Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
I PIÙ VELENOSI IN FRATELLI D’ITALIA LA CHIAMANO GIÀ “LA MALEDIZIONE DI ARIANNA”
I più velenosi tra i Fratelli d’Italia la chiamano già “la maledizione di Arianna”. È dura scoprire che il brand Meloni non è sufficiente. Dopo la tornata elettorale delle comunali inizia a serpeggiare questa amara sentenza. La Sorella d’Italia non smuove le folle e, anzi, le sue apparizioni pubbliche finora non hanno portato molta fortuna, anzi solo sconfitte. Da Tarquinia a Campobasso, da Civitavecchia a Perugia, per lei queste amministrative sono state un corollario di disfatte. Una reginetta Mida al contrario.
Si prenda l’amata Tuscia, roccaforte elettorale della destra laziale. La terra consacrata alla fiamma da Giorgio Almirante, che a Viterbo ha una circonvallazione a suo nome (sono in corso le asfaltature), ha visto il debutto timido della comiziante Arianna: “Non voglio fare la grande leader, né il presidente del Consiglio, sono solo una dirigente, anzi una militante”, dirà ai quadri di partito e a una frotta di bagnanti in accappatoio e ciabatte accorsi alle Terme dei Papi per ascoltare la responsabile della segreteria politica.
Prima di replicare a Tarquinia, cuore dell’Etruria, dove però al ballottaggio ha prevalso il candidato di centrosinistra Sposetti che ha sbaragliato con il 70 per cento l’uscente Giulivi. Tremila voti di scarto, striscione srotolato: “Tarquinia libera”.
E non va molto meglio sulla costa, a Civitavecchia, dove Arianna l’altra sera era in piazza per la chiusura della campagna del Fratello d’Italia Massimilano Grasso, sconfitto dall’uomo del campo largo, Marco Piendibene.
Copione simile in Umbria, in quel di Perugia, dove un venerdì sera di fine maggio Arianna e dirigenti locali hanno riunito il circolo FdI – 600 persone al centro congressi Quattrotorri – a sostegno della candidatura di Margherita Scoccia a sindaco del capoluogo. Riconquistata dalla sinistra.
“La fiamma divampa!”. Dal bar Centrale di Isernia, salendo un po’ di tono, Arianna lancerà il messaggio da portare in Europa. Non recepito nella vicina Campobasso però, che ha visto prevalere Marialuisa Forte, centrosinistra, prima donna a vestire la fascia tricolore nel capoluogo molisano.
E pensare che dopo la disfatta in Sardegna, febbraio scorso, Arianna Meloni provò a minimizzare alludendo ai tremila voti di scarto: “Dai, su…”, la battuta entrando a via della Scrofa. Però poi a Cagliari, per sostenere i candidati Zedda al comune e Deidda alle Europee, lei stessa un salto ce lo ha fatto. Peccato che poi l’isola non sia riuscita a portare nessun esponente a Strasburgo. E il comune va per la terza volta all’altro Zedda, quello di centrosinistra.
Per carità di patria si sorvola sulla disfatta di Firenze, abbastanza annunciata, dove però va ricordato che Arianna fece molto rumore al suo vero e proprio debutto: presiedendo il congresso del partito di inizio anno con una buona dose di vittimismo (“Pensano di farci saltare il sistema nervoso”). Insomma, per la sorella della premier, non proprio quello che si direbbe ‘un tocco magico’.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
I TEDESCHI DI AFD, CACCIATI DA IDENTITÀ E DEMOCRAZIA, STANNO PER CREARE LA “CRICCA” DEI “SOVRANISTI”… L’INCOGNITA MAGGIORE RIGUARDA LE MOSSE DI ORBAN, ORA A CAPO DEGLI ESTREMISTI DELL’EST EUROPA – A SINISTRA CI SONO I ROSSOBRUNI TEDESCHI DI SAHRA WAGENKNECHT, I MARXISTI-LENINISTI GRECI DEL KKE
«La civiltà europea è minacciata dall’aggressione del globalismo. La dittatura burocratica e le multinazionali sostituiscono il diritto di autodeterminazione dei popoli». Kostadin Kostadinov guida l’estrema destra filorussa in Bulgaria, Vazrazhdane, ma il suo partito a livello internazionale non è mai stato in auge come ora.
