Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
“ACQUISTEREMO PIU GAS NATURALE LIQUIDO E ARMI DA LORO SENZA AVER NULLA IN CAMBIO”
Dopo il viaggio di Giorgia Meloni a Washington per incontrare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in Italia si è acceso il dibattito su quali siano stati, davvero, i risultati del vertice. Stefano Patuanelli, ex ministro dello Sviluppo economico e capogruppo del Movimento 5 stelle al Senato, ha parlato a Fanpage.it commentando l’incontro: una “passerella” ci è costata molto cara, almeno dieci miliardi subito” e “chissà quanti altri in prospettiva”.
Guardando ai risultati sostanziali, c’è stato ben poco di nuovo nello scambio tra i due leader. Le loro parole davanti ai giornalisti hanno confermato che c’è una forte vicinanza politica su alcuni temi, dall’immigrazione alla “ideologia woke”. Sull’Ucraina non si sono visti nuovi passi avanti, e nemmeno sui dazi. Il principale successo della presidente del Consiglio è stato invitare Trump a un viaggio in Italia, dove ci sarebbe la possibilità (ma non la certezza) di un incontro con i vertici dell’Ue.
Dall’altra parte, le ‘concessioni’ fatte da Meloni sono sembrate più concrete. In particolare, la leader di Fratelli d’Italia ha detto che “le imprese italiane investiranno dieci miliardi di euro negli Stati Uniti”, e che “l’Italia dovrà aumentare le importazioni energetiche”. Anche se non ha fornito dettagli, si può ipotizzare che la presidente del Consiglio si riferisse al gas naturale liquido esportato dagli Usa. E in più ha garantito l’impegno a portare la spesa militare al 2% del Pil.
Per questo Patuanelli è critico: “L’incontro Trump-Meloni ha confermato quello che già sapevamo e che era scritto nero su bianco nel report sull’export redatto dalla Farnesina. L’Italia è andata in Usa sostanzialmente a dire che acquisteremo più armi da loro e più gas naturale liquido. Tenteremo di riequilibrare la bilancia commerciale a loro favore, senza avere praticamente nulla in cambio”.
“Il quadro è desolante”, secondo l’ex ministro. “Specialmente perché qualche ora prima dell’incontro l’Ufficio parlamentare di bilancio e Bankitalia hanno chiaramente detto in audizione che la spesa in armi ha un moltiplicatore bassissimo (lo 0,5) e che il Rearm Eu è inefficiente”.
Insomma, i progetti europei per il riarmo porterebbero una perdita all’economia italiana, e qui “parliamo di arrivare al 2% del Pil in modo repentino, una spesa da circa 10 miliardi l’anno strutturale e regressiva, tagliando ancora”. Anche se, come è emerso negli ultimi giorni, il governo starebbe cercando anche degli escamotage contabili per ‘gonfiare’ la spesa militare senza spendere troppo.
Patuanelli ha sottolineato anche che “la componente gas naturale liquido su cui dovremmo aumentare le importazioni è costosissima”. Tra i motivi per cui oggi l’Italia non importa più Gnl dagli Usa, infatti, c’è il costo più alto. “Potrebbe diventare l’ennesima mazzata per le imprese già falcidiate da oltre due anni di calo della produzione, e per il caro bollette delle famiglie italiane”. Insomma, il bilancio non può che essere negativo: “Questa passerella di Giorgia Meloni ci è costata molto cara, almeno 10 miliardi subito. E chissà quanti altri in prospettiva”.
(da Fanpage)
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Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
UN INCONTRO DA CUI NON E’ USCITO ASSOLUTAMENTE NULLA, E’ STATO UTILE SOLO A LIVELLO MEDIATICO
Ma quindi, come è andato questo incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump alla
Casa Bianca? Cosa è stato deciso?
Ieri sera grandi annunci non ce ne sono stati, più che altro abbiamo visto confermata una cosa che sapevamo già: Trump e Meloni si piacciono molto, c’è un’affinità ideologica che non sembra esserci con nessun altro leader europeo.
