SCETTICISMO DELL’UE SULL’ACCORDO CON GLI USA, BRUXELLES CONTINUA A LAVORARE AL “PIANO B”
DALL’INCONTRO MELONI-TRUMP NON SONO EMERSI FATTI CONCRETI, L’UE PROCEDE PER LA SUA STRADA
Da Palazzo Berlaymont non filtrano commenti, in attesa di ricevere un resoconto diretto dalla premier italiana che con ogni probabilità nelle prossime ore riferirà a Ursula von der Leyen del faccia a faccia.
A prescindere dall’esito del bilaterale di ieri, a Bruxelles si continua a lavorare al “piano B”. Mentre si ragiona sulle concessioni a Trump, i governi e la Commissione stanno infatti vagliando tutte le carte in loro possesso da giocare in caso di un eventuale fallimento dei negoziati.
Ieri Bloomberg ha rivelato l’intenzione di imporre limitazioni all’export di determinati prodotti critici per gli Stati Uniti, senza però specificare di quali settori. Un’ulteriore arma che si aggiungerebbe a quelle già discusse: von der Leyen aveva minacciato esplicitamente la possibilità di introdurre un prelievo sulla vendita di servizi di pubblicità online e sullo sfondo rimane sempre lo strumento anti-coercizione, che consentirebbe di limitare l’accesso al mercato e agli appalti pubblici europei per le società americane, ma anche di sospendere i diritti di proprietà intellettuale alle Big Tech.
In attesa che ripartano i negoziati, l’offerta europea è sempre la stessa. La Commissione ha proposto agli Stati Uniti di azzerare tutti i dazi attualmente in vigore nei settori industriali. Per l’Ue si tratterebbe di portare a zero il valore delle tariffe doganali in vigore da tempo sull’import di automobili americane, che attualmente è al 10%: gli Stati Uniti erano al 2,5%, ma l’ordine esecutivo di Trump li ha aumentati del 25%.
Stesso valore anche per quelli sull’import di acciaio e alluminio europei, ai quali l’Ue aveva risposto con contro-dazi su circa 20 miliardi di prodotti americani, salvo poi congelarne l’entrata in vigore. È chiaro che, allo stato attuale, un accordo “zero per zero” nel settore industriale favorirebbe molto di più l’Europa rispetto agli Stati Uniti e infatti l’offerta non è stata accettata.
Sul tavolo restano poi i dazi americani del 10% su 290 miliardi di beni importati dall’Unione europea che, in assenza di un accordo, a luglio saliranno del 25%.
A Bruxelles c’è poi il timore che nel frattempo arrivino anche i dazi sui semiconduttori e soprattutto quelli sui prodotti farmaceutici, settore che nel 2024 ha visto un picco: le esportazioni di medicinali verso gli Usa hanno infatti toccato quota 120 miliardi, su un totale di circa 500 miliardi di esportazioni. Il mercato americano rappresenta il 38% delle vendite, ma il timore principale è legato al fatto che tra le due sponde dell’Atlantico non si commerciano solo prodotti finiti, ma anche i componenti.
Una stretta tariffaria rischierebbe di mettere in pericolo lo scambio di ingredienti e dunque di compromettere il corretto funzionamento delle catene di approvvigionamento. Anche per questo gli importatori americani del settore hanno iniziato a fare scorte di prodotti europei: a febbraio, i volumi di farmaci spediti dall’Irlanda (tra i principali esportatori) sono aumentati del 450% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, salendo a quota 10,5 miliardi. La stretta sull’export potrebbe colpire qui, il che provocherebbe un enorme danno alle società farmaceutiche americane.
(da La Stampa)
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