CALENDA, IL RUOTINO DI SCORTA DEL MELONISMO: IL “CHURCHILL DEI PARIOLI” SI SMARCA DAL CAMPO LARGO E NON SOSTERRÀ IL PIDINO GIANI IN TOSCANA (CHISSENEFREGA: “AZIONE” E’ IRRILEVANTE) PER IL PATTO CON IL M5S
IN CALABRIA STA COL CENTRODESTRA, IN VENETO FLIRTA CON ZAIA, NELLE MARCHE 3/4 DEL PARTITO VOTERA’ IL CANDIDATO DEL PD, MATTEO RICCI, CON UNA PROPRIA LISTA, A MILANO NON ESCLUDE DI ALLEARSI CON FORZA ITALIA … RIPIENO COME UNA SALSICCIA DI AMBIZIONI SBAGLIATE, INVITA MELONI AL SUO CONGRESSO E SI OFFRE PER FARLE DA CONSULENTE PER LA POLITICA INDUSTRIALE. MA SE QUALCUNO GLI CHIEDE SE SI STA PROPONENDO PER UN MINISTERO, LUI RISPONDE PICCATO: “NO, STO BENE ALL’OPPOSIZIONE”
Liti, convenienze, scazzottate mediatiche, ma anche rappacificazioni rumorose. Da
tempo Carlo Calenda e Matteo Renzi cercano il centro di gravità permanente nel campo largo, questo fantomatico luogo mediano che i più ritengono sia necessario coltivare per vincere le elezioni ma che nessuno, nel bipolarismo odierno, sa bene come occupare.
Ora la puntata della sitcom prevede l’ennesima scintilla: Calenda, dopo aver visto la foto della stretta di mano toscana tra Paola Taverna ed Eugenio Giani, ha detto che Azione si smarca dal centrosinistra, visto che l’accordo di Giani con il M5S «prevede assurdità, redditi di cittadinanza, il no alle infrastrutture. Se il programma di governo lo decide Taverna noi non ci saremo».
Questo è successo mercoledì alle nove di sera. Ieri mattina Renzi gli ha dedicato la sua E-news: «Chi abbandona il campo per la presenza di Cinquestelle e Avs regala il centrosinistra alla sinistra radicale e il Paese alla trimurti Meloni, Salvini, Lollobrigida».
Da tempo i ruoli tra i due sono definiti così: Renzi recita la parte del ragionevole, quello del “solo uniti si vince”, mentre Calenda veste i panni del ragazzo insoddisfatto, che decide d’impulso, l’anarchico individualista irriducibile ai compromessi con chi è lontano da lui. Renzi ha capito che si salva sotto l’ala protettrice del Pd; di Calenda molti pensano che voglia andare a destra; Renzi dai banchi del Senato inscena acuminati show contro Giorgia Meloni;
Calenda è contento se la Meloni lo elegge a interlocutore; Renzi ha scritto un libro al vetriolo contro «Giorgia»; Calenda l’ha invitata al suo congresso e si è offerto per farle da consulente per la politica industriale. Si sta proponendo per un ministero, gli hanno chiesto. «No, no, sto bene all’opposizione». Ma fino a quando?
«È uno che cambia idea ogni cinque minuti», l’ha liquidato tempo fa il pd milanese Pierfrancesco Majorino. «È così ondivago, che aiuta Forza Italia», ha spiegato Ivan Scalfarotto di Italia viva. In vista delle Regionali va segnalata una certa erraticità: nelle Marche lascia libera coscienza ai suoi, in Toscana vedremo, in Campania non intende appoggiare Fico, in Puglia sostiene Decaro, in Calabria sta col centrodestra, ma
tempo fa ha dato del «bullo» al presidente Occhiuto, in Veneto flirta con Zaia, a Milano non esclude di allearsi con il partito di Tajani. Del resto un anno fa, in Basilicata, Calenda aveva appoggiato Bardi e il centrodestra aveva vinto largamente.
Renzi dà l’idea di avere compreso l’amara lezione del 2022, quando il centrosinistra si presentò diviso in tre, e trionfò Meloni. Il senatore fiorentino ieri infatti ha ricordato che «dall’altra parte ci sono Vannacci, leghisti complottisti, No Vax, lollobrigidiani». E quindi lo ha esortato alla ragionevolezza: «Se crediamo nel bipolarismo è evidente che ci si debba alleare con compagni di strada anche lontani dalle nostre idee». Ma Calenda va in collera per il reddito di cittadinanza.
(da agenzie)
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