Destra di Popolo.net

“MELONI SCAPPA” SUL CASO ALMASRI E MANDA NORDIO E PIANTEDOSI DOMANI A RIFERIRE E SCHIANTARSI ALLA CAMERA

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

VIETATA LA DIRETTA TV ALLA CAMERA, CI SARA’ SOLO AL SENATO… LA RELAZIONE SCRITTA DI DOMANI L’AVRA’ SCRITTA LA BONGIORNO CHE E’ STATA NOMINATA LA LORO LEGALE?

Prevista domani alle 12.15 l’informativa alla Camera dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi sul caso Almasri. È quanto è stato comunicato durante la riunione dei capigruppo.
Alla domanda perché non fosse direttamente la premier Meloni a intervenire, Luca Ciriani, ministro dei rapporti con il Parlamento, ha risposto: “La premier ha ritenuto che i due ministri fossero adeguati a parlare”. Ciriani ha aggiunto: “Il governo non scappa dal Parlamento. Abbiamo chiesto tempo per approfondire un fatto clamoroso. Sono due ministri molto importanti in grado di dare risposte adeguate”.
Critico con la scelta del governo Riccardo Ricciardi, capogruppo alla Camera del Movimento 5 Stelle: “La Meloni si nasconde dietro i suoi ministri. Non si capisce perché, se vengono i suoi ministri, la Meloni non venga in aula. Continua a scappare. Vedremo domani quali saranno le mille versioni e contraddizioni del governo”.
Duro anche il Pd, che attraverso la capogruppo Chiara Braga afferma: “La Meloni continua a scappare dal Parlamento. L’informativa dei ministri Nordio e Piantedosi era il minimo dovuto, a fronte del fatto che la scorsa settimana è stata annullata. Non capiamo per quale motivo, essendo lei nelle stesse condizioni dei suoi ministri, rifiuti di venire in parlamento e spiegare ad esempio quali sono le ragioni di sicurezza, il motivo per cui non ha posto il segreto di stato. C’è il tentativo continuo di sfuggire”.
Attacca la premier anche Italia vivacon Davide Faraone: “Dopo una settimana e dopo continue pressioni abbiamo finalmente ottenuto l’informativa – spiega -. Domattina verranno in aula Nordio e Piantedosi. Quello che non si spiega è perché i due ministri possano venire, mentre la presidente del Consiglio no, e soprattutto perché la scorsa settimana non potevano riferire in Parlamento mentre questa settimana sì. Ma non dobbiamo farci troppe domande davanti al governo delle incongruenze”.
Da Avs, la capogruppo Luana Zanella osserva: “Abbiamo insistito perché fosse la premier a riferire in aula sul caso Almasri. Il governo manda invece Nordio e Piantedosi, ha fatto il minimo, ma noi abbiamo dovuto combattere una settimana per averli”.
Inoltre le opposizioni, durante la riunione, hanno chiesto la diretta televisiva per l’informativa. Per trasmettere il segnale ci vuole l’unanimità dei gruppi parlamentari ma, a quanto si apprende, due partiti di maggioranza non hanno acconsentito. La contrarietà è stata espressa da Forza Italia e Lega. Anche su questo l’opposizione è andata all’attacco.
Alla fine pare che la diretta Tv ci sia solo al Senato.
Intanto viene fatto sapere che giovedì 13 febbraio il Parlamento si riunirà in seduta comune per l’elezione dei nuovi giudici della Corte costituzionale
(da agenzie)

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“COSTRETTI A PARTIRE PER L’ITALIA DALLA POLIZIA DI ALMASRI, NOI VOLEVAMO STARE IN LIBIA”

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

IL DRAMMA DEI MIGRANTI PRIMA DEPORTATI IN ALBANIA E POI SBARCATI A BARI, TAGLIEGGIATI PRIMA DAL TRAFFICANTE LIBERATO DAL GOVERNO MELONI

