AL TAVOLO SULLA PERNIGOTTI DI MAIO SI E’ RESO LATITANTE
IL MINISTRO DELLE CHIACCHIERE A VANVERA: DOVEVA SALVARE I LAVORATORI, SONO STATI LICENZIATI… E ANCHE IL SINDACO DI NOVI SI LAMENTA CONTRO CHI “HA FATTO FALSE PROMESSE”
Ieri al ministero dello Sviluppo Economico si è tenuto il tavolo che ha sancito la chiusura dopo 160 anni di storia di Pernigotti, l’azienda di gianduiotti di Novi Ligure di proprietà del gruppo turco Toksoz. Luigi Di Maio non c’era.
Di Maio era in Francia, a Parigi, per incontrare Cristophe Chalenà§on dei Gilet Gialli in vista dell’alleanza con il MoVimento 5 Stelle per le elezioni europee.
Un impegno di certo più importante rispetto al destino dei cento dipendenti e dei centocinquanta interinali che da oggi sono in cassa integrazione straordinaria per integrazione o in disoccupazione mentre l’accordo per la cessazione dell’attività produttiva, raggiunto al ministero del Lavoro, prevede anche l’avvio di un piano di politiche attive per il lavoro con un primo incontro di verifica a marzo.
Non mancano gli investitori interessati, tre sono in attesa di effettuare un sopralluogo presso lo stabilimento.
L’azienda, che ha già affidato “a partner attivi sul territorio nazionale la produzione di alcune linee di prodotto” conferma “la volontà di continuare a produrre, distribuire e commercializzare i propri prodotti dolciari attraverso accordi di terziarizzazione in Italia” e s’impegna “a comunicare tempestivamente eventuali accordi di reindustrializzazione, cercando di evitare il proliferare di inutili speculazioni, come avvenuto nei mesi scorsi, per non alimentare false aspettative, prive di concreti fondamenti”.
Chissà con chi ce l’aveva l’azienda. E chissà con chi ce l’ha il sindaco di Novi Ligure Rocchino Muliere, presente all’incontro al ministero: “Il Governo si faccia carico al più presto di dare risposte ai lavoratori della Pernigotti, che oggi vedono l’azienda chiudere la produzione, dopo aver visto solo pochi mesi fa il ministro Luigi Di Maio cimentarsi in promesse e rassicurazioni”.
L’ultima volta Luigi Di Maio aveva visitato lo stabilimento Pernigotti di Novi Ligure esattamente un mese fa. Era il 5 gennaio e il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico aveva promesso che la Pernigotti, storica azienda dolciaria italiana, sarebbe rimasta in Italia e che nessuno sarebbe stato licenziato.
Come spesso gli capita di fare, Di Maio ha infatti promesso qualcosa che non poteva mantenere per il semplice fatto che quello che prometteva non dipendeva soltanto dalla sua volontà ma anche da quella di altri.
«Concederemo la Cassa integrazione per cessazione, solo se l’azienda ci garantisce la reindustrializzazione e che i lavoratori continueranno a lavorare», diceva Di Maio uscendo dall’incontro con la proprietà il 15 novembre.
I turchi però non hanno mai avuto intenzione di cedere il marchio e gli acquirenti che si sono fatti avanti non erano interessati ad acquistare lo stabilimento senza il marchio Pernigotti. E Di Maio ha concesso la Cassa Integrazione che non voleva concedere tre mesi fa.
Era una cosa che succedeva anche nella prima Repubblica, quando il ministro dell’Economia entrava in consiglio dei ministri dichiarando che svalutare sarebbe stato un grande insuccesso e se ne usciva dicendo: “Abbiamo svalutato, è stato un grande successo”.
Solo che all’epoca nessuno di quelli che stavano lì pretendeva di rappresentare il Nuovo che Avanza.
(da “NextQuotidiano”)
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