Gennaio 8th, 2012 Riccardo Fucile
“TROPPE PISTOLE IN GIRO” DENUNCIA IL SINDACO DI ROMA ALEMANNO DOPO L’ORRENDO OMICIDIO DELLA BIMBA CINESE… MA NELLA MANOVRA SALVA-ITALIA SPUNTA UN ARTICOLO CHE ABOLISCE IL CATALOGO NAZIONALE DELLE ARMI IN VIGORE DA 36 ANNI E CHE GARANTIVA IL CONTROLLO SULLA LORO DIFFUSIONE
La rapina finita nel sangue a Roma e la follia omicida di metà dicembre a Firenze riportano
in primo piano il tema della licenze per il porto d’armi.
Il motivo è semplice: giusto un mese prima di questi episodi, senza troppa pubblicità , il Parlamento ha cancellato con un tratto di penna il “catalogo nazionale delle armi comuni da sparo” cioè lo strumento che negli ultimi 36 anni della Repubblica ha garantito un controllo sul rilascio e la detenzione delle armi ammesse a circolare sul territorio italiano.
Con il comma 7 dell’articolo 4 della legge (n. 183 del 12 novembre 2011) è stato abrogato l’articolo 7 della legge 18 aprile 1975, recante le “norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi” istituito presso il ministero dell’Interno.
Quasi un atto amministrativo cui sono seguite polemiche ma sul quale il governo non ha fatto marcia indietro, considerando le critiche di alcuni parlamentari frutto di un infondato allarmismo.
Tre giorni dopo, infatti, un gruppo di parlamentari ha presentato un disegno di legge che chiedeva il ripristino d’urgenza del catalogo e definiva quella scelta “inopinata e sconsiderata” per gli effetti che avrebbe avuto sulla sicurezza dei cittadini.
Parole quasi profetiche.
Un mese dopo, con una magnum Gianluca Casseri in piazza Dalmazia e poi nel mercato di Borgo Sal Lorenzo a Firenze uccideva ambulanti senegalesi come in un videogioco.
E qualche sera fa, a Tor Pignattara, la sparatoria in cui vengono uccisi un cinese e la sua bimba di nove mesi.
Stragi a mano armata che oggi riportano l’abolizione del pubblico registro delle armi al centro del dibattito e ovviamente chi l’ha caldeggiata nel mirino delle polemiche.
In realtà la decisione di cancellare il registro appartiene ancora al governo Berlusconi e quello dei tecnici l’ha semplicemente mantenuta.
E non era la prima volta che si tentava di affossarlo per legge.
Lo denuncia lo stesso disegno di legge “riparatore” che ora pende in Senato.
“Nel corso della presente legislatura — si legge nel Ddl — si era assistito nell’aula del Senato a tentativi operati dai lobbisti delle armi di abrogazione del catalogo. Questi tentativi però erano stati vanificati dal contrasto netto della maggioranza dei Senatori, che avevano convinto gli stessi sostenitori dell’abrogazione a fare marcia indietro e a riproporre la questione in sede di commissione o in altra idonea per una discussione approfondita”.
Invece, approfittando di un provvedimento che avrebbe osato smontare — perchè a carattere d’urgenza per i conti dello Stato — si è inserita furbescamente la norma di abrogazione del catalogo armi, un provvedimento che nulla aveva a che fare con quello principale.
La zampata non è sfuggita alle associazioni legate alla rete italiana del disarmo compatte nel ritenere che questa decisione avrebbe condotto a un “far west” armiero.
“Si va verso uno smantellamento del controllo sulle armi leggere e sull’export — denunciava Giulio Marcon, portavoce della campagna “Sbilanciamoci” e aderente alla “Rete italiana per il disarmo” — l’Italia rischia di perdere il controllo sulla diffusione delle armi e di favorire la criminalità organizzata”.
Ma perfino i sindacati di polizia hanno espresso la noro netta contrarietà al provvedimento. “Con l’eliminazione del catalogo liberalizzano il commercio delle armi più pericolose in Italia”, rimarcava ad esempio l’Associazione nazionale funzionari di polizia (Anfp).
Che pur di far ragionare il legislatore “tecnico” la ributtava sul piano dei costi: la cancellazione del registro infatti farebbe lievitare “vertiginosamente le spese per il loro controllo, che dovranno essere sostenute dai cittadini”.
