Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
LA DUCIONA FRANCESE È TERRORIZZATA DAL PROCESSO SUGLI ASSISTENTI DEL SUO PARTITO PAGATI CON I FONDI EUROPEI: LA CONDANNA CANCELLEREBBE IL SOGNO DI CONQUISTA DELL’ELISEO. PER SALVARSI DALL’IRA DEI GIUDICI LA “PATRIOTA” MARINE ORA PENSA DI MOLLARE I “PATRIOTI” DEL POPULISMO SOVRANISTA … LA DUCETTA ITALIANA E’ INVECE RIMASTA SOLA IN ECR CON I POLACCHI DEL PIS E STA CERCANDO DA BRAVA CAMALEONTE DI BORGATA DI FINGERSI “MODERATA” PER RIAGGANCIARE IL PPE
Due “orfanelle” si aggirano smarrite per l’Europa: Marine Le Pen e Giorgia Meloni. La Duciona di Francia e la Ducetta italiana sono finite vittime del fantasma di loro stesse: unite dalla necessità di presentarsi come “moderate” dopo anni passati ad additare l’Ue come causa di tutti i mali (“La pacchia è finita”), le due bionde si trovano isolate a Bruxelles.
La Meloni è impegnata da mesi in un estenuante confronto con il Ppe: la premier italiana sogna di essere sdoganata a livello continentale, e vorrebbe creare un’alleanza tra il gruppo dei Popolari e i suoi Conservatori (magari un giorno, chissà, pure fondere le due formazioni), ma si trova davanti il muro di Donald Tusk.
Il premier polacco, tosto leader del Ppe (è l’unico premier popolare di un grande paese europeo) non può accettare di negoziare con i suoi grandi rivali interni, Morawiecki e Kaczynski, del Pis.
Da anni si fanno la guerra, con il primo che accusa gli altri di aver “orbanizzato” la Polonia: come può finire a tarallucci e vodka? Non può, con grosso scorno della pora Giorgia.
D’altro canto, la Meloni non può cacciare anche i polacchi da Ecr: rimarrebbe davvero sola. Già ha dovuto subire il “tradimento” dell’amato Santiago Abascal, che ha aderito ai “Patrioti” di Salvini e Le Pen.
Ecco, Salvini e Le Pen. Il “Capitone” a Pontida ha annunciato la nascita della “Santa Alleanza sovranista, alla presenza del portavoce di Vox, Jose Antonio Fuster, dell’olandese Geert Wilders, dal portoghese Andrè Ventura di Chega e infine dell’austriaca Marlene Svazek del partito neo-nazista di Fpo. A loro si è aggiunto il pezzo forte, l’ungherese Viktor Orban, cacciato con ignominia nel 2021 dal Ppe
Una sorta di “internazionale sovranista” che, come scrive oggi Matteo Pucciarelli su “Repubblica”, “finirà col trasformarsi in una spina nel fianco destro di Giorgia Meloni”. I Patrioti, infatti, sono il terzo gruppo con 86 deputati, mentre i Conservatori sono solo i quarti (78).
Inoltre Salvini ha tutto l’interesse a spostare sempre più a destra il gruppo: per recuperare consensi, vuole marcare il territorio sulle contraddizioni di Giorgia Meloni, ormai pronta all’inciucione, e presentarsi come l’unico federatore possibile dei sovranisti europei.
E qui arriviamo a Marine Le Pen. La bionda valchiria d’oltralpe, infatti, non si è presentata a Pontida. Ufficialmente, per ragioni di politica interna (le beghe per la nascita del nuovo governo Barnier, che si basa sulla non sfiducia del Rassemblent National), ma la verità è che anche Marine, come Giorgia, deve prendere le distanze dagli euro-appestati Salvini e Orban e uscire dal gruppo dei “Patrioti”.
La figlia di Jean-Marie, infatti ha una paura fottuta di finire impanata e fritta nel processo sugli assistenti parlamentari, pagati dal suo partito con i fondi europei. Meglio tenersi buoni i giudici in Francia (da qui il mancato voto di sfiducia al governo di Macron insieme alla sinistra di Melanchopn) e gli europoteri a Bruxelles, e alla larga dalle urla anti-Ue del leghista e i suoi compari.
