al partito fondato 40 anni fa.
Solo Roberto Vannacci, il “prescelto” e outsider alla Lega fa il pieno di preferenze («mezzo milione»), numeri che però aprono a un nuovo psicodramma salviniano, cioè quello della latente scissione da parte del Generale.
Perciò mastica un boccone indigeribile e durante la conferenza stampa convocata all’indomani del voto, nella sede federale di via Bellerio, il segretario leghista appare particolarmente duro con il senatùr, che, secondo quanto riferito dall’ex segretario della Lega lombarda Paolo Grimoldi, avrebbe votato per l’ex leghista Marco Reguzzoni, candidato indipendente nelle liste di FI, risultato poi non eletto.
Con gli occhi stanchi («Ho dormito la bellezza di due ore», si giustifica) Salvini serra la mascella poi si dice soddisfatto del risultato delle Europee. «Avevo auspicato un voto in più delle Politiche di due anni fa e così è stato», sottolinea. In effetti, nell’ultima consultazione nazionale, la Lega aveva preso l’8,9%, ora è al 9,05%. Anche se in termini di voti assoluti registra un calo di circa 400mila.
In via Bellerio si sperava addirittura in un 12 per cento. Ma niente da fare. La Lega ha perso le comunali anche a Pontida cittadina simbolo delle valli bergamasche che ospita il tradizionale raduno nel famoso pratone. Il sindaco uscente e candidato del partito di via Bellerio, Pierguido Vanalli, si è fermato al 32,30% ed è stato battuto da Davide Cantù, in corsa per la lista civica ‘Viviamo insieme Pontida’, che ha ottenuto il 52,71% dei voti. Al terzo posto alle elezioni comunali Francesca Losi, candidata di Partito Popolare del Nord-Grande Nord, che si ferma al 15%.
Eppure il “Capitano” le ha tentate davvero tutte, dalla candidatura del Generale negazionista alle telefonate a Trump, dall’occhiolino a Putin, alla simil dichiarazione di guerra a Macron, dalle sceneggiate sul ponte di Messina, agli attacchi anche dentro la stessa coalizione (Salvini e Tajani hanno litigato per mesi).
Il capo leghista ci tiene a rivendicare l’obiettivo centrato del “record” registrato da Vannacci, campione di preferenze (500mila), in particolare “al Nord”, sottolinea. Una candidatura che dati alla mano sembra aver beneficiato solo il generale che ha collezionato una valanga di voti personali mentre il partito è perfino calato in Veneto, rispetto al già deludente risultato delle elezioni politiche del 2022. Nella circoscrizione ha ottenuto più di 140 mila preferenze, tante quante i nove candidati che lo seguivano nella lista.
L’effetto Vannacci ha avvantaggiate così le donne candidate, vista la scelta obbligata di diversità di genere nelle preferenze, tra queste Anna Cisint, la sindaca di Monfalcone in guerra santa contro l’Islam. Nel Nord-Ovest il generale ha drenato voti dai leghisti duri e puri, basti pensare a Angelo Ciocca, il “Brad” (inteso come Pitt) del Pavese aveva raccolto 90 mila preferenze soltanto nel 2019, si posiziona quarto per questa tornata con 38mila preferenze mentre Vannacci ne conta 186mila.
E proprio a chi chiede a Salvini delle perplessità espresse da alcuni dirigenti di partito sulla corsa del generale, risponde: «Sono sicuro che Zaia e Giorgetti hanno votato Lega. È un problema chi ha detto che non ha votato Lega. Uno le preferenze può darle a chi vuole ma se cambia partito non mi sembra una cosa normalissima». «Io sono abituato a confrontarmi con gli avversari esterni, dover fare i conti con chi all’interno rema contro è complicato» si sfoga, attaccando Bossi. «Penso ai militanti, ai sindaci e alle persone che hanno dedicato giorni e notti al movimento all’affissione dei manifesti fuori da scuole e fabbriche. Non meritano che qualcuno dentro faccia altro, che faccia i propri interessi senza avere un obiettivo comune», continua. «Io sono abituato a vincere o perdere in squadra, non a tradire chi mi è di fianco. Non mi piacciono i fuggiaschi e coloro che tradiscono. Non è giusto che chi è iscritto a un partito, a urne aperte, dica che vota per un altro partito. In nessun altro partito italiano avviene qualcosa del genere. Io devo rendere conto a decine di migliaia di sostenitori, militanti e iscritti che non meritano questo. Valuteranno i militanti».
Detto questo, impossibile pensare a un’espulsione di Umberto Bossi, anche perché il senatùr non ha la tessera della Lega Salvini premier, ma solo della Lega Nord, la “scatola vuota” tenuta in vita per saldare il debito con lo Stato per la sentenza sui rimborsi irregolari del partito.
Per il resto, Salvini ci tiene a precisare che lui non se ne va. Non se ne vuole andare. Non ci riesce. Mastica. «Se ho mai pensato di lasciare? No, io lascerò nel giorno in cui non avessi più passione». E conferma che si ricandiderà al congresso federale del partito, da tenersi entro l’autunno. Dentro la Lega però qualcuno sussurra di un congresso anticipato o un vertice di partito in stile politbüro russo, come quelli che defenestravano i leader.
Secondo gli ambienti parlamentari, per evitare un eventuale colpo di testa che potrebbe culminare nella creazione con il Generale Vannacci di un partito personale, Salvini potrebbe essere commissariato da uno specifico ufficio di segreteria formato dai Presidenti di regione Fedriga, Zaia e Fontana. Il processo interno, la resa dei conti sono appena cominciate.
(da lespresso.it)

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