BERLUSCONI NON SI FIDA PIU’ DEL PDL: “TANTI CINGUETTANO CON FINI”
IL PREMIER TEME CHE I PM ABBIANO IN MANO ALTRE CARTE: MA SE AVESSE LA COSCIENZA A POSTO, PERCHE’ MAI DOVREBBE AVERE QUESTO TIMORE?… ATTACCA FINI PER LANCIARE UN MESSAGGIO AI SUOI: ATTENTI A NON TRADIRMI… MA SONO MOLTI I DEPUTATI IN ATTESA SULLA RIVA DEL FIUME
Un attacco a freddo, apparentemente incomprensibile, quello portato ieri dal premier a Gianfranco Fini.
Con l’effetto di accendere un faro sul presidente della Camera, di renderlo di nuovo “l’antagonista”, in qualche modo restituendogli anche quella visibilità un po’ appannata dopo la sconfitta del 14 dicembre.
E allora perchè?
“Fini ormai è un nemico, mi vuole morto, ed è bene – è la spiegazione del Cavaliere, riferita da chi ci ha parlato – che se lo ricordino tutti quanti. Anche tra i nostri vedo qualcuno che già cinguetta con Fli”.
Il sospetto infatti è che alcuni, dentro il Pdl, non si stiano stracciando troppo le vesti per i guai del presidente del Consiglio.
Non lo stiano difendendo allo stremo, non ci stiano “mettendo la faccia”.
Magari pensando già al “dopo”, immaginando scenari in cui la legislatura prosegue con il rientro di Fli in maggioranza.
Ma senza Berlusconi a palazzo Chigi.
Un timore acuito dalla voce, che gli è stata prontamente spifferata, di colloqui intercorsi tra alcuni suoi ministri con i finiani Andrea Ronchi e Pasquale Viespoli. Senza contare il disagio di Gianni Letta per le prese di posizione del mondo cattolico sullo scandalo Ruby o i dubbi di Giulio Tremonti, emersi nell’ultimo Consiglio dei ministri, sulla possibilità di proseguire la legislatura senza avere più il controllo della commissione Bilancio.
Insomma, c’è un 38esimo parallelo sopra il quale futuristi e berlusconiani
hanno ripreso a incontrarsi, parlando di quello che potrebbe accadere se il Cavaliere dovesse schiantarsi.
E ci sono “troppi candidati a succedermi”, si lamenta l’interessato.
Con l’uscita di ieri, il premier ha fatto capire a tutti che non è questo il momento della diplomazia.
Anche perchè la convinzione di molti, tra gli uomini più vicini al premier, è che i magistrati di Milano abbiano in serbo dell’altro.
“Ci deve essere per forza un coniglio nel cilindro – ipotizza un esponente di governo del Pdl – altrimenti i pm sarebbero dei pazzi ad andare a uno scontro con quattro fregnacce sulle escort. Uscirà fuori dell’altro”.
È anche la certezza del premier, del resto.
Convinto che quella ingaggiata dai pm contro di lui sia “una guerra dove non si faranno prigionieri”, uno scontro nel quale non verrà applicata la convenzione di Ginevra.
La paura che “l’attacco al governo” non sia esaurito e che debba presto a tardi aggiungersi un nuovo capitolo fa il paio con il sospetto di “giochi torbidi” in corso da parte di “qualche batteria dei servizi segreti”.
Una paranoia alimentata da episodi come le “strane visite” di ignoti a casa di Gianfranco Rotondi o Saverio Romano.
O i mesi in cui, “mentre chi doveva vigilare è sembrato non accorgersi di nulla”, i cancelli di Arcore sono stati tenuti sotto sorveglianza.
“Mi chiedo se sia normale che il presidente del Consiglio – ha affermato ieri lo stesso Berlusconi, alzando il velo sulle ipotesi che in queste ore si affastellano ai piani alti del Pdl – sia sottoposto ad intercettazioni e spionaggio”.
In ogni caso, in attesa che la polvere si depositi e si comprenda meglio quali carte abbia effettivamente in mano la procura, Berlusconi si prepara al peggio. Fissando a metà maggio la data di un possibile redde rationem elettorale. L’operazione di allargamento della maggioranza è stata messa in stand-by. “Eravamo a buon punto – riferisce chi c’ha lavorato per settimane – ma all’ultimo ci siamo fermati. Erano pronte alla Camera tre persone in più di quelle che poi hanno dato vita al gruppo dei responsabili.
E, se non ci fosse stata Ruby, sarebbero presto salite a sette”.
Anche la nascita del gruppo di responsabilità al Senato è stato congelata. Sarebbe servito a riequilibrare i numeri nelle commissioni bicamerali, per il momento non se ne farà nulla.
La ragione è che, se davvero i pm riusciranno a mettere nell’angolo Berlusconi, il Cavaliere intende difendersi nell’unico modo che conosce: andando alle elezioni anticipate.
E allora non serviranno deputati e senatori in soccorso del governo, anzi potrebbero risultare d’impaccio.
Perchè cadrebbe l’alibi per spingere Napolitano a sciogliere le Camere.
Anche lo slittamento del voto sul federalismo viene letto in questo luce.
Sarebbe infatti la Lega a provocare lo strappo, adducendo come pretesto proprio l’impossibilità di condurre in porto la sua riforma.
“Inoltre – spiega uno dei registi del mancato allargamento – , se proprio si deve andare a votare, che senso ha imbarcare gente che poi vorrà essere candidata nelle nostre liste?”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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