Trump lo ha detto chiaramente, ha riempito Meloni di complimenti, definendola una persona eccezionale, dicendo che sta facendo un ottimo lavoro e che una dei suoi più stretti alleati. La presidente del Consiglio, da parte sua, è stata più precisa su quello che ha da spartire con Trump: ha detto che una delle battaglie che condividono è quella contro l’ideologia woke e l’immigrazione clandestina.
Insomma, su questo Meloni ci sta confermando di essere affine agli Stati Uniti di Trump. Anche se gli Stati Uniti di Trump sono quelli che espellono i migranti in catene, li deportano senza consultare avvocati o giudici; arrestano gli studenti nelle università e cercano di imporre agli atenei cosa insegnare minacciando di tagliare i fondi; cancellano i programmi di inclusione e riducono all’osso gli investimenti nella ricerca e negli aiuti umanitari.
Quando Giorgia Meloni dice che con Trump vuole rendere l’Occidente great again, intende che vuole tutto questo?
Una cosa certa è che la nostra presidente del Consiglio ha sempre cercato di presentarsi come l’interlocutrice privilegiata del presidente statunitense, proprio facendo leva su questa affinità ideologica. Se ci sia riuscita in questo viaggio è difficile da stabilire. Certo, a parole sembrerebbe di sì, visti tutti i complimenti che i due si sono scambiati. Ma se guardiamo a quello che era l’obiettivo del viaggio a Washington, possiamo dire che Meloni abbia avuto successo?
Sui dazi, tema caldo di queste settimane, non è stato detto praticamente nulla. Entrambi hanno detto che sperano in un accordo (anche se però Trump ha detto di non aver cambiato idea al momento) e dettagli nel merito non ne sono stati dati. Certo, Meloni non poteva negoziare in prima persona per conto dell’Unione europea, che ha la competenza esclusiva sul commercio estero, ma avrebbe dovuto persuadere Trump a sedersi al tavolo dei negoziati con Bruxelles. Di tutto questo non sappiamo nulla, la presidente del Consiglio ha solo comunicato che Trump ha accettato il suo invito a Roma e che magari quella sarà l’occasione per incontrare anche l’Europa. Quando? In un futuro prossimo, non sappiamo quando.
Insomma, per quanto riguarda i dazi sul tavolo non c’è assolutamente nulla per ora. E nel frattempo il rischio che la situazione venga precipiti, con Trump, è sempre dietro l’angolo. Questo Meloni lo sa bene, sa che non può mai stare tranquilli con il presidente.
Ha dimostrato di saperlo ad esempio durante lo scambio su Zelensky. Meloni ha risposto a una domanda sulla guerra – in italiano – dicendo che Putin è l’invasore e che è stata la Russia a iniziare la guerra. Trump ha subito scherzato chiedendole “ma cosa hai detto, suonava benissimo”. Ma quando il traduttore ha iniziato a tradurre, Meloni si è subito affrettata a spostare la conversazione sulle spese militari, confermando che l’Italia arriverà all’obiettivo del 2% del Pil.
Trump, da parte sua, ha ridimensionato un minimo le frasi su Zelensky, che nei giorni scorsi aveva nuovamente accusato di aver cominciato la guerra, pur sottolineando di non avere grandi simpatie per il presidente ucraino, di non essere un suo fan. E ha ripetuto che la guerra non si sarebbe mai dovuta cominciare. Ma ancora una volta, nulla che non sapessimo già.
(da Fanpage)
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Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
ELLY SCHLEIN CRITICA L’AUMENTO DI SPESE MILITARI E INVESTIMENTI IN USA QUANDO MANCANO AIUTI ALLE IMPRESE COLPITE DAI DAZI DI TRUMP
I partiti dell’opposizione hanno sottolineato soprattutto le concessioni che Meloni ha fatto a Trump. La presidente del Consiglio ha parlato di “dieci miliardi di investimenti” da parte delle aziende italiane negli Stati Uniti, ha fatto capire che l’Italia acquisterà più gas liquido naturale dagli Usa, e ha ribadito l’impegno ad aumentare la spesa militare.