Il paradosso di molti di coloro che sono stati spediti (per poco) a Shengjin: erano partiti sì, ma per lavorare in Libia. Sino al giorno della cattura. Il racconto alla delegazione Pd
Presi e trasportati come pacchi in giro per il Mediterraneo. È la storia di molti dei 49 migranti finiti – per poche ore anche questa volta – in Albania la scorsa settimana in esecuzione del progetto-bandiera del governo Meloni. Del peregrinare da una riva all’altra dell’Adriatico sappiamo tutto, così come dei relativi dissidi politico-giuridici: la magistratura annulla i trattenimenti decisi dal governo, quest’ultimo grida al complotto o quanto meno alla gamba tesa dei giudici. Per lo meno fino al prossimo 25 febbraio, quando la Corte di giustizia europea dovrebbe mettere finalmente un punto sulla vicenda e chiarire la fondatezza o meno della linea d’azione dell’esecutivo Meloni – basata sulla convinzione che spetti ad esso e nessun altro stabilire quali sono i Paesi sicuri per il rimpatrio.
Ma il fatto è, si scopre ora dai racconti di chi ha parlato direttamente con alcuni dei migranti in oggetto, che quei trasbordi da e per l’Albania non sono stati gli unici imposti contro la loro volontà. L
o stesso viaggio che in origine doveva portarli in Italia, per molti di loro, era una dolorosa imposizione. Perché la loro scelta era un’altra: restare a vivere e lavorare in Libia.
È la storia sorprendente che racconta a Open Toni Ricciardi, storico delle migrazioni che oggi è anche deputato Pd. In tale veste è stato tra i parlamentari che la scorsa settimana hanno presidiato l’area di Shengjin, il porto albanese dove approdano le navi della Marina militare italiana con a bordo i migranti. Da loro – «quelli con cui ci hanno consentito di parlare», precisa – ha ricevuto la sorprendente ricostruzione
Il risveglio dell’orrore in Libia
«Nessuno di loro sapeva alcunché del “progetto Albania”, dunque la narrazione secondo cui questo sarebbe un deterrente alle partenze non sta in piedi», argomenta Ricciardi. «Ma c’è di più: nessuno di loro voleva proprio imbarcarsi verso l’Italia o l’Europa». Il loro progetto di vita era diverso, e la beffa più amara è che si era già realizzato, prima che tutto andasse perduto.
«La maggior parte dei migranti con cui abbiamo parlato provengono dal Bangladesh. Loro progettavano di andare a lavorare in Libia. Ed è quello che hanno fatto, arrivandoci con volo regolare via Dubai». Costo tipico di un biglietto di sola andata per il Paese nordafricano considerato foriero di opportunità: 1.000 euro. Lì i migranti avevano trovato effettivamente lavori, anche dignitosamente retribuiti: come imbianchini, muratori o altro. È qui però che, anche nelle loro vite, si è disvelato il terribile “lato oscuro” della Libia.
«Da un giorno all’altro improvvisamente sono stati prelevati dalla “polizia libica”. Qui sono stati picchiati, privati dei passaporti e messi nelle mani dei quella mafia che Meloni dice di voler combattere», riferisce e attacca Ricciardi. La distinzione tra apparati dello Stato e mafie che gestiscono i centri di detenzione per migranti è quanto mai labile, e parte dei migranti trasferiti verso e poi dall’Albania hanno riconosciuto, come noto, uno dei capi di questa paurosa zona grigia, quell’Osama Najeem Almasri espulso due settimane fa dall’Italia verso la Libia per ragioni di «sicurezza dello Stato».
L’aut aut dei trafficanti dopo le torture
Il seguito delle storie riferite dai bengalesi alla delegazione Pd, con tante di prove sui loro corpi, è quello drammatico raccontato ormai da centinaia e centinaia di altri. La porta di un malfamato centro che si chiude alle spalle, le botte, le torture. La richiesta di riscatto alle famiglie a casa, se necessario per «i più reticenti» con annessa videochiamata dell’orrore in diretta.
Metodo sicuro: alla fine la somma viene raccolta e il denaro del riscatto arriva. Secondo un preciso “tariffario” che tiene conto delle nazionalità di provenienza e del lavoro svolto. Per i bengalesi strappati a lavori umili ma degni in Libia, di norma la tariffa s’aggira attorno ai 7mila euro.
E qui viene l’ultima parte della saga, in questo caso meno nota. Perché agli immigrati che erano entrati regolarmente nell’ex Paese di Gheddafi per lavorarci, viene posto a questo punto un aut aut: «O torni a casa tua o ti mettiamo su un barchino verso l’Italia».
Per chi ha sofferto l’umiliante percorso descritto, per lo meno nel caso di chi ha origini in Bangladesh, la prima opzione di fatto non è percorribile: avendo dilapidato tutto e costretto le loro famiglie a indebitarsi, rientrerebbero “marchiati” alla stregua di servi della gleba, spiega Ricciardi. È così che si trovano costretti a partire per l’Italia. Che non era proprio nei loro piani. Figurarsi l’Albania. «È così che, dopo aver rapito, torturato e depredato, le mafie che gestiscono la Libia usano la pressione migratoria come un’arma di ricatto sull’Italia. Ormai lo sappiamo. L’unica vera domanda cui Meloni deve rispondere è: che rapporti ha con quei vertici di potere?», conclude Ricciardi.
(da Open)

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ROBERTO SPERANZA: “IO, INDAGATO OTTO VOLTE DURANTE LA PANDEMIA, MA NON SONO MAI SCAPPATO”

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

L’EX MINISTRO DELLA SALUTE: “IL GOVERNO VUOLE SOLO DISTRARRE Lì’OPINIONE PUBBLICA”

Roberto Speranza ha ricevuto la comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati «sette-otto volte durante il Covid». Proprio la stessa di cui oggi si lamenta la premier Giorgia Meloni a proposito del caso Almasri. Ma lui e l’allora premier Giuseppe Conte hanno «reagito in modo molto diverso: quando un ministro o un premier sono chiamati in Parlamento, devono andare sempre e comunque. Non fuggire. Dal primo provvedimento sui rave party all’ultimo messaggio social sull’indagine, il governo sembra voler distrarre il pubblico e i problemi reali sono derubricati. Come opposizione non dobbiamo cadere nella trappola: Meloni deve venire in aula, ma noi dobbiamo partire dai problemi reali del paese», dice oggi al Fatto Quotidiano
Le indagini sulla pandemia
Le inchieste, spiega l’ex ministro della Sanità a Wanda Marra, sono state «tutte archiviate con formula piena». Anche quella di Bergamo promossa dall’associazione dei familiari delle vittime Covid finanziata dalla Fondazione di An: «Ho letto di 25 mila euro di donazioni. Trovo incredibile che la capa di un partito la cui Fondazione ha finanziato quell’associazione ora faccia la vittima». Poi parla dell’alleanza M5s-Pd: «La mia esperienza è che sui temi reali siamo più vicini di quello che appare. Ricordo il sostegno senza precedenti alla sanità pubblica durante il Covid o la decisione di bloccare i licenziamenti. Dietro quelle scelte c’è un’idea di Paese che ci unisce. Non è vero che l’alternativa alla Meloni non esiste, l’abbiamo già vista al governo e dobbiamo rivendicarla. Siamo già uniti sulla difesa dei valori della Costituzione, sulla battaglia contro il premierato, l’autonomia differenziata, sul salario minimo».
Jobs Act
Infine, Speranza spiega perché ha votato il Jobs Act: «Io insieme ad altri, dopo una difficilissima discussione, votammo solo per responsabilità anche sulla base di una mediazione poi del tutto tradita dai decreti delegati. Non si scambi mai quel voto che tanti hanno dato con un consenso che non c’era. Quella mediazione fu tradita e fu una delle ragioni che poi ci portò a uscire da quel partito. Ora ho firmato il referendum per abolirlo e mi spenderò per sostenerlo».
(da agenzie)

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LE SVASTICHELLE DI AFD HANNO TERRENO FERTILE: IN GERMANIA UN GIOVANE ADULTO SU DIECI NON HA MAI SENTITO PARLARE DEI TERMINI OLOCAUSTO E SHOAH (IL 12%)

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

IL 40% DI CHI HA TRA I 18 E I 29 ANNI NON SA CHE DURANTE IL PERIODO NAZISTA FURONO UCCISI SEI MILIONI DI EBREI… IN FRANCIA, DOVE I MUSULMANI SONO IL 10% DELLA POPOLAZIONE, LA PERCENTUALE DI GIOVANI CHE NON SA (O NON VUOLE SAPERE) DELLO STERMINIO PIANIFICATO DA HITLER ARRIVA AL 46%

Secondo un sondaggio, circa un giovane adulto su dieci in Germania non ha mai sentito parlare dei termini Olocausto o Shoah. In Germania, il dodici percento dei giovani tra i 18 e i 29 anni intervistati ha risposto di non conoscere quelle parole. In Austria la percentuale era del 14%, in Romania del 15% e in Francia addirittura del 46% dei giovani.
Il sondaggio è stato commissionato dalla Jewish Claims Conference e ha coinvolto 1.000 persone in ognuno degli otto Paesi. Questi paesi erano Germania, Francia, Austria, Gran Bretagna , Polonia , Ungheria , Romania e Stati Uniti .
Secondo l’indagine, in tutti questi Paesi c’è una percentuale significativa di giovani che non sa che durante il periodo nazista furono uccisi fino a sei milioni di ebrei. In Germania la percentuale tra i 18 e i 29 anni è del 40%.
Il quindici per cento ha affermato che il numero delle vittime è stato di due milioni o meno. In quasi tutti i Paesi esaminati, la stragrande maggioranza ha affermato che qualcosa di simile all’Olocausto potrebbe ripetersi oggi. Negli USA la percentuale era del 76%, in Gran Bretagna del 69%, in Francia del 63%, in Austria del 62% e in Germania del 61%.
Il Consiglio centrale degli ebrei in Germania espresse preoccupazione per i risultati. “Il preoccupante aumento della violenza verbale e fisica antisemita che stiamo osservando in Germania ha le sue radici in larga misura nella disinformazione e nella mancanza di informazioni sull’Olocausto”, ha affermato il presidente del Consiglio centrale Josef Schuster .
(da agenzie)

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DAZI ALL’UE, LEADER EUROPEI DIVISI SULLA STRATEGIA. PER MELONI “BISOGNA DIALOGARE”

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

MA FRANCIA E GERMANIA NON LA PENSANO COME LA QUINTA COLONNA DI TRUMP IN EUROPA

L’Europa è già divisa sulla strategia per rispondere ai dazi americani, che il presidente Usa Trump ha promesso di imporre a breve, dopo quelli, momentaneamente sospesi dopo una trattativa, imposti a Canada e Messico. Mentrela Cina ha appena varato un pacchetto di contromisure, l’Ue registra le prime spaccature, dopo il Consiglio informale di ieri.
Se infatti Francia e Germania sono per la linea dura, e cioè ritengono che bisogna “Rispondere a Trump con le sue stesse armi”. Giorgia Meloni, in previsione dei dazi con cui Trump ha confermato di voler colpire il Vecchio Continente, è convinta che bisogna trattare, forte anche del suo rapporto bilaterale privilegiato con il tycoon.
Anche perché nelle ultime ore, dopo la trattativa portata avanti dal tycoon con Canada e Messico, e dopo l’annuncio di un possibile dialogo anche con Pechino, è apparso più chiaro l’intento di Trump: fare la voce grossa, mostrare i muscoli, per poi negoziare.
Meloni lo ha detto molto chiaramente al summit informale dei leader europei a Bruxelles: “Dobbiamo mostrarci disponibili a dialogare con Trump e dobbiamo evitare un’over-reaction, una reazione scomposta che sarebbe un errore”, ha detto ieri la premier, secondo quanto si apprende. “Avete visto che il Messico ha già trovato una soluzione? E avete visto che Trump sta cercando un accordo anche con il Canada? Lui fa così, è un negoziatore. Per questo dobbiamo dialogare con lui. Sarebbe sbagliato scegliere la strada del muro contro muro”, avrebbe detto la premier, secondo quanto riportato da un retroscena di Repubblica.
L’incontro di ieri, definito “ritiro”, era stato convocato per un confronto “aperto” sul tema della difesa, una delle priorità europee di fronte al prolungarsi della guerra in Ucraina ma anche all’eventuale disimpegno degli Usa dalla Nato. Ma la questione dazi è stata messa tra le priorità in agenda, dopo la mossa di Trump, che sabato ha deciso di imporre alte tariffe alle merci provenienti da Messico, Canada e Cina.
Francia e Germania propongono una strategia completamente diversa da quella suggerita dall’Italia.
Secondo Emmanuel Macron “l’Europa dovrà farsi rispettare e reagire”, mentre Olaf Scholz ha detto che “Dobbiamo reagire alle politiche doganali con politiche doganali”. Meloni invece vuole porsi come intermediaria, in virtù proprio del suo rapporto con il presidente Usa, consolidato anche dalla visita a Mar-a-Lago e poi dalla partecipazione, unica leader europea, all’Inauguration Day. Ed è per questo che ieri ha promesso alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen che proverà a incontrare Trump, per capire quali sono i margini di una trattativa.
La presidente del Consiglio per il momento ha accuratamente evitato di parlare con i giornalisti a Bruxelles, ma a quanto si apprende nel corso dell’incontro di ieri ha ribadito che una guerra commerciale “non conviene a nessuno”. Piuttosto serve il dialogo per arrivare a soluzioni “equilibrate”, con un riequilibrio della bilancia commerciale che sia “sostenibile” e vantaggioso per entrambe le parti.
Nel calcolo di Meloni c’è probabilmente la possibilità che l’Italia resti comunque al riparo dalla bufera, perché se le cose dovessero mettersi male, almeno il nostro Paese sarebbe al riparo da rappresaglie commerciali americane troppo dolorose. A pagare sarebbero gli altri, come la Germania.

