Dicembre 31st, 2024 Riccardo Fucile
IL CIRCOLO VIZIOSO CHE ALIMENTA LA DENATALITA’
I giovani del nostro Paese sono sempre meno e vivono una condizione di persistente svantaggio. A rivelarlo, con dati chiari e preoccupanti, è il rapporto Demografia e Forza Lavoro pubblicato dal Cnel, un documento che fotografa un’Italia che sembra dimenticare il futuro. I numeri descrivono uno scenario inequivocabile. Il tasso di fecondità in Italia è da decenni tra i più bassi in Europa, con una media inferiore a 1,5 figli per donna. Un dato che, nonostante sia allarmante da tempo, si è ulteriormente ridotto negli ultimi anni. L’Italia è un paese di anziani: dagli anni ’90, gli over 65 hanno superato stabilmente gli under 15. Ma oggi l’invecchiamento si è spinto ancora oltre, con gli anziani che superano non solo i giovani sotto i 25 anni, ma anche, secondo le proiezioni del Cnel, presto l’intera fascia di popolazione tra 0 e 35 anni.
Un paese per anziani
Non è però solo una questione di numeri demografici. È la condizione dei giovani a destare allarme. La loro presenza nel mercato del lavoro, infatti, non solo è ridotta, ma si è anche aggravata negli ultimi vent’anni. Mentre l’Italia celebra il record storico di 24 milioni di occupati, i lavoratori sotto i 34 anni sono diminuiti di oltre due milioni nello stesso periodo. Paradossalmente, a guadagnare terreno sono gli over 50, che oggi rappresentano quasi il doppio rispetto a vent’anni fa.
Giovani penalizzati: lavoro precario e mal retribuito
A completare questo quadro già fosco, c’è la qualità dei posti di lavoro che si rivolgono ai giovani. Contratti a termine, occupazioni discontinue, part-time involontari: è questa la norma per la fascia più giovane della popolazione. E non è tutto. I giovani, rispetto ad altre categorie, affrontano con maggiore frequenza il rischio di salari bassi, una realtà che incide soprattutto sulle donne e su chi ha un titolo di studio inferiore. Quanto al gender gap, tra le giovani laureate, la probabilità di essere disoccupate o sottopagate resta significativamente più alta rispetto ai colleghi uomini.
Il circolo vizioso tra denatalità e disoccupazione
I dati delineano una relazione che sembra inevitabile: senza lavoro stabile e adeguatamente retribuito, i giovani non possono costruire famiglie né avere figli. E senza nuove generazioni, l’Italia continua a perdere slancio e innovazione. Il risultato è un circolo vizioso che alimenta la denatalità e frena la crescita economica e sociale del Paese. Per spezzare questo ciclo, il rapporto del Cnel suggerisce interventi su più fronti, dalle politiche industriali e sociali a quelle per la famiglia. Tuttavia, esistono due misure prioritarie che non richiedono ingenti risorse e potrebbero avere un impatto immediato: l’introduzione del salario minimo legale e una più severa regolamentazione dei contratti a tempo determinato.
(da agenzie)
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Dicembre 31st, 2024 Riccardo Fucile
NEL 2023 OGNI GIORNO VENGONO ASSUNTE 1889 DOSI DI FARMACI OGNI MILLE ABITANTI: IL CONSUMO DI ANTIBIOTICI NEL NOSTRO PAESE È AUMENTATO DEL 6,4%, ED È UN PROBLEMA… L’ABUSO DI QUESTO TIPO DI MEDICINE È UNA DELLE PRINCIPALI CAUSE DELL’INSORGENZA DI BATTERI RESISTENTI, CIOÈ CHE NON RISPONDONO ALLE TERAPIE OGGI DISPONIBILI
Appropriatezza, questa grande sconosciuta. E non solo sul fronte dei farmaci per la
perdita di peso. Nel nostro Paese, infatti, si consumano troppe medicine e, molto spesso, se ne fa un uso inappropriato. Come quando per qualche linea di febbre e un po’ di tosse, probabilmente per un’influenza stagionale, si prendono subito gli antibiotici che funzionano però solo contro i batteri e non i virus.
O come quando dopo una piccola ferita o una leggera ustione si ricorre a creme cortisoniche e antibiotiche, anziché solo a semplici prodotti disinfettanti e antisettici. Poi ci sono i casi di «sovrautilizzo» di farmaci per i disturbi correlati all’acidità, in particolare degli inibitori di pompa protonica.
E poi ansiolitici o sonniferi quando ci si sente un po’ più stressati del solito. Che si consumino in modo appropriato o meno, di certo c’è che gli italiani sono dei gran consumatori di farmaci, come emerge chiaramente dall’ultimo Rapporto OsMed dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa).
Stando a quanto contenuto nel documento, nel 2023, in Italia sono state consumate ogni giorno complessivamente 1.889 dosi di medicinali ogni 1000 abitanti, il 69,7% delle quali erogate a carico del Servizio sanitario nazionale e il restante 30,3% acquistate direttamente dal cittadino.
I farmaci per il sistema cardiovascolare si confermano al primo posto per consumi (513,9 dosi giornaliere per 1000 abitanti); al secondo posto si collocano i farmaci dell’apparato gastrointestinale e metabolismo che rappresentano la seconda categoria in termini di consumi. […] Ma a preoccupare maggiormente è la ripresa del consumo di antibiotici dopo la pandemia, in particolare a partire dal 2022.
Quest’anno infatti il consumo di antibiotici nel nostro Paese è aumentato del 6,4% rispetto all’anno precedente. Lo scorso anno quasi 4 persone su 10 hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico, con livelli più elevati al Sud, dove il 44,8% della popolazione ne ha assunto almeno uno in corso d’anno, contro il 30,9% del Nord e il 39,9% del Centro.
Differenze che fanno riflettere anche sull’appropriatezza delle prescrizioni e le possibili conseguenze. Sappiamo infatti che l’abuso di antibiotici è una delle principali cause dell’insorgenza di batteri resistenti, cioè che non rispondono alle terapie oggi disponibili.
«La diffusione dei batteri resistenti agli antimicrobici è indicata dall’Oms – si legge nel report dell’Aifa – come una delle grandi emergenze sanitarie che nel 2050 potrebbe provocare oltre 39 milioni di morti nel mondo. Un problema che riguarda da vicino l’Italia, che ha la maggiore resistenza riscontrata in Europa (con 200 mila pazienti l’anno colpiti da batteri resistenti), che causa 11mila vittime».
L’inappropriatezza fa scopa con la scarsa aderenza, che è la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche. La popolazione anziana è quella più a rischio per la compresenza di più patologie che richiedono un trattamento farmacologico.
(da La Stampa)
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Dicembre 31st, 2024 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTO SBUGIARDA “GENNY DELON” (CHE AL TG1 MINIMIZZO’ IN MODO VAGO “MI ERA VENUTA L’IDEA DI NOMINARLA”) E SOPRATTUTTO GIORGIA MELONI, CHE MISE LA MANO SUL FUOCO SULLA BUONA FEDE DEL MINISTRO (“HA DECISO DI NON DARE L’INCARICO DI COLLABORAZIONE. MI GARANTISCE CHE QUESTA PERSONA NON HA AVUTO ACCESSO A NESSUN DOCUMENTO RISERVATO”)… MA QUESTO DOCUMENTO APRE NUOVE DOMANDE: 1) PERCHÉ, DOPO UN PRIMO STEP, LA NOMINA NON È STATA FINALIZZATA? 2) COSA È AVVENUTO TRA IL GIORNO DELLA NOMINA, E IL 26 AGOSTO? 3) QUALCUNO È INTERVENUTO A BLOCCARE LA NOMINA A CONSULENTE DELLA BOCCIA? 4) CHI SI È MOBILITATO PER SILURARE L’IMPRENDITRICE? 5) DAVVERO TUTTO È AVVENUTO A COSTO ZERO PER LO STATO?
Sta per calare il sipario sul 2024. Un anno di guerre, cataclismi, scandali e scandaletti.
Soprattutto, l’anno in cui un’inchiesta a puntate di Dagospia ha terremotato il governo Meloni fino alle dimissioni del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Un unicum nel panorama editoriale italiano: mai prima d’ora il lavoro giornalistico di un sito d’informazione aveva fatto zompare la poltrona di un ministro.
Una vicenda, quella del duo Boccia-Sangiuliano, che riserva ancora molte sorprese.
L’ultima delle quali è il documento esclusivo che oggi pubblichiamo. Un atto formale che smentisce Sangiuliano e perfino Giorgia Meloni.
Ma andiamo per gradi e ripercorriamo, tappa dopo tappa, la vicenda ormai entrata nei manuali di politica e pure di quelli d’avanspettacolo: “Genny Delon” si infatua della rampante e biondissima imprenditrice pompeiana, Maria Rosaria Boccia, se la porta appresso per tutta Italia e le “promette” un incarico da consulente per i grandi eventi, sul G7 della cultura che si terrà proprio a Pompei. Solo una promessa?
Di certo, come dimostrato dalla fitta corrispondenza con i vertici del ministero, Maria Rosaria Boccia si comportava già come collaboratrice de facto del ministro.
A che titolo veniva messa in copia alle mail scambiate tra i dirigenti, per gli spostamenti dei ministri al G7, come dimostrato dal documento pubblicato da Dagospia il 2 settembre?
Il ministro parte-nopeo e parte incauto, nella intervista in stile “lacrime napulitane” rilasciata al direttore del Tg1, Gian Marco Chiocci, il 4 settembre, disse: “Io l’ho conosciuta all’inizio della campagna elettorale per le europee, in occasione di una manifestazione organizzata da Fratelli d’Italia a Napoli, è nata un’amicizia personale e lì ne ho riscontrato alcune doti e capacità organizzative, mi era venuta l’idea di nominarla, sempre a titolo gratuito, consigliere per l’organizzazione dei grandi eventi”.
Due giorni prima, Giorgia Meloni da Del Debbio: “Il ministro Sangiuliano aveva valutato la possibilità di dare a questa persona un incarico non retribuito, poi ha fatto una scelta diversa, ha deciso di non dare l’incarico di collaborazione. Mi garantisce che questa persona non ha avuto accesso a nessun documento riservato per quanto riguarda il G7”.
La Ducetta venne sbugiardata praticamente in diretta dalla venditrice di abiti da sposa, che immediatamente corse su Instagram e pubblicò un documento del G7 in suo possesso (a che titolo?).
In ogni caso, sia Sangiuliano che Meloni hanno utilizzato perifrasi vaghe: “Mi era venuta l’idea di nominarla”, “aveva valutato la possibilità di dare a questa persona un incarico”. Come se tutta la vicenda fosse legata a un’ipotesi nata lì quasi per caso e poi mai concretizzata. E’ davvero così?
Ora possiamo svelare la verità: come dimostra il documento di cui Dagospia è entrato in possesso, Gennaro Sangiuliano aveva già firmato la nomina della “dottoressa” Maria Rosaria Boccia a Consigliere.
Un atto formale, che risale al 1 agosto (due settimane dopo che la Boccia, stando a quanto denunciato da Sangiuliano, gli ha procurato il taglio sul capoccione), e in cui si legge:
“La dott.ssa Maria Rosaria Boccia è chiamata a collaborare con il Ministro in qualità di Consigliere per i grandi eventi. Nell’ambito di tale incarico la dott.ssa Maria Rosaria Boccia collaborerà altresì con [‘Ufficio stampa e con gli altri Uffici di diretta collaborazione del Ministro, con riferimento, in particolare, al settore dei grandi eventi. L’incarico di cui al comma I è conferito a titolo gratuito ed è disciplinato dal contratto di collaborazione accessivo a[ presente decreto e ad esso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. L’incarico di cui all’articolo 1, comma 1, decorrere dalla data del presente decreto sino al termine del mandato govemativo del Ministro, ai sensi dell’articolo 32, comma 6, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 marzo 2024, n. 57 , ferma restando la possibilità di revoca anticipata disposta dal Ministro per cessazione del rapporto fiduciario o di recesso. Il presente decreto e inviato ai competenti organi di controllo”.
Anche se il decreto di nomina firmato da Sangiuliano non basta per essere valido (doveva infatti essere ”inviato ai competenti organi di controllo”, cioè l’Ufficio centrale del bilancio e la Corte dei Conti), la sostanza politica è che la nomina era stata fatta.
Qualcosa di molto diverso dalle ambigue dichiarazioni della premier e dell’ex ministro.
Se il 1 agosto Sangiuliano ha firmato il decreto di nomina, significa che al Tg1 un mese dopo, di fronte agli italiani, mentì sapendo di mentire?
Davvero Giorgia Meloni ha “creduto” alle garanzie di ‘o ministro ‘nnamurato senza premurarsi di fare ulteriori verifiche, visionando tutti gli atti
Certo, è evidente che l’iter non sia stato perfezionato: il decreto è rimasto soltanto un pezzo di carta (scatenando, a cascata, la “vendetta” della Boccia con la storia Instagram che ha dato il via al caso). Ma questo documento apre nuove domande
:1) perché, dopo un primo step, la nomina non è stata finalizzata?
2) cosa è avvenuto tra il primo agosto, giorno in cui viene vergata la nomina, e il 26 agosto, giorno del Dago-scoop sul caso?
3) qualcuno è intervenuto per bloccare la nomina a consulente di Maria Rosaria Boccia?
4) chi, e in virtù di quale ruolo e potere, si è mobilitato per silurare l’imprenditrice di Pompei?
5) davvero tutto è avvenuto senza gravare per un euro sulle tasche dei contribuenti? Chi pagava i viaggi e i soggiorni della Boccia?
In una delle chat rese note da “Report”, Sangiuliano scriveva all’amante: “I consiglieri sono pagati, tu puoi aiutarci per il G7. Sei brava”. E quando la Boccia replicava: “Non voglio essere pagata, certo che mi fa piacere aiutarvi per il G7”, lui rispondeva: “Un rimborso spese ci vuole…”
(da Dagospia)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
L’ARRESTO A MILANO DELLA ”SPIA” IRANIANA ABEDINI, SU “ORDINE” USA, E’ DEL 17 DICEMBRE. DUE GIORNI DOPO LA SALA VIENE IMPRIGIONATA … CONOSCENDO LA “DIPLOMAZIA DEGLI OSTAGGI” PERCHE’ LA FARNESINA E PALAZZO CHIGI, SOTTOVALUTANDO I “SEGNALI” DELL’INTELLIGENCE-AISE, NON SI SONO SUBITO ATTIVATI PER METTERE IN SICUREZZA GLI ITALIANI IN IRAN? … CIRIELLI ESILARANTE: “NORDIO STA STUDIANDO LE CARTE” (ALLORA SIAMO FOTTUTI)
Nel caso dell’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran è necessario prestare
attenzione alle date.
La 29enne è partita il 12 dicembre per Teheran, dove avrebbe dovuto soggiornare per otto giorni, come permessole dal visto giornalistico, ottenuto senza troppi problemi, per conto della piattaforma di podcast “Chora”, diretta da Mario Calabresi.
Non appena atterrata, Sala ha postato una foto di Teheran, scrivendo: “Mi è mancato persino il tuo smog”.
Nei giorni seguenti ha fatto interviste e registrato regolarmente tre puntate del suo podcast, Stories, intervistando anche Hossein Kanaani, uno dei fondatori dei pasdaran iraniani (non proprio un dissidente del regime).
Poi, il 19, improvvisamente, è stata arrestata, riuscendo a comunicare con l’Italia il giorno dopo, il 20, con due telefonate: una alla madre, e l’altra al compagno, Daniele Raineri (giornalista del Post, già inviato di guerra in aree sensibili, prima per “il Foglio”, poi per “Repubblica”, epoca Molinari).
Qualche giorno prima, il 17 dicembre, i giornali italiani danno la notizia dell’arresto, su mandato internazionale (ordine degli americani) dell’ingegnere elvetico-iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, accusato di trafficare armi, nello specifico droni, per conto del regime degli ayatollah.
Come accade per casi come questo, in cui in ballo ci sono i rapporti internazionali e delicati equilibri geopolitici, l’arresto viene di solito comunicato ai media con qualche giorno di ritardo, una procedura utile a gestire il caso a livello di deep state: si muovono i servizi segreti, i ministeri competenti, le ambasciate, i Paesi alleati, e solo alla fine si coinvolge la stampa.
La domanda sorge spontanea: dopo l’arresto di Abedini, cosa hanno fatto l’Aise di Caravelli e il ministero degli Esteri di Tajani?
Alla luce della nota “diplomazia degli ostaggi” praticata dall’Iran, Farnesina e Intelligence si sono attivati per allertare i nostri concittadini A Teheran?
Stando a quanto scriveva ieri “il Fatto quotidiano”, sembrerebbe di no: “Per quanto ne sanno a Chora Media, Sala non ha ricevuto messaggi di allarme, ‘era tranquillissima’, eppure una giornalista molto nota come lei era un eccellente bersaglio. Il governo italiano ha capito subito che l’arresto di Abedini era un serio problema politico?
O ha atteso che Teheran protestasse ufficialmente, convocando il numero due della nostra ambasciata?
Della protesta ha dato notizia l’agenzia di stampa iraniana il 22 dicembre, quando Sala era già stata arrestata, ma risaliva a qualche giorno prima”, conclude il giornale di Travaglio.
Che qualcosa nella macchina burocratica della Farnesina si fosse inceppato è stato chiaro a tutti quelli che hanno letto, il 17 dicembre, l’articolo, a firma di Gabriele Carrer, su “Formiche”: “L’arresto in Italia e la richiesta di estradizione delle autorità americane hanno fatto alzare la guardia sulla situazione degli italiani e degli italo-iraniani in Iran e di quelli intenzionati a viaggiare nel Paese. Si teme che Teheran possa reagire prendendoli in ostaggio per mettere pressione all’Italia chiamata a decidere sull’estradizione negli Stati Uniti”.
E continua: “La cosiddetta diplomazia degli ostaggi non è una novità per l’Iran. Un recentissimo rapporto dell’Institut français des relations internationales evidenzia come Teheran utilizzi la detenzione di cittadini occidentali, doppi cittadini o cittadini iraniani residenti in Europa, Australia o Stati Uniti come leva nei negoziati diplomatici. Il tutto, proprio per esercitare pressioni per ottenere concessioni politiche, economiche o diplomatiche all’interno della strategia di risposta asimmetrica di Teheran”.
Un passaggio, quello segnalato da Carrer, sempre bene informato su questioni di intelligence, che lascia immaginare una palpabile apprensione da parte dei nostri 007 per possibili ritorsioni del regime iraniano.
Qualcuno, all’Aise, temeva probabilmente ciò che poi è accaduto. E magari il nostro apparato di intelligence contava di far sapere che la cosidetta “diplomazia degli ostaggi”, cara non solo all’Iran (vedi gli scambi di spie Usa-Russia), era stata portata subito all’attenzione della Farnesina e di Palazzo Chigi.
Il “messaggio” è stato recepito dal governo Meloni? L’hanno per caos sottovalutato? Il ministero degli Esteri ha diramato un alert per mettere in sicurezza gli italiani in Iran? L’ambasciata a Teheran ha contattato i nostri connazionali, a partire da Cecilia Sala, informandoli del rischio di finire in galera
La domanda sorge spontanea: ai i piani alti della Farnesina, tra la Direzione Medioriente, l’Unità di Crisi, ambasciatori, c’è stato qualcuno che abbia unito i puntini tra l’arresto dell’iraniano Abedini e il pericolo di una possibile ritorsione verso gli italiani?
A maggior ragione che i pasdaran di Teheran stavano cercando una “preda” utile a far scoppiare un caso diplomatico su cui fare leva per riportare in patria il loro ingegnere-spione.
E chi meglio di Cecilia Sala poteva servire allo scopo: una giornalista-influencer (400mila follower prima dell’arresto, ora veleggia verso il mezzo milione), giovane e bella, volto televisivo, apparendo in diverse trasmissioni su La7, legata sentimentalmente a Daniele Raineri, giornalista noto nell’ambiente diplomatico e dell’intelligence per i suoi lavori e viaggi in Paesi ad alto rischio in quell’area: nel 2015 il suo nome salì alla ribalta quando vennero rapite in Siria le volontarie Greta Ramelli e Vanessa Marzullo).
Gli iraniani devono aver pensato che il boccone era mediaticamente troppo ghiotto per lasciarselo scappare.
Erano certi che il rapimento della Sala avrebbe mobilitato un’attenzione mediatica che ad altre persone, meno “profilate”, non sarebbe stata riconosciuta
La tesi che circola tra gli analisti è che Teheran dall’inizio volesse un certo clamore internazionale, per la complessità del caso Abedini: pur essendo detenuto in Italia, infatti, ci sono le manone americane sul “mago dei droni”.
Riportarlo a casa non è affatto facile. L’unico spiraglio era creare il “caso”, incalzare così le autorità statunitensi e italiane con la crescente pressione dell’opinione pubblica.
Un brutto cetriolo ora per il governo Ducioni, che dovrà sbrogliare la matassa prima dell’insediamento di Donald Trump, il 20 gennaio: finché c’è l’anatra zoppa Biden, ormai a fine mandato e con un piede e mezzo nella pensione, si può ancora trovare una furbesca exit strategy. Una volta arrivato il tycoon alla Casa Bianca, saranno cazzi amari per Palazzo Chigi rigettare l’estradizione richiesta dalle autorità americane.
D’altronde, non sarebbe la prima volta che il Governo Meloni si trova a gestire nel peggiore dei modi un detenuto nel mirino di Washington. Nel 2023 a creare tensione tra Italia e Usa ci pensò il baldo Artem Uss.
Nel caso del figlio dell’oligarca russo, che Washington chiedeva di estradare negli Stati uniti, sappiamo come è finita: una volta che i giudici hanno deciso di farlo uscire dalla galera e confinarlo ai domiciliari, zac!, Uss è stato misteriosamente “liberato” sotto il naso delle autorità italiane da un commando di 6 uomini (un italiano di origine bosniaca, tre serbi e due sloveni) ed è tornato a Mosca sano e salvo. Un lavoro ”pulito” che fece imbufalire Washington.
Ed facile immaginare l’incazzatura dell’intelligence Usa leggendo ieri su “Repubblica” l’intervista al viceministro agli Esteri, Edmondo Cirielli (FdI), quando afferma che il trentottenne iraniano arrestato a Malpensa su mandato Usa ”potrebbe non essere estradato, ha commesso un reato soggettivo, Nordio sta studiando le carte…
È chiaro che viene valutato giuridicamente. Viene accusato di spionaggio, se pretendiamo dagli altri diplomazia, dobbiamo essere cauti anche noi….il ministro farà le sue valutazioni”.
Dopo il “Nordio che sta studiando le carte”, l’incauto (e inadeguato) Cirielli apre un altro fronte quando aggiunge una frase sibillina sulla povera Cecilia Sala: “In linea di massima, immaginiamo che ci sia qualche violazione protocollare legata al suo lavoro di giornalista, comportamenti che da noi non sono reato. Quindi giocheremo sulla difformità degli ordinamenti giuridici”.
Il mattacchione della Farnesina non spiega quale potrebbe essere una “violazione protocollare legata al suo lavoro di giornalista” e assicura baldanzoso: “Utilizzeremo il fatto che in Occidente siamo quelli che hanno rapporti migliori con l’Iran”.
E conclude sempre più sibillino: “Poi la giornalista è molto capace, non abbiamo motivo di ritenere che abbia fatto qualcosa di grave o di oggettivamente sbagliato, anche alla luce del nostro ordinamento”. (Ma che stai a di’?)
(da Dagoreport)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
MALE IL M5S CON – 5%… NEL CENTRODESTRA GUADAGNA SOLO FORZA ITALIA + 1,5%
Il 2024 si chiude in bellezza per il Partito democratico che è cresciuto del 4% negli ultimi dodici mesi. Il bilancio dell’anno che sta per concludersi è negativo invece, per il Movimento 5 Stelle che è crollato di 5 punti percentuali.
Queste sono alcune delle tendenze che emergono, dal confronto di Repubblica tra la prima e l’ultima supermedia Youtrend del 2024. Vediamo come sono andati gli altri partiti, quali sono andati meglio e quali sono calati nei consensi.
Il bilancio del 2024 è senz’altro positivo per il Pd, che ha guadagnato 4 punti rispetto a inizio anno. I dem infatti, sono passati dal 19,3% di gennaio al 23,5% di dicembre. Già negli scorsi mesi diversi sondaggi avevano certificato la crescita del Pd, che ha gradualmente accorciato la distanza con il rivale, Fratelli d’Italia.
Oggi il partito di Elly Schlein guida la testa dell’opposizione, di cui è la prima forza politica, e si pone come il principale competitor di Meloni e dei suoi. Tra Pd e Fdi lo stacco si è ridotto parecchio, passando dai nove punti di gennaio a meno di cinque attuali.
Per quanto riguarda Fratelli d’Italia, l’andamento è rimasto sostanzialmente invariato. Nella prima supermedia era dato al 28,7%, pressoché uguale all’ultima (28,8%).
A salutare il 2024 sulle medesime posizioni è anche l’alleato leghista. Il Carroccio chiude un anno complicato ma senza gravi perdite, confermando l’8,8% di gennaio.
È negativo invece, il bilancio del Movimento 5 Stelle, che registra un significativo calo di voti. A inizio anno, i pentastellati si attestavano attorno al 16,4%, mentre oggi sono dati all’11,4%, con 5 punti in meno.
Il crollo è evidente per il partito di Giuseppe Conte, attraversato nell’ultimo anno da crisi e tensioni interne, culminate con la fuoriuscita del suo fondatore Beppe Grillo.
Secondo gli analisti quel 5% perso dal M5s potrebbe essere confluito una parte nel Pd, una parte dentro Alleanza Verdi-Sinistra, che nell’ultimo anno ha quasi raddoppiato le sue percentuali. Se a gennaio Avs era dato al 3,4%, ora il partito di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni è al 6,4%.
Tornando nelle file della maggioranza, si segnala la variazione positiva degli azzurri. Forza Italia aveva iniziato l’anno al 7,5%, sotto il partner leghista, e ora lo conclude al 9,1%. L’ultima supermedia dunque, certifica un guadagno di due punti e il sorpasso sull’alleato.
Tra le forze centriste invece, la situazione pare peggiorata. Azione passa dal 3,9% di gennaio agli attuali 2,7% e anche Italia viva scende di un punto (dal 3,3% al 2,3%). Non va bene nemmeno per Più Europa, che chiude all’1,9%, contro il 2,4% di inizio anno. Infine, resta stabile Noi Moderati, fermo all’1%.
(da Fanpage)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL DIRETTORE DI YOUTREND
Lorenzo Pregliasco, direttore di Youtrend, che anno è stato il 2024 in termini di
consenso elettorale?
«Se uno guarda la storia recente, si può parlare di una relativa stabilità di tutti. Non siamo di fronte agli exploit dei 5stelle nel 2018 o della Lega del 2019, per non parlare del boom del 2022 di Fratelli d’Italia […]»
Come la crescita del Pd e il calo del Movimento.
«Sì, abbiamo registrato cambiamenti soprattutto nel campo giallorosso, chiamiamolo così, dopo una lunga fase in cui i due partiti erano vicini. Le Europee hanno avuto un effetto di trascinamento dei principali partiti dei due poli. In seguito i 5s un po’ hanno recuperato, ma comunque non abbastanza e ora sono nettamente dietro al Pd»
C’è stato un flusso di voti 5s verso i dem?
«Verso l’astensione, verso il Pd, e anche verso Avs, l’altro fattore dell’equazione. È l’offerta tradizionale di centrosinistra ad aver drenato voti. Come si può evincere anche dalle regionali chi è rimasto elettore 5s è di centrosinistra e quindi più attratto dal Pd».
L’altro dato che colpisce è la tenuta della maggioranza.
«Sì, nel centrodestra poteva andare peggio. Siamo invece di fronte a un caso quasi unico a livello europeo, di una coalizione che sta al governo da più di due anni, che è stabile o incrementa. Si scambiano i voti, ma non passano dall’altra parte».
Forza Italia è cresciuta.
«Il sorpasso di FI sulla Lega segnala un cambio di stagione. L’impressione è che Tajani sia riuscito a riprendere il voto dal centro che è inutilmente parcellizzato»
Nessuna sorpresa a livello di coalizione.
«Il consolidamento del Pd non fa ancora crescere la coalizione. Così i due campi sono bloccati. Poi l’intero sistema è molto frammentato. Se metti insieme Pd e FdI stai solo al 52%. Anche nella Seconda repubblica raramente si arrivava a metà dell’elettorato con i due principali partiti, che si sono stabilizzati sui due tetti. Il Pd ha avuto picchi più alti, credo possa salire, ma deve prendere voti fuori o dagli astenuti. O dovrebbe crescere l’astensione nel polo opposto. Finché non si apre uno dei due scenari il centrodestra rimane favorito a una prossima elezione».
(da La Repubblica)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
“LA PROCURA RICORRA IN APPELLO, LA SENTENZA CONTRASTA CON ALTRI PRONUNCIAMENTI E CON IL DIRITTO INTERNAZIONALE”
Dopo la sentenza in primo grado del Tribunale di Palermo sul caso Salvini/Open Arms non sembra eludibile il ricorso in Appello, e poi se necessario alla Corte di Cassazione, sotto un duplice punto di vista: innanzitutto perchè alla luce delle motivazioni che saranno pubblicate dal Tribunale di Palermo si dovrà verificare la compatibilità delle tesi dei giudici palermitani, che hanno evidentemente recepito almeno in parte le tesi della difesa di Salvini, con i precedenti pronunciamenti della Corte di Cassazione e di diversi Tribunali, nei quali, a partire dal caso Rackete (sentenza n.6626/2020) si riconosceva che le operazioni di soccorso in mare non possono che concludersi con lo sbarco nel porto sicuro del paese che aveva assunto, seppure non dall’inizio delle attività di ricerca e salvataggio (SAR), il coordinamento previsto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare.
Come si era indubbiamente verificato nel caso Open Arms, dopo il decreto del TAR Lazio che il 14 agosto del 2019 sospendeva il divieto di ingresso nelle acque territoriali adottato dal ministro dell’interno agli inizi di agosto di quell’anno, subito dopo il primo soccorso.
Non si vede come dietro la formula “il fatto non sussiste”, al di là degli elementi soggettivi e dei nessi di causalità, si siano ritenute irrilevanti risultanze di fatto che erano state analiticamente esposte dalla Procura ed ampiamente documentate con il concorso delle parti civili nel corso del procedimento.
Sarà importante capire se la sentenza del Tribunale di Palermo sul caso Salvini/Open Arms passerà in giudicato o se sarà riformata in ulteriori gradi di giudizio. Perchè comunque contiene un principio in contrasto con una consolidata giurisprudenza dei Tribunali che hanno finora archiviato tutti i procedimenti penali avviati contro le Organizzazioni non governative. In sostanza, se la sentenza del Tribunale di Palermo passasse in giudicato, anche alla luce delle più recenti leggi, come il Decreto Piantedosi (legge n.15/2023) il ministro dell’interno potrebbe vietare se non l’ingresso nelle acque territoriali, adesso espressamente consentito dalla legge, dopo la modifica introdotta dal Dereto Lamorgese (Legge n.130/2020), lo sbarco a terra, in attesa della conclusione delle trattative con lo Stato di bandiera della nave, o con altri paesi dell’Unione europea, al fine di una redistribuzione dei naufraghi già decisa con atti formali prima del loro sbarco a terra. Ed ancora una volta persone particolarmente vulnerabili come i naufraghi si verrebbero a trovare al centro di una negoziazione tra Stati portatori di interessi diversi, in assenza di una chiara normativa europea che renda obbligatoria la redistribuzione.
Problema sul quale si è incagliato anche il recente Patto europeo sulla migrazione e l’ìasilo. Sono queste le ragioni che rendono necessario il ricorso in appello contro una decisione che, al di là delle sue specifiche motivazioni, da valutare in sede di giudizio di secondo grado, potrebbe riaprire un fronte fortemente conflittuale con i paesi membri dell’Unione europea, a scapito dei diritti fondamentali delle persone soccorse in mare. Nel caso specifico dell’Italia, il riconoscimento di un siffatto potere del ministro di vietare lo sbarco di naufraghi soccorsi in acque internazionali si scontrerebbe non solo con il diritto internazionale del mare (in particolare con le Convenzioni SAR e SOLAS recepite dal Regolamento europeo Frontex n.656 del 2014), ma con il dettato costituzionale dell’art.10 della Costituzione che impone l’ingresso nel territorio nazionale in favore delle persone che intendono fare richiesta di asilo, vietando di conseguenza i respingimenti collettivi e la cancellazione delle garanzie procedurali in frontiera che mirano a consentire l’accesso al territorio in vista dell’eventuale riconoscimento di uno status di protezione.
Fulvio Vassallo Paleologo
Avvocato, componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Giurisprudenza di Palermo
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DI SEZIONE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE: “GRAVE AVER NEGATO ANCHE IL REATO DI RIFUTO DOLOSO DI ATTI D’UFFICIO RITENENDOLO UN “ATTO POLITICO”
Ostacolare il salvataggio dei naufraghi vietando lo sbarco produce effetti lesivi nella
sfera giuridica delle persone recuperate in alto mare. Per questo riteniamo sbagliata la sentenza di Palermo che ha assolto Matteo Salvini
Alla scontata esultanza dei leghisti per l’assoluzione di Salvini si è unita quella di esponenti di spicco del governo, a partire dalla premier Giorgia Meloni, che ha espresso la sua “grande soddisfazione” per il verdetto. Questo giudizio, secondo Meloni, dimostra l’infondatezza delle accuse rivolte al vicepremier, sottolineando come la sentenza rappresenti una vittoria non solo per Salvini, ma per l’intero esecutivo.
Comprendiamo l’esultanza della Meloni per questa “vittoria” dopo le tante batoste giudiziarie ricevute dal suo esecutivo, l’ultima il 19 dicembre dalla Corte di Cassazione che ha confermato il potere/dovere dei giudici di sindacare i decreti sui Paesi sicuri.
Non comprendiamo, invece, le reazioni di chi, dal lato opposto, parte dall’assoluzione per censurare come controproducente l’intervento giudiziario in quanto rivolto a risolvere attraverso la via giudiziaria questioni politiche.
E’ ben vero che non è concepibile una via giudiziaria per modificare un orientamento politico, ma la Costituzione, le leggi, il diritto internazionale dei diritti umani, tracciano delle regole che rappresentano dei limiti all’esercizio dei pubblici poteri.
E’ compito di un altro potere (il giudiziario) assicurarsi che questi limiti non vengano violati. L’indipendenza della magistratura è garantita dalla Costituzione proprio per consentire ai giudici di sindacare gli abusi dei poteri pubblici e privati, a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo.
Quando un pubblico potere si avvia lungo una strada che produce discriminazioni, disprezzo dei diritti inviolabili di singoli o di categorie di persone, l’intervento giudiziario assume necessariamente – a prescindere dall’orientamento dei singoli giudici – una funzione contromaggioritaria.
Di questa funzione non dobbiamo scandalizzarci, come fa la destra al governo, perché è un segnale di vitalità della nostra democrazia. Questo segnale non è venuto da Palermo. Anche se non conosciamo le motivazioni della sentenza, il dibattito processuale e la formula adottata ci danno sufficienti informazioni per capire il principio di diritto a cui si è ispirata la decisione.
Alla luce delle intimidazioni rivolte ai giudici, il primo pensiero va al principio di diritto che Alessandro Manzoni esprime per bocca di don Abbondio: il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare.
Ma non è questo il punto dirimente. L’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, non esclude la sussistenza del fatto materiale contestato (cioè di aver impedito di portare a termine il salvataggio dei profughi recuperati in alto mare dalla nave Open Arms, vietando lo sbarco), ma esclude che il fatto contestato sia qualificabile come reato.
Se in ordine all’imputazione di sequestro di persona poteva sorgere qualche dubbio sulla corrispondenza con la fattispecie tipica di cui all’art. 605 del codice penale, l’assoluzione anche per il reato di rifiuto doloso di atti d’ufficio, dimostra che il Tribunale di Palermo non ha effettuato una valutazione di merito della condotta ascritta al Ministro, ritenendola insindacabile in quanto “atto politico”, come rivendicato dalla difesa di Salvini.
Il nodo giuridico in questo processo verte proprio in ordine alla natura e alla delimitazione dei confini dell’atto politico, cioè di quegli atti delle autorità di governo che non sono sindacabili dal potere giudiziario. In un ordinamento democratico l’ambito di operatività dell’atto politico è minimo, mentre è massimo nelle dittature. La Cassazione ha chiarito quali siano i limiti dell’atto politico nel nostro ordinamento, da ultimo con la sentenza n.33398/2024 depositata il 19 dicembre, dove osserva che: “La nozione di atto politico è di stretta interpretazione ed ha carattere eccezionale, atteso che il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere costituisce un profilo fondante della Costituzione italiana (Cass., Sez. Un., 1° giugno 2023, n. 15601) (..) Nella stessa direzione cospira l’art. 113 Cost., letto in connessione con l’art. 24 Cost. Essi esprimono il principio di legalità-giustiziabilità: le posizioni giuridiche soggettive esigono una tutela e, quindi, nessun atto riconducibile alla funzione amministrativa che produca effetti lesivi rispetto a tali situazioni può essere considerato non sindacabile.”
A nostro parere, ostacolare il salvataggio dei naufraghi vietando lo sbarco produce effetti lesivi nella sfera giuridica delle persone recuperate in alto mare. Per questo riteniamo sbagliata la sentenza di Palermo.
Se l’Autorità giudiziaria allarga i confini dell’atto politico, viene favorita quella torsione autoritaria che caratterizza la politica attuale, non solo in Italia. Non è solo un problema di migranti, se cadono le barriere erette dalla Costituzione all’insindacabilità degli atti di governo, si possono verificare effetti paradossali. Basti pensare a quella – per fortuna isolata -ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione, depositata nel giugno del 2002, che ha dichiarato “atto politico” una strage compiuta dalla NATO a Belgrado in cui furono uccise 16 persone.
Domenico Gallo
già Presidente di sezione presso la Corte di Cassazione
(da Adif)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
IL MILIARDARIO AMICO DI TRUMP ATTACCA IL PRESIDENTE STEINMEIER (“PERDERÀ LE PROSSIME ELEZIONI”), NON SAPENDO CHE NON È CANDIDATO PERCHÉ È IL CAPO DELLO STATO
Elon Musk continua con la sua campagna di riciclaggio di un partito sporco. E su un giornale reazionario, certo, ma dal quale forse non ci sarebbe aspettata un’operazione del genere. Si narra che sul letto di morte Axel Springer, fondatore della Bild, abbia chiesto alla sua famiglia di non vendere mai la Welt.
Che all’epoca era il fratello minore, il quotidiano meno letto e meno gridato del tabloid più letto d’Europa, ma perennemente in crisi di vendite. Ieri il giornale berlinese, che nel frattempo vanta una delle pagine web più lette in Germania, ha scatenato una bufera per una decisione che forse avrebbe fatto storcere il naso al controverso fondatore, odiato dalla sinistra ma filoatlantista e filoeuropeista fino al midollo.
Nella sua versione domenicale, la Welt ha pubblicato un commento di Musk a sostegno dell’Afd, un partito filorusso che nel programma elettorale propone l’uscita di Berlino dalla Ue e dall’euro. E per il proprietario di X solo l’Afd può salvare la Germania dal declino economico. Apriti cielo.
A Natale Musk aveva già twittato che «solo l’Afd può salvare la Germania ». E secondo alcuni media sarebbe stato l’attuale editore del gruppo Springer (che possiede anche Politico), Mathias Doepfner, a cercarlo per chiedergli di articolare meglio quel tweet. Il risultato è un commento che mostra solo come Musk non abbia mai letto il programma dell’Afd e punti a normalizzare una forza politica ritenuta pericolosa per la democrazia persino dai servizi segreti tedeschi.
Nella riunione di redazione sembra che alcuni giornalisti di punta come il vicedirettore Robin Alexander si siano espressi contro la pubblicazione. E la discussione accesa tra colleghi ha mietuto una vittima eccellente: la capa delle pagine dei commenti, Eva Marie Kogel, si è dimessa. Ma nel frattempo la polemica si è allargata.
Dimostrando ancora una volta di non capire nulla della Germania, Musk ha pubblicizzato il suo commento segnalando che era uscito su una fantomatica “Weld”, con la “d” finale. E già che c’era ha attaccato il presidente della Repubblica Steinmeier che venerdì aveva stigmatizzato il suo sostegno all’Afd: «Perderà le prossime elezioni», ha twittato.
Ignorando che Steinmeier non è candidato perché è il capo dello Stato. Ma contro il patron di Starlink e Tesla, dopo giorni di assordante silenzio, è sceso in campo il capo dei cristianodemocratici e probabile prossimo cancelliere, Friedrich Merz, che ha criticato «l’invadente e presuntuoso spot elettorale» di Musk.
In più, Merz gli ha ricordato che l’uscita della Germania dalla Ue «danneggerebbe l’economia tedesca », e «non solo quella automobilistica ». Vale la pena di ricordare che l’Afd, coerentemente con il suo odio per le auto elettriche, protestò a lungo contro la costruzione della Gigafactory di Tesla in Brandeburgo.
(da La Repubblica)
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