“La premier si è impegnata a far investire dieci miliardi alle imprese italiane negli Usa quando non ne ha trovato ancora uno per tutelare quelle colpite dai dazi ed evitare delocalizzazioni. In cambio pare abbia ottenuto una visita di Trump in Italia. Per ora non mi pare un gran bilancio”, ha detto Elly Schlein al Sole 24 Ore. “In generale il problema non è dialogare con Trump, ma farlo a testa alta”
Giuseppe Conte l’ha buttata sull’ironia: “Trump-Meloni 2 a 0. Più spese militari e più gas dagli Stati Uniti, il tutto a caro prezzo per le tasche degli italiani. In compenso Meloni non ha ceduto alcun pezzo del Colosseo”.
econdo il leader del M5s “a cittadini, lavoratori e imprenditori italiani conviene travestirsi da Biden o da Trump a seconda delle stagioni per ottenere qualche misura da Meloni anche per sanità, caro bollette, scuola ed altre emergenze quotidiane”.
Parole dure da Alleanza Verdi-Sinistra. Nicola Fratoianni ha attaccato: “Ho come l’impressione che più che la presidente del Consiglio italiano, Meloni abbia fatto la cameriera al pranzo con Trump”, perché Meloni “si è presentata in ginocchio promettendo vagonate di miliardi dei cittadini italiani per tenere buono Trump”. In particolare l’acquisto di gas statunitense porterà a un aumento dei costi dell’energia, “tanto le bollette le pagano gli italiani”. Angelo Bonelli ha accusato Meloni di “svendere l’Italia”: “Sì all’acquisto di armi e gas, sì all’eliminazione della web tax, sì all’importazione in Europa di pesticidi vietati e carni ormonata. Altro che sovranismo: obbedienza ai diktat di Trump”.
Tra i leader dei partiti liberali centristi, le reazioni sono state diverse. Riccardo Magi di +Europa ha parlato di un “inchino” di Meloni “alle post verità seriali che abitano ormai la Casa Bianca. Sicuramente è difficile che l’Occidente torni grande a partire dalla convergenza tra la destra neo-oligarchica di Trump che ne sta demolendo i capisaldi e quella nazionalista antieuropea di Meloni”.
Matteo Renzi di Italia viva ha detto che dopo “il trionfo dei complimenti e degli elogi” bisognerà vedere “i fatti. Speriamo che possano tornare a sorridere anche le nostre aziende. Per le quali al momento restano dazi e incertezza”.
Carlo Calenda di Azione invece ha elogiato le mosse della premier sull’Ucraina, dove “ha tenuto la barra dritta”, e sui dazi, dove “è riuscita a convincere Trump a incontrare l’Ue in Italia” (in realtà, Meloni ha detto che Trump verrà in Italia e “prenderà in considerazione” l’idea di incontrare l’Ue”. Tuttavia, per Calenda, è stato un “grave errore” sostenere “la lotta alla cultura woke di Trump, che si sta trasformando in una vera e propria caccia alle streghe politica”.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
“E SEBBENE GLI STATI MEMBRI DELLA NATO ABBIANO CONCORDATO UN DECENNIO FA CHE TUTTI I MEMBRI AVREBBERO SPESO ALMENO IL 2 PERCENTO DEL LORO PRODOTTO INTERNO LORDO PER LA DIFESA, L’ITALIA NON HA ANCORA RAGGIUNTO L’1,5 PERCENTO”
Mentre Trump ha elogiato generosamente Meloni, l’Italia non rappresenta
esattamente il modello che ha in mente né per il commercio né per la difesa. Il paese registra un surplus commerciale di 45 miliardi di dollari
con gli Stati Uniti, a testimonianza dell’appetito americano per i beni di lusso italiani, il prosecco, i formaggi pregiati e le 3.500 Ferrari vendute ogni anno negli Stati Uniti. (Se puoi permetterti il prezzo base di 250.000 dollari, il dazio del 25 percento imposto da Trump sulle auto importate potrebbe non essere un deterrente.)
E sebbene i paesi della NATO abbiano concordato un decennio fa che tutti i membri avrebbero speso almeno il 2 percento del loro prodotto interno lordo per la difesa, l’Italia non ha ancora raggiunto l’1,5 percento.
David E. Sanger
per il “New York Times”
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Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
DALL’INCONTRO MELONI-TRUMP NON SONO EMERSI FATTI CONCRETI, L’UE PROCEDE PER LA SUA STRADA
Da Palazzo Berlaymont non filtrano commenti, in attesa di ricevere un resoconto diretto dalla premier italiana che con ogni probabilità nelle prossime ore riferirà a Ursula von der Leyen del faccia a faccia.