(da Fanpage)

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INTERVISTA A ELLY SCHLEIN: “LA DESTRA E IL TECNOCAPITALISMO SI BATTONO QUANDO LI TRASCINIAMO SULLA GRANDE QUESTIONE SOCIALE: SALARI BASSI, PRECARIETÀ ALTA, LISTE D’ATTESA LUNGHE IN SANITÀ, CASA”

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

“LA GUERRA AGLI IMMIGRATI IN CHE MODO MIGLIORA GLI STIPENDI BLOCCATI DAL NO AL SALARIO MINIMO DI TRUMP E DI MELONI? È UNA RISPOSTA IDENTITARIA CHE DICE AGLI ULTIMI: TI TOLGO CONCORRENZA DAL BASSO, SENZA DIRE COME RIDISTRIBUISCONO DALL’ALTO, LORO CHE STANNO DALLA PARTE DEGLI UOMINI PIÙ RICCHI AL MONDO

La segretaria del Pd Elly Schlein è a Bruxelles, ha partecipato al prevertice del Partito socialista europeo: «Abbiamo cercato di suonare la carica, perché la destra si può battere. A condizione di non inseguirla». Quanto al lodo Franceschini, alle aperture di Conte, al modello ulivista di Prodi, sono discussioni da cui per ora la segretaria si tiene fuori.
Come può proteggersi l’Europa dai dazi trumpiani?
«L’Europa è a un bivio: o è in grado di fare un passo avanti sull’unità, o sarà cancellata. [Va curata ogni giorno, e la prima cosa che deve fare è superare il potere di veto e la regola dell’unanimità».
È un’esortazione fatta anche da ex premier come Prodi, Letta, Draghi. È possibile che accada?
«Davanti alla minaccia dei dazi, agli Stati Uniti che vogliono annettersi la Groenlandia, c’è la consapevolezza che nessuno si salva da solo»
Qual è il rischio, senza un cambio di regole che permetta di prendere alcune decisioni a maggioranza?
«Che gli alleati e i cavalli di Troia che Trump si è cercato dentro l’Ue lo aiutino nel suo intento di indebolire l’Europa».
Cavalli di Troia come l’ungherese Orban?
«Esattamente. Invece di subire la guerra commerciale dei dazi, dovremmo anticipare le mosse americane rilanciando un grande piano di investimenti comuni europeo. Il Next generation Eu spalmava 700 miliardi su quattro anni. Ci vorrebbe almeno ogni anno il doppio di quella cifra da investire in innovazione, per accompagnare la conversione digitale ed ecologica, con una vera politica industriale europea per sostenere la competizione energetica in alcuni settori».
Meloni può fare da mediatrice per l’Europa a un tavolo con Trump?
«Se Meloni vuole aiutare l’Italia deve aiutare l’Europa a cambiare le regole, abbattere i veti e restare unita. È invece rischioso far valere con Trump relazioni bilaterali. Se ogni Paese comincia a trattare per sé, è l’inizio della fine della forza che ha l’Unione. Si fa presto a passare da prima della classe a strumento funzionale a un disegno di disgregazione».
Il governo italiano si può fidare di Musk, che tifa Afd e invita la Germania a non vergognarsi del suo passato nazista?
«Siamo di fronte alla saldatura tra il nazionalismo di estrema destra e il tecnocapitalismo che ha una concentrazione di potere, di ricchezza, di tecnologia senza precedenti nella storia. […] Quel che dobbiamo capire è che non sono imbattibili».
e è sicura?