Festeggia l’elezione di tre deputati all’Europarlamento, la cui ideologia sarà fonte di ispirazione per il nuovo gruppo che dovrebbe nascere questa settimana a Bruxelles, i “Sovranisti”, guidati dalla tedesca AfD.
Una formazione più a destra dell’ultradestra, che certo può fare comodo a Meloni, Salvini, Le Pen, per permettere di accreditare se stessi come partiti più moderati di fronte agli estremisti. La data della fondazione dovrebbe essere il 27 giugno
Per riunire sotto lo stesso tetto un variopinto mondo politico che va dal partito rumeno di Sos Romania, allo spagnolo Se Acabó La Fiesta, al greco Niki, e ancora Konfederacja dalla Polonia, Hnutie Republika dalla Slovacchia e Mi Hazánk Mozgalom dall’Ungheria. Sono necessari 7 Paesi Ue per creare una nuova formazione. Ma i numeri potrebbero tornare. Quello dei Sovranisti è solo uno dei gruppi europei che potrebbero spuntare dopo il voto di inizio giugno.
Per distribuire la galassia dei “non iscritti”, che in tutto pesano il 12% degli eletti a Strasburgo e contano 88 scranni. Finire in questo girone infernale dei “non allineati” è penalizzante: vuol dire non avere la possibilità di occupare cariche all’interno dell’Eurocamera, nemmeno quella di questore, avere meno fondi per lo staff, non poter fare da relatore sui singoli provvedimenti legislativi e disporre di un tempo di parola ridotto. Un “postaccio” da cui si vuole uscire al più presto
Un grande bacino a cui appartengono, da cinque anni e per parlare dei nostri partiti, i deputati dell’M5S. Ma chi sono questi estremisti, nazionalisti, sovranisti, rossobruni, comunisti, partiti “senza casa” che pian piano contano sempre di più al Parlamento Ue?
Partiamo dalla Germania con AfD, il più numeroso. Cacciati da ID (il gruppo di Salvini e Le Pen) dopo la scoperta che i collaboratori dello Spitzenkandidat, Maximilian Krah, erano in contatto coi servizi segreti russi e cinesi, hanno comunque eletto 15 eurodeputati. Euroscettici nel 2013, contrari ai piani di salvataggio degli Stati indebitati dell’Eurozona, si sono poi spostati radicalmente a destra, abbracciando politiche islamofobiche, anti-immigrazione, con frange antisemite come quella rappresentata in Turingia da Björn Höcke, tra il resto a processo per aver pronunciato lo slogan delle truppe d’assalto naziste «Tutto per la Germania».
A condividere l’ideologia filorussa di AfD, da Bucarest c’è Sos Romania, fondato tre anni fa e guidato da Diana Iovanovici Sosoaca, nota per aver promosso, nel 2022, una posizione neutrale del Paese e aver subito invocato negoziati di pace coi russi, dopo l’aggressione dell’Ucraina.
Dichiaratamente vicino a Mosca è anche Kyriakos Velopoulos, leader di Soluzione greca, che in passato faceva televendite in tv e sosteneva di possedere addirittura «manoscritti di Gesù». Populista di destra, vorrebbe installare una recinzione elettrica tra Grecia e Turchia, relegare i migranti sulle isole, in attesa di deportarli.
Chi si è spostato a destra, decidendo di uscire dai Liberali di Renew è il partito Ano di Andrej Babiš. L’imprenditore e politico miliardario ceco ha virato verso il populismo, esprimendosi con veemenza contro il Green Deal di Von der Leyen e le scelte Ue sull’immigrazione. Avrebbe l’idea di un gruppo europeo con baricentro Visegrad, insieme con Orban e gli slovacchi di Smer, ma – vista la concorrenza di AfD – il quorum dei sette Paesi potrebbe non essere facile da raggiungere.
Estremisti sono anche i tre europarlamentari di Se acabò la fiesta, la festa è finita, capeggiati dal controverso influencer Alvise Pérez, noto sui social per tuonare contro la corruzione di tutti gli altri, critico di politiche progressiste, femminismo e immigrazione.
Da Salonicco, la Grecia replica con Niki, vittoria, un movimento patriottico, sostenuto dai monaci del Monte Athos e guidato dal teologo Dimitrios Natsios, di ispirazione filorussa.
Da sinistra, a comporre la compagine degli indipendenti fino a prova contraria, c’è l’Alleanza Sahra Wagenknecht, la sorpresa rossobruna della Germania, fuoriuscita dalla Linke. Con 6 eurodeputati, vuole chiusura all’immigrazione di massa, è scettica sulle politiche ecologiste e sul sostegno a Kiev. Ci sono i marxisti-leninisti greci del Kke, forti con l’8% in patria, che si dice abbiano ancora i busti di Lenin negli uffici
Indipendente tra gli indipendenti, è infine la tedesca Die Partei, formazione che fa il verso alla Sed, il partito comunista della Ddr. «Angela, salvaci, invadi l’Italia», diceva anni fa a Merkel.
(da La Stampa)
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Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
“HO VISTO TUTTO E HO INIZIATO A DIRE DI CHIAMARE L’AMBULANZA, MA LOVATO NON HA FATTO NIENTE”
«Quando Satnam ha iniziato ad urlare, io sono scappato via, ma ho visto Soni, la moglie, piangere e lui senza un braccio». È la testimonianza di Taranjeet Singh, un lavoratore dell’azienda agricola presso cui lavorava il bracciante indiano di 30 anni, morto per le ferite causate da un macchinario agricolo che gli hanno provocato il distaccamento del braccio.
Quel giorno, Singh era presente: «c’eravamo io, Satnam, sua moglie e un’altra donna italiana che lavora lì», racconta. Quando il datore di lavoro, Antonello Lovato, «che si trovava su un trattore, si è avvicinato – continua – ha iniziato a bestemmiare e a proferire minacce come “Dovete starvi zitti”».
E poi ancora: «Ho visto tutto – sottolinea – e ho iniziato a dire di chiamare l’ambulanza. Ma il datore di lavoro non ha fatto niente, è andato verso il furgone e ha caricato Satnam, la moglie e il braccio. Pensavo lo portasse in ospedale. Non credevo che lo lasciasse davanti al cancello. Ad un certo punto ha detto che Satnam era morto, e che i soccorsi non potevano venire».
Da quando Satnam è morto, il 19 giugno all’ospedale San Camillo anche, secondo l’autopsia per un «copioso sanguinamento», Taranjeet Singh non riesce a dormire: «Non riesco a venire fuori da questo incubo», afferma. Mentre a Soni, che pochi giorni fa ha ricevuto un permesso di soggiorno speciale, dice «di tenere duro: la comunità è con lei». Quando ha cominciato a lavorare presso la cooperativa dei Lovato, che in tre anni ha ricevuto 849mila euro di finanziamenti garantiti dallo Stato
Taranjeet lavora presso l’azienda da un anno e mezzo, «guadagno 5 euro e 50 l’ora e sono irregolare. Adesso ho perso il lavoro e dopo quello che è successo a Satnam – conclude – nessuno fa più lavorare chi non ha i documenti».
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI SPENDONO DI TASCA PROPRIA OLTRE UN MILIARDO PER AVERE IL PRODOTTO DI MARCA, ANCHE SE IL FARMACO SENZA BRAND È IDENTICO
È un po’ il feroce Saladino dei farmaci. Tanti lo cercano, perché i problemi legati alle infezioni batteriche come il forte mal di gola provocato dallo streptococco sono molto diffusi anche con i primi caldi. Ma pochissimi lo trovano. L’Augmentin è uno dei medicinali maggiormente carenti in questo periodo, insieme ad altri come varie preparazioni contenenti gli arcinoti antinfiammatori e antipiretici paracetamolo e ibuprofene, oppure antidiabetici, prodotti contro lo shock anafilattico e pure altri antibiotici.
Malgrado gli allarmi, non c’è un vero problema a curare chi ha bisogno di un prodotto che manca. Proprio l’Augmentin può diventare il paradigma di questa situazione: per il farmaco che contiene amoxicillina e acido clavulanico esistono decine di generici, i cosiddetti farmaci equivalenti, che hanno gli stessi principi attivi e, quindi, anche le stesse proprietà terapeutiche. In Italia, però, i prodotti non di marca vengono usati molto meno rispetto ad altri Paesi europei.
E così capita che quelle che, appunto, appaiono come mancanze riguardino solo il medicinale con il brand, che è tranquillamente sostituibile.
Aifa, e il dato è di una settimana fa, conta 3.638 preparazioni carenti nel nostro Paese (in molti casi si tratta di diversi dosaggi dello stesso medicinale). Il numero assoluto è cresciuto negli ultimi mesi ed è vero che esiste un problema di reperimento di certi prodotti. Ma se si osserva il numero delle medicine per le quali esiste un equivalente, diffuso sempre dell’Agenzia del farmaco, il problema si ridimensiona, visto che per 2.680 c’è il generico. Non solo, di quelle circa mille preparazioni che appaiono comunque “scoperte”, 541 servono contro problemi per i quali esiste un trattamento terapeutico alternativo
È il caso, per fare un esempio, di fattori di rischio come la pressione alta. Ci sono tante scelte farmacologiche diversificate per affrontarla, molecole diverse che arrivano allo stesso obiettivo.
In Italia i generici sono sul mercato da anni ma non hanno sfondato, anche se la stragrande maggioranza delle medicine in farmacia ha il brevetto scaduto. Tra i prodotti che non hanno più un’esclusiva, infatti, solo il 35% di quelli acquistati sono generici: la gran parte dei cittadini continua a preferire quelli di marca.
Siccome il servizio sanitario passa gratuitamente solo i farmaci di fascia A che hanno il prezzo dell’equivalente, chi vuole il brand deve pagare la differenza. Ebbene, in un anno gli italiani spendono di tasca propria oltre un miliardo per avere il cosiddetto “originator”.
«Tra l’altro — fa notare Collatina — nel Sud i generici sono meno utilizzati rispetto al Nord, malgrado le maggiori difficoltà economiche. Per certi versi è anche un problema culturale».
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
SARA’ OFFERTO UN PORTAFOGLIO ALLA MELONI, NON IN QUANTO LEADER DELL’ECR MA SOLO COME PREMIER ITALIANA (IN PRATICA NON HA OTTENUTO NULLA)
I negoziatori di Popolari, Socialisti e Liberali avrebbero trovato un accordo sui tre nomi ai vertici delle istituzioni europee. Lo riferiscono l’agenzia tedesca Dpa e La Stampa. L’intesa prevede un secondo mandato di Ursula von der Leyen alla Commissione, l’ex premier portoghese Antonio Costa alla guida del Consiglio europeo e la premier estone Kaja Kallas come Alto Rappresentante per la politica estera.
Il pacchetto di nomine «è stabile» e «non ci sono altri nomi» in vista dell’accordo atteso al prossimo vertice Ue di giovedì e venerdì a Bruxelles, sottolineano varie fonti diplomatiche a margine del Consiglio Affari Generali in corso in Lussemburgo. Il mandato del socialista portoghese Costa durerà, inoltre, per un periodo iniziale di 2 anni e mezzo – come previsto dai trattati – e spetterà poi ai leader decidere in un secondo momento, precisano le stesse fonti diplomatiche, se prorogare la sua presidenza per i restanti due anni e mezzo. L’intesa si allontana così dalla richiesta avanzata nei giorni scorsi dal Ppe di una staffetta automatica al vertice del Consiglio dopo i primi 2 anni e mezzo.
Incontro von der Leyen-Meloni
L’intesa, se confermata, taglierebbe fuori dalla maggioranza Ecr di Giorgia Meloni. Stando a quanto riportano diversi media internazionali, von der Leyen negozierà direttamente con la premier italiana – non in quanto leader dei conservatori in Ue, ma in qualità di presidente del Consiglio – per decidere quale sarà il portafoglio riservato all’Italia nella prossima Commissione europea. Secondo quanto appreso dalla Faz, nel pomeriggio i negoziatori del Ppe (Kyriakos Mitsotakis e Donald Tusk) dovrebbero avere un colloquio con la Meloni per informarla.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
LE AMMINISTRATIVE RESTANO UN PROBLEMA PER L’ALLEANZA GUIDATA A LIVELLO NAZIONALE DA MELONI
Salutata come sempre con grande enfasi, da Firenze a Bari, da Perugia a Potenza, la vittoria nei ballottaggi conferma un’ipotesi già asseverata: e cioè che il sistema elettorale a due turni, specie nelle elezioni locali, favorisce il centrosinistra.
Il centrodestra, appunto, nel turno unico può sfruttare agevolmente le divisioni del cosiddetto “campo largo”, quando c’è, e avvalersi dell’unità che malgrado tutto riesce sempre a trovare a dispetto degli avversari.
Più in generale, i candidati sindaci del centrosinistra si presentano più forti di quelli del centrodestra la partecipazione al voto è stata ancora una volta molto bassa. È in questi casi – votanti abbondantemente al di sotto del cinquanta per cento – che la capacità di mobilitazione delle coalizioni diventa più che decisiva.
E il centrosinistra, è evidente, si è fatto trovare più preparato rispetto al centrodestra . Il recupero della coalizione di governo nelle città medio-piccole – Rovigo, Vercelli, Lecce, Avellino, Caltanissetta – non può infatti consentire di parlare di “pareggio”. Le amministrative – a differenza delle regionali – restano un problema per l’alleanza guidata a livello nazionale da Meloni.
E il ragionamento sul sistema elettorale rimane attuale proprio mentre si sta andando verso l’introduzione del premierato senza aver raggiunto un accordo su come il premier dovrebbe essere eletto. A questo punto sarà difficile che la premier accetti il metodo (a due turni) del “sindaco d’Italia”
(da “La Stampa”)
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Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
NELLE STRUTTURE NON C’ERANO BAGNI NÉ RUBINETTI D’ACQUA E PER RAGGIUNGERE I CAMPI, I BRACCIANTI VENIVANO CARICATI COME BESTIE SU VECCHI FURGONI… LA “RETE” DI AZIENDE AGRICOLE CHE SI “SCAMBIAVANO” I BRACCIANTI
L’inchiesta sul caso di Satnam Singh potrebbe scoperchiare un sistema più vasto di quanto non appaia ora. Per capire meglio di che cosa stiamo parlando bisogna partire dal 2019 quando la Procura di Latina aprì una grande inchiesta per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Nella rete finirono diciassette persone, quindici italiani e due cittadini del Bangladesh, quest’ultimi accusati di essere i caporali a cui gli imprenditori si sarebbero rivolti.
Il 19 giugno scorso un macchinario difettoso ha tranciato il braccio a Singh, condannandolo a morte con la complicità del datore di lavoro, il trentottenne Antonello Lovato, che non gli ha prestato i dovuti soccorsi. Il giorno prima la Procura aveva depositato in cancelleria l’avviso di chiusura delle indagini da notificare anche a Renzo Lovato, padre di Antonello.
Nell’atto c’è una piccola galleria degli orrori degli abusi e delle prevaricazioni ai danni degli «schiavi». Cui veniva corrisposto uno stipendio a cottimo «con importi inferiori ai minimi contrattuali». Contestata ai caporali pure la «violazione dell’orario di lavoro»: gli operai venivano sfruttati, senza straordinari, ferie e riposi, per un totale di «48 ore settimanali».
Inesistenti le norme in materia di sicurezza e di igiene: nelle strutture non c’erano bagni né spogliatoi né «docce o rubinetti d’acqua», per garantire loro di potersi lavare o dissetare, né locali dove consumare un misero pranzo. Fatiscenti allo stesso modo erano le case dov’erano appoggiati, per le quali gli «schiavi» dovevano pagare un «affitto» compreso tra i 100 e i 110 euro al mese. Il sistema di sfruttamento prevedeva che si continuasse a lavorare in tutte le condizioni meteo, anche «sotto la pioggia».
Per raggiungere campi e aziende, i lavoratori venivano caricati, come bestie, su automezzi del tutto privi delle minime condizioni di sicurezza che, guastandosi spesso, costringevano gli operai a subire ulteriori condizioni di disagio e sofferenza prima ancora di iniziare la giornata di fatica.
Le condotte illecite sarebbero state commesse a partire dall’autunno del 2019 (quando avvengono le prime perquisizioni) e si sarebbero protratte sino al maggio 2020.
Ma appena la Procura mette un punto e le indagini sono ormai cristallizzate, il 5 giugno 2020, Renzo Lovato e il coindagato Osvaldo Varelli partecipano alla costituzione di una rete di imprese agricole che, in queste ore, ha attirato l’attenzione dell’ufficio Inps di Latina, guidato da Maurizio Mauri, e dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, diretta da Fabio Vitale, che è anche consigliere d’amministrazione dell’ente previdenziale.
L’associazione d’imprese è stata battezzata «Rete Agrilovato società cooperativa agricola», la capofila delle aziende della famiglia di agricoltori per cui lavorava Satnam. Nella rete entrano pure le ditte di quattro Lovato: Antonello, Daniele e della coppia Renzo e Antonino, che nel 2016 aveva percepito 128.000 euro di aiuti pubblici. Della squadra fanno parte pure altre due società legate ai Varelli, compresa quella intestata al novantatreenne Osvaldo.
Ma l’anziano sarebbe solo un prestanome, mentre «l’amministratore di fatto della ditta individuale facente capo al padre» sarebbe il figlio Massimo. Ovviamente al centro del progetto c’è l’utilizzo dei lavoratori. Tra gli «obiettivi strategici» ci sono la «condivisione e gestione in comune del personale con l’obiettivo anche di formazione specifica nel campo» e «consentire il distacco del personale tra le aziende aderenti al contratto di rete, al fine di ottimizzare i livelli di produzione e di favorire la ricollocazione continua del personale attraverso il bacino delle varie imprese aderenti alla rete».
Inoltre i firmatari puntano a «gestire i dipendenti in regime di assunzioni congiunte» e di «codatorialità». Il sospetto di Inps e Agea è che la rete puntasse anche a sigillare all’interno di un circuito di fiducia la manodopera, compresa quella pagata in nero.
In una rete di questo tipo un giorno il lavoratore raccoglie i meloni per una ditta, il giorno dopo i pomodori per un’altra. In questo modo non c’è più bisogno di cercare all’esterno i braccianti, magari pagando commissioni a società di lavoro interinale o ad altri intermediari, gli stessi che spesso finiscono nel mirino dei controlli.
Ovviamente aumentano anche i sussidi statali, mentre la disponibilità di lavoratori in comune rende più difficili i controlli sul rispetto delle regole da parte della singola azienda.
Dopo la tragedia di Singh rischiano conseguenze penali tutti i partecipanti alla rete? Per quanto riguarda l’accusa di omicidio colposo probabilmente no. Nel contratto le imprese aderenti hanno infatti convenuto che «gli obblighi in materia di sicurezza e salute sul lavoro siano completamente a carico dell’azienda utilizzatrice» dei braccianti.
Nel contratto è inoltre specificato che chi ha in carico i lavoratori «dovrà assicurare» che ognuno di loro «sia impiegato conformemente alle proprie competenze e alla propria formazione». Una precisazione che dopo la morte di Singh suona particolarmente beffarda. Per quanto riguarda lo sfruttamento del lavoro nessuno degli associati può al momento dirsi al riparo dalle indagini, amministrative e penali.
(da “la Verità”)
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Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
IN RITARDO CI SONO SOPRATTUTTO LE AMMINISTRAZIONI CENTRALI E ALCUNI MINISTERI, COME QUELLO DEI TRASPORTI DI SALVINI. MENTRE I COMUNI RISPETTANO LE TABELLE DI MARCIA
In testa alla lista degli obiettivi della sesta rata del Pnrr, su cui il governo prevede di chiedere il pagamento all’Europa già la prossima settimana, c’è l’infrastruttura per il potenziamento del trasporto del gas, la cosiddetta Linea Adriatica. La premier Giorgia Meloni ritiene il nuovo gasdotto «indispensabile per garantire la sicurezza energetica, tappa fondamentale per rendere l’Italia l’hub di approvvigionamento dell’Europa».
Nella lista, poi, tra gli interventi che l’esecutivo considera raggiunti, figurano gli investimenti per i crediti d’imposta della transizione ecologica 4.0 e 5.0; l’avvio della Zes del Mezzogiorno; il rinnovo della flotta dei Vigili del Fuoco e la bonifica delle discariche abusive al Sud.
Questi gli ultimi target raggiunti, ma il governo deve fare i conti con una spesa a rilento che costringerà le amministrazioni a un vero e proprio tour de force per rispettare i tempi del Piano che deve essere chiuso il 30 giugno del 2026. Nei prossimi due anni l’Italia dovrà spendere 150 miliardi di euro, una massa enorme di soldi.
In ritardo ci sono soprattutto le amministrazioni centrali, alcuni ministeri come quello dei Trasporti di Matteo Salvini, mentre i Comuni stanno seguendo fedelmente la tabella di marcia.
Diversi i temi che nei mesi scorsi sono stati al centro delle trattative tra il ministro Raffaele Fitto e la Commissione europea: ad esempio sui posti negli asili nido il governo ha dovuto cedere perché si è reso conto che non avrebbe centrato il target.
Perciò i nuovi posti sono stati ridotti a 150 mila rispetto ai 264 mila inizialmente previsti. Pure gli studentati per gli universitari rappresentano una misura complicata: l’esecutivo ha nominato un Commissario ad hoc per centrare l’obiettivo di 60 mila posti letto entro il primo semestre 2026.
Un’opera che è rimasta fuori nell’ambito della revisione del Pnrr è la ristrutturazione dello stadio di calcio della Fiorentina: l’Artemio Franchi. Al Comune di Firenze sono stati riassegnati 55 milioni di euro di fondi, ma la riqualificazione dello stadio ammontava a 200 milioni di euro.
Gli altri 150 milioni sono stati inseriti nel Piano complementare, tuttavia la ristrutturazione dovrà essere realizzata entro il 2028, due anni più tardi in confronto con il termine del Pnrr.
La Corte dei Conti ha rilevato in «sensibile ritardo» le infrastrutture digitali legate al “Piano Banda Ultralarga-Aree Bianche” per la connettività di 8,4 milioni di abitazioni. Il sottosegretario della presidenza del Consiglio per l’Innovazione, Alessio Butti, ha dovuto emanare una lunga direttiva per sollecitare le amministrazioni che stavano rallentando le autorizzazioni per l’installazione delle reti Tlc.
Le Ferrovie sono in linea con l’avanzamento del Piano anche se dei 25 miliardi di euro assegnati ne sono stati spesi 7,5, quindi nei prossimi due anni bisognerà metterne in campo 18. Altre opere stralciate dal Pnrr e riassegnate a una differente programmazione sono il Terzo Valico di Genova e il raddoppio della Tortona Voghera, interventi strategici che in teoria dovrebbero consentire un collegamento Genova-Milano in meno di un’ora.
Mentre le amministrazioni centrali fanno fatica e scontano le lentezze burocratiche, i Comuni e le città metropolitane stanno rispettando le scadenze, come ricorda il presidente dell’Anci Antonio Decaro. «Le gare bandite fin qui dai Comuni hanno un valore di oltre 34 miliardi di euro e quelle aggiudicate circa 21 miliardi», assicura l’ex sindaco di Bari.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2024 Riccardo Fucile
SANGIULIANO E GALILEI: DIRE CULTURA DI DESTRA E’ UN OSSIMORO
La sfida tra Lollobrigida e Sangiuliano su chi la spara più grossa è davvero avvincente. Una sorta di Gran Premio Continuo della Bischerata. Il livello culturale di questo governo è quasi sempre imbarazzante, e questi due fenomeni ci tengono proprio a dimostrarcelo. L’ultima (per ora) performance è di Sangiuliano, secondo il quale “Colombo voleva raggiungere le Indie circumnavigando la Terra sulla base delle teorie di Galileo Galilei”. Come no: Galileo nacque nel 1564 e Colombo morì nel 1506. Sangiuliano non ne indovina mezza: tra Times Square a Londra, Dante padre del pensiero di destra, censure preventive su chi osa sfotterlo, interviste con la voce da Donald Duck permaloso e figuracce al Premio Strega, si è perso il conto di quelle che chiamiamo “gaffe” ma che sono in realtà prove reiterate dell’inadeguatezza di una classe dirigente terrificante.
Spostando il mirino dal “particulare” (nota per Sangiuliano: è una citazione da Guicciardini) all’“universale” (nota per Sangiuliano: è una citazione da Machiavelli), il problema qui non è solo un ministro della Cultura improponibile, quanto l’evanescenza culturale della destra al governo. Meloni e i suoi giannizzeri straparlano di “egemonia culturale della sinistra”, ma fanno solo tenerezza. Senz’altro la sinistra ha occupato per decenni ogni anfratto della cultura (“Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva/La pittura lo esigeva, la letteratura anche: lo esigevano tutti”: così cantava Gaber). Tale “egemonia” non fu (è) però quasi mai figlia di una dittatura zdanovista da Minculpop, quanto di un oggettivo strapotere culturale: da una parte quasi tutto, dall’altra praticamente nulla. Fateci caso: quando chiedi a qualche camerata di fare dei nomi di figure italiane culturalmente rilevanti e collocabili a destra, lui non va mai oltre ai nomi di Flaiano e Prezzolini. Okay, d’accordo, va bene: ma dopo Prezzolini? Negli ultimi cinquant’anni cosa ha partorito la destra nostrana? Una beata mazza, al punto che ancora oggi i destrorsi citano come nomi forti (?) Barbareschi, Veneziani e Sgarbi (ciao core). Non solo: se ogni tanto spunta qualche bel nome – tipo Marco Tarchi, Giordano Bruno Guerri o Franco Cardini – viene isolato perché troppo “ingestibile”. Una destra che conquista il potere e affida la Cultura a Sangiuliano ammette in partenza (benché involontariamente) tutta la sua smisurata pochezza. Lo si vede in ogni ambito, per esempio la Rai: è vero che tutti l’hanno sempre occupata e lottizzata, ma questi qua sostituiscono gli Augias con le Hoara Borselli e i Saviano con le Laura Tecce. Loro non occupano: radono al suolo. La loro è una tabula rasa totale, e neanche elettrificata. Sono degli Attila rissosi e analfabeti.
Nei suoi libri oltremodo avvincenti, Meloni ribadisce tutta questa piattezza culturale raccontando di adorare musicisti che con la sua destra nulla c’entrano: De André, Gaber, il Battiato di Povera Patria e addirittura Guccini. Meloni dice di amarlo follemente: può essere, ma non ci ha capito niente. E infatti, quando a inizio carriera saliva sul palco e chiudeva i suoi comizi “parafrasando il Cyrano de Bergerac”, neanche si accorgeva che non stava leggendo Rostand ma la canzone Cirano di Guccini. Siamo a livelli rasoterra, e del resto chi sarebbero i cantautori italiani di destra bravi? (Ho detto “bravi”, quindi Povia non vale). Non ci sono, non esistono (se non due o tre ex comunisti folgorati sulla via dei no vax e di Atreju). Quindi è inevitabile che, per darsi un tono, le Meloni e i Salvini citino Gaber e De André. E lo facciano pure con un bipolarismo infinito, perché la loro idea di mondo è lontanissima da quegli exempla poetici. Proprio Guccini ha detto di recente: “Parlare di cultura di destra è un ossimoro”. Forse esagera, ma a guardare questa mandria (troppo spesso) di analfabeti arroganti al potere, fai parecchia fatica a dargli torto.
(da ilfattoquotidiano.it)
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