Come sintetizza sempre Pucciarelli, “l’atteggiamento dei francesi è più morbido e conciliante nei confronti dei vertici europei. Non a caso, Marine Le Pen e Jordan Bardella si sono limitati a mandare videomessaggi a Pontida. L’ambizione istituzionale del Rassemblement national si scontra con l’estremismo di Salvini e Orbán”.
Quindi, che fare? Le due “orfanelle” metteranno da parte gli antichi dissapori (non si sono mai amate) per unirsi e creare un gruppo congiunto? “Io so’ Giorgia” imbarcherà Marine? Dipende da lei: per farlo, dovrà accettare di non essere più lei la prima donna del partito. Il Rassemblement national, infatti, ha 30 seggi, Fratelli d’Italia solo 24. Lo scettro del comando, passerebbe a Le Pen, con tanti saluti alla reginetta della Garbatella
(da Dagoreport)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
DOVE PRIMA SORGEVA L’ENORME STRUTTURA ORA C’È UN CUMULO DI MACERIE… NON SI CONOSCONO I MOTIVI DELL’ABBATTIMENTO, MA DA QUANDO È INIZIATA LA GUERRA PUTIN HA CAMBIATO LE SUE ABITUDINI PER PAURA DI ESSERE AMMAZZATO. TEME UN ATTENTATO CON I DRONI
Sono state le immagini satellitari di Google Earth a rivelarlo: l’opulenta dacia di Vladimir
Putin a Sochi che ha ospitato strette di mano e passeggiate con diversi leader stranieri è stata rasa al suolo. […]
Non si conoscono i motivi della demolizione. Quel che è certo è che, da quando ha lanciato l’offensiva contro Kiev, il leader del Cremlino ha dovuto rinunciare alle sue abitudini, compresa quella di festeggiare il suo compleanno il 7 ottobre nella sua amata dimora affacciata sul Mar Nero. Ragioni di sicurezza, spiega in una videoinchiesta Proekt , il sito investigativo indipendente russo che ha scoperto la demolizione: Putin «ha avvertito una minaccia per la sua incolumità fisica» dopo i molteplici attacchi di droni su Sochi del settembre del 2023 e non ci va più.
Il presidente russo, che ieri ha compiuto 72 anni, era solito trascorrere almeno 30 giorni l’anno, in particolare tra settembre e novembre, nella sua residenza ufficiale estiva sul Mar Nero, chiamata Bocharov Ruchej, costruita negli Anni ’50 per Nikita Krusciov e da allora diventata la meta di villeggiatura preferita dai vertici moscoviti. L’aveva scelta non solo come ritiro vacanziero, ma anche come teatro di colloqui riservati e più informali con i leader stranieri rispetto all’austero Cremlino.
È qui che nel 2007 spaventò col suo labrador nero Koni l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, rinomatamente timorosa dei cani. Fu più a suo agio il leader statunitense Bush che nel 2008 disse a Putin di essersi rilassato così tanto a Sochi da poterci costruire la sua «seconda casa».
Berlusconi, invece, a Sochi era di famiglia tanto che, nel 2017, per festeggiare il 65esimo compleanno di Putin, portò in regalo un copriletto con stampata l’immagine di loro due.
Putin ha iniziato a nascondere la posizione dei suoi aerei. «Alla fine è stato il presidente stesso a distruggere l’unica cosa che era riuscito a costruire in Russia in 25 anni al potere: le sue abitudini lussuose», conclude Proekt . «Il fatto che abbia smesso di visitare i suoi luoghi preferiti è una sorta di indicatore della sicurezza nel Paese. Per quanto cerchi di convincere che la vita continua e che la vittoria è vicina, neanche Putin si sente più al sicuro e ha dovuto cambiare le sue abitudini a causa del conflitto».
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
LE LITI TRA CONTE E RENZI NON PAGANO, GIU’ M5S E ITALIA VIVA
Non pagano le polemiche per l’entrata nel campo largo tra il leader di Italia Viva Matteo Renzi e il presidente M5S Giuseppe Conte, alle prese anche con la diatriba interna con Beppe Grillo: calano Iv (-0,3%) e M5S (-0,4%).
Questo uno degli aspetti più significativi del sondaggio Swg per tgLa7 diffuso lunedì 7 ottobre.
Tra i partiti di maggioranza da segnalare anche il calo di FdI, che perde lo 0,3% e la buona performance di Forza Italia che guadagna lo 0,4%. Stabile la Lega che per ora non sembra avvertire particolari scossoni dopo la kermesse di Pontida.