«In Italia lo abbiamo provato l’anno scorso in tre Regioni. Certo, non li battiamo rincorrendoli sul loro terreno, copiando le posizioni della destra sull’immigrazione o sulla sicurezza. Vinciamo quando li trasciniamo sul terreno su cui stanno più scomodi: la grande questione sociale. Salari bassi, precarietà alta, liste d’attesa lunghe in sanità, casa».
Basta parlare di realtà a chi ha dalla sua parte i soldi, il dominio digitale, il potere politico di influenza degli Stati Uniti?
«Sono d’accordo con Pedro Sanchez quando dice che dobbiamo fare di tutto per contrastare il dominio assoluto delle big tech proteggendo i dati dei 500 milioni di cittadini europei. E anche fermare l’elusione fiscale delle grandi multinazionali, seguendo il principio che le tasse si pagano dove si fanno i profitti. Guarda caso la destra questa battaglia non la fa».
Sulla Germania Putin ha usato le stesse parole di Musk. C’è il rischio che la guerra in Ucraina finisca con un patto tra Stati Uniti e Russia?
«Manca un’iniziativa politica e diplomatica europea per far finire il conflitto. È necessaria. l’Europa rischia di sedersi da ospite quando sarà il momento di negoziare. A Trump non interessano né l’integrità territoriale ucraina né il suo ingresso in Europa».
Ha detto che gli investimenti sulla difesa non devono togliere alla spesa sociale. Ma quindi servono.
«Noi siamo sempre stati a favore di una difesa comune. Il punto è come la fai. Fin qui è mancata la volontà politica da parte degli Stati di condividere competenze e risorse.
Servono più fondi?
« Il bilancio europeo è già troppo piccolo, al 2% del Pil dell’Ue. Non guidi una Ferrari con il motore di una 500. […] chiediamo un Next generation Ue strutturale e fatto di investimenti comuni, entro cui costruire una difesa davvero comune, non il via libera ai 27 Stati per correre al riarmo».
Cosa chiede al governo sulla vicenda Almasri
«Meloni deve venire in aula e spiegare al Paese perché il governo ha scelto di liberare e riportare a casa un torturatore libico. Anche questo attacco ai giudici per una comunicazione prevista dalla legge serve a distrarre dal merito della decisione, ma anche dai tanti problemi del Paese su cui non stanno rispondendo».
Le catene negli States, la Germania che vota largamente una mozione che di fatto nega i diritti dei profughi. Questo cattivismo antimigranti non le sembra inarrestabile?
«[A parte che deportare i migranti dal New Jersey o dall’Italia in Albania è inumano, ci devono spiegare in che modo abbassa le bollette alle famiglie e alle imprese. In che modo migliora gli stipendi bloccati dal no al salario minimo di Trump e di Meloni. È una risposta identitaria che dice agli ultimi: ti tolgo concorrenza dal basso, senza dire come ridistribuiscono dall’alto, loro che stanno dalla parte degli uomini più ricchi al mondo […] la destra che dice di stare col popolo non è disposta a toccare gli interessi delle multinazionali, che pagano meno tasse di una fabbrica di matite o di una famiglia di lavoratori».
(da Repubblica)

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RESISTERE NELLA TEMPESTA

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

TRUMP E LA SUA GANG ELIMINANO USAI, L’AGENZIA USA PER AIUTARE I PAESI POVERI

“Un branco di radicali lunatici” secondo Trump, “un verminaio” secondo Musk. Si riferiscono a Usaid, l’agenzia americana fondata nel 1961 da John Kennedy per aiutare i Paesi poveri. “Usaid deve morire”, ha twittato il presidente con il suo gergo da gangster (lui parla spiccio: è ora di essere spicci anche parlando di lui). Usaid è uno dei tanti rami da tagliare, ramo particolarmente odioso per i nuovi padroni d’America perché ha il dna del solidarismo e della cooperazione internazionale.
Sicurezza interna, Difesa e poco altro, questo rimarrà di pubblico e di finanziato nel paese di Trump: uno Stato armato, e al resto — sanità e istruzione in primo luogo — ci pensano le carte di credito di chi può, e chi non può si arrangi perché è finita la pacchia, come direbbe il trumpetto di casa nostra.
Ho pensato ai funzionari di Usaid, che per metà saranno burocrati impigriti, per metà gente appassionata e competente che cerca di aiutare il prossimo. Immagino i loro sentimenti quando il loro presidente, come un imperatore che mostra il pollice verso, annuncia la morte non solo e non tanto del loro lavoro, quanto del loro impegno, delle loro idee, della loro storia, che è anche uno dei tanti pezzi nobili della storia americana.
Trump e Musk vogliono radere al suolo qualunque istituzione, nazionale e internazionale, che cerchi di tenere vive parole e opere di cooperazione e di pace. Oms, Fao, Unesco, le ogm di ogni ordine e grado, il solidarismo cristiano, il volontariato laico, qualunque cosa puzzi di gentilezza, di sovranazionalità, di operativo esercizio di fratellanza, è il loro nemico. In molte stanze, arredate molto diversamente da Mar-a-Lago, donne e uomini di buona volontà stanno cercando di capire come resistere alla tempesta. Sono loro, per ora, la sola vera opposizione a Trump.
(da La Repubblica)

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CASO ALMASRI, IL LIMITE ALLA RAGION DI STATO

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

NESSUN POTERE E’ SUPERIORE AL DIRITTO … LA PUNIZIONE DI CRIMINI COME TORTURE E VIOLENZE PREVALE SU TUTTO

Deportare i disperati in catene e rendere la libertà a un torturatore ricercato dalla Corte penale internazionale, riaccompagnato nel suo Paese con un volo di Stato. La nuova età dell’oro, parole di Trump, inizia così e se avessimo un po’ di onestà intellettuale, dovremmo parlare di questo e non di “toghe rosse” o complotti della magistratura.
La questione, sotto gli occhi di tutti, è non voler raccontare la verità su quella che, a tutti gli effetti, suona come una menzogna di Stato, abilmente nascosta dietro il dito della realpolitik.
Sulla testa del generale Almasri, capo della polizia giudiziaria libica, pende un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aia per “crimini contro l’umanità e crimini di guerra”, compresi omicidi, torture, stupri, violenze e abusi sessuali commessi nel carcere di Mitiga ai danni di prigionieri politici e migranti; persone bisognose della protezione internazionale, perché richiedenti asilo, che hanno il “diritto alla vita”. Gente disperata che dall’ottobre del 2011, con la caduta del regime di Gheddafi, urla al mondo il “diritto di non subire torture, pene o trattamenti inumani” (come già stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo).
L’Italia però sceglie di cancellare con un solo colpo d’inerzia più di un secolo di storia del diritto internazionale, che dalla Società delle nazioni, passando per la Dichiarazione universale dei diritti umani (stabilita dall’Onu nel 1948) arriva allo Statuto di Roma per affermare che il delicato mosaico della pace rischia di essere distrutto in ogni momento. Perlomeno finché “milioni di bambini, donne e uomini” saranno “vittime di atrocità inimmaginabili” che non possono non turbare la coscienza dell’umanità intera.
Restituire un assassino al suo Paese è una decisione politica. Bisognerebbe spiegarne i motivi, magari con un atto di coraggio in Parlamento, per dire una semplice verità, che gli italiani hanno capito benissimo: quel criminale di guerra è utile ai nostri interessi perché di fatto, da anni, è diventato il nostro carceriere.
Ovvero colui che, dalle prigioni libiche, svolge per l’Italia un ruolo essenziale tenendo chiusi i flussi d’immigrazione dalla Libia verso il nostro Paese. Lo stesso Paese che nel 1977 permise la fuga del criminale di guerra Herbert Kappler dall’ospedale militare del Celio.§Certo, però, contestualmente andrebbe ricordato che nessun potere è superiore al diritto e che la punizione di crimini come torture, violenze e reati di genocidio prevale su qualsiasi ragion di Stato. Se non altro perché la giustizia non manda in prescrizione crimini contro l’umanità: non solo per obblighi tecnico-giuridici (nel caso di un mandato di cattura non eseguito, anche a distanza di anni, come accaduto con gli ex nazisti), ma perché il dolore e il lutto per le vittime dura per sempre. Ed è grazie alla giustizia di un organismo sovranazionale come il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia che stupri e gravidanze forzate sono diventati crimini di guerra.
Tutelare la pace mondiale e riaffermare i principi della civiltà e della democrazia: è in nome di questi valori universali che a Norimberga persino a Hermann Göring o a Rudolf Hess fu data la possibilità di difendersi. Capi nazisti che non vennero trucidati in piazza o mandati a morire in campi di tortura, ma condannati con regolare processo, in base al principio della presunzione di innocenza.
La volontà politica può sempre lasciare il segno. E proprio in nome del diritto il ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick fece riarrestare l’ex capitano delle Ss Erich Priebke, assolto dal tribunale militare di Roma per prescrizione dei reati.
Era l’1 agosto 1996 e il ministro corse in tribunale per ascoltare il dolore e la rabbia dei parenti delle vittime della strage delle Fosse Ardeatine. Discendenti di un massacro che, insieme ai superstiti dei campi di sterminio, con i numeri della morte ancora tatuati sulle braccia, avevano impedito a un criminale di guerra, scortato in una stanza isolata e pronto a uscire dalla porta secondaria, di prendere il primo aereo per sparire chissà dove.
(da agenzie)

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LI CHIAMAVANO IMPUNITA’

Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile

DALL’ABOLIZIONE DELL’ABUSO DI UFFICIO AL BAVAGLIO AI CRONISTI, DAL RIPRISTINO DELL’IMMUNITA’ PARLAMENTARE ALLA GUERRA ALLA MAGISTRATURA

Ricapitoliamo. Hanno abolito l’abuso d’ufficio – siamo l’unico Paese in Europa ad averlo fatto – sostenendo che fosse un reato troppo sfumato. Così, per superare la paura dei sindaci di firmare atti che li avrebbero potuti inguaiare – quando basterebbe evitare quelli illegittimi – hanno lasciato migliaia di cittadini sprovvisti dell’unica tutela contro gli abusi del potere. Poi in nome della presunzione di innocenza, hanno imposto il bavaglio ai cronisti giudiziari impedendo la pubblicazione letterale delle ordinanze cautelari, ricostruibili solo per riassunto. Così se nella sintesi il giornalista sbaglia la querela è assicurata. E chi se ne importa se la libertà di stampa e il diritto dei cittadini a essere informati soccombono di fronte all’interesse del politico indagato di tenere nascoste le sue magagne.
Intanto, con una ventina tra condoni e sanatorie fiscali dall’inizio della legislatura, continuano ad ammiccare agli evasori mentre spacciano due spicci in più in busta paga per taglio delle tasse a chi paga fino all’ultimo centesimo sui redditi regolarmente dichiarati.
Per ripristinare i vitalizi d’oro agli ex senatori, aumentare i rimborsi ai ministri e sottosegretari non parlamentari, invece, la coperta non è mai troppo corta. Procede spedita anche la riforma costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati. Che secondo il ministro Nordio non mette in discussione l’indipendenza delle toghe. Ma dovrebbe spiegarlo al capogruppo di FdI al Senato, Malan, che pochi giorni fa è arrivato a mettere in discussione (prima della retromarcia di rito) perfino l’obbligatorietà dell’azione penale. Cioè il potenziale traguardo finale di una riforma che rischia di essere l’anticamera del guinzaglio del governo ai pubblici ministeri.
Ma non finisce qui. L’ultimo affondo arriva con una doppietta firmata Forza Italia. Che propone l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta per processare la magistratura e il ripristino della vecchia immunità parlamentare, abolita nel 1993 sull’onda di Mani Pulite, per tornare all’autorizzazione a procedere – oggi richiesta solo per arrestare, intercettare e perquisire gli eletti del popolo – per indagare deputati e senatori. E poi il problema sarebbero le toghe, mica il partito dell’impunità che spopola in Parlamento!
(da La Notizia)

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