A prescindere dall’esito del bilaterale di ieri, a Bruxelles si continua a lavorare al “piano B”. Mentre si ragiona sulle concessioni a Trump, i governi e la Commissione stanno infatti vagliando tutte le carte in loro possesso da giocare in caso di un eventuale fallimento dei negoziati.
Ieri Bloomberg ha rivelato l’intenzione di imporre limitazioni all’export di determinati prodotti critici per gli Stati Uniti, senza però specificare di quali settori. Un’ulteriore arma che si aggiungerebbe a quelle già discusse: von der Leyen aveva minacciato esplicitamente la possibilità di introdurre un prelievo sulla vendita di servizi di pubblicità online e sullo sfondo rimane sempre lo strumento anti-coercizione, che consentirebbe di limitare l’accesso al mercato e agli appalti pubblici europei per le società americane, ma anche di sospendere i diritti di proprietà intellettuale alle Big Tech.
In attesa che ripartano i negoziati, l’offerta europea è sempre la stessa. La Commissione ha proposto agli Stati Uniti di azzerare tutti i dazi attualmente in vigore nei settori industriali. Per l’Ue si tratterebbe di portare a zero il valore delle tariffe doganali in vigore da tempo sull’import di automobili americane, che attualmente è al 10%: gli Stati Uniti erano al 2,5%, ma l’ordine esecutivo di Trump li ha aumentati del 25%.
Stesso valore anche per quelli sull’import di acciaio e alluminio europei, ai quali l’Ue aveva risposto con contro-dazi su circa 20 miliardi di prodotti americani, salvo poi congelarne l’entrata in vigore. È chiaro che, allo stato attuale, un accordo “zero per zero” nel settore industriale favorirebbe molto di più l’Europa rispetto agli Stati Uniti e infatti l’offerta non è stata accettata.
Sul tavolo restano poi i dazi americani del 10% su 290 miliardi di beni importati dall’Unione europea che, in assenza di un accordo, a luglio saliranno del 25%.
A Bruxelles c’è poi il timore che nel frattempo arrivino anche i dazi sui semiconduttori e soprattutto quelli sui prodotti farmaceutici, settore che nel 2024 ha visto un picco: le esportazioni di medicinali verso gli Usa hanno infatti toccato quota 120 miliardi, su un totale di circa 500 miliardi di esportazioni. Il mercato americano rappresenta il 38% delle vendite, ma il timore principale è legato al fatto che tra le due sponde dell’Atlantico non si commerciano solo prodotti finiti, ma anche i componenti.
Una stretta tariffaria rischierebbe di mettere in pericolo lo scambio di ingredienti e dunque di compromettere il corretto funzionamento delle catene di approvvigionamento. Anche per questo gli importatori americani del settore hanno iniziato a fare scorte di prodotti europei: a febbraio, i volumi di farmaci spediti dall’Irlanda (tra i principali esportatori) sono aumentati del 450% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, salendo a quota 10,5 miliardi. La stretta sull’export potrebbe colpire qui, il che provocherebbe un enorme danno alle società farmaceutiche americane.
(da La Stampa)
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Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA VAGA PROMESSA DI UN INCONTRO CON TRUMP A ROMA NON SCALDA GLI EURO-POTERI: “PER IL TYCOON ARRIVERÀ UN ACCORDO AL 100%? SE LO DICE LUI…”… IN ATTESA DI CAPIRE LE INTENZIONI DEL CALIGOLA DI MAR-A-LAGO, LA COMMISSIONE LAVORA ALLE RITORSIONI AI DAZI
Silenzio. Del resto le istituzioni europee ci hanno da tempo abituato a questa strategia
comunicativa: evitare di inseguire tutte le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Trump sui dazi e la guerra in Ucraina o le conferenze stampa fatte singolarmente o in presenza di un leader europeo. Non ha fatto eccezione l’incontro tra il presidente Trump e la premier Meloni.
