CARI FASCISTI, QUEI PROFUGHI SONO SERGIO RAMELLI
DA BEPPE NICCOLAI A PIER PAOLO PASOLINI: QUEI MONITI CONTRO L’EMARGINAZIONE DEI CAPRI ESPIATORI DI TURNO
C’è qualcosa di peggio di chi liquida il disagio delle periferie con una scrollata di spalle, la rivolta dei quartieri con l’accusa un po’ snobistica e generica di razzismo.
E’ peggiore quell’antropologia politica che avendo in queste nostre periferie fiutato l’odore forte della disperazione e della paura vi si è precipitata con l’antico istinto di chi non cerca di dare una risposta e una soluzione a quella rabbia ma vuole fomentarla per farla dilagare, perchè in questa energia primaria ritrova finalmente il suo elemento costitutivo, vi intuisce un potenziale, esplosivo consenso da capitalizzare e mettere a servizio d’un revanscismo che non ha mai cessato di digrignare i denti e affilare le zanne.
E’ quanto accade da anni, si dirà , anche nel resto d’Europa dove il fuoco dell’estrema destra, colpevolmente rimosso dai partiti di sistema incapaci di entrare nel merito dei problemi sollevati dalla globalizzazione, ha covato pazientemente per anni prima di esplodere anche elettoralmente.
Ed è l’analisi che Matteo Renzi ha fatto nell’ultima direzione nazionale del Pd indicando nella montante marea xenofoba il nemico principale che ogni seria forza riformista deve contrastare sottraendogli terreno con la razionalità politica.
Una diagnosi esatta della situazione per la quale non è tuttavia ancora chiaro il rimedio che i partiti di sistema europei abbiano in mente oscillando tra la farisaica condanna del razzismo, gli inumani respingimenti in mare e l’assenza totale di una governance dei flussi di migrazione oggetto di disputa nazionalistica continentale dove le principali energie dei vari paesi Ue sono impiegate nello stornare sui confinanti la loro quota di allogeni.
Tuttavia c’è un dato particolare che in Italia va rilevato e che riguarda proprio gli attori politici che in queste settimane hanno animato le rivolte urbane contro i migranti, assediato i centri d’accoglienza, impedito ai bambini rom l’ingresso a scuola, occupato i talk show televisivi non limitandosi a immaginare politiche diverse di accoglimento o respingimento ma dando fondo a tutta la peggiore retorica del primatismo italiano ed europeo, vellicando i peggiori istinti di diffidenza, ragionando per etnie e appartenenze.
Questi attori che si sono guadagnati la ribalta della cronaca politica non vengono dal nulla; sono “i ragazzi di Casa Pound”, come confidenzialmente si era cominciati a chiamarli in questi ultimi anni; sono gli ex missini di Fratelli d’Italia, già convinti finiani ed esecutori acritici delle svolte impresse dal leader; sono i movimentisti del Fronte della gioventù degli anni ottanta a parole insofferenti rispetto ai vecchi slogan e alle vecchie manie della paleodestra legge e ordine; sono gli ex An di Forza Italia.
Sono soggetti che a vario titolo provengono da quella non piccola cosa che è stata la vicenda della destra italiana e che rispetto alla Lega nord di Matteo Salvini hanno una storia più antica e più sofferta.
Ecco il dato che colpisce e che impressiona di queste biografie, di queste storie, di queste facce è che fino a un ventennio fa i monatti, i capri espiatori, i ragazzini cacciati dalle scuole, i migranti e gli ebrei d’Italia erano loro.
Erano loro quelli a cui il conformismo e il razzismo politico impedivano l’agibilità — come si diceva — nelle università , nei quartieri, nelle fabbriche; loro quelli a cui chiudevano la bocca a prescindere, in nome di quell’antifascismo di sistema che era la prosecuzione del fascismo con altre forme e che li condannava e li metteva all’indice per il semplice fatto di esistere.
E su questa esclusione la destra italiana aveva investito una riflessione chiedendo giustamente anche per sè ciò che valeva per tutti.
Su questa esclusione Beppe Niccolai, disse una volta che ogni dissidente russo era suo fratello ma più ancora e perchè non ci fossero equivoci che ogni desaparecido argentino lo era.
E contro questa esclusione odiosa e vergognosa che ha mietuto vittime, seminato traumi, provocato ferite le migliori intelligenze democratiche hanno sempre protestato la vergogna, l’oscenità : «In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente – diceva Pasolini – abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti…Non abbiamo parlato con loro».
Eppure è bastato un decennio, un cambio di scenario che oggi questa stessa destra, a cui la storia aveva destinato il discutibile privilegio di provare sulla propria pelle il dolore e l’ingiustizia dell’esclusione, è di nuovo all’attacco, a puntare l’indice e i denti contro il capro espiatorio di turno.
Come se gli occhi spaventati di un ragazzo del Senegal chiuso in un centro d’accoglienza che da un vetro guarda una folla che lo vuole respingere non siano gli stessi di Sergio Ramelli, 16 anni, Fronte della Gioventù di Milano, intimidito per mesi nella sua scuola e messo al bando prima di essere sprangato sotto casa, una mattina di marzo, nel 1975, da un commando di studenti universitari di medicina, come simbolo ideologico da abbattere.
Come se dentro ogni centro d’accoglienza assediato, in ogni ragazzo respinto e separato per la sua provenienza non ci sia Sergio Ramelli, la vittima predestinata. Basterebbe guardarlo negli occhi, sentire che la sua paura è quella di ciascuno per terminare questa prassi oggettivamente schifosa che è la xenofobia.
Riccardo Paradisi
(da “Cronache del Garantista“)
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