Tra i partiti minori oltre alla suddetta Italia viva, nell’area dell’ex Terzo polo cala Azione (-0,2%). Lieve aumento per +Europa (+0,2%), Noi Moderati (+0,1%) e Pace Terra e Dignità (+0,2%), stabile Sud chiama Nord.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
OLTRE 40.000 LE VITTIME CIVILI DEL GOVERNO CRIMINALE DI ISRAELE
Sarebbero quarantaduemila i palestinesi uccisi dai raid israeliani sulla Striscia di Gaza
dall’8 ottobre 2023. Il giorno dopo l’attacco di Hamas nel sud di Israele, quando furono assassinate 1.200 civili e sequestrare 251 persone (97 ancora nella mani dei rapitori). Delle vittime della risposta israeliana il ministero della Salute di Gaza dichiara di averne identificati 34.344: circa seicento pagine di nomi, età, sesso delle vittime. Una lunga lista che include oltre undicimila bambini accertati, quasi tremila palestinesi di età pari o superiore ai 60 anni e circa settemila donne. I restanti settemila non hanno ancora un’identità. Ma le macerie di Gaza, come riporta l’Onu, nascondono altri corpi senza vita da recuperare. Stando ai dati delle autorità palestinesi, confermati dalle organizzazioni internazionali, sono circa diecimila le persone uccise dagli attacchi israeliani e sepolte sotto i resti degli edifici crollati. Non vi è, però, distinzione tra civili e miliziani: Israele sostiene di aver ucciso diciassettemila appartenenti ad Hamas. Ma il conflitto, che vede Israele impegnato su più fronti, e le sue conseguenze come la fame, la mancanza di un riparo e di farmaci, la rapida diffusione di malattie, il collasso del sistema sanitario nazionale (114 tra ospedali e cliniche sono fuori uso e quasi mille operatori uccisi, secondo l’emittente del Qatar al Jazeera), faranno aumentare, inevitabilmente, il già tragico bilancio delle vittime civili sulla Striscia.
Dare un nome alle vittime
Dietro quei numeri ci sono volti, nomi e storie. La vittima più anziana, identificata dal Guardian, è un 101enne. Quella più giovane: una bambina appena nata. L’ultracentenario, Ahmed al-Tahrawi, nacque nel 1922 ad Al-Masmiyya. Un villaggio palestinese a circa 40 chilometri da Gaza, distrutto dagli attacchi israeliani. Secondo l’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, il 60% delle case e l’80% di tutte le strutture commerciali sulla Striscia sono danneggiate o distrutte. Gli abitanti del Paese di confine di al-Tahrawi fuggirono durante la Nakba («la catastrofe»), l’esodo forzato della popolazione palestinese del 1948 dopo la fondazione dello Stato di Israele. «La sua famiglia partì a piedi, portando con sé poco più della chiave della casa del villaggio che non avrebbero mai più rivisto», racconta al quotidiano inglese suo nipote Abd al-Rahman al-Tahravi. I figli non sopravvissero all’esilio, e così a Bureij, un campo profughi di Gaza, al-Tahrawi e sua moglie ricostruirono le loro vite da zero. L’uomo lavorava come sarto e gestiva un piccolo negozio, ha vissuto abbastanza a lungo da poter conoscere i suoi pronipoti. All’inizio della guerra si era trasferito da una delle sue figlie, ma il 23 ottobre l’abitazione fu bombardata. Dodici persone furono uccise, otto rimasero ferite. Tra loro c’era anche il 101enne. Portato d’urgenza in ospedale con un’emorragia interna, non ha ricevuto le cure adeguate: i sanitari hanno dato la priorità ai giovani. È morto una settimana dopo.
