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BIGNAMI HA GIA’ FATTO INCAZZARE TUTTI A DESTRA – IL NEOCAPOGRUPPO ALLA CAMERA, SCELTO DA GIORGIA E ARIANNA MELONI, HA PRESO DI MIRA GLI “ASSENTEISTI” DI FDI. E PER QUESTO È GIA’ CIRCONDATO DA VELENI E MALUMORI NEL PARTITO

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

AL SUO DEBUTTO ALLA CONFERENZA DEI CAPIGRUPPO, È STATO RICHIAMATO DAL PRESIDENTE DELLA CAMERA, IL LEGHISTA FONTANA, A USARE “MODI PIÙ CONSONI AL RUOLO” … IN UN FACCIA A FACCIA INFUOCATO, INFINE, IL FORZISTA GIUSEPPE MANGIALAVORI GLI AVREBBE DETTO: “SE CONTINUI COSÌ, TI BUTTO DALLA FINESTRA”

Vuole far lavorare i 117 deputati di Fratelli d’Italia che presiede. Ha modi spicci, diretti. Ce l’ha con gli assenteisti, coloro che bigiano le commissioni di competenza e si fanno sostituire. Ha dato mandato agli uffici di farsi inviare un report dettagliato di chi c’è e chi non c’è. Galeazzo Bignami è stato scelto da Giorgia e Arianna Meloni per sostituire Tommaso Foti,
Intorno all’ex viceministro dei Trasporti però iniziano a volare malumori e piccole cattiverie. Rimpianti del passato e lamentele. “Il codice Galeazzo” non piace. E così la sfuriata della settimana scorsa durante la manovra si arricchisce di un dettaglio in più
Durante la conferenza dei capigruppo Bignami se l’è presa con la lentezza degli uffici nel mettere a punto i testi che sarebbero dovuti andare in Aula. Un’uscita legittima, ma dai toni abbastanza aspri, al punto che il presidente della Camera Lorenzo Fontana, terminata la riunione, lo ha convocato nella sua stanza. “Mi segua”.
Durante il faccia a faccia, raccontano fonti di Montecitorio, la terza carica dello stato ha in qualche modo redarguito Bignami. Gli ha detto di usare modi più consoni al ruolo che ha. Il capogruppo di FdI si era lamentato delle 36 ore richieste dagli uffici per mettere in ordine i testi perché in ballo c’era la manovra, che oggi approda in Senato dopo la fiducia, e il lavoro di tutti i dipendenti, non solo quello dei parlamentari, di Montecitorio.
Bignami proprio nelle ore concitate della finanziaria è stato protagonista di un altro faccia a faccia abbastanza “maschio” con Giuseppe Mangialavori di Forza Italia, presidente della commissione Bilancio.
Complice la stanchezza e qualche nervosismo di troppo, il forzista avrebbe stoppato gli assalti verbali del collega di Fratelli d’Italia con parole nette: “Se continui così, ti butto dalla finestra”. Tutto rientrato, tutta acqua passata.
Il partito di Giorgia Meloni all’esterno è un monolite perché FdI non contempla all’esterno divisioni e veleni. E però prima di Natale diversi parlamentari hanno scritto e cercato Arianna Meloni per lamentarsi dei modi di Galeazzo, di quel codice un po’ troppo duro, da parte di chi non ha esperienza d’Aula.
Come al solito le malelingue hanno tirato in ballo Giovanni Donzelli e la vicecapogruppo Augusta Montaruli che starebbero assumendo spazio di manovra in un gruppo che ancora rimpiange i bei tempi di Foti e soprattutto di Francesco Lollobrigida
(da Il Foglio)

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NO BIPARTISAN DEL CSM ALLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE: DEPOSITATO IL PARERE CONTRARIO ALLA RIFORMA NORDIO CHE APPRODA IN PLENUM L’8 GENNAIO, NORDIO E’ RIUSCITO A FARSI BOCCIARE PERSINO DAI MAGISTRATI “DI DESTRA”

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

LA RELAZIONE DI 60 PAGINE EVOCA SIA IL RISCHIO DELLA DIPENDENZA DEI PUBBLICI MINISTERI DAL POTERE POLITICO, SIA QUELLO DELLA FORMAZIONE DI UN “CORPO AUTONOMO DI FUNZIONARI-PM” “SOTTRATTO A QUALSIASI FORMA DI CONFRONTO E CONTROLLO” ,,, “I PASSAGGI DA PM A GIUDICE, RIGUARDANO PERCENTUALI LARGAMENTE INFERIORI ALL’1% DELL’ORGANICO IN SERVIZIO”

Toghe compatte e sul piede di guerra, com’era ormai prevedibile, al Consiglio superiore della magistratura contro la separazione delle carriere. Il plenum di Palazzo Bachelet ne discuterà l’8 gennaio prossimo, ma pesa la relazione, depositata già in Sesta commissione del Csm, che argomenta per quasi sessanta pagine il suo parere contrario.
Che evoca sia il rischio della dipendenza dei magistrati della pubblica accusa dal potere politico, sia quello della formazione di un “corpo autonomo di funzionari-pm” che guida la polizia giudiziaria ma è “sottratto a qualsiasi forma di confronto e controllo”, un unicum insomma mai visto nei sistemi democratici.
In calce, le firme di tutte le componenti: dalla corrente di destra Mi, consigliere Eligio Paolini, al laico del Pd Roberto Romboli, dall’esponente di Area Antonello Cosentino a quello di Unicost Roberto D’Auria insieme a Roberto Fontana, l’indipendente vicino alla sinistra.
L’altra relazione invece, favorevole alla separazione delle carriere (la riforma “è necessaria” e “pone al centro del sistema giudiziario la garanzia dei diritti e la tutela delle libertà dei cittadini”), porta la firma del laico di FdI, Felice Giuffré, ed è il tentativo di dividere il parlamentino dei magistrati, dopo l’unità mostrata dai giudici nell’Assemblea dell’Anm di fine anno.
Che ha dato il via anche alla formazione nel Paese di comitati referendari anti-separazione aperti alla società civile e ad esponenti dell’Accademia e dell’avvocatura.
Tornando al parere depositato dai cinque consiglieri, invece, il disegno riformatore della destra al governo, “pur lasciando formalmente intatti” presìdi e garanzie, nel concreto sviluppo della riforma, “non elimina il rischio di un affievolimento dell’indipendenza del Pm rispetto agli altri poteri dello Stato”.
Anzi, la previsione è ben più fosca quando i consiglieri scrivono che “secondo alcuni, la separazione delle carriere unitamente alla contestuale istituzione di un autonomo organo di autogoverno composto esclusivamente da magistrati requirenti, con membri laici, porterebbe alla separazione di un corpo,di funzionari pubblici ,deputato alla direzione della polizia giudiziaria, essenzialmente autoreferenziale; un secondo e autonomo potere giudiziario, indipendente da ogni altro”. E citano così le parole del costituzionalista Alessandro Pizzorusso: “Il potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in alcun ordinamento costituzionale dell’epoca contemporanea”.
Nel clima politico riacceso, nelle scorse settimane, dalle sentenze nei confronti di Renzi e Salvini, la relazione bipartisan non manca poi di ribadire i due dati di fatto: non solo “i passaggi dall’una all’altra funzione”, da pubblico ministero a giudice, “riguardano percentuali largamente inferiori all’1% dell’organico in servizio”, ma sono condizionati da “limitazioni di natura funzionale e territoriale” tali da non poter comportare, “neanche sotto il profilo dell’apparenza, rischi di ricadute negative in termini di imparzialità e terzietà”.
D’altra parte, scrivono i cinque consiglieri che hanno firmato il parere contrario, “appare indubbio che l’evocato necessario miglioramento della qualità e dell’efficienza della giurisdizione passi per un superamento delle persistenti criticità organizzative che caratterizzano il servizio giustizia, dal fronte delle carenze degli organici del personale amministrativo e dei magistrati, a quello delle difficoltà insite nel cammino di informatizzazione delle procedure e degli uffici giudiziari, temi sui quali è impegnata l’azione del ministro della Giustizia”
(da agenzie)

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TELE-MELONI? UN TELE-FLOP: FINISCE L’ANNO ED È TEMPO DI METTERE IN FILA TUTTI I FALLIMENTI DEL NUOVO CORSO DESTRORSO DELLA RAI

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

IL FIASCO DELL’EX IENA ANTONINO MONTELEONE CHE SU RAI2 HA RAGGIUNTO IL RECORD NEGATIVO CON UNO MISERO SHARE DELLO 0,99% (IL PROGRAMMA È STATO CHIUSO)… MALE ANCHE PINO INSEGNO, REDUCE DEL FLOP DEL “MERCANTE IN FIERA”, CON IL QUIZ “REAZIONE A CATENA” … E POI IL FIASCO DI NUNZIA DE GIROLAMO, ELISABETTA GREGORACI E LUCA BARBARESCHI A CUI NEANCHE PIACEVA IL SUO “SE MI LASCI NON VALE”

Fine anno, tempo di bilanci e il saldo di non pochi programmi televisivi è negativo. In alcuni casi, il rosso è stato talmente profondo da portare alla chiusura di format – vecchi, nuovi o rispolverati –, ognuno finito sotto il cappello che nessun conduttore tv vorrebbe mai indossare, quello del flop.
Tutte le trasmissioni felici sono uguali, ogni trasmissione infelice è infelice a modo suo. Ci sono stati, ad esempio, gli azzardi, quelli per cui bisogna avere coraggio, e ne serve parecchio per prendere il posto che era stato di Fiorello con Viva Rai 2! . Ci hanno provato Andrea Perroni, Carolina Di Domenico e Gianluca Semprini con Binario 2 , il morning show subentrato nella fascia oraria «inventata» dallo showman.
Ma se con lui si viaggiava attorno al 19% di share, in due mesi la nuova produzione della Rai non è riuscita a sfondare il tetto del 3%. Risultato: chiusura anticipata e una nota della Rai in cui si ammette che questo «esperimento conteneva un margine di rischio… non è stato premiato dagli ascolti».
Nel gruppo dei coraggiosi ci finisce di diritto anche Amadeus: non in molti avrebbero accettato di passare dai numeri stellari dei suoi Sanremo a quelli ben diversi di una rete giovane come il Nove, ma lui, in cerca di nuove sfide, si è tuffato in questa avventura, trovandosi, però, in un’acqua un po’ più freddina del previsto. Chissà chi è , il quiz con cui su Rai 1 intratteneva milioni di spettatori (aveva solo un altro titolo: Soliti ignoti ), ha dimostrato il teorema per cui se cambi il tasto del telecomando il risultato cambia: ascolti fermi al 3,6% di share e la scelta da parte di Warner Bros.
Discovery di ripartire da gennaio con una nuova collocazione, in prima serata, fascia che ha sorriso di più al conduttore con l’esperimento, stavolta riuscito, della sua Corrida . Al capitolo «a volte ritornano» c’è anche La Talpa , una trasmissione diventata un piccolo cult dei primi anni duemila, tornata con una veste rinnovata su Canale 5, sotto la guida di Diletta Leotta: dovevano essere sei puntate, ma visti i bassi ascolti si è passati alla chiusura anticipata a quattro, con gli ultimi episodi accorpati.
Sportiva, così come lo è stata Nunzia De Girolamo nel commentare l’insuccesso del suo talk show politico, Avanti popolo , chiuso a gennaio dopo 15 puntate: «Io non lo volevo fare, perché pensavo che fosse presto per
Chi invece non ha mai voluto usare questa parola è Pino Insegno, nonostante il suo ritorno con un quiz (in passato) molto amato come Reazione a catena non sia stato certo soddisfacente, tanto che in Rai si era perfino temuto per il basso traino per il Tg1. Insegno, reduce dalla chiusura nel 2023 de Il mercante in fiera aveva commentato a Tvblog : «Certe cose non riesco a capirle… Si sono persi 2-3 punti percentuali… se una flessione c’è stata è per gli episodi eccezionali che si sono susseguiti quest’estate».
L’Altra Italia dell’ex Iena Antonino Monteleone era stato definito alla presentazione dei palinsesti Rai come «uno tra i programmi più attesi di questa stagione». Solo, stando agli ascolti, non si è capito da chi: i numeri sconfortati del programma si sono trasformati, nella puntata del 17 ottobre, in «ascolti mai visti prima nella storia della Rai» (così hanno commentato dal Pd), con uno share dello 0,99% e 169mila telespettatori.
A fine ottobre la trasmissione ha chiuso, così come è successo a Elisabetta Gregoraci con Questioni di stile e a Luca Barbareschi con Se mi lasci non vale , altro titolo di Rai 2. Solo che, questa volta, perfino il conduttore era il primo che mai avrebbe guardato il programma: «Se sono dispiaciuto della chiusura anticipata? No, perché non mi piaceva». [.
(da agenzie)

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IL 2024 È STATO L’ENNESIMO ANNO HORROR PER I QUOTIDIANI: NEL PERIODO GENNAIO-SETTEMBRE SONO STATE VENDUTE IN MEDIA 1,29 MILIONI DI COPIE TOTALI AL GIORNO, IN FLESSIONE SU BASE ANNUA DEL 9,4% E DEL 30,0% RISPETTO AL CORRISPONDENTE PERIODO DEL 2020

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

I DATI DEL FORMATO DIGITALE (IN PDF) SONO UN LAGO DI SANGUE: LA MEDIA È DI CIRCA 190MILA COPIE GIORNALIERE… IL GRUPPO CAIRO/RCS DETIENE IL 19,1% DEL MERCATO, SEGUITO DA GEDI CON IL 14,7% E POI DA CALTAGIRONE EDITORE (9,2%) E MONRIF (7,8%). IL “POLO ANGELUCCI” VALE SOLO IL 4,0%

La crisi dell’editoria quotidiana prosegue anche nei primi nove mesi del 2024. In media, nel periodo gennaio-settembre, giornalmente, sono state vendute 1,29 milioni di copie, in flessione su base annua del 9,4% e del 30,0% rispetto al corrispondente periodo del 2020.
A rilevarlo è l’Osservatorio sulle Comunicazioni dell’Agcom. Suddividendo la distribuzione tra testate nazionali e locali, nel confronto con i primi nove mesi del 2023 i quotidiani nazionali hanno registrato una riduzione leggermente inferiore rispetto a quelli locali (-9,2% vs -9,8%).
Tendenza che si conferma anche con riferimento all’intero periodo analizzato (2020-2024), con le testate nazionali che riducono le vendite del 29,0% mentre i quotidiani locali registrano una flessione più accentuata del 31,3%.
Le copie vendute giornalmente in formato cartaceo (1,10 milioni) su base annua si sono ridotte del 9,4% (risultavano pari a 1,22 milioni nel 2023) e del 32,8% rispetto al 2020 (quando ne venivano vendute giornalmente 1,64 milioni di copie).
La scarsa attrattiva dei quotidiani venduti in formato digitale si conferma anche con riferimento ai dati dei primi nove mesi dell’anno, con una media di circa 190mila copie giornaliere.
La vendita di copie digitali – fa notare l’Autorità – è maggiormente concentrata rispetto a quella cartacea: nel 2024, le prime cinque testate del segmento digitale (Corriere della Sera, Il Sole 24Ore, La Repubblica, Il Fatto quotidiano e La Stampa), infatti, rappresentano poco meno del 60% delle copie complessivamente vendute.
Il corrispondente valore per la versione cartacea (in questo caso i primi cinque quotidiani sono il Corriere della Sera, La Gazzetta dello Sport, La Repubblica, Avvenire e La Stampa) è invece pari al 34,0%.
L’analisi per gruppi editoriali in termini di copie complessivamente vendute vede, da inizio anno, Cairo/Rcs quale principale player sul mercato (19,1% che include Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport), seguito da Gedi con il 14,7% (il dato comprende, al 30 settembre 2024, 6 testate tra cui La Repubblica e La Stampa), da Caltagirone Editore (Il Messaggero, Il Mattino e altre tre testate) e Monrif Group (che sotto il marchio QN-Quotidiano Nazionale comprende Il Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione) rispettivamente con il 9,2% e l’7,8%.
Seguono il Sole 24 Ore (4,7%), Nord-est Multimedia (Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova di Venezia e Mestre, Il Corriere delle Alpi, Il Messaggero Veneto, Il Piccolo con il 4,6%, Amodei (Corriere dello Sport e Tuttosport comprensive delle edizioni del lunedì rappresentano il 4,5% del mercato) e il Gruppo Tosinvest con il 4,0% (con le testate Il Giornale, Libero e Il Tempo)
(da agenzie)

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MATTEO RENZI ATTACCA LA DUCETTA: “NEL 2024 HA FATTO MENO CONFERENZE STAMPA DI PUTIN. È UN FATTO MOLTO TRISTE PER LA QUALITÀ DELL’INFORMAZIONE ITALIANA MA NESSUNO DICE NULLA”

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

E POI RINCARA LA DOSE: “IL TRADIZIONALE INCONTRO CON LA STAMPA CHE SI SVOLGE DURANTE LE VACANZE DI NATALE È STATO SPOSTATO AL 9 GENNAIO: COSA HA DA FARE DI COSÌ FONDAMENTALE LA MELONI PER EVITARE I CRONISTI IN QUESTI GIORNI?”

“Nell’anno solare 2024 Giorgia Meloni ha fatto meno conferenze stampa di Vladimir Putin”, attacca Matteo Renzi su Instagram. Precisamente, la premier nel 2024 si è presentata davanti alla stampa italiana solo due volte (lo scorso 4 gennaio e quella del G7 in Puglia a giugno) rinviando più volte diversi appuntamenti già fissati.
“È un fatto molto triste per la qualità dell’informazione italiana ma nessuno dice nulla. Nelle vacanze di Natale è consuetudine che il presidente del Consiglio tenga la tradizionale conferenza stampa di fine anno. Non sono chiari i motivi per cui Giorgia Meloni abbia deciso di rinviare anche questo appuntamento: cosa ha da fare di così fondamentale in questi giorni per non incontrare la stampa come hanno fatto tutti i premier che l’hanno preceduta?”, domanda Renzi sui social.
Ad esempio, da gennaio ad aprile 2024, Meloni ha incontrato la stampa solo una volta. Per non parlare della soluzione-escamotage trovata altre volte: una sorta di finta conferenza stampa come avvenuto a Tunisi ad aprile scorso.
Poi c’è il precedente di un anno fa, la consueta conferenza stampa di fine rinviata più volte per un’influenza. Inizialmente fissata per il 20 dicembre 2023, poi posticipata al 28 dicembre alle ore 11 e rimandata al 4 gennaio 2024 “a causa del persistere dell’indisposizione dei giorni precedenti”, come riportava una nota di Palazzo Chigi. Quest’anno il tradizionale appuntamento di fine anno sarà ad anno nuovo già iniziato, precisamente il prossimo 9 gennaio.
(da La Repubblica)

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IL DISASTRO DELL’AEREO AZERO, PRECIPITATO IN KAZAKISTAN, È UN BOOMERANG CLAMOROSO PER LA PROPAGANDA DEL CREMLINO: IL VELIVOLO SAREBBE STATO SCAMBIATO PER UN DRONE E COLPITO DALLA CONTRAEREA RUSSA IN CECENIA

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE AZERO, ILHAM ALIEV, È INFURIATO CON MOSCA E PER “MAD VLAD” È UN GUAIO: L’ECONOMIA RUSSA SOPRAVVIVE ALLE SANZIONI SOLO GRAZIE AI PAESI EX SOVIETICI

Una medaglia per i meriti e un abbraccio affettuoso, dedicati dal presidente ceceno Ramzan Kadyrov a suo nipote Khamzat, 27enne capo del Consiglio di sicurezza della repubblica caucasica. Soltanto il giorno prima Khamzat si era vantato sui social della «distruzione di tutti i droni» nel cielo della Cecenia.
Letteralmente un’ora dopo un aereo di linea della Azerbaijian Airlines ha compiuto un atterraggio di emergenza, esplodendo al contatto con la pista di Aktau, nel Kazakhstan. Il volo 8432 era diretto da Baku, capitale dell’Azerbaigian, a Grozny, ma non aveva ricevuto l’autorizzazione ad atterrare nell’aeroporto ceceno, in quel momento chiuso per un attacco di droni ucraini.
Il disastro del giorno di Natale ha fatto 38 vittime: delle 67 persone a bordo se ne sono salvate 29, tutte occupanti delle ultime file dell’Embraer 190. I telegiornali russi insistono che a provocare i danni sia stato uno «stormo di uccelli» nel motore.
Ma i filmati dei buchi lasciati nella carcassa del velivolo hanno fatto nascere in diversi blogger militari russi un atroce sospetto: l’aereo azero avrebbe potuto essere stato abbattuto dall’antiaerea russa, che l’aveva scambiato per un drone ucraino.
Un sospetto confermato dalla reazione del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliev, che al momento della sciagura era diretto a un vertice dei Paesi ex sovietici a Pietroburgo, e che ha dato ordine di invertire la rotta e tornare a Baku mentre stava già sorvolando Mosca.
Fonti anonime del governo azerbaigiano hanno confermato a Reuters che il volo 8432 sarebbe stato colpito da un missile della batteria di difesa antiaerea Panzir-S, inviata in Cecenia dopo che Kadyrov aveva chiesto a Vladimir Putin di rinforzare le sue difese contro gli stormi di droni ucraini che attaccano aeroporti militari e depositi carburante in territorio russo.
Molti esperti si interrogano anche sulla dinamica misteriosa dell’incidente: l’aeroporto di Grozny poteva in effetti essere stato chiuso per l’attacco dei droni, ma a quanto pare l’equipaggio azero non era stato avvertito del pericolo. Inoltre, il volo 8432 non aveva avuto il permesso di atterrare in nessun altro aeroporto vicino russo, ed era stato costretto a sorvolare per un’ora il Mar Caspio, fino alla pista di Aktau.
Mentre nei social impazza la versione cospirazionista che i russi avrebbero respinto l’aereo nella speranza che sarebbe caduto in mare, cancellando le tracce del loro errore, l’indagine è stata affidata alle autorità del Kazakhstan. […] Il vicepremier di Astana Kanat Bozymbaev prudentemente dice di non potere «né confermare, né smentire» alcuna ipotesi.
Intanto le autorità kazakhe hanno arrestato il blogger Azamat Sarsenbaev, che aveva filmato l’impatto dell’aereo contro la pista. Resta da vedere se decideranno di assecondare la Russia o l’Azerbaigian: la testata di Baku Caliber_Az scrive che Aliev sta aspettando le scuse (e i risarcimenti) di Mosca, e i canali Telegram vicini al Cremlino riferiscono di un presidente azero «infuriato».
Una situazione imbarazzante per il Cremlino, che è riuscito finora ad alleviare parzialmente l’impatto sia economico che diplomatico successivo all’invasione dell’Ucraina proprio grazie ad alcuni ex satelliti sovietici di Mosca, Paesi come Azerbaigian e Kazakhstan appunto, che pur non sostenendo la guerra hanno però approfittato delle sanzioni per arricchirsi.
Proprio ieri la testata Vyorstka ha rivelato che nel 2024 in Russia sono stati importati 28 aerei di produzione occidentale (americani, canadesi e francesi), aggirando le sanzioni attraverso Paesi terzi come la Turchia o il Kazakhstan. La complicità di molti governi del “Sud globale” (non solo postsovietico) è un elemento importante delle strategie di Putin, e Aliev in particolare era uno degli alleati più fidati di Mosca, alla quale doveva anche il sostegno nel conflitto con l’Armenia.
Ora, se l’ipotesi di un abbattimento – per quanto casuale – venisse confermata, Putin si troverebbe nella faticosa situazione di dover scegliere tra l’intoccabile Kadyrov e i vicini cruciali per la sopravvivenza dell’economia russa.
(da La Stampa)

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DOCENTE OTTIENE 74.000 EURO DI RISARCIMENTO PER ABUSO DI CONTRATTI PRECARI

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

DA 25 ANNI COSTRETTO A LAVORARE SOLO CON CONTRATTI PRECARI… UN ABUSO SISTEMICO: L’ITALIA NEL MIRINO DELL’UE, COINVOLGE 250.000 DOCENTI OGNI ANNO

C’è una data che un docente di religione cattolica di Torino non dimenticherà mai nella sua lunga carriera: il giorno in cui, dopo 25 anni di sole supplenze, ha ottenuto un risarcimento di quasi 74mila euro. Per la precisione: 73.711,44 euro. Per un quarto di secolo, il docente ha lavorato e vissuto nell’incertezza, firmando contratti su cattedre vacanti che sembravano non voler mai diventare definitive.
Una routine stancante, fatta di rinnovi, attese e speranze infrante, in netto contrasto con le normative europee e i principi sanciti dalla Costituzione italiana. Fino a quando, esasperato, si è rivolto al sindacato che ha avviato una battaglia legale contro il Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Perché ha vinto il ricorso
A seguire il ricorso del docente è stato il sindacato Anief che si è presentato davanti al tribunale di Torino, denunciando come il ministero dell’Istruzione e del Merito, guidato oggi da Giuseppe Valditara, abbia reiterato contratti a termine in violazione della Direttiva Ue 70/Ce del 1999, che impone di stabilizzare i lavoratori dopo 36 mesi di precariato, e diverse norme nazionali e sovranazionali. Nel caso del docente torinese, questo limite è stato ampiamente superato, raggiungendo un incredibile traguardo di 25 anni di precariato. «Il giudice di Torino ha applicato il nuovo regime sanzionatorio, contenuto nella Legge 166 del 2024, pubblicata in Gazzetta Ufficiale poco più di un mese fa: nella sentenza si spiega, infatti, che è stato condannato il Ministero dell’Istruzione e del Merito al massimo della sanzione, pari a 24 mensilità. Riteniamo che, in questo modo, è stato fatto davvero un bel regalo di Natale al nostro ricorrente, dopo tantissimi anni di ingiustizia subìta in campo lavorativo a causa della mancata stabilizzazione nei ruoli dello Stato italiano», ha dichiarato l’avvocato Giovanni Rinaldi, che ha rappresentato il docente di religione in questione
Un abuso sistemico: l’Italia nel mirino dell’Ue
Quello del docente torinese non è un caso isolato. L’abuso di contratti a termine nella scuola italiana è un problema diffuso che, stando ai dati riportati dai sindacati, coinvolge circa 250mila supplenti ogni anno. E il nostro Paese è stato deferito alla Corte di Giustizia Europea per la gestione inadeguata del personale scolastico, accusato di ignorare le direttive comunitarie e perpetuare una situazione insostenibile per migliaia di lavoratori. Lo scorso ottobre, un’altra insegnante di Ivrea ha ricevuto un risarcimento di 30mila euro dopo ben 22 anni consecutivi di contratti rigorosamente a termine. Anche in quel caso, secondo il giudice, era evidente la reiterazione abusiva di contratti precari.
(da agenzie)

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SALVINI VUOLE TAGLIARE GLI AIUTI MILITARI A KIEV: IL CARROCCIO PREPARA UN ORDINE DEL GIORNO CHE IMPONE DI STOPPARE L’INVIO DI ARMI A ZELENSKY, IN NOME DI UN “PACIFISMO” FILOPUTINIANO

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

DA FRATELLI D’ITALIA AVVERTONO: “SE LO PRESENTANO, LI COSTRINGEREMO A RITIRARE IL TESTO” – ANCHE FORZA ITALIA PRENDE LE DISTANZE DALLA LEGA

Sono giorni di riflessione in casa Lega, con un occhio puntato sull’Ucraina e un altro sugli Stati Uniti. Matteo Salvini continua a organizzare insieme con il premier ungherese Viktor Orban e Marine Le Pen, suoi alleati a Bruxelles, un viaggio a Washington per l’insediamento del presidente eletto Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dieci giorni prima, invece, sarà l’attuale inquilino della Casa Bianca Joe Biden a essere in visita a Roma per incontrare Giorgia Meloni.
Salvini, che sembra aver già buttato dalla finestra tutte le sue vecchie cravatte scure per comprarne solo di rosse fiammanti, da provetto imitatore di Trump, cerca di giocare d’anticipo e starebbe ragionando sulla possibilità di presentare, proprio in quei giorni, un testo in Parlamento che impegni il governo a inviare un ultimo pacchetto di aiuti a Kiev, il decimo, poi mai più.
Ipotesi che non piace affatto agli alleati di Fratelli d’Italia né agli azzurri guidati da Antonio Tajani. Se la Lega presenterà davvero in Aula quest’ordine del giorno «li costringeremo a ritirare il testo», dicono a brutto muso dal quartier generale di FdI. «E noi di certo non lo voteremo», fanno eco da Forza Italia.
L’accordo, è chiaro, andrebbe trovato su un’altra linea, perché questa agli uomini di Meloni sembra tanto una provocazione. La interpretano come l’ennesimo tentativo del vicepremier leghista di correre in avanti e da un lato «giocare a fare il pacifista», pur firmando con la maggioranza ogni tipo di sostegno all’Ucraina passato dal Parlamento e in Consiglio dei ministri negli ultimi tre anni, mentre dall’altro accarezza l’elettorato sovranista e si allinea alla promessa fatta da Trump in campagna elettorale di chiudere al più presto i rubinetti per Kiev.
La minaccia di FdI di costringere i leghisti a fare un passo indietro non è casuale. Era già successo quasi un anno fa, quando il capogruppo in Senato, Massimiliano Romeo, aveva presentato un ordine del giorno in cui sosteneva che la vittoria di Trump avrebbe portato in breve tempo a un disimpegno in Ucraina e sottolineava come «l’opinione pubblica italiana non supporta più pienamente gli aiuti militari che il nostro Paese continua a inviare in sostegno all’esercito ucraino e auspica una soluzione diplomatica del conflitto».
Meloni pur ammettendo la sua «stanchezza» e iniziando così anche lei a mostrare il suo lato più trumpiano, non può ancora disallinearsi rispetto ai partner europei. Sulle rassicurazioni offerte a Zelensky in termini di aiuti militari e logistici, per quanto esigue siano ormai diventate, la premier punta molte delle sue fiches nella speranza di ottenere un posto in prima fila quando verrà affrontato il tema della ricostruzione in Ucraina
(da la Stampa)

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LA PENSIONE ANTICIPATA? TE LA SOGNI. IL GOVERNO, ALLA SUA TERZA MANOVRA, SI MOSTRA ALLERGICO ALLA FLESSIBILITÀ IN USCITA: CONFERMATA LA STRETTA SU APE SOCIAL, QUOTA 103 E OPZIONE DONNA

Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile

E, NONOSTANTE I PROCLAMI DI SALVINI, LA LEGGE FORNERO RESISTE, ANZI, PEGGIORA PER I GIOVANI – L’ULTIMO CETRIOLO È PER I DIPENDENTI PUBBLICI: SALE DA 65 A 67 ANNI IL LIMITE PER LA PENSIONE DI VECCHIAIA, CHE PUÒ ARRIVARE ANCHE A 70 ANNI

L’ultima doppia novità in materia di pensioni riguarda i dipendenti pubblici. Dal prossimo anno si alza a 67 anni il limite ordinamentale per l’età di vecchiaia per i settori che lo prevedevano a 65 anni. E ci si può spingere fino a 70 anni, se serve all’amministrazione e sempre che il dipendente sia d’accordo
Esclusi magistrati, avvocati e procuratori dello Stato. Ma non militari. Questo governo, nella sua terza manovra, si conferma dunque allergico alla flessibilità in uscita. E, a dispetto di tutto, la legge Fornero resiste. Anzi peggiora, in qualche caso. Come per i giovani.
Tutti i canali di anticipo vengono confermati, ma nella loro versione iper penalizzata di quest’anno: Ape sociale con età e finestre allungate, Opzione donna quasi azzerata per via dei rigidi paletti di accesso, Quota 103 con il ricalcolo, oltre alle finestre tirate al punto che pur avendo i requisiti poi si finisce fuori l’anno dopo. La relazione tecnica illumina la stretta.
Il governo prevede 26.600 uscite anticipate nei tre canali: 18 mila con Ape sociale, 6 mila con Quota 103 e 2.600 con Opzione donna. Previsioni sin troppo generose rispetto ai dati più contenuti di quest’anno.
La manovra spinge al contrario per restare al lavoro. E infatti rafforza il bonus Maroni che diventa esentasse e si estende non solo a chi ha i requisiti per Quota 103 e non esce. Ma anche a chi ha 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne) e non se ne avvale. Il bonus vale i contributi a carico del lavoratore che anziché andare a Inps finiscono in busta paga per intero senza essere mangiati dalle tasse: il 9,19% per i privati, l’8,8% per i pubblici.
I giovani e tutti i post 1996 (“contributivi puri”) traggono notizie contraddittorie dalla legge di bilancio. L’anno scorso il valore soglia per uscire a 64 anni con 20 di contributi è stato alzato da 2,8 a 3 volte l’assegno sociale, pari a una pensione di 1.600 anziché 1.500 euro. Quest’anno viene alzato ancora a 3,2 volte, cioè 1.724 euro: si applicherà dal 2030 a tutti.
Per evitare che questo diventi un canale da “ricchi”, la Lega ha introdotto il cumulo tra pensione pubblica e privata. Vale sia per la pensione di vecchiaia contributiva, per la quale è richiesto un assegno almeno pari all’assegno sociale, quindi 539 euro. Sia per i 64 anni.
Qui però la situazione si fa complicata. Perché gli anni di contribuzione si allungano da 20 a 25 a partire dal 2025. Per diventare poi 30 anni dal 2030. Non solo. I neoassunti del 2025 potranno versare fino a 2 punti di contributi in più all’Inps (tagliandosi la paga) godendo di una deducibilità del 50% ai fini Irpef.
Ma questo montante in più, che farà crescere la pensione futura, non varrà ai fini del valore soglia delle 3,2 volte. Da un lato si spinge l’accumulo nei fondi. Dall’altro si incentiva il versamento extra all’Inps. Da un lato si scoraggia l’uscita a 64 anni. Dall’altro non si consente di usare l’accumulo pubblico per agganciare l’anticipata.
(da agenzie)

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