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SUPERMEDIA SONDAGGI YOUTREND, CALANO TUTTI I PARTITI DI CENTRODESTRA, CONTINUA L’ASCESA DEL PD, BENE ANCHE IL M5S

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

FDI SOTTO IL 29% PD OLTRE IL 23%… FORZA ITALIA DAVATI ALLA LEGA

La vittoria del centrosinistra alle regionali in Emilia Romagna e Umbria sembra trascinare ancora verso l’alto il Partito democratico.
Nell’ultima Supermedia Youtrend, che include sondaggi realizzati dal 21 novembre al 4 dicembre, si avverte ancora un lieve effetto positivo del risultato del centrosinistra alle ultime elezioni, con il Pd che si conferma sopra il 23% e i partiti del centrodestra che perdono leggermente terreno, anche se la coalizione resta su valori alti, appena sotto il 48%.
Si avvertono anche segnali positivi per il M5S, sull’onda della Costituente. L’assemblea dello scorso weekend voluta dal leader Giuseppe Conte, che ha abolito il ruolo di garante di Beppe Grillo (che ha richiesto la votazione, ora in corso fino alle 22 dell’8 dicembre) ha fatto crescere leggermente il Movimento (+0,2%) che ora si attesterebbe all’11,6%.
La crescita di Pd e M5S sembra però a scapito dei partiti vicini del centrosinistra, come Avs che perde lo 0,2 ma resta sopra il 6% (6,2%) e Azione che tocca il 2,4% (-0,3%).
E il centrodestra? I tre partiti della coalizione registrano una lieve flessione, a partire da Fratelli d’Italia che si posiziona poco sotto il 29% (al 28,9%, -0,2%). Cala di poco (-0,1%) anche Forza Italia ora al 9,1% che resta sopra la Lega all’8,7% (-0,2%). L’unico partito che cresce dello 0,3% è Noi Moderati (1,2%). Stabile +Europa al 2% pieno, poco sopra si posiziona Italia viva al 2,3% (+0,1%).
La Supermedia liste:
FdI 28,9 (-0,2)
Pd 23,2 (+0,4)
M5S 11,6 (+0,2)
Forza Italia 9,1 (-0,1)
Lega 8,7 (-0,2)
Verdi/Sinistra 6,2 (-0,2)
Azione 2,4 (-0,3)
Italia Viva 2,3 (+0,1)
+Europa 2,0 (=)
Noi Moderati 1,2 (+0,3)
(da agenzie)

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UN ALTRO GRANDE SUCCESSO DI “TELE-MELONI”: “BINARIO 2”, LA TRASMISSIONE CHE DOVEVA SOSTITUIRE “VIVA RAI2” DI FIORELLO, CHIUDE ANTICIPATAMENTE, IL 20 DICEMBRE, TRAVOLTA DAI BASSI ASCOLTI (UNA MEDIA DEL 2,3% DI SHARE E 110MILA SPETTATORI)

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

IL PROGRAMMA, CONDOTTO DA ANDREA PERRONI, CAROLINA DI DOMENICO E GIANLUCA SEMPRINI, ERA STATO LANCIATO IN POMPA MAGNA DA ANGELO MELLONE, E ORA SALUTATO COME UN “ESPERIMENTO ALTAMENTE INNOVATIVO CHE CONTENEVA UN MARGINE DI RISCHIO”

Che sarebbe stata una scommessa ambiziosa si è capito subito, perché un conto era Viva Rai2!, il varietà di Fiorello, un vero show in un orario insolito, la mattina presto, ma con ospiti pazzeschi, costruito come uno spettacolo che sarebbe potuto andare in onda anche la sera.
Un altro era inventare un programma quotidiano per svegliare con allegria gli italiani, di impianto radiofonico ma trasmesso in tv: Binario 2 non è mai decollato. Una media del 2.3% di share (110 mila spettatori), l’idea di base carina: andare in onda non dallo studio di Via Asiago ma dalla Stazione Tiburtina di Roma. Risultato: si chiude.
Binario 2, partito il 21 ottobre, prima di Natale saluta il (poco) pubblico. La Direzione Intrattenimento Day Time fa sapere di aver comunicato ieri alla produzione che il programma chiuderà il 20 dicembre. “Si trattava di un esperimento altamente innovativo, pensato all’interno di uno studio e di una location (la stazione Tiburtina di Roma) che resteranno un unicum nella storia Rai”, si legge in una nota.
“Un esperimento che, come tale, conteneva un margine di rischio, e che nella collocazione del mattino non è stato premiato dagli ascolti, pur ottenendo ottime performance in replica in altri orari, in particolare la domenica mattina su Rai 2″.
Binario 2, viene ancora spiegato, “resta una proposta editoriale che, nel tempo, avrebbe potuto crescere e migliorare in termini di ascolti ma che, per una valutazione legata al rispetto dei valori economici assegnati dall’Azienda, la Direzione ha deciso di interrompere, ringraziando comunque conduttori, autori, redazione, produzione, regia e tecnici, per il lavoro svolto”.
Il progetto della stazione-crocevia che avrebbe dovuto animare lo show non si è mai concretizzato. Alle 7.15 chi transita per la stazione è molto poco interessato a scherzare e a interagire con quello studio sospeso, con i conduttori Andrea Perroni, Carolina Di Domenico e Gianluca Semprini impegnati nell’impresa impossibile di non far rimpiangere Fiorello.
Come già successo per L’altra Italia di Antonino Monteleone su Rai 2 e, prima, con Avanti popolo di Nunzia De Girolamo, su Rai3, chiusura inevitabile. La Rai aveva investito (Viale Mazzini non fornisce il budget ma al programma, in onda dal lunedì al venerdì, lavorano un’ottantina di persone) e il direttore dell’Intrattenimento daytime Angelo Mellone ci aveva creduto.
Aveva chiamato Perroni, anche autore del programma, ex complice di Luca Barbarossa a Radio2 Social Club, che era partito con le migliori intenzioni. “Il mattin show si trasforma”, aveva spiegato in un’intervista a Repubblica “e certo sento la responsabilità, avremo tutti gli occhi puntati.
(da agenzie)