La vita (non) vissuta di Waad
Due ore: è il tempo vissuto da Waad, una bambina rimasta vittima di un attacco israeliano il 15 febbraio scorso. Non era ancora nata quando il raid ha sepolto sua madre, Salam al-Sabah, sotto le macerie. I soccorritori, privi di attrezzature pesanti, hanno dovuto lavorare più di un’ora e a mani nude per liberare la giovane donna, incinta di 9 mesi. Suo zio, Eid Sabah, direttore infermieristico dell’ospedale Kamal Adwan, era in servizio quando i suoi famigliari sono stati trasportati d’urgenza nella struttura. Erano così coperti di polvere e fuliggine, che all’inizio non li ha riconosciuti: «Ho capito chi erano solo dopo che alcuni di loro hanno iniziato a urlare il mio nome. Mi sono bloccato per lo shock, poi mi sono ripreso abbastanza da iniziare a medicarli», racconta. Per sua nipote era ormai troppo tardi, ma il feto all’interno del suo grembo stava ancora lottando tra la vita e la morte. Così i dottori hanno praticato un taglio cesareo e portato Waad in terapia intensiva. È sopravvissuta per sole due ore. La famiglia era fuggita dalla loro casa nel nord di Tal al-Zaatar all’inizio della guerra, dopo gli avvertimenti israeliani di evacuare l’area, e aveva trascorso mesi spostandosi tra le case dei parenti e i rifugi per gli sfollati (oggi sono circa 2 milioni). Stando al report del Palestinian Center for Human Rights sulla Striscia ci sono 50mila donne incinte nei rifugi senza accesso a cibo e a un’assistenza sanitaria adeguata, e il 15% di loro rischia di avere complicazioni legate alla gravidanza o al parto, e necessita di cure mediche aggiuntive che ad oggi non sono disponibili.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
SI INERPICA IN UNA SUPERCAZZOLA SENZA SENSO, RICOLMA DI TERMINI ALTI PER FAR VEDERE QUANTO È COLTO. PECCATO CHE NON SI CAPISCA NIENTE: “DI FRONTE A QUESTO CAMBIAMENTO DI PARADIGMA, LA QUARTA RIVOLUZIONE EPOCALE DELLA STORIA DELINEANTE UN’ONTOLOGIA INTONATA ALLA RIVOLUZIONE PERMANENTE DELL’INFOSFERA GLOBALE, IL RISCHIO CHE SI CORRE È DUPLICE E SPECULARE”
Ci hanno messo un po’ i parlamentari per capire cosa stesse leggendo Alessandro Giuli. Convocato in audizione, alla Camera, per esporre le linee guida del suo dicastero a deputati e senatori riuniti, il ministro della Cultura ha esordito con l’esposizione di quello che è sembrato un trattato di inizio ‘900.
Giuli aveva anticipato che l’introduzione sarebbe stata «un po’ teoretica». Di certo, almeno stando alle facce di chi lo circondava, è apparsa oscura.
Ecco, infatti, qual è stato il debutto di Giuli: «La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero. Chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale e nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni. Il movimento delle cose è così vorticoso e improvviso, così radicale nelle sue implicazioni e applicazioni che persino il sistema dei processi cognitivi delle persone, non solo delle ultime generazioni, ha cominciato a mutare con esso». La frase iniziale è in realtà una citazione sbagliata o forse volutamente parafrasata (ma il senso non è lo stesso) di Hegel: «La filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero».
Giuli, senza alzare lo sguardo dal suo saggio, ha continuato: «Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare». Deputati e senatori sono rimasti attoniti.
«L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia». Poi Giuli ha domandato: «Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi?». «No», ha risposto più a se stesso che all’uditorio, il quale non sembra essere riuscito a decifrare un granché dell’altissimo discorso di Giuli.
E ha proseguito: «Fare cultura è pensare sempre da capo e riaffermare continuamente la dignità, la centralità dell’uomo, ricordare la lezione di umanismo integrale che la civiltà del rinascimento ha reso universale. Non l’algoritmo, ma l’umano, la sua coscienza, la sua intelligenza e cultura immagina, plasma e informa il mondo. In questa prospettiva è un’illusione ottica pensare a una distinzione di categoria o, peggio, a una contrapposizione tra le culture scientifiche e umanistiche. Come in una disputa tra un fronte culturale progressista e uno conservatore. Dialettica errata. Si tratta di pensare: Pitagora, Dante, Petrarca, Botticelli, Verdi, insieme con Leonardo da Vinci e Galilei, Torricelli, Volta, Fermi, Meucci e Marconi, e al di là della declamazione dei grandi nomi della cultura umanistica e scientifica italiana, è necessario rifarsi a questa concezione circolare e integrale del pensiero e della vita che costruisce lo specifico della cultura».