La presidente della Commissione europea von der Leyen si è sentita più volte con la premier Meloni nei giorni scorsi, anche martedì sera per «coordinare» la visita a Washington. Quindi c’è da aspettarsi che la premier riferirà alla presidente nelle prossime ore l’esito dell’incontro, tanto più che Meloni ha strappato la promessa di «una visita ufficiale a Roma nel prossimo futuro» del presidente degli Stati Uniti, che in quella occasione «considererà se incontrare anche l’Europa».
Finora Trump non si è visto con nessuno dei vertici Ue. La prima occasione in programma è il vertice Nato in giugno a L’Aia, quando l’Alleanza Atlantica deciderà di alzare il target di spesa da destinare alla difesa probabilmente al 3,5% del Pil.
A Bruxelles e tra i leader europei prevale sempre il pragmatismo quindi l’interesse è tutto concentrato su possibili passi avanti nel negoziato con
Washington sui dazi: «Ci sarà un accordo commerciale, al 100%», ha detto Trump. Meloni ha cercato di costruire un ponte tra le due sponde dell’Atlantico descrivendo gli Stati Uniti e l’Europa come alleati naturali della civiltà occidentale e affermando che è importante «cercare di sedersi e trovare una soluzione» alle tensioni sul commercio e sulla sicurezza.
Trump ha dichiarato però di non avere «fretta» di raggiungere alcuna intesa perché le tariffe «stanno arricchendo» gli Stati Uniti. Il presidente ha anche detto che gli altri Paesi «vogliono fare accordi più di me» ma ha suggerito che sarebbe facile trovare un’intesa con l’Unione europea e altri Paesi.
La vicinanza politica fra Meloni e Trump non è un mistero a Bruxelles e il timore fra le capitali era che si potesse infrangere l’unità europea nella trattativa. Qualche tensione era stata registrata inizialmente con Parigi. Poi però è prevalsa la linea di apertura.
E anche ieri l’Eliseo ha spiegato che «nessuno si adombra per la visita a Washington di Giorgia Meloni. È legittimo che ogni partner dell’Unione europea abbia relazioni forti con Washington».
(da Corriere della Sera)
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Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA REPLICA PICCATISSIMA DI CROSETTO: “PURTROPPO NON È NATALE, NON C’È NULLA DA FESTEGGIARE, NON CI SONO LISTE DELLA SPESA MA VIVIAMO TEMPI DRAMMATICI. MI FA PIACERE CHE GIANCARLO NON ABBIA PERSO IL SENSO DELL’UMORISMO CHE IO FATICO A RITROVARE, PERCHÉ LAVORO PENSANDO AGLI SCENARI PER DIFENDERE LA NAZIONE”
Giancarlo Giorgetti intravede segnali positivi per l’Italia. Una fiducia che però non trova riscontro nel Documento di finanza pubblica presentato dal governo, né nelle analisi delle varie istituzioni economiche come l’Istat e la Banca d’Italia che invece temono contraccolpi dalle politiche commerciali degli Stati Uniti.
L’Ufficio parlamentare di bilancio calcola un impatto dei dazi su tutti i settori con un effetto sul mercato del lavoro pari a 68 mila occupati in meno. Per Confindustria «Transizione 5.0 non funziona, il costo del credito è ancora alto, gli investimenti sono fermi e l’incertezza ai massimi».
Eppure il titolare del Tesoro, che in serata battibecca con Crosetto sulle spese militari, è ottimista e ritiene che le stime di crescita per il 2025 – già dimezzate dall’1,2% allo 0,6% e con il rischio di scendere allo 0,3% a causa della crisi dei dazi – alla fine saranno migliori del previsto.
Giorgetti lo dice chiaramente ai parlamentari durante l’audizione sul Dfp: «Sembra prospettarsi uno scenario meno avverso di quello messo in conto nelle previsioni ufficiali, più favorevole sia in termini di esito finale dei dazi a livello internazionale, sia di variabili esogene quali i prezzi dell’energia e i tassi d’interesse che condizionano la crescita».
L’ottimismo di Giorgetti è alimentato dall’atteggiamento delle agenzie di rating che hanno migliorato il giudizio sull’Italia, e dalla richiesta dei Btp che godono di una domanda «da fare invidia» ai Treasury americani. […]
E quindi non resta che blindare i conti con buona pace della maggioranza e delle promesse elettorali: una finanza pubblica in ordine «rappresenta una solida base a fronte dell’incertezza», evidenzia Giorgetti che ammette: «Facendo un esempio calcistico, credo che la prima cosa che si deve fare sia non prendere goal. Io ho un debito da gestire che grava per circa 90 miliardi di interessi, divora ogni tipo di spesa, anche la più nobile come quella per la sanità e la scuola».