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DIETRO AI SORRISI, È GELO TRA ORBAN E MELONI: IL FACCIA A FACCIA DI UN’ORA E MEZZA A PALAZZO CHIGI HA CONFERMATO LA DISTANZA TRA I DUE EX ALLEATI, ORA CHE LA DUCETTA APPOGGIA URSULA

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

LA SORA GIORGIA HA FRETTA DI CAMBIARE LE REGOLE EUROPEE SU MIGRANTI E PAESI SICURI, PER EVITARE IL FLOP TOTALE DEL SUO “MODELLO ALBANIA”. MA IL PREMIER UNGHERESE NON INTENDE DARE UNA MANO ALLA COMMISSIONE

Nonostante i sorrisi a favore di flash e perfino un baciamano nel cortile di palazzo Chigi, i rapporti tra i due non sono quelli di prima. Viktor Orbán e Giorgia Meloni hanno discusso ieri pomeriggio un’ora e mezzo nello studio della premier, faccia a faccia su due poltroncine color avio, davanti a un centrotavola natalizio sfavillante. L’incontro era stato chiesto dal primo ministro ungherese, che prima, in mattinata, era dal Papa.
Tra i due leader che nel 2019, sul palco di Atreju, intonavano “Avanti ragazzi di Buda”, le distanze restano marcate. Su una sfilza di temi. Sull’Ucraina, per esempio. La nota congiunta del bilaterale riporta un vago sostegno a una «pace giusta». Ma a baciamano ancora caldo, è stato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a mettere a verbale che sulle armi «abbiamo posizioni diverse». Per poi mandare segnali a Kiev, per la prima volta con toni co
Anche sull’altro dossier chiave per la premier, i migranti, le strategie di Orbán e Meloni non combaciano affatto. Sì, ieri i due si sono detti d’accordo sull’«urgenza» di cambiare le regole. Obiettivo: «Accelerare i rimpatri dall’Ue» e rivedere «il concetto di paesi di origine sicuri». Meloni ha bisogno che Bruxelles ridefinisca questi criteri per tenere a galla il progetto, ormai moribondo, dei centri in Albania, altrimenti impallinati dalla giurisprudenza Ue. Ma il nuovo patto sui migranti è atteso solo per giugno 2026. Troppo tardi.
Per questo la premier cerca sponde per anticiparlo al 2025. Ma c’è una differenza di fondo: Meloni ormai lavora dall’interno del blocco pro-Ursula, per strappare il più possibile L’ungherese invece intende cannoneggiare quell’accordo, con i suoi Patrioti all’opposizione del von der Leyen bis. È questa la crepa politica vera, difficilmente rammendabile. Non a caso al termine del vertice non è programmato alcun punto stampa, com’era accaduto invece la volta scorsa, il 24 giugno.
Altro tema, l’avvicendamento alla Casa Bianca. Il canale con Donald Trump. Sia Meloni che Orbán hanno interesse a fare da ponte con Washington. Ma Meloni, molto più dell’ungherese, deve rinsaldare il legame con la galassia “Maga”, sfilacciato per i rapporti affettuosi con l’amministrazione Biden. Anche con quest’obiettivo, fra 10 giorni la premier riceverà a Chigi un trumpiano di ferro, l’argentino Javier Milei, incontrato a Buenos Aires appena due settimane fa.
Pure FI si muove: per volontà di Tajani, una delegazione guidata dalla vice-segretaria Deborah Bergamini è in missione negli Usa. Per partecipare all’Idu, l’internazionale di centrodestra a cui aderisce pure FdI. Ma anche per incontrare parlamentari e dirigenti del team Trump: all’insediamento manca solo un mese e mezzo.
(da La Repubblica)

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GIORGETTI SBUGIARDATO: SIA L’OCSE CHE L’ISTAT STIMANO UNA CRESCITA DI APPENA LO 0,5% DEL PIL ITALIANO NEL 2024. È LA METÀ DEL +1% MESSO NERO SU BIANCO DAL TESORO NEL PIANO STRUTTURALE DI BILANCIO (GRAZIE AI DATI “ADDOMESTICATI” DALLA RAGIONIERA DARIA PERROTTA)

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

L’OCSE BACCHETTA IL GOVERNO MELONI SUL PNRR: “IL RITMO DI SPESA DEVE PIÙ CHE RADDOPPIARE”… LE CRITICHE ALLA MANOVRA: “L’OTTIMISMO SULLE ENTRATE È LEGATO ALL’EFFETTO DEL FISCO, CHE SI MANGIA LA CRESCITA DEI SALARI”

L’Ocseha appena aggiornato le previsioni per l’economia globale e l’Italia è indicata in crescita dello 0,5% quest’anno (meno della Ue allo 0,7% e del governo all’1%), per poi segnare +0,9% nel 2025 e +1,2% l’anno dopo.
Vista da Parigi, sulla prospettiva dell’economia del Belpaese potrebbe pesare una frenata forte degli investimenti privati, mentre se il pubblico spingesse (tanto) sull’acceleratore del Pnrr potrebbe andare meglio delle previsioni.
“Gli obiettivi di finanza pubblica sono alla portata, anche alla luce di una manovra prudente”, spiega il capo economista del Desk Italia dell’Organizzazione parigina, Cyrille Schwellnus, che raggiungiamo in occasione del Ceo Italian Summit & Awards 2024 di Milano, organizzato da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano.
“Ma il consolidamento dei conti è strettamente legato al fiscal drag”, la crescita dei salari in presenza di una loro forte crescita nominale, “che incrementa le entrate fiscali nel breve. Ma serviranno nei prossimi anni decisioni politiche condivise e incisive per generare un surplus di bilancio sostenibile”.
Ci spieghi meglio questo aspetto.
«Nelle nostre previsioni crediamo sia raggiungibile l’obiettivo di portare il deficit/Pil sotto il 3% nel 2026: lo indichiamo al 2,8%. Già quest’anno scenderà al 3,5%, possibile risulti anche inferiore perché le entrate fiscali sono superiori alle previsioni. La Manovra dimostra la volontà di ridurre il deficit con un consolidamento strutturale di 0,5 punti nel prossimo biennio.
Si rendono strutturali gli interventi sul costo del lavoro, ed è positivo. Per finanziarli e insieme consolidare i conti ci sono tre canali ‘ufficiali’: la fine dei bonus edilizi; gli anticipi di introiti da banche e assicurazioni, che però agisce in positivo solo sul 2025; un piccolo contributo dalla spending review».
Non bastano?
«Il quarto canale, meno evidente, è legato all’ottimismo sulle entrate fiscali. Il fiscal drag in Italia è particolarmente importante, in fase di inflazione elevata, perché a differenza di quel che avviene in molti Paesi Ocse gli scaglioni non vengono aggiornati automaticamente con l’andamento dei prezzi. Questo aiuta il consolidamento “nascosto” dei conti pubblici, ma nel lungo periodo servono interventi politici più strutturati».
Veniamo all’economia, come andiamo?
«Gli ultimi trimestri sono stati deboli. I consumi delle famiglie tengono grazie al recupero del potere d’acquisto, con i salari contrattuali che crescono ora più dell’inflazione. Lo stimolo del Superbonus non c’è più, e si nota. Gli investimenti nel settore privato non si vedono. E il contributo dell’export è nullo»
Il Pnrr può farci cambiare passo. Per la Bce può valere fino all’1,9% di crescita cumulata del Pil al 2026, ma i due terzi dei progetti è a rischio ritardo. Che ne pensa?
«Credo siano dati in linea con quel che è lecito attendersi e con le ultime rilevazioni di organismi come l’Upb. L’Italia ha fatto bene sulle scadenze legate alle riforme e ha migliorato la governance del Pnrr.
Ma per quel che riguarda gli investimenti, bisogna distinguere. Finché si è trattato di spese “automatiche” come i crediti fiscali per Superbonus o Industria 4.0, non ci sono stati problemi. Ora servono investimenti veri e i rischi di ritardo ci sono: nei due anni di piano che restano, per raggiungere il pieno utilizzo dei fondi Ue la spesa deve salire dall’1% circa del Pil del 2024 al 2,5%. Serve un’accelerazione molto forte».
(da La Repubblica)

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PAPA FRANCESCO CERCA IL PROFILO IDEALE DEL SUO SUCCESSORE: ZUPPI E PAROLIN (CHE HA PIU’ CHANCE) SONO STIMATI DAL PONTEFICE MA PENALIZZATI DALL’ESSERE ITALIANI: BERGOGLIO VUOLE APRIRE LA CHIESA ALLE “PERIFERIE”

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

SI FA IL NOME DEL CANADESE FRANCIS LEO, ARCIVESCOVO METROPOLITA DI TORONTO … LEO HA FAMA DI PERSONA EQUILIBRATA, HA UN CURRICULUM NOTEVOLE, E’ POLIGLOTTA E CONOSCE LA CURIA

Le vie del Signore sono infinite, ma quelle che portano al nuovo Papa, no. Quelle si riducono a poche opzioni e Bergoglio le sta vagliando attentamente: vuole indirizzare la successione nel modo più efficace. A 87 anni, il Pontefice argentino volge lo sguardo al futuro e la sua preoccupazione è aiutare il Conclave che verrà a fare una scelta ponderata, illuminata per il futuro della Chiesa cattolica
Il 7 dicembre, Papa Francesco creerà altri 21 cardinali in una sontuosa cerimonia in Vaticano. Come ha scritto Gian Guido Vecchi sul “Corriere della Sera”: “Ventun nuovi cardinali, dall’Iran al Giappone. Il Papa ha annunciato ieri per l’8 dicembre il decimo concistoro del suo pontificato. Ci sono anche quattro italiani, di cui tre elettori — l’arcivescovo di Torino Roberto Repole, il nuovo Vicario di Roma Baldassarre Reina, Fabio Baggio del dicastero per i migranti — e Angelo Acerbi, 99 anni, per oltre 50 nunzio del Vaticano”.
“Il futuro conclave – prosegue Vecchi – rifletterà sempre più una Chiesa globale e rivolta alle periferie del pianeta, meno eurocentrica e occidentale. Gli elettori diventeranno 141, oltre la soglia di 120 stabilita da Paolo VI, ma tra la fine dell’anno e il 2025 in 14 compiranno 80 anni e non potranno più votare.
Cinque asiatici, cinque latino americani, sei europei, due africani, un nordamericano (canadese: non ci sono statunitensi), uno dell’Oceania. La stessa provenienza dei 20 nuovi elettori «esprime l’universalità della Chiesa»”.
L’analisi del Collegio dei Cardinali mostra un netto cambiamento nella sua composizione durante i 13 anni di papato di Bergoglio. Ci sono solo sei cardinali votanti rimasti dai tempi di Giovanni Paolo, più altri 24 elettori nominati da Benedetto XVI. Una volta inclusi i cardinali del 7 dicembre, ci saranno 111 elettori nominati da Papa Francesco.
Come evidenziato da Iacopo Scaramuzzi su “Repubblica”: “Nel corso del pontificato il Papa argentino ha ridisegnato la geopolitica ecclesiale, ridimensionato gli europei, premiato altri continenti (gli asiatici, dall’ 8 dicembre, saranno 26, il 18,4% del totale). Ha nominato vescovi di angoli remoti del globo, lasciato senza porpora sedi da sempre cardinalizie come Parigi o Venezia”.
“Il Papa – evidenzia Scaramuzzi – consolida l’internazionalizzazione del collegio che eleggerà il suo successore, continua a spostare l’asse della Chiesa cattolica verso il global south. Con il Concistoro del 7 dicembre lascia un’impronta duratura sul futuro: da dicembre i cardinali scelti da Francesco saranno l’80 per cento di un Conclave. Molti di loro sono relativamente giovani”.
Bergoglio dunque ha scelto gran parte dei cardinali elettori chiamati a eleggere il futuro Papa: le “porporelle” da lui benedette potrebbero facilmente raggiungere la maggioranza dei due terzi necessaria per il quorum. Blindati i numeri, occorre un profilo adatto da somministrare al collegio cardinalizio. Non è un mistero che Bergoglio coltivi un ottimo rapporto sia con il suo Segretario di Stato, Monsignor Pietro Parolin, sia con il presidente della Conferenza Episcopale italiana, Monsignor Matteo Maria Zuppi.
Nonostante la stima più volte manifestata nei loro confronti, però, papa Francesco considera Zuppi e Parolin due profili meno adatti a quella internazionalizzazione della Chiesa considerata necessaria (anche se Parolin ha molte carte da giocare).
Il timore è che i due prelati, da italiani, finirebbero ben presto inghiottiti dalla politica nostrana, travolti dalle beghe di orticello (Zuppi, ad esempio, ha avuto più di uno scontro con Giorgia Meloni su premierato e migranti), mancando l’obiettivo di aprire la Chiesa al mondo secolarizzato, portandola negli angoli più remoti del pianeta.
Più funzionale appare la figura del 54enne canadese Francis Leo, arcivescovo metropolita di Toronto. E’ relativamente giovane, parla fluentemente inglese, francese, italiano e spagnolo, e pur essendo occidentale conosce bene l’Asia, avendo lavorato in Australia e a Hong Kong.
Ma tre ipotesi che circolano a Santa Marta c’è quella che porterebbe al colpo a sorpresa: scegliere un pontefice di colore, il primo della storia.
Sarebbe il segnale più forte per spalancare la Chiesa cattolica a quei mondi “diversi”, a cui Bergoglio si è sempre rivolto durante il suo pontificato.
Una scelta di fortissima discontinuità per strizzare l’occhio all’Africa, al “global south” e ai paesi del Terzo mondo, ovvero il bacino di fedeli più consistente rispetto a un Occidente sempre più anziano e laicizzato.
Il Papa ha sguinzagliato il cardinale Zuppi per sondare il terreno e pesare la fattibilità del piano: i “papabili” seguirebbero gli insegnamenti di Bergoglio? E poi: il Conclave accetterebbe una loro “designazione”? O morto il Papa, ogni cardinale vorrà avere le mani libere per scegliere in piena autonomia, lasciandosi “ispirare” solo dallo Spirito santo?
Quel che è certo è che Bergoglio sogna un successore in grado di riconoscere una vera grandezza alle donne nella Chiesa, in modi e forme da individuare (visto che è stato proprio il Papa argentino a chiudere alle donne diacono: “I tempi non sono maturi”).
Ps /1: il Papa vuole riportare i fedeli in Chiesa, rinnovare la fede anche lì dove è più fragile. Proprio per risvegliare l’Occidente scosso dai conflitti in Ucraina e a Gaza, Bergoglio vuole dedicare il Giubileo 2025 al tema della pace.
Un obiettivo che non è solo spirituale ma anche geopolitico: il Papa sta provando a stringere un legame solido con Xi Jinping per spingere la Cina a una vera neutralità sulle guerre in corso.
Pechino, nonostante millanti equidistanza, ha un ruolo decisivo nel puntellare Putin e ha le sue zampone anche in Medioriente, attraverso i rapporti con i paesi arabi. Il Vaticano punta a fare della Cina una potenza autenticamente neutrale, in grado di ricoprire un ruolo di baricentro nel mondo multipolare che verrà, vista anche la possibile svolta isolazionista degli Stati uniti by Trump.
Ps /2: la diffidenza della Santa sede verso la politica italiana è ai massimi livelli. Bergoglio non vede di buon occhio un governo che ciancia di “Dio, patria e famiglia” e poi dà pessimi esempi di cristianità
Giorgia Meloni ha avuto una figlia fuori dal matrimonio; Matteo Salvini ha divorziato dalla moglie e ha fatto figli con due donne diverse; il ministro della Cultura Alessandro Giuli è pagano; l’ex ministro Sangiuliano si comportava da baciapile e poi s’è fatto panare e friggere dalla curvacea Maria Rosaria Boccia.
Da domenica 6 ottobre, giorno nel quale Papa Francesco ha annunciato il suo decimo concistoro, sono iniziate una serie di lamentele…I cardinali presi dagli istituti religiosi (11 su 21) sono troppi e vanno a rinforzare un collegio dove, per la prima volta, i porporati che provengono da ordini e congregazioni sono quasi pari a coloro che provengono dal clero secolare.
La lista dei nuovi porporati contiene di certo un futuro papabile, una nuova carta che Papa Francesco getta sul tavolo per scombinare giochi e giochetti in corso d’opera. Il nome è quello di Francis Leo, Arcivescovo di Toronto, 53 anni, figlio di immigrati napoletani.
In Canada ha fama di essere persona molto equilibrata, con uno sguardo ecclesiale tradizionale ma lungimirante, come ha dimostrato da segretario generale della conferenza episcopale. Da vescovo ha voluto e si è fatto volere bene dai suoi preti. Ha un curriculum teorico (dottorati in diritto canonico, diritto internazionale, teologia sistematica e filosofia) e pratico (nella pastorale, nell’insegnamento e nella formazione dei preti) notevole, conosce la Curia perché è stato per 6 anni nel servizio diplomatico, è poliglotta, è giovane, è nordamericano, ma non statunitense. Con i tempi che corrono
(da agenzie)

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IL SOCIOLOGO MARC JOLY HA SCRITTO SUL PRESIDENTE FRANCESE MACRON UN LIBRO INTITOLATO “IL PENSIERO PERVERSO AL POTERE”, ACCUSANDOLO DI ESSERE UN “ARCHITETTO DEL CAOS”, IN PREDA A UNA FOLLIA NARCISISTICA CHE STA CREANDO DANNI A UN INTERO POPOLO

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

IL 63% DEI FRANCESI SI È DETTO FAVOREVOLE ALLE SUE DIMISSIONI MA MACRON NON VUOLE MOLLARE L’ELISEO

Il presidente francese Emmanuel Macron mirava a mettere insieme un centro abbastanza forte da isolare gli estremi dello schieramento politico, ed è invece riuscito nell’impresa di isolare il centro, permettendo agli estremi di avere la maggioranza che ha fatto cadere il governo.
Tutto separa l’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon dall’estrema destra di Marine Le Pen, ma questa strana coalizione degli opposti ha un obiettivo comune: ottenere le dimissioni di Macron. Il presidente però non se ne vuole andare.
Mentre il Paese attraversa la più grave crisi politica ed economica degli ultimi decenni non ha neppure rinunciato agli impegni internazionali. Da Riyad, dopo incontri molto cordiali con Mohammed bin Salman, ha fatto sapere che resterà al suo posto fino all’ultimo momento, che arriverà solo nel 2027. Con scarso rispetto degli elettori e della grave situazione che si è creata, sua moglie Brigitte lo ha sostenuto sottolineando, come ha riferito Le Monde domenica, che «i francesi non meritano mio marito».
Sarebbe un buon motivo per abbandonare i francesi e ritirarsi a vita privata, ma Macron non ha alcuna intenzione di farlo.
Il sociologo Marc Joly ha scritto su di lui un libro intitolato «Il pensiero perverso al potere», accusandolo di essere un «architetto del caos», in preda a una follia narcisistica che sta creando danni a un intero popolo. Parole forti, che indagano senza fare sconti sulle ragioni che hanno portato Macron a sciogliere l’Assemblea nazionale a giugno e a indire elezioni anticipate.
Invece di incaricare la sinistra, che aveva vinto, di formare un governo, Macron ha voluto a tutti costi dare l’incarico a qualcuno che approvasse le sue politiche e cercasse di recuperare i voti perduti a destra. Invece di fare l’arbitro, ha cercato un’altra volta di tirare in porta e, visto che non glielo lasciavano più fare, e che ora minacciano persino di mandarlo in tribuna, ha preso il pallone e lo ha portato via.
In un sondaggio, il 63% dei francesi si è detto favorevole alle dimissioni del presidente, e il 53% lo ritiene responsabile dell’attuale caos istituzionale per aver sciolto il parlamento.
Nel 1969, Charles De Gaulle si dimise perché il 51% degli elettori aveva detto no a un suo referendum, ma Macron sembra molto più legato al potere di quanto lo fosse il leggendario Generale. Il suo obiettivo è continuare a restare al centro del gioco, qualunque sia il prezzo da pagare.
(da agenzie)

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DECRETO FLUSSI MIGRATORI: IL CSM CRITICA IL PROVVEDIMENTO. E STRONCA LA COSIDDETTA “NORMA MUSK”, CHE TOGLIE LA COMPETENZA DELLA CONVALIDA DEL TRATTENIMENTO DEI MIGRANTI ALLE SEZIONI SPECIALIZZATE DEI TRIBUNALI PER AFFIDARLA ALLE CORTI D’APPELLO

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

SECONDO I MAGISTRATI, QUESTA MISURA ALLUNGHERÀ I TEMPI, RISCHIANDO DI FAR MANCARE GLI OBIETTIVI FISSATI DAL PNRR … ANCHE LA CEI ATTACCA: “UN GRAVE PASSO INDIETRO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA”

Il decreto sui flussi migratori riceve il via libera del Senato con 99 sì, 65 no, 1 astenuto. E diventa legge. Ma subito riceve una bocciatura: quella del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura che, con un parere non vincolante, stronca la cosiddetta ‘norma Musk’. Cioè la parte del provvedimento che toglie la competenza della convalida del trattenimento dei migranti alle sezioni specializzate dei Tribunali per affidarla alle Corti d’Appello.
Secondo il Csm, infatti, con questa misura si allungherebbero i tempi, rischiando di mancare gli obiettivi fissati dal Pnrr. Mentre procedure complesse potrebbero essere seguite e valutate da magistrati “privi delle competenze necessarie”. La decisione di introdurre nel decreto tale norma era stata presa in risposta alla mancata convalida da parte del Tribunale di Roma del trattenimento dei migranti che si volevano portare in Albania per incompatibilità con la normativa europea.
La lista dei Paesi cosiddetti ‘sicuri’ per il rimpatrio non coincide, infatti, con quella che vorrebbe il governo Meloni e che è stata inserita anche nel decreto flussi. Nel testo si ritengono ‘sicuri’ Egitto, Bangladesh e Marocco. Che invece per l’Europa non lo sono. Dopo la decisione del Tribunale di Roma dello scorso 18 ottobre, il miliardario americano Elon Musk scrisse sui social ‘Via quei giudici!’.
Da qui la scelta di battezzare come ‘norma Musk’ il cambio di competenze dalle sezioni specializzate dei Tribunali alle Corti d’Appello. E sempre su questa norma (che era oggetto di un decreto ad hoc poi confluito nel dl Flussi) la Cassazione, che avrebbe dovuto decidere in queste ore sul ricorso presentato dal governo contro la non convalida del Tribunale di Roma, ha rinviato la decisione. Forse in attesa di una pronuncia della Corte di Giustizia Ue che però non si prevede prima di aprile. Contro il decreto, che prevede, tra l’altro, anche la secretazione dei contratti pubblici relativi a fornitura di mezzi e materiali per il controllo delle frontiere e delle attività di soccorso in mare, si scaglia l’opposizione.
Il fondatore di IV, Matteo Renzi, accusa la maggioranza di “narrazione propagandistica”. Mentre il suo capogruppo Enrico Borghi polemizza, creando un certo scompiglio in Aula, con la sottosegretaria Wanda Ferro. Quest’ultima, nel suo intervento definito da Borghi “ciclostile” di quello pronunciato alla Camera, “citava e rispondeva ancora a quanto detto dai deputati anziché ai senatori” come se “il Senato non esistesse”.
E Wanda Ferro si difende, via comunicato, osservando che le questioni sollevate dalle opposizioni, prima alla Camera e poi a Palazzo Madama, “erano le medesime”. Di “fallimento del modello Albania” parlano tutti gli esponenti M5S da Pietro Lorefice ad Ettore Licheri, che rimarcano l’esiguità dei numeri dei migranti traghettati dall’Italia all’Albania: “19, a fronte di 8 mila sbarchi nel solo mese di novembre 2024”.
Mentre il capogruppo di Avs Peppe De Cristofaro ricorda come il governo Meloni sia intervenuto ben “17 volte in 2 anni sul tema migranti. Una vera ossessione e un triste record”. Punta il dito contro il dl Flussi e la “destra illiberale” anche il capogruppo Pd in Commissione Affari Costituzionali, Andrea Giorgis, che comunque si dice “aperto al confronto” sulla questione qualora il governo decidesse di andare al di là della propaganda per affrontare il tema migranti “nel rispetto dei principi di uguaglianza” e del diritto Ue.
Toni e numeri diversi arrivano dalla maggioranza. Con il capogruppo FI Maurizio Gasparri che assicura come gli sbarchi siano “diminuiti del 60%” da quando c’è “il governo Meloni”. Con Paolo Tosato (Lega) che rivendica il 15% in più dei rimpatri”. E con il presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni (FDI) che parla di “100mila irregolari in meno in 2 anni”, attaccando le Ong “che hanno trasformato il salvataggio in mare in un lavoro ben retribuito”.
E proprio le Ong si affidano a una nota congiunta per dire che il “vero obiettivo” del dl Flussi, che ha un effetto punitivo nei loro confronti, è quello di “criminalizzare il soccorso in mare”.
(da agenzie)

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COME MAI LA GENERAZIONE Z SI È SPOSTATA VERSO POLITICHE DI DESTRA? SECONDO UNO STUDIO AMERICANO LA COLPA È DEGLI AMBIZIOSI OBIETTIVI SALARIALI: I RAGAZZI, NATI TRA IL 1997 E IL 2012, SOSTENGONO CHE BISOGNA GUADAGNARE 600MILA EURO ALL’ANNO PER POTER DIRE DI AVERE “SUCCESSO”

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

UNA CIFRA SPROPOSITATA (DI NOVE VOLTE SUPERIORE ALLO STIPENDIO MEDIO AMERICANO) SPINTA IN ALTO NON SOLO DAL COSTO DELLA VITA, MA ANCHE DAL LUSSO ESAGERATO SBATTUTO IN FACCIA DAGLI INFLUENCER

L’ambizioso obiettivo salariale della Generazione Z, pari a quasi 600.000 dollari all’anno, è alla base della svolta di una generazione verso le politiche di destra.
Perché è importante: i giovani elettori si stavano già allontanando da una visione del mondo liberale, ma se questi atteggiamenti permarranno, le implicazioni per i prossimi cicli elettorali saranno profonde.
La società di servizi finanziari Empower ha intervistato più di 2.200 americani a settembre e gli intervistati della generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) hanno affermato che avrebbero dovuto guadagnare 587.000 dollari all’anno per poter raggiungere il “successo finanziario”. Si tratta di circa 3-6 volte la quantità di soldi che qualsiasi altra fascia d’età ha dichiarato di aver bisogno. Secondo la Social Security Administration, si tratta di circa nove volte lo stipendio medio degli Stati Uniti.
Sono diversi i fattori in gioco che hanno un effetto sugli atteggiamenti finanziari della Generazione Z.
Angoscia: “Molte persone hanno la sensazione di non essere all’altezza, e metà di loro crede di avere meno successo finanziario rispetto ad altri intorno a loro”, racconta ad Axios Rebecca Rickert, responsabile delle comunicazioni presso Empower. “La maggioranza pensa che la prosperità sia più difficile da raggiungere per la propria generazione, il che è un fattore che influenza il numero magico che le persone attribuiscono al successo”.
Costi costantemente elevati: “Certo, la spesa, le rate dei prestiti studenteschi, il costo delle uscite al ristorante e al bar sono tutti fattori importanti, ma ‘sentirsi realizzati’ quando si deve avere un coinquilino per permettersi l’affitto mina tutto”, spiega ad Axios David Bahnsen, il cui Bahnsen Group, con sede in California, gestisce 6,5 miliardi di dollari di asset.
L’influenza degli influencer: “Queste tendenze macro sono esacerbate dalle tendenze sociali. Gli influencer ritraggono false versioni della realtà che suggeriscono che creare ricchezza sia facile e il duro lavoro sia obsoleto”, afferma David Laut, CIO di Abound Financial in California.
Aspettative non corrispondenti : “Sono preoccupati per l’aumento del costo della vita. La nostra ipotesi è che questo stia avendo un impatto importante su ciò che pensano sia necessario per avere “successo finanziario” nel nostro clima attuale”, dice ad Axios Julia Peterson, direttrice del marketing dei consumatori presso l’agenzia di marketing per i giovani Archrival.
Cambiamento politico
Chi studia più da vicino la Generazione Z afferma che si tratta di una generazione che ha vissuto una serie pressoché ininterrotta di crisi finanziarie ed è cresciuta dando priorità ai costi sopra ogni altra cosa.
Secondo la società di ricerca sui giovani YPulse, ciò è in linea con un forte spostamento dei giovani elettori verso un’anima “moderata”.
“I nostri dati indicano che l’economia è l’impulso al cambiamento, e che le preoccupazioni in merito sono molteplici”, spiega ad Axios MaryLeigh Bliss, responsabile dei contenuti di YPulse. “Per noi non c’erano dubbi che l’economia e le loro condizioni finanziarie nei mesi, e persino nelle settimane, precedenti le elezioni avrebbero determinato per chi avrebbero votato”.
In periodi di stress finanziario, si tende a pensare che qualcun altro, oltre a chi è al comando, possa migliorare la situazione . “Ho il sospetto che alcuni giovani si siano spostati a destra perché il partito che hanno percepito al potere quando la tensione finanziaria stava aumentando erano i Democratici”, ha detto Bahnsen.
I sondaggi confermano questo senso di desiderio: un recente sondaggio Harris ha rilevato che meno della metà dei giovani adulti “frequentemente” riesce a fare cose che li rendono felici e l’ostacolo più grande è di gran lunga di natura finanziaria.
Nel 2022, più di un terzo delle persone di età compresa tra 18 e 24 anni ha dichiarato di non avere alcun reddito, rispetto a meno di un quarto nel 1990. Sì, ma: sebbene la Generazione Z abbia standard di successo sproporzionati, è anche il gruppo intervistato più propenso ad affermare di aspettarsi di raggiungere tale successo nel corso della propria vita.
Non è stato solo il sondaggio Empower: in un recente sondaggio della CBS News , il 43% delle persone sotto i 30 anni ha affermato che l’economia stava migliorando. Nessun altro gruppo demografico di età era superiore al 27%.
Ciò è in linea con le scoperte di lunga data secondo cui la generazione è pessimista riguardo al presente ma ottimista riguardo al futuro.
(da agenzie)