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL SETTIMO RAPPORTO GIMBE PRESENTATO A ROMA: LA SANITA’ E’ LA VERA EMERGENZA NAZIONALE
Tra carenza di personale, liste d’attesa infinite, pronto soccorsi sovraffollati e un
inaccettabile divario tra Nord e Sud, il nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn) è vicinissimo a esalare il suo ultimo respiro. L’inevitabile conseguenza è che le persone che alla fine potranno curarsi sono quelle che potranno farlo di tasca propria. Già oggi sono 4,5 milioni gli italiani che rinunciano alle cure, in barba ai principi di universalismo ed equità che in passato hanno fatto del nostro Ssn un modello da seguire. Più che un documento sullo stato di salute della sanità pubblica italiane, il settimo Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale della Fondazione Gimbe, appena presentato a Roma, è una sorta di autopsia
Ssn in emergenza
“Oggi la vera emergenza del Paese è il Servizio Sanitario Nazionale”, conferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. I numeri sono impietosi: un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei paesi OCSE membri dell’Unione Europea con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi di euro; la crisi motivazionale del personale che abbandona il Ssn; il boom della spesa a carico delle famiglie (+10,3%); quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici; le diseguaglianze regionali e territoriali; la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di attesa e sui pronto soccorso affollati. “La tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno”, sottolinea Cartabellotta.
Sanità privata
Nel 2023 l’aumento della spesa sanitaria totale, che è stati di 4.286 milioni di euro, è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+ 3.806 milioni di euro) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+553 milioni di euro), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (-73 milioni di euro). “Le persone – spiega Cartabellotta – sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie, con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari”. La spesa out-of-pocket – ovvero quella pagata direttamente dai cittadini – che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+ 5.326 euro in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+ 3.806 milioni di euro) in un solo anno. Secondo l’Istat nel 2023, 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso e problemi economici. E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600mila in più dell’anno precedente.
Definanziamento cronico
“La grave crisi di sostenibilità del Ssn – afferma Cartabellotta – è frutto anzitutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una priorità su cui investire in maniera costante”. Il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) dal 2010 al 2024 è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi di euro, in media 2 miliardi di euro per anno, ma con trend molto diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Negli anni 2020-2022 il FSN è aumentato di ben 11,6 miliardi di euro, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia Covid-19, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del SSN né consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci. Per gli anni 2023-2024 il FSN è aumentato di 8.653 milioni di euro: tuttavia, nel 2023 1.400 milioni di euro sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni di euro sono stati destinati ai rinnovi contrattuali del personale. Le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità. “Nella Legge di Bilancio il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027”, spiega il presidente di Gimbe.
Crolla la spesa per la prevenzione
Rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben 1.933 milioni di euro (-18,6%). “Tenendo conto che la prevenzione – commenta Cartabellotta – è la ‘sorella povera’ del SSN, al quale viene allocato circa il 6% del finanziamento pubblico, tale riduzione rappresenta un’ulteriore spia del sotto-finanziamento che, inevitabilmente, costringe Regioni e Aziende sanitarie a sottrarre risorse ad un settore sì fondamentale, ma considerato differibile. Ma tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire, documentando la miopia di queste scelte di breve periodo”.
Crisi del personale sanitario
Se prima la crisi del personale sanitario era sostanzialmente dovuta al definanziamneto del Ssn, oggi, dopo la pandemia, è aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione. “Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti”, sottolinea Cartabellotta. I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano infatti il progressivo abbandono del Ssn: secondo la Fondazione ONAOSI, tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11mila medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e ANAAO-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023. !Ma la vera crisi – continua il presidente di Gimbe – riguarda il personale infermieristico: nonostante i crescenti bisogni, anche per la riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è largamente insufficiente e, soprattutto, le iscrizioni al Corso di Laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati”.
Lea e divario tra Nord e Sud
Stando al report di Gimbe, nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al Sud, ma comunque in posizioni di coda. “Siamo di fronte – commenta Cartabellotta – ad una vera e propria frattura strutturale Nord-Sud nell’esigibilità del diritto alla tutela della salute. A questo quadro si aggiunge la legge sull’autonomia differenziata, che affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al SSN e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone”. Anche la mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle Regioni del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. In particolare nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a 10,96 miliardi di euro.
Un piano di rilancio
Il SSN è malato, gravemente, ma secondo Gimbe si può curare con un programma che mette nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione Gimbe invoca un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche e avvicendamenti dei Governi. 2Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e responsabili, consapevoli del valore del SSN, e a tutti gli attori della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare il bene comune”, sottolinea Cartabellotta. Un invito a un’alleanza strategica arriva anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato in occasione della presentazione del rapporto. “Il Servizio Sanitario Nazionale – si legge nella lettera – costituisce una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La sua efficienza è frutto, naturalmente, delle risorse dedicate e dei modelli organizzativi applicati, responsabilità, quest’ultima, affidata alle Regioni. Per garantire livelli sempre più elevati di qualità nella prevenzione, nella cura e nell’assistenza, è necessaria la costante adozione di misure sinergiche da parte di tutti gli attori coinvolti”.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL VERO MISTERO NON E’ SCOPRIRE CHE UN PARLAMENTARE DI FDI SU 184 HA RIVELATO LE CONFIDENZE DEL PARTITO, MA COME MAI GLI ALTRI 183 SE LE SONO TENUTE PER SE’
Mi auguro che Meloni e Crosetto abbiano ragione e che nella chat di Fratelli d’Italia si annidi una talpa smaniosa di diffonderne i contenuti all’esterno per chissà quali torbidi scopi.
Il mio timore è che la realtà sia più banale di un complotto e che il problema delle chat non siano le talpe, ma il fare parte di una chat.
Parlo per esperienza, essendo membro, per lo più silente ma non per questo meno responsabile, di diversi gruppi virtuali, a cominciare dal più temibile: una chat di genitori.
Le chat nascono con il nobile intento di semplificarci la vita, consentendo di mandare una comunicazione di servizio a tutti gli interessati in simultanea: giovedì salta l’ora di matematica, il pranzo di domenica non è più a casa dei nonni, martedì 8 ottobre sono sospese le trasferte perché in Parlamento si vota il giudice costituzionale.
Purtroppo, però, le chat si rivolgono agli esseri umani. Quella di Fratelli d’Italia, per dire, ne conta ben 184.
Ognuno con qualcosa da dire, da chiedere, da eccepire e da spettegolare. Ma soprattutto ognuno con un amico fidato a cui girare in via confidenziale il contenuto della chat, dietro promessa che non ne renderà partecipe nessun altro.
A parte, s’intende, un altro amico – fidatissimo – che a sua volta verrà invitato a mantenere il riserbo più assoluto con tutti, tranne che con…
Il vero mistero della chat di Fratelli d’Italia non è scoprire perché un parlamentare su 184 ha rivelato le confidenze del partito, ma come mai gli altri 183 se le sono tenute per sé.
(da corriere.it)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
DA 50 ANNI FILO-GOVERNATIVO CON DUE PUNTI DEBOLI
Col rischio (anzi certezza) di raccogliere in questa sede solo fischi per quanto sto per dire,
affermo con convinzione di ritenere Bruno Vespa un professionista preparato e capace.
Come intervistatore (quando vuole) è bravissimo, e ne sa qualcosa Beppe Grillo (che nel 2014 ne uscì malissimo). Ottimo conduttore, preparato e per questo furbo come pochi a far fare agli ospiti sgraditi la figura del torsolo e viceversa.
Se accetti di interloquire con lui (e accade per forza tra novembre e dicembre, quando fa il giro delle sette chiese per promuovere il suo immancabile tomo pre-natalizio), devi essere molto in forma.
Tali qualità, che potrebbe negare solo chi (e son tanti) lo odia con tutto se stesso, diventano però aggravanti quando (spesso o quasi sempre) Vespa entra in modalità “forte coi deboli e debole coi forti”, laddove qui il “forte” è quasi sempre il potere (meglio se di centrodestra).
A galla da più di 50 anni, Vespa non ha mai nascosto questa sua radicata indole filo-governativa. Da direttore del Tg1 disse che la Dc era “il suo editore di riferimento” (uh). Parlando al telefono nel 2005 col portavoce di Fini, gli promise che “la puntata gliela confezioniamo addosso”.
Le sue amorevoli “genuflessioni giornalistiche” a Berlusconi le ricordano tutti. Vespa non è persona sgarbata (tutt’altro) e ha enorme considerazione di se stesso.
Pretende contratti faraonici e trattamenti preferenziali, non manca di ricordare a ogni piè sospinto quanto i suoi libri (che forse nessuno ha mai letto per intero) vendano a scatafascio e ama crivellare tutti quelli che percepisce distanti, ora ricordando loro le condanne per diffamazioni (condanne che in carriera si è beccato ovviamente pure lui) e ora scrivendo articoli da improbabile Savonarola dove critica inesistenti magagne etiche di questo o quel “collega moralista” (salvo poi vedere di persona quello stesso collega il giorno dopo e riempirlo coerentemente di complimenti).