E allora chi chiede la libera e incontrollata circolazione delle armi?
I costruttori, la fiorente industria d’armi nazionale che svetta in cima alle classifiche europee come fornitore di armi.
Lo rivela un trionfale comunicato del 29 novembre scorso dell’Anpam, l’Associazione nazionale dei Produttori di armi e munizioni che certifica il primato italiano nella vendita di armi per uso sportivo-venatorio: 2.264 imprese, 11.358 addetti, 612.408 armi, 902 milioni di munizioni per un valore della produzione peri 486 milioni di euro.
Il 60% di quelle che circolano in Europa le produciamo “noi” (370 milioni di euro in valore).
E la stessa associazione, che è poi il volto istituzionale della lobby armiera nazionale, difendeva così l’abrogazione come una richiesta proveniente dall’Europa: “L’abolizione del Catalogo — recita una nota — è stata espressamente richiesta dall’Europa mediante una recente procedura d’infrazione, la 2336/11/Italy, e ci uniforma agli altri paesi europei”.
Eppure di procedure aperte nei confronti dell’Italia ce ne sono 136 e la prima sanzione per il nostro Paese è arrivata a novembre per 30 milioni di euro.
Ma, sorpresa, non riguarda affatto le armi ma il mancato recepimento di una direttiva comunitaria relativa ai contratti di formazione lavoro.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 7th, 2012 Riccardo Fucile
CALDEROLI SU MONTI HA PROPRIO SBAGLIATO STRATEGIA, ACCUSANDOLO DI AVER MANGIATO IL COTECHINO A FINE ANNO…PER FAR DIMENTICARE ALLA BASE LEGHISTA IL NULLA COMBINATO A ROMA DAI DEPUTATI DEL CARROCCIO, E’ INUTILE TIRARE PETARDI CHE POI TI ESPLODONO IN MANO
Non conosco personalmente Calderoli e non avete idea di quanto ne soffra: quell’uomo è a conoscenza di segreti, riguardo alla scelta degli abiti e degli aggettivi, che temo mi resteranno preclusi per sempre.
Se però avessi confidenza con lui, gli direi che su Monti sta sbagliando strategia.
Accusare il premier di aver mangiato il cotechino di san Silvestro a Palazzo Chigi con la sua famiglia di noti trasgressivi è stato un errore.
E non solo perchè ha offerto il destro al perseguitato di prendere elegantemente per i fondelli il persecutore, fornendo la lista dei negozi in cui la moglie aveva fatto la spesa.
Molto più grave, dal punto di vista di Calderoli, è che la rivelazione sulle gozzoviglie montiane non avrà indotto i patrioti padani a scandalizzarsi, ma a riflettere sulla circostanza che, da buon lumbard, Monti aveva lavorato anche l’ultimo dell’anno.
Capisco che per scaldare la base leghista e farle dimenticare il nulla combinato a Roma dai suoi rappresentanti sia necessario tirare petardi contro il nuovo governo.
E’ la mira che mi sembra scentrata.
Di questo presidente del Consiglio si potrà dire che è un tecnocrate, che è il genero preferito dai tedeschi, persino che appartiene a una setta di banchieri o di vampiri, ammesso sia ancora possibile cogliere la differenza.
Ma fare le pulci alla sobrietà di Monti è come esplorare il cotè razzista di Obama: vano esercizio retorico.
Specie se a farle, le pulci, è uno che ha condiviso l’avventura politica e stilistica di Berlusconi, accettando senza fare una piega che le auto di Stato venissero usate per scarrozzare le escort del sultano.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 6th, 2012 Riccardo Fucile
IRONIA SUL PADAGNO DOPO LE SUE USCITE SUL CAPODANNO DI MONTI: “LEI E’ NOTO PER AVER REGALATO ALL’ITALIA IL PORCELLUM, NOI CONTRACCAMBIAMO, SPERANDO NON LE VADA DI TRAVERSO DOPO LA BRUTTA FIGURA CON MONTI”
”Caro Calderoli, Lei è noto per aver regalato all’Italia il famigerato ‘Porcellum’, noi contraccambiamo con un po’ di cotechino e lenticchie avanzate dal cenone di fine anno. Non sono quelle di Palazzo Chigi, purtroppo: siamo in periodo di crisi e dobbiamo risparmiare. Speriamo non le vadano di traverso, specie dopo la nota di ieri sera del Presidