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ARRESTATO L’AGGRESSORE DEL PARLAMENTARE ANTI- CAMORRA FRANCESCO BORRELLI

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

E’ UN 26 ENNE CON PRECEDENTI, DENUNCIATE ALTRE 4 PERSONE… CI VOLEVA L’INCURSIONE A FORCELLA DEL DEPUTATO PERCHE’ IL VIMINALE INTERVENISSE?

Un 26enne napoletano è stato arrestato dalla Polizia di Stato dopo l’aggressione avvenuta ieri in via Sant’Arcangelo a Baiano, nel quartiere napoletano di Forcella, ai danni di Francesco Emilio Borrelli, 51 anni, deputato dei Verdi, noto per le sue modalità particolari ed incisive di denuncia di degrado e illegalità urbane (quelli che lui definisce «cialtroni»): in giro con lo scooter e uno smartphone collegato in diretta streaming sui suoi social.
L’aggressione era stata anche ripresa dal telefonino dello stesso parlamentare – che da qualche anno è già sotto scorta – mentre stava documentando irregolarità nella sosta delle automobili in strada nei pressi di alcuni parcheggi privati nel centro di Napoli.
Già nel pomeriggio di sabato 7 dicembre, gli agenti erano arrivati sul posto trovando il 26enne in forte stato di agitazione, mentre aggrediva verbalmente il deputato Borrelli, spintonando e scalciando chiunque si frapponesse in mezzo, per raggiungerlo ed aggredirlo anche fisicamente. Risultato? Alcuni soggetti, infuriati, hanno accerchiato il parlamentare, colpendolo al viso e rompendogli gli occhiali.
A finire in manette, per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, il 26enne napoletano con precedenti di polizia, anche specifici. Quattro gli altri denunciati che dovranno rispondere degli stessi reati.
Cosa è successo dopo l’aggressione a Borrelli
Lo stesso 26enne ha poi avuto un improvviso malore, ed è stato così soccorso dai sanitari del 118, che tuttavia sono stati a loro volta presi di mira dall’uomo, che è arrivato anche ad aggredire il medico intervenuto per soccorrerlo. Alla fine i poliziotti, non senza difficoltà e dopo una breve colluttazione, lo hanno bloccato e arrestato.
“Quanto accaduto è di una gravità inaudita”, aveva commentato già nel pomeriggio di ieri lo stesso Borrelli dopo l’aggressione, aggiungendo: “Ma noi non arretreremo di un passo e non ci fermeremo fino a quando la criminalità non sarà estirpata da questi quartieri, liberando i residenti dall’opprimente clima di violenza e illegalità che li tiene in ostaggio”. Numerose e bipartisan le dichiarazioni di solidarietà a Borrelli per l’accaduto, tra le quali quella del presidente della Camera Lorenzo Fontana.
(da Fanpage)

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“ATREJU” E’ DIVENTATA LA FESTA DELL’UNITA’ DI FRATELLI D’ITALIA: PANINARI, SALSICCE, PROGRAMMA IMMENSO E 377 OSPITI

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

UNICO GRANDE ASSENTE, MATTEO SALVINI: HA DETTO DI ESSERE IMPEGNATO CON IL CONGRESSO DELLA LEGA LOMBARDA E FARÀ SOLO UN VIDEOCOLLEGAMENTO (MA I MELONIANI L’HANNO PRESO COME L’ENNESIMO SGARBO… IN COMPENSO È PREVISTO MOLTO PD, DA BETTINI A LETTA, DA GUALTIERI A DE PASCALE…NON CI SARÀ ELLY SCHLEIN, CHE HA FATTO SAPERE: “ANCHE NO, GRAZIE”

L’ anno scorso erano a Castel Sant’Angelo, quest’anno si sono presi il Circo Massimo e magari già pensano al Colosseo, perché è chiaro che i Fratelli d’Italia progettano piuttosto in grande, diciamo così. Atreju (comincia oggi: hanno messo sul palco Bertinotti, Buttafuoco e Bonolis, preparate i popcorn), ormai, non è più una festa, ma una fantasmagorica celebrazione. Di partito. E di governo. È una prova di forza.
La sensazione è precisa camminando nella valle tra il Palatino e l’Aventino, che è stata completamente pavimentata ed edificata, un’opera spaventosa, costosa, con enormi tendostrutture trasparenti da film di fantascienza e la solita pista da pattinaggio su ghiaccio
Intanto da un furgone scaricano due porchette di dimensioni mai viste in natura. Il ristorante è in stile OktoberFest. E poi, appunto, c’era Atreju: è il protagonista del romanzo fantasy La storia infinita , tutto ruota intorno alla lotta contro il Nulla che avanza ed è per questo che Meloni&Company si sentivano autorizzati a dibattiti spiazzanti, mai banali, spesso anche trasformati in tremendi trappoloni mediatici.
A Gianfranco Fini, all’epoca leader di An e ministro degli Esteri (non ci siamo fatti mancare niente), sollecitarono un appello per aiutare il popolo dei kaziri, al che lui iniziò ad argomentare: «Conosco bene la situazione…»; a Berlusconi venne invece chiesta la disponibilità a scendere in piazza contro la feroce repressione di un dittatore del Laos, Pai Mei, che ovviamente non è mai esistito.
È così che sono arrivati fin qui. E ora se la godono. Ecco le prime auto blu. I cappotti (di cachemire) blu. La parata. Il potere. I ministri, i sottosegretari, i portaborse. La pasta e fagioli fumante e i cartelloni con la narrazione di un governo che fa meraviglie. Le statuine del presepe e una gigantografia di Giorgia (la kermesse, domenica prossima, chiuderà con il suo comizio).
Attesa per la sorella Arianna, che arriverà tra gli inchini, e il codazzo della plenipotenziaria (con delega alle seccature: l’anno scorso toccò a lei prendersi cura dell’ex quasi cognato, il mitico Giambruno, comparso all’improvviso) e per il presidente argentino Javier Milei (ma un anno fa venne Elon Musk, e fu evento).
Programma immenso, con altri 377 ospiti: unico grande assente, Matteo Salvini (dice che è impegnato con il congresso della Lega lombarda, farà solo un videocollegamento: parecchi Fratelli l’hanno comunque preso come l’ennesimo sgarbo). In compenso è previsto molto Pd, da Bettini a Letta, da Gualtieri a de Pascale, il nuovo governatore dell’Emilia-Romagna; però non ci sarà Elly Schlein, che ha fatto sapere: anche no, grazie.
Certo Elly un po’ li ossessiona (e preoccupa?): il suo volto compare infatti su una lunga sequenza di cartelloni, di fronte ai quali c’è il meraviglioso pantheon di FdI. Con le foto di Oriana Fallaci e don Bosco, Maria Montessori e Cristoforo Colombo. Pure Colombo era di destra? Genny Delon Sangiuliano ci aveva parlato solo di Dante. Vabbé.
«La via italiana»: è scritto ovunque. Sulle recinzioni e negli stand, dove troverete ad accogliervi i ragazzi e le ragazze di Gioventù nazionale. Un anno fa erano lì, tutti gentili e premurosi, con le facce buone da boyscout, ma poi un’inchiesta di Fanpage scoprì che alcuni di loro uscivano da Atreju e andavano a gridare «Sieg Heil! Sieg Heil!», o anche «Duce! Duce!» (con il braccio teso). Il loro leader, il deputato Fabio Roscani, assicura però che tutti i colpevoli sono stati allontanati.
(da agenzie)

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“LA PROSSIMA VOLTA CHE NON CI SENTIREMO TUTELATI DAGLI ORGANI COMPETENTI, RITIREREMO LA SQUADRA DAL CAMPIONATO”

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

LA GYMNASIUM SASSARI, SQUADRA SARDA DI TERZA CATEGORIA, SI RIFIUTA DI SCENDERE IN CAMPO NELLA PARTITA DI IERI PER PROTESTARE CONTRO I CORI RAZZISTI NEI CONFRONTI DELL’ATTACCANTE GAMBIANO, BA, DURANTE IL MATCH CONTRO IL MAMOIADA DI SETTIMANA SCORSA

Siamo rimasti scioccati. Pensi che non possa mai accadere a te, eppure è successo”. Lo dice all’ANSA Fabrizio Usai, il presidente della Gymnasium di Sassari, una squadra di calcio di 3/a categoria che gioca nel campo di Usini, a pochi chilometri dalcapoluogo del nord Sardegna, quando racconta quanto accaduto la scorsa settimana sul campo del Mamoiada.
“Al secondo tempo un piccolo gruppo di spettatori ha iniziato a fare il verso della scimmia all’indirizzo di Ba, un nostro giocatore del Gambia. Sia noi che i dirigenti e i giocatori avversari abbiamo difeso il nostro attaccante e abbiamo segnalato il fatto all’arbitro che ha sospeso la partita per 7 minuti – dice – in settimana però è arrivata la comunicazione del giudice sportivo che non ha preso provvedimenti visto che ha confermato la partita a porte chiuse per la squadra di casa ma ha sospeso la pena.
Non ci interessano vittorie a tavolino o penalizzazioni per gli avversari, che oltre tutto sono stati dalla nostra parte difendendo il nostro giocatore, ma serve un segnale perché questi episodi non debbano più ripetersi”. Ecco perché il presidente Usai dopo i cori discriminatori domenica scorsa a Mamoiada ha deciso con il club di non scendere in campo ieri contro gli avversari di una squadra di Sassari “per protestare contro l’indifferenza del giudice sportivo che fa passare il gravissimo accaduto come un evento di poco rilievo”.
Per i giocatori ospiti, che hanno vinto a tavolino 3-0, è stato organizzato un pranzo e gli sono stati spiegati i motivi della decisione. “Questa è la prima volta che assistiamo ad un accaduto simile e non vogliamo che il silenzio la faccia da padrone – scrive sui social Usai – Stavolta non scendiamo in campo per protesta, la prossima volta che non ci sentiremo tutelati dagli organi competenti, ritireremo la squadra dal campionato, perché questi episodi inquinano il calcio e tutto lo sport e vanno contro la politica e l’etica della nostra società fondata sul rispetto, l’integrazione e i veri valori sportivi”.
(da agenzie)

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IL METODO PUTIN: O VAI IN TRINCEA O MUORI. IL 19ENNE RUSSO ARTYOM ANTONOV È STATO UCCISO DAL SUO TENENTE PER ESSERSI RIFIUTATO DI ARRUOLARSI PER COMBATTERE IN UCRAINA

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

IL RAGAZZO È STATO PICCHIATO, TORTURATO E POI GIUSTIZIATO CON UN COLPO DI PISTOLA ALLA FRONTE – IL WEB È PIENO DI TESTIMONIANZE DI “AZZERAMENTI”, TERMINE UTILIZZATO IN RUSSIA PER L’UCCISIONE DI UN SOLDATO DA PARTE DI UN SUPERIORE. CHI NON VIENE UCCISO, VIENE SPEDITO IN ATTACCHI SUICIDI CHE L’ESERCITO RUSSO PRATICA QUOTIDIANAMENTE NEL DONBASS

«Azzeramento». Si chiama così, «obnulenie» nel gergo dell’esercito russo, l’uccisione di un soldato da parte di un superiore. Artyom Antonov è stato ridotto a zero il 21 ottobre, durante una esercitazione al poligono Ilyinsky della 60sima brigata di fucilieri motorizzati, nell’Estremo Oriente, ufficialmente per «violazione delle regole dell’utilizzo delle armi» da parte di un tenente.
Quando la sua famiglia nel villaggio di Verkhny Uslon, nel Tatarstan, ha aperto la bara nella quale il corpo del 19enne Artyom aveva viaggiato per più di ottomila chilometri, ha visto non soltanto il foro della pallottola in fronte, ma anche segni di mostruosi lividi sulle braccia e sulle spalle. I suoi compagni di caserma dicono che era stato picchiato, minacciato con le armi, lasciato senza cure mediche e costretto a turni di guardia per otto giorni di fila: tutte pressioni per essersi rifiutato di firmare il contratto per arruolarsi a combattere in Ucraina.
«Siamo tutti convinti che sia stato giustiziato per il suo rifiuto», ha detto una parente del ragazzo al sito Vazhnye Istorii. Artyom aveva ricevuto la chiamata per la leva soltanto quattro mesi prima, contava di tornare dopo un anno in caserma dalla sua fidanzata e di provare a trasferirsi a Mosca per dedicarsi alla sua grande passione, la fotografia.
I suoi compagni di leva raccontano invece una storia di resistenza tenace ai superiori che volevano spedirlo in guerra. Formalmente, i soldati di leva non rischiano l’invio al fronte, riservato ai «volontari» ben remunerati, ma nella realtà i russi disposti a farsi uccidere, anche in cambio di denaro, non bastano più, e le reclute di 18-19 anni vengono persuase o costrette a firmare il contratto.
Perfino i canali Telegram dei propagandisti del regime, per non parlare delle denunce di attivisti anti-guerra, sono pieni di testimonianze di «azzeramenti». Il colonnello Evgeny Ladnov, nome in codice «Pioniere», sparava personalmente alle gambe dei militari che non volevano marciare sulle linee ucraine, e rispediva in trincea i feriti, oppure ordinava di mitragliarli.
Ladnov è stato ucciso due settimane fa in Donbas e le autorità hanno dovuto chiudere i commenti sotto il suo necrologio, con decine di parenti dei soldati che lo insultavano come «assassino».
Decine sono le denunce inviate a Mosca, con tanto di video, delle mogli e madri dei militari del reparto 09332, dove i soldati vengono dichiarati «scomparsi» se non pagano il pizzo – per un congedo, per una medaglia, per non venire inviati in prima linea – ai comandanti. I riottosi che non vengono «azzerati» per mano dei comandanti sono spediti all’attacco in «assalti da macello», attacchi praticamente suicidi che il comando russo pratica quotidianamente nel Donbas, come denunciano anche i commentatori con la Z del sostegno alla guerra nel simbolo: la blogger Anastasia Kashevarova scrive che la durata media della vita di un arruolato al fronte è di 17 giorni.
Denunce che però finora non hanno cambiato nulla.
Il tenente 22enne che ha sparato «casualmente» ad Artyom Antonov è stato sospeso. Lo stesso Artyom è stato raccontato nei necrologi ufficiali come un giovane che ha «scelto di dare la sua vita per la patria». I suoi compagni conoscono la verità sulla sua morte, ma come dice sua zia, «stanno zitti, sono ancora nell’esercito, hanno paura di parlare, loro che sono ancora vivi».
(da La Stampa)

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“ERDOGAN E I SUOI ALLEATI SUNNITI, JIHADISTI CON PATINA DI MODERAZIONE, È PADRONE DI QUASI TUTTA LA SIRIA”

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

L’ANALISI DI GIORDANO STABILE: “PUTIN PUÒ SALVARE AL MASSIMO LE SUE BASI A TARTUS E LATTAKIA. FORSE. KHAMENEI HA PERSO L’AUTOSTRADA SCIITA CHE ANDAVA DA BAGHDAD A BEIRUT… I GOVERNI DI GIORDANIA ED EGITTO TREMANO NEL VEDERE I LORO NEMICI MORTALI, I FRATELLI MUSULMANI, TRIONFARE IN QUELLA CHE È STATA LA CULLA DEL NAZIONALISMO ARABO LAICO… E’ NATO UN NUOVO MEDIO ORIENTE, PIÙ INSTABILE E PERICOLOSO”

I ribelli siriani hanno fatto in dieci giorni quello che non erano riusciti a fare in dieci anni. La guerra civile siriana era scoppiata nel febbraio del 2012, da primavera araba si era trasformata in insurrezione armata. Gli stessi nomi di città. Hama, Homs, Aleppo, le roccaforti sunnite in fiamme. Il regime di Bashar al-Assad era sopravvissuto prima con l’appoggio degli alleati sciiti. Il libanese Hezbollah aveva inviato le sue forze speciali, fino a 20 mila uomini, l’Iran armi, ufficiali dei Pasdaran, soldi. Non bastava.
Nell’estate del 2015 i ribelli, sempre più radicalizzati e jihadisti lanciava colpi di mortaio nel giardino del palazzo presidenziale, dalla periferia di Damasco. Assad allora viene salvato da Vladimir Putin: due squadroni di cacciabombardieri, migliaia di uomini delle forze speciali, i Wagner. Ad aiutarlo era anche l’Isis che dominava su mezza Siria e mezzo Iraq. L’appoggio americano all’insurrezione non era possibile, Washington decideva di appoggiare solo i curdi nel Nord-Est e piccole formazioni minori non qaediste
La controffensiva del raiss è durata dalla fine del 2015 alla fine del 2019. Si è ripreso tutto tranne Idlib. Lì gli ex qaedisti di Mohammed Abu al-Joulani si sono rifugiati sotto la protezione della Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Era il patto di Astana tra Putin, Khamenei ed Erdogan. Il 7 ottobre ha scosso quella che sembrava una spartizione definitiva. L’asse sciita si è schierato con Hamas e la causa palestinese, pur sunnita. Israele ha ridimensionato Hezbollah in Libano e la rete di basi iraniane in Siria.
Ma non era sufficiente a far crollare Assad. Le fondamenta del regime erano corrose dal collasso economico e dallo sfaldamento dell’esercito. Fanti sunniti con paghe da fame, ufficiali sciiti (più qualche cristiano) nei posti chiave. L’esercito siriano è evaporato alla prima spallata. Erdogan ha aspettato la tregua il Libano, per non passare per quello che fa un favore a Israele contro gli sciiti.
Ha assicurato a Putin e Khamenei che i suoi miliziani non avrebbero attaccato. Poi è partito il blitz. Ora potrà trattare il futuro dalla Siria da una posizione di forza, da padrone. Vuole tutto il Nord nella sua fascia di influenza, pur senza annetterlo. Vuole distruggere le milizie curde legate al Pkk, che si sono riorganizzare nelle Forze democratiche siriane, sotto l’ombrello americano. Ombrello che Donald Trump, l’ha fatto capire ancora ieri a Parigi, è propenso a chiudere.
Putin a questo punto può salvare al massimo le sue basi lungo la costa sciita della Siria, Tartus e Lattakia. Forse. Khamenei ha perso l’autostrada sciita che andava da Baghdad a Beirut. Hezbollah rischia di essere fatto a pezzi da Israele alla fine della tregua, a gennaio. Le milizie sciite si devono ritirare verso l’Est dell’Iraq, Paese per il 70 per cento sciita, ultimo cuscinetto di protezione per l’Iran.
Erdogan e i suoi alleati sunniti, jihadisti con una patina di moderazione a uso dei media, è padrone di quasi tutta la Siria. I governi di Giordania ed Egitto tremano nel vedere i loro nemici mortali, i Fratelli musulmani, trionfare in quella che è stata la culla del nazionalismo arabo laico. I Paesi del Golfo, pur islamici conservatori, hanno gli stessi timori. E’ nato un nuovo Medio Oriente, ancora più instabile e pericoloso.
(da La Stampa)

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FISCHI E BUU PER LA SOPRANO ANNA NETRENBKO ALLA PRIMA DELLA SCALA: HA AVUTO QUEL CHE SI MERITA

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

CHI E’ COMPLICE DEL CRIMINALE PUTIN DEVE ASPETTARSI CONTESTAZIONI, SI PRENDA I MILIONI E GLI APPLAUSI E ACCETTI I FISCHI

Nella serata di ieri, sabato 7 dicembre, si è svolta la Prima della Scala a Milano. È andata in scena La Forza del destino di Giuseppe Verdi. L’opera è stata diretta dal maestro Riccardo Chailly che ha così inaugurato la nuova stagione lirica del Teatro alla Scala.
Al termine dell’Opera, ci sono stati diversi minuti di applausi con ovazioni finali, ma anche dei buu alla soprano Anna Netrebko.
Sul caso si è espresso il sovrintendente Dominique Meyer: “Fare buu ad Anna Netrebko perché russa è ridicolo”. Ha poi aggiunto di non apprezzare che lo spettacolo “sia preso in ostaggio così. Non c’è una Netrebko in ogni generazione, se abbiamo la fortuna di averla qua in teatro bisogna essere calorosi e applaudirla”.
Proprio per la presenza di Netrebko alla Scala, alcuni attivisti pro Ucraina hanno protestato fuori dal teatro. Hanno infatti detto di ritenerla “personalmente responsabile dei crimini che avvengono sul territorio ucraino dal 2014″.
La soprano era già stata al centro della cronaca italiana perché nel 2022 aveva rifiutato di esibirsi proprio alla Scala dopo lo stop al direttore d’orchestra Valery Gergiev, vicino al presidente Vladimir Putin.
Si sarebbe poi dovuta esibire nuovamente alla Scala il 9 marzo 2022 per “Adriana Lecounvreur di Cilea”, ma si è rifiutata di esserci.
L’artista ha chiesto la pace, sostenendo di non volere più la guerra ma non ha mai preso effettivamente le distanze da Putin. Su quanto accaduto a Gergiev ha invece detto: “Obbligare gli artisti, o qualsiasi figura pubblica, a dare voce alle proprie opinioni politiche per denunciare la propria ‘casa’ non è giusto. Questa dovrebbe essere una scelta libera”
Perfetto, tu libera di intascare quattrini per la tua esibizione, liberi gli altri di fischiarti perchè complice di un criminale. E lascia perdere la Russia: una cosa è il Paese un’altra chi lo governa.
(da agenzie)

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L’EX AUTISTA DI UMBERTO BOSSI: “HO 89 ANNI E VOGLIONO SFRATTARMI DA CASA”

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

PINO BABBINI: “QUANDO GLI AGENTI BUSSERANNO MI OPPORRO’ CON TUTTE LE MIE FORZE”…MA NON HA LETTO CHE SALVINI TUTELA SOLO I PROPRIETARI?

Pino Babbini ha 89 anni ed è l’ex autista di Umberto Bossi, storico leader della Lega Nord. Dopo 62 anni potrebbe essere costretto a lasciare la casa in cui vive con la moglie. L’abitazione si trova in viale Monza a Milano: “Quando gli agenti busseranno alla mia porta mi opporrò con tutte le forze”, ha detto.
In un’intervista al quotidiano Il Corriere della Sera, l’uomo ha raccontato che i proprietari dell’appartamento in cui vive in affitto hanno deciso di venderlo: “Io non posso acquistare la casa. Al momento per l’affitto pago 1.100 euro al mese. Anzi, mi correggo, pagano i miei figli per me”.
Babbini ha ricevuto l’avviso di sfratto un anno fa: “Ormai però è esecutivo. Domani gli agenti mi butteranno fuori”.
L’appartamento è stato messo a vendita a 370mila euro. È grande 85 metri quadrati, ha due balconi, una camera da letto, una cucina e una sala. Nel caso in cui dovesse acquistarla l’ex autista, il prezzo scenderebbe a 340mila euro. Una cifra che però non può permettersi.
“Io voglio continuare a stare qui. Perché qui sono politicamente attivo: devo continuare a combattere per la mia Milano”, ha aggiunto. Nonostante il figlio gli avesse già trovato un’altra sistemazione nello stesso quartiere, l’89enne vuole comunque rimanere nel suo appartamento: “Mia moglie vuole morire nella casa in cui vive da 60 anni. Qui abbiamo passato i nostri Natali e abbiamo cresciuto i nostri figli”.
Lui e Bossi non si sentono da dieci anni. Bassini ha però chiesto aiuto a Letizia Moratti: “Ho scritto a Letizia Moratti per chiederle di darmi una mano, di acquistare lei la mia casa. Inutile dire che non mi ha risposto. Ho provato anche a scrivere a Roberto Bernardelli, proprietario dell’hotel Cavalieri. Niente”. L’89enne è alla ricerca di qualcuno che possa comprare l’abitazione così da poter continuare a pagare l’affitto e viverci.
(da Fanpage)

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STORIA DI ATREJU: DA RITROVO DI QUELLI DI COLLE OPPIO AL SIMBOLO DEL POTERE DI GIORGIA MELONI

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

LA PRIMA EDIZIONE 18 ANNI FA

Oggi inizia Atreju, per la prima volta al Circo Massimo. È la diciottesima edizione della manifestazione e durerà una settimana. Qui passerà tutto lo stato maggiore del centrodestra, ma non ci saranno i leader dell’opposizione che hanno declinato l’invito. Interverranno diversi ospiti internazionali, il più importante dei quali il presidente argentino Javier Milei. Sarà l’occasione per capire dove va la destra italiana, saggiarne l’umore e gli equilibri interni.
Lungo questi anni Atreju è cambiata moltissimo, diventando dalla scommessa di un gruppo di giovani militanti una kermesse patinata dove i politici, si muovono con i loro infiniti codazzi, tanto che distinguere tra staff, addetti ai lavori e semplice uditorio, è in effetti impossibile visto quanto si è moltiplicato l’apparato della destra in questi anni. Il minimo comune denominatore è sempre stata lei: Giorgia Meloni. È questa la sua creatura che l’ha accompagnata lungo tutta la sua carriera politica, cambiando con lei.
È il 1998 quando a Colle Oppio, all’ombra del Colosseo, si tiene la prima edizione di Atreju. Due anni prima Giorgia Meloni è stata eletta coordinatrice nazionale di Azione Studentesca, l’organizzazione dei liceali che fa riferimento a Alleanza Nazionale, mentre in quello stesso anno viene eletta consigliera in Provincia.
Quella prima edizione che nasce a cavallo tra gli anni Novanta e il nuovo millennio, non è una proprio una festa di partito, ma è la festa di “quelli di Colle Oppio” che in quegli anni (come oggi) a Roma egemonizzano le strutture studentesche e giovanili. Sono gli eredi di una lunga tradizione militante: la sede nel rudere romano, dove si trova ancora oggi, è la prima sezione del Movimento Sociale Italiano che apre nel dopoguerra.
Qui i simboli e i riferimenti ereditati dal neofascismo sono tramandati ai giovani che sono lanciati alla conquista di nuovi orizzonti nella Seconda Repubblica. E Atreju segna proprio l’ascesa di questa nuova generazione cresciuta nel rito di Colle Oppio. Scelgono un riferimento fantasy, il guerriero bambino che combatte “contro il nulla che avanza” protagonista de La Storia Infinita di Mich
Nel 2001 Gianfranco Fini nomina Meloni nel “comitato di reggenza” di Azione Giovani in attesa che la nuova leadership nazionale venga decisa da un congresso. In quello stesso anno da festa di quelli di Colle Oppio, Atreju diventa la festa nazionale di Azione Giovani. È il segno dell’ascesa di Meloni e dei giovani dirigenti allevati da Fabio Rampelli.
Nel 2004 finalmente arriva il congresso di Viterbo, dove si ripercuotono con asprezza le divisioni del partito dei “grandi”. La corrente sostenuta da La Russa e Gasparri si scontra il documento presentato dalla destra sociale di Gianni Alemanno E Francesco Storace. I “sociali” sono determinati a conquistare la segreteria, il loro candidato è Carlo Fidanza che si sente già la vittoria in pugno, ma grazie a un accordo notte facendo la spunta a sorpresa Giorgia Meloni.
Quelli di Colle Oppio sono stati l’ago di bilancia e, con i voti dei colonnelli di Fini, la spuntano. Sarà l’ultimo congresso di Azione Giovani, da quel momento la leadership di Meloni sarà inattaccabile, anche per la capacità di tenere la base unita, tenendo la barra bene a destra. E Atreju diventa il luogo fondativo di quella nuova generazione che ha fatto appena in tempo a iscriversi al Movimento Sociale Italiano prima di Alleanza Nazionale.
La festa in questi anni è un appuntamento fisso. Serve per discutere delle campagne politiche da portare avanti, per incontrarsi e costruire relazioni a livello nazionale. È l’unico appuntamento ella destra a livello nazionale, l’unica passerella per i leader di partito, un appuntamento fisso che però ha ancora il sapore dell’appuntamento comunitario, dove la serata più attesa è quella di “musica identitaria”, dove saluti romani e boia chi molla sono la normalità
Le cose cambiano nel 2006, quando Giorgia Meloni non è più solo la leader dei giovani di Alleanza Nazionale, ma debutta nella politica nazionale con lo sbarco in parlamento e da qui alla vicepresidenza della Camera. È il volto nuovo su cui Gianfranco Fini punta molto. E nel 2006 Atreju diventa sempre di più la sua festa, quando invita l’allora segretario di Rifondazione Comunista e Presidente della Camera Fausto Bertinotti a dialogare proprio a Atreju.
Quel dibattito, preceduto da grandi polemiche, viene interpretato come il sintomo dell’archiviazione definitiva della pregiudiziale antifascista per la sinistra italiana, ma anche come la definitiva e piena legittimazione dei postfascisti. È l’anno della svolta per Atreju, che da questo momento diventa un appuntamento di rilevanza nazionale, attirando l’interesse dei media.
L’anno successivo ad Atreju arrivano Gianfranco Fini che dialoga con il primo segretario del Partito Democratico Walter Veltroni, mentre Silvio Berlusconi sale sul palco con Meloni. E poi un altro incontro a tema “superamento delle divisioni”: il vecchio leader del Sessantotto Mario Capanna incontra Marcello De Angelis, da Terza Posizione e il carcere per associazione sovversiva a deputato di Alleanza Nazionale.
Sono proprio questi gli anni in cui si costruisce l’immagine di una destra giovanile vitale e democratica, fatta da ragazze e ragazzi “normali”, con consumi culturali normali, inseriti a pieno nel loro tempo e nella società. Sono invece gli altri gli irriducibili dello scontro antifascista a vivere nel passato, in un tempo che non c’è più. Questo frame narrativo si rispecchia anche nella scelta artistica delle serate negli anni: l’obiettivo è quello di rafforzare la narrazione della normalità con l’intervento di artisti pop e non associati in nessun modo a una cultura di destra.
Nel 2011 alla festa sbarca Max Pezzali che chiude la manifestazione al Celio. Il cantante degli 883, autore cult per la generazione cresciuta negli anni Novanta nel pieno della fine della storia, chiude il concerto con Sei un mito. Ma negli anni si esibiranno anche Irene Grandi e Edoardo Bennato, gli Zero Assoluto e Max Gazzè, cantanti di certo non associati a una sensibilità di destra.
Le serate di musica identitaria, con i saluti romani e i me ne frego, vanno tenute lontano dai riflettori, perché il tentativo è quello di annettere la cultura pop con alcune esibizioni su quello che è il palco più importante della destra italiana. Ma il risultato è solo parziale, e finisce per confermare come la destra giovanile non è in grado di presentare un’artista per il quale è naturale calcare quel palco (tranne forse Enrico Ruggeri), senza che la sua presenza non porti a un contrappunto di polemiche e stupore da parte del suo pubblico. In molti successivamente di quella presenza si sono vergognati e scusati, a iniziare dal frontman degli 883 per anni accusato di essere quasi un criptofascista.
Atreju si trasforma in un appuntamento importante per la politica italiana. Se il PD ha la Festa nazionale dell’Unità, la destra ha Atreju per saggiare i rapporti tra leader e forze politiche. Qui si apre la stagione politica dopo la pausa estiva e ministri e leader di partito diventano ospiti fissi. La manifestazione finisce per lasciare la zona del Colosseo, per sbarcare all’isola Tiberina. Negli anni del Popolo delle Libertà diventa ufficialmente la manifestazione dei giovani del PdL ma è solo una brevissima parentesi: porto sicuro dove ancorare la propria identità, con la nascita di Fratelli d’Italia nel 2013 è la festa ufficiale del partito.
La pandemia di Covid-19 fa saltare un’edizione e nel 2021 questa si tiene per la prima volta non a settembre ma a dicembre, e assume un sapore sempre più nazionalpopolare, con il mercatino di Natale e una grande pista di pattinaggio. Negli anni si apre anche a importanti presenze internazionali, inaugurate dall’arrivo di Viktor Orban nel 2019 e prima dell’ex consigliere di Donald Trump Steve Bannon.
Atreju si è trasformata insieme alla carriera politica di Giorgia Meloni. La festa è nata con la sua leadership giovanile e l’ha accompagnata per diciotto anni. È il suo marchio di fabbrica, tanto da dare il nome alla sua generazione di dirigenti e politici di destra. Qui è dove si rinnova ancora oggi un vincolo di fedeltà e un’identità, la stessa forgiata nella vecchia sede di Colle Oppio. L’inchiesta di Fanpage.it “Gioventù Meloniana” l’ha mostrato in modo inequivicabile: la giornalista del team Backstair inflitrata tra i militanti di Gioventù Nazionale, l’erede di Azioni Giovani, la sera viene invitata a una serata diversa. Ragazzi e ragazze lasciano Atreju per la serata di musica identitaria che si svolge dentro Colle Oppio. Lontano da sguardi indiscreti i saluti romani, gli slogan e le canzoni sono sempre quelli.
(da Fanpage)

