“NON CONOSCO MIO PADRE E MIA MADRE LA SENTO DI RADO. I FIGLI SONO DI CHI LI CRESCE”: PARLA CHITURU ALI, NATO IN ITALIA DA PAPA’ GHANESE E MAMMA NIGERIANA, CHE HA VINTO L’ARGENTO NEI 100 METRI AGLI EUROPEI DI ROMA
“HO AVUTO UN’INFANZIA COMPLICATA. CONSIDERO GENITORI I SIGNORI CHE MI VENIVANO A PRENDERE AL NIDO”… IL RAZZISMO, L’OBIETTIVO OLIMPIADI E MARCELL JACOBS: “PRIMA O POI LO BATTERO’…”
Prima dell’argento nei 100 metri agli Europei di Roma, Chituru Ali, 25 anni, una delle facce dell’esuberante Italia che vince, ha ascoltato trap e techno. Poi ha ritirato fuori gli auricolari e, come sempre, ha letto le due parole sulla custodia: «Ali Bomaye», il mantra che si tiene in testa a ogni gara: «Ali è il cognome più pesante da portare, lui se lo è scelto, io l’ho trovato. C’è tutto in quel grido della folla. La motivazione, il tifo, il campione».
Ali è una voce politica. Oggi il mondo ha ancora bisogno di campioni militanti?
«Lui stava con Malcom X, per quel che ho capito, l’uomo che sposava la linea più aggressiva contro il razzismo rispetto a Martin Luther King. Ali aveva idee chiare e le difendeva, ha una storia che mi affascina, era un tipetto tosto (ride) e non a caso è considerato lo sportivo più influente, perché lottava per i diritti degli afroamericani: bisogna avere una certa statura per fare i suoi discorsi».
Quel razzismo è superato?
«È un problema che non si supera mai del tutto, ma non so se la via tanto arrabbiata oggi sia giusta. Non sono abbastanza informato e non mi esprimo mai su cose che non ho compreso fino in fondo. Il Black Lives Matter lo condivido, ma mi fermo lì».
Si è mai sentito discriminato?
«Insulti sì, ma non in faccia. Tanti via social, però per strada, anche chi la pensa a quel modo e mi guarda a quel modo non mi dice niente».
È nato in Italia, padre ghanese, madre di origini nigeriane ed è cresciuto con una famiglia affidataria di Como. Infanzia complicata.
«Mio padre non lo conosco, non ho memoria di lui. Mia madre, con cui sono ancora in contatto, anche senza scambi frequenti, oggi sta in Svizzera. Considero genitori i due meravigliosi signori che chiamo zia e zio e ci sono stati sempre. Mi venivano a prendere al nido. Erano amici di mia madre, sono diventati subito figure di riferimento. I figli sono di chi li cresce».
Come hanno reagito dopo l’argento?
«Li ho portati qui. È mio dovere renderli felici, è stato un momento particolare».
Hanno detto di lei “se si allenasse davvero, sarebbe eccezionale”. Oggi si allena davvero?
«Tutti abbiamo una crescita personale che non dipende solo dall’età, io ho avuto bisogno di spazio. Qualsiasi talento non può essere un’ossessione, la passione che hai la devi anche incontrare».
Quando ha incontrato davvero i 100 metri?
«Nel 2020, gara dell’innamoramento i 150 metri a Milano, record mondiale under 23. Ho guardato il cronometro e ho pensato “la vita è questa”. I 100 metri di Tokyo li ho visti a Milano, da un amico. Ero carico, mi sarei messo a correre quella notte».
E si è trasferito a Roma per allenarsi con Claudio Licciardello, ex quattrocentista, tecnico delle Fiamme gialle.
«Lic. Non mi dimenticherò mai il giorno in cui è venuto a prendermi con la sua Mini alla stazione: “Ascolta, tu hai i numeri per fare una Olimpiadi da protagonista». Ci crede quanto me. È giovane, ha l’energia giusta, sa come parlarmi. È severo in pista, ma leggero: è il coach, non è mio fratello o mio padre. Mi migliora. Prima facevo una gara e poi mi fermavo un anno: infortuni a catena».
Si è fidanzato. Coppia mista, come la maggioranza di voi oggi in nazionale. Siete l’Italia che verrà o quella che già c’è?
«È naturale, io vedo atleti, persone non certo l’albero genealogico e lo status che si porta dietro. Non ci avevo fatto caso che io Valeria siamo una coppia mista. Bello, no?».
Agli Europei di Roma ha pensato di poter battere Jacobs?
«Succederà. L’ho capito due anni fa ai campionati italiani di Rieti: sono arrivato a 4 centesimi. Lo posso superare. Comunque, per la velocità azzurra lui è fondamentale. Hai il più titolato in casa, è un apripista, una spinta»
Come è la strada che porta alle Olimpiadi?
«Tortuosa, ma guardo dritto a Parigi. Non ci sono mai stato e mi piace poterla scoprire così».
Crei lo sprinter perfetto. Può prendere il meglio da chi vuole.
«Sono sedotto dalla coordinazione di Livio Berruti e correva sulla terra… Poi di Usain Bolt prendo l’elasticità, la decontrazione unica. Per la forza Asafa Powell, molto simile a Marcell e aggiungo l’accelerazione di Coleman. Mi piace la potenza che esprime a terra, la cattiveria, il dinamismo, la violenza con cui usa i piedi. Ogni centesimo di secondo è colpire e andare».
(da la Stampa)
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