Per il momento, niente scostamento di bilancio né per la difesa né per i dazi: «Prima di prevedere spese supplementari voglio sapere dove vanno a finire e per quale motivo le devo fare», insiste il ministro. Stesso discorso per la deroga al patto di stabilità per comprare armi: «In questo momento il governo italiano non la utilizzerà. Noi riteniamo che sia corretto e giusto aspettare il vertice Nato di giugno 2025 per vedere l’orientamento generale». Peraltro, e questo lo rileva l’Upb, l’utilizzo della clausola per la difesa ritarderebbe l’uscita dalla procedura per deficit eccessivo.
Lo stop al potenziamento degli armamenti non fa piacere a tutti nell’esecutivo: «Crosetto mi ha mandato la lista della spesa l’altro ieri, non ho avuto il coraggio di guardarla, temo che sia lunga. Per gli Stati Maggiori è il loro momento, è come il Natale», ironizza il responsabile del Tesoro.
A stretto giro arriva la risposta piccata di Crosetto: «Purtroppo non è Natale, non c’è nulla da festeggiare, non ci sono liste della spesa ma viviamo tempi drammatici». Il ministro della Difesa dice di non avere il senso dell’umorismo del collega perché pensa agli scenari che potrebbero essere costretti ad affrontare i soldati: «Loro sanno meglio di tutti che non si parla di giocattoli per divertirsi – sottolinea Crosetto – ma di armi con
cui proteggere la loro nazione».
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
I SOVRANISTI FANNO SOLO FINTA DI AUMENTARE LE SPESE MILITARI PER FAR CONTENTO TRUMP
Far finta di aumentare le spese militari, così l’amico Donald Trump è contento, senza
farlo davvero. È il trucco da dieci miliardi (e più) che Giorgia Meloni ha tentato di vendere al presidente Usa e di cui il prestigiatore Giancarlo Giorgetti vuol convincere il mondo: “Noi nel 2025, con una analisi accurata, puntuale, riteniamo di raggiungere il 2% del Pil” di spese per la difesa “utilizzando i principi contabili della Nato: se sono stupidi o sono intelligenti non dovete rivolgere la critica al ministro italiano che li applica, ma a chi li ha inventati. Se ci sono dentro anche le pensioni ci sono dentro anche le pensioni…”.
Insomma, Giorgetti ieri ha detto al Parlamento e Meloni a Trump che siamo già in linea con l’impegno – peraltro non vincolante – stabilito dall’Alleanza atlantica (che, sia detto en passant, ritiene che non siamo affatto in linea) e che per il resto faremo il possibile. “Non abbiamo parlato di livelli di spesa”, ha messo le mani avanti la premier a Washington.
Domanda: è vero che siamo al 2% del Pil? No, non lo è.
Quello del ministro leghista è un trucchetto di bassa lega, se pure utile ai suoi condivisibili propositi di non aumentare la quota della spesa militare sul Pil (come gli chiedono gli Usa e il collega della Difesa Guido Crosetto, che “mi ha mandato una lista, ma non l’ho letta perché è troppo lunga…”) e di non invocare subito la clausola per scorporare dal deficit le uscite per la difesa (come gli chiede la Commissione Ue).
I dettagli del trucco li ha spiegati bene ieri l’Osservatorio sulle spese militari Milex. Il governo nei suoi documenti ufficiali stima spese per la difesa nel 2025 pari a 35,4 miliardi, l’1,57% del Pil (secondo Milex sono 3 in meno, ma tant’è): gli mancano dunque quasi 10 miliardi per arrivare al 2%. Ora Giorgetti ritiene che, “utilizzando i principi contabili Nato”, quei dieci miliardi già li spendiamo: basta contare i carabinieri (7 miliardi), la Guardia Costiera (oltre 3 miliardi) e la Finanza (quasi 1 miliardo). Problema: la Nato autorizza il conteggio di spese in corpi non militari “solo in proporzione alle forze che sono addestrate secondo tattiche militari, equipaggiate come una forza militare, in grado di operare sotto autorità militare diretta durante operazioni schierate, e realisticamente impiegabili al di fuori del territorio nazionale a supporto di una forza militare”.