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UN ITALIANO SU DUE TEME UNA NUOVA GUERRA MONDIALE, I BOOMER TREMANO, MA LA GENERAZIONE Z E’ PIU’ INDIFFERENTE

Dicembre 8th, 2024 Riccardo Fucile

IL 47% PREOCCUPATO PER L’USO DI ARMI AVANZATE SUI CIVILI MENTRE IL 44% E’ INDIFFERENTE

Sentimenti contrastanti che vanno dall’angoscia e preoccupazione al distacco e all’indifferenza caratterizzano la percezione degli italiani sulle guerre internazionali in corso. Il ritratto è quello di una società profondamente polarizzata, dove l’età, la saturazione informativa e la distanza geografica giocano un ruolo cruciale nel plasmare atteggiamenti e opinioni. La guerra in Ucraina, con le sue ripercussioni economiche, energetiche e di sicurezza globale, ha avuto un impatto significativo anche sull’Italia, impegnata a sostenere Kiev attraverso la Nato e l’Unione europea. Un impegno, però, non privo di contraccolpi: una parte consistente della popolazione teme un’escalation del conflitto e lamenta le ricadute economiche che le sanzioni e gli aiuti comportano. Secondo i dati di un sondaggio di Euromedia Research riportato da La Stampa, fin dall’inizio della guerra, la metà degli italiani è contraria all’invio di armi a Volodymyr Zelenskyj. Allo stesso tempo, una percentuale non trascurabile degli italiani, soprattutto tra i giovani, sembra immune a queste preoccupazioni, mostrando un atteggiamento di distacco o ottimismo, forse figlio di una distanza fisica e emotiva dai luoghi della guerra. Ma circa un italiano su due (48%) teme che quanto sta accadendo nelle zone di guerra del mondo stia andando nella direzione di una nuova guerra mondiale.
Le differenze generazionali
I dati dipingono un’Italia spaccata: il 47% degli intervistati esprime preoccupazione per l’uso di armi avanzate, temendo effetti devastanti sulle popolazioni civili, mentre il 44% manifesta indifferenza o un senso di disconnessione. Tra i giovani della Generazione Z, questa indifferenza raggiunge il picco del 76,2%, segno di una generazione apparentemente disillusa o anestetizzata da un flusso continuo di notizie sensazionalistiche e frammentarie. Al contrario, gli over 65 si rivelano i più preoccupati, con il 52,3% che teme un aggravarsi della situazione geopolitica. Le differenze generazionali non sono l’unico elemento di frattura. Un sentimento critico verso le politiche occidentali emerge con forza anche nell’ultimo rapporto Censis: il 66,3% degli italiani vede negli Stati Uniti e – più in generale – nell’Occidente una responsabilità primaria per i conflitti attuali. Scetticismo che si riflette anche nella bassa approvazione per l’aumento delle spese militari richiesto dalla Nato, accettato solo dal 31,6% della popolazione.
(da agenzie)

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