Vespa ha 80 anni e sembra invincibile. Si è messo a fare vini (che hanno servito pure al G7 e che sono vini “cerchiobottisti” come lui), scherza sulla vulgata secondo cui sarebbe il figlio segreto del Duce, derubrica a “gaffe” quella volta in cui a 25 anni disse in Rai “Hanno arrestato il colpevole”, riferito a Valpreda (erroneamente accusato all’inizio della strage di Piazza Fontana). Organizza puntate epocali in cui riesce a parlare di “aborto indotto” solo con ospiti maschili. E partorisce titoli onnicomprensivi che non voglion dire una mazza, tipo “Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)”. È un highlander e non pare avere punti deboli. Ma due ne ha.
Il primo è che è permaloso e vendicativo come una mina, come del resto molti umani (compreso chi scrive).
Il secondo è che soffre da morire di non essere amato. Ha continuamente bisogno di riconoscimenti e apprezzamenti, anche se poi fa finta di farsi bastare lo share (che peraltro non di rado piange).
Non è che soffra le contestazioni in treno o per strada (ogni tanto gli capita). No: Vespa soffre il non essere amato. È quella la sua kryptonite. Come giorni fa, quando ha abbandonato (piccato come un bambino) le celebrazioni dei 100 anni della radio e dei 70 della tivù perché nessuno lo aveva citato. “Non una parola, né una immagine sui 30 anni di Porta a Porta. Cambiano le stagioni, ma l’anima profonda della Rai resta sempre dalla stessa parte”, ha frignato su X. Traduzione: “Sono in sella da più di mezzo secolo, ma la critica (in mano alla sinistra) ce l’ha con me e il pubblico non mi ama”.
Eccolo il suo tallone d’Achille. Il suo astio per Santoro, Grillo, Fatto e tutti quelli che riescono a riempire teatri e piazze, è figlio dell’umanissima invidia di un uomo di potere, che però – nel mondo reale – beccherebbe quasi soltanto pomodori in faccia e non riempirebbe neanche un teatrino da sei posti scontati. Per questo, da sempre e per sempre, l’highlander Vespa soffre. Non mollare, Bruno.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
LE DISGRESSIONI SUL GOLF, SUGLI SQUALI E SUL SUO “BELLISSIMO CORPO”
Il New York Times torna sull’età e l’acuità mentale di Donald Trump con un lungo articolo in cui esamina negli anni i discorsi del tycoon.
Il pezzo si basa su testimonianze, sull’esame delle sue apparizioni pubbliche e su un’ analisi computeristica dei suoi comizi, che peraltro sono diminuiti di numero (finora 61 contro i 283 del 2016).
«Con il passare del tempo, i discorsi dell’ex presidente 78enne sono diventati più cupi, più duri, più lunghi, più arrabbiati, meno concentrati, più volgari e sempre più fissati sul passato», scrive il quotidiano.
Tra gli ultimi episodi quello in cui ha raccontato come nel dibattito tv con Kamala Harris il pubblico fosse dalla sua parte, quando invece non c’era nessun spettatore.
Secondo il Nyt Trump «divaga, si ripete, vaga da un pensiero all’altro, alcuni dei quali difficili da comprendere, alcuni dei quali incompiuti, alcuni dei quali fattualmente fantastici. Esprime affermazioni stravaganti che sembrano inventate di sana pianta. Si dilunga in bizzarre digressioni sul golf, sugli squali, sul suo ‘bellissimo’ corpo. Si gode ‘una splendida giornata in Louisiana’ dopo aver trascorso invece la giornata in Georgia. Esprime il timore che la Corea del Nord stia ‘cercando di uccidermi’ quando presumibilmente intende l’Iran».
L’ultima gaffe risale a oggi: ha suggerito in un’intervista radiofonica per commemorare il 7 ottobre di aver visitato in passato lGaza ora devastata dalla guerra. Ma non c’è traccia della sua presenza. Alla richiesta di chiarimenti, un collaboratore della campagna ha detto che Gaza è «in Israele» e che Trump ha visitato Israele.
(da agenzie)
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