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IL RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL: “ISRAELE STA COMMETTENDO UN GENOCIDIO A GAZA”

Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile

“UN MODELLO DI CONDOTTA VOLTO A DISTRUGGERE FISICAMENTE I PALESTINESI” A GAZA

«Israele a Gaza sta commettendo un genocidio». Questo è quello che emerge da un nuovo rapporto di Amnesty International. Il rapporto ripercorre la storia dell’azione militare israeliana nella Striscia avviata in seguito agli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Al suo interno si legge che «Israele ha scatenato l’inferno» a Gaza, «sfacciatamente, continuamente e con totale impunità». Il documento si basa su testimonianze, immagini satellitari e ricerche sul campo con le quali documenta le devastazioni inflitte al territorio della Striscia di Gaza alle 2,3 milioni di persone che la abitano. Inoltre, la ricerca sostiene che in seguito agli attacchi di Hamas le autorità israeliane abbiano rilasciato «dichiarazioni che sembravano invocare o giustificare atti genocidi»
«L’intento di distruggere i palestinesi»
Israele riporta Amnesty, ha «commesso atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio. Ha ucciso, causato gravi danni fisici o mentali, e inflitto deliberatamente ai palestinesi di Gaza condizioni di vita volte a provocare la loro distruzione fisica, con l’intento specifico di distruggere i palestinesi». La Ong cita l’ostruzione deliberata degli aiuti e delle forniture di energia. Si legge anche degli sfollamenti verso zone che avrebbero dovuto essere sicure ma che sono poi state colpite lo stesso. Il rapporto cita i violenti attacchi su aree popolate da civili anche quando queste erano già sotto il controllo israeliano. «L’azione di Israele ha portato al collasso dei sistemi idrico, igienico-sanitario, e alimentare», aggiunge. Questo sistema viene definito un «modello di condotta» coi cui è stata portata avanti l’occupazione di Gaza.
Trattati come subumani
«Mese dopo mese, Israele ha trattato i palestinesi di Gaza come un gruppo di subumani, indegni del rispetto dei diritti umani e della dignità, dimostrando la sua intenzione distruggerli fisicamente», ha dichiarato la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard. «I nostri risultati schiaccianti devono servire da campanello d’allarme per la comunità internazionale: questo è un genocidio che deve finire adesso», ha aggiunto Callamard ribadendo che «gli obiettivi militari possono coincidere con intenti genocidari».
44 mila morti
Secondo i dati forniti dal Ministero della Sanità di Hamas e ritenuti credibili dall’Onu – prosegue il rapporto – dall’inizio del conflitto sono morte almeno 44.532 persone, per lo più civili. La ricerca di Amnesty denuncia anche le condizioni di vita a Gaza, dove la popolazione è soggetta a malnutrizione, carestia e malattie che portano a «una morte lenta e calcolata». La Ong ha inoltre sottolineato che gli Stati che forniscono armi a Israele potrebbero violare i loro obblighi di prevenire il genocidio e rischiare di esserne complici.
Il rapporto sul 7 ottobre
Amnesty ha annunciato la pubblicazione di un ulteriore rapporto sui crimini commessi da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre 2023, che ha causato oltre 1.200 vittime israeliane, la maggior parte civili. E ha affermato che il rapporto si basava sul lavoro sul campo, interviste con 212 persone, tra cui vittime, testimoni e operatori sanitari a Gaza, analisi di ampie prove visive e digitali e oltre 100 dichiarazioni del governo israeliano e di attori militari che, secondo l’Ong, producono una «narrazione disumanizzante». Amnesty si è basata anche su prove foto e video che ritrarrebbero i soldati israeliani mentre commettono o celebrano crimini di guerra.
(da agenzie)

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