Un po’ difficile farci rientrare i Nas, la finanza, la guardia costiera e le relative pensioni: “Non è la prima volta – ricorda Milex – che l’Italia avanza questa proposta in sede Nato e finora è sempre stata rigettata”.
È con questi trucchi da mago da fiera, insomma, che Giorgetti vuole aggirare le pressioni più immediate di Washington e Bruxelles, anche se “siamo coscienti dell’esigenza di incrementare le spese per la difesa e la sicurezza nei prossimi anni”. Senza esagerare però: intanto aspettare il vertice Nato di giugno e in quella sede provare a imporre maggiori spese ma solo “su specifiche linee di investimento”. Un aumento di spesa coordinato e con un occhio alle capacità industriali europee nel settore. Applicare il piano “Readiness 2030”, invece, sarebbe un danno per l’Italia: spazi di bilancio per portare la spesa militare oltre il 3% del Pil, come vorrebbe l’Europa, non ce ne sono e “un altro Next generation Eu è impossibile”.
Una linea su cui il ministro ha il sostegno, per così dire, dell’Ufficio parlamentare di bilancio e di Banca d’Italia. Usando la clausola di salvaguardia, scrive l’Upb in una memoria sul Documento di finanza pubblica, i conti pubblici peggiorerebbero: farlo in maniera decisa come chiede l’Ue comporterebbe un deficit superiore al 3% fin oltre il 2030 e ulteriori aumenti del debito per anni. Tanto più, sostiene Bankitalia, che il Rearm Eu “consentirà politiche più espansive soprattutto nei Paesi con minori vincoli di bilancio come la Germania”, ma “uno sforzo di riarmo affidato ai singoli Paesi, senza coordinamento” produrrebbe “una spesa inefficiente, non potendo sfruttare le possibili economie di scala, e inefficace, per il rischio sia di duplicazioni sia di non colmare le attuali carenze”. Chi spera poi che le armi rilancino la crescita sta prendendo un abbaglio: i decimali possono cambiare, ma “il moltiplicatore di tali interventi è stimato inferiore a uno”, spiega l’Upb. Vale a dire che ogni euro speso non produce neanche un euro di maggior crescita.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Aprile 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO SPAGNOLO RICORDA I RITARDI DELL’ITALIA NELLE SPESE PER LA DIFESA, ALTRO CHE 2%
Giorgia Meloni è “sicura” che si raggiungerà un accordo tra Stati Uniti e Unione Europea sui dazi. Donald Trump assicura “al 100%” che sarà così. La presidente del Consiglio italiana e il presidente degli Stati Uniti hanno mostrato giovedì la loro fiducia nel giungere a un accordo commerciale, ma senza presentare progressi concreti al riguardo.
Meloni, in visita giovedì alla Casa Bianca, ha una buona sintonia ideologica e personale con Trump e, in tal senso, è considerata un possibile ponte tra le due parti. La presidente del Consiglio ha invitato Trump a visitare l’Italia e vuole che questo viaggio serva anche affinché il
presidente degli Stati Uniti si incontri con le autorità europee. Meloni gli ha regalato una frase con il suo obiettivo, che emula lo slogan trumpiano per antonomasia: “Rendere l’Occidente di nuovo grande”.
Entrambi i leader si sono presentati due volte davanti ai media. Prima, seduti a tavola, prima del pranzo, è stato il momento in cui hanno espresso quella fiducia nell’accordo. Dopo, nello Studio Ovale, dove si sono riferiti appena alle negoziazioni commerciali.
Gli Stati Uniti stanno cercando di raggiungere accordi con alcuni dei loro alleati al fine di isolare la Cina, alla quale hanno imposto i dazi più alti. Tuttavia, un accordo con l’Unione Europea non appare facile. Le posizioni sono molto distanti e gli Stati Uniti applicano già dazi elevati ai prodotti europei. All’incontro con Meloni erano presenti il segretario al Tesoro, Scott Bessent, quello alla Difesa, Pete Hegseth, e il vicepresidente, J. D. Vance, ma non il segretario al Commercio, Howard Lutnick.
Trump ha definito l’esponente italiana una “amica” e l’ha elogiata più volte. “È una grande presidente del Consiglio. Sta facendo un ottimo lavoro in Italia. Siamo molto orgogliosi di lei”, ha detto. “Sapevo fin dall’inizio che aveva un grande talento. È una delle vere leader del mondo”, ha aggiunto.
Nello Studio Ovale, Meloni ha indicato che durante l’incontro si è parlato di difesa, di economia, dello spazio e dell’energia. Ha indicato che il suo paese aumenterà le importazioni di gas naturale liquefatto (LNG) statunitense e ha sostenuto l’armonia transatlantica. “Credo che ci siano modi per lavorare insieme. E le imprese italiane investiranno, come hanno fatto da molti anni. Come sapete, nei prossimi anni, credo intorno ai 10 miliardi. Questo dimostra quanto siano interconnesse le nostre economie”, ha detto. L’Italia ha un surplus commerciale di 40 miliardi di dollari con gli Stati Uniti.
Trump, nel frattempo, ha insistito nel dire che si trova a suo agio nel riscuotere imposte del 25% sulle importazioni di auto, acciaio e alluminio e del 10% in modo generale, una situazione che rappresenta già di per sé l’aumento dei dazi più alto da oltre un secolo. “Ci sono molti paesi che vogliono arrivare a un accordo. Francamente, loro vogliono concludere accordi più di quanto non lo voglia io”, ha affermato il presidente, che ha dovuto attenuare i suoi dazi iniziali sotto la pressione degli investitori.Mentre l’economia rallenta, migliaia di miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato sono evaporati e gli organismi internazionali a
vvertono sui rischi per gli Stati Uniti della guerra commerciale, Trump, nel suo mondo, ha affermato: “I dazi ci stanno rendendo molto ricchi”.
Nel turno di domande, i due leader hanno mostrato sintonia nella durezza contro l’immigrazione irregolare. Trump non ha voluto rispondere alle domande sull’immigrato salvadoregno espulso per errore, rimandando agli “avvocati”.
Entrambi hanno cercato di evitare lo scontro su questioni come la spesa per la difesa o la guerra in Ucraina. Su quest’ultimo punto, Trump ha rivelato che prevede che l’accordo sui minerali con l’Ucraina venga firmato la prossima settimana. “Abbiamo un accordo sui minerali che suppongo si firmerà giovedì”, ha detto Trump. “E suppongo che rispetteranno l’accordo”, ha aggiunto.
Meloni è stata più chiara nel suo sostegno a Kiev ed ha espresso il desiderio di raggiungere una pace “giusta e duratura”. Trump ha detto di aspettare presto una risposta dalla Russia sulla proposta statunitense di cessate il fuoco. “Credo che ci stiamo avvicinando. Ve lo farò sapere molto presto”, ha indicato.
Per quanto riguarda la spesa per la difesa, Trump ha continuato a fare pressioni su Meloni affinché la aumenti. L’anno scorso si è collocata ben al di sotto dell’obiettivo del 2% del prodotto interno lordo fissato come meta per i paesi della NATO.
La spesa dell’Italia, che è scesa all’1,49% del PIL, si trova tra le più basse d’Europa. Meloni, tuttavia, ha assicurato che l’Italia andrà al prossimo vertice della NATO, a giugno, annunciando di aver aumentato la spesa fino al 2%. “L’Europa si è impegnata a fare di più e sta lavorando su strumenti che permettano e aiutino gli Stati membri ad aumentare la spesa per la difesa. Siamo convinti che tutti dobbiamo fare di più”, ha aggiunto.
Prima del pranzo, a Meloni è stato chiesto se considera che gli Stati Uniti siano ancora un partner affidabile per l’Unione Europea. “Sono qui proprio per rafforzare l’Occidente. Perché credo nell’unità dell’Occidente. E credo, semplicemente, che dobbiamo dialogare e trovare il miglior cammino
intermedio per crescere insieme. È per questo che sono qui. Se non credessi che è un partner affidabile, non sarei qui”, ha risposto.
Miguel Jiménez
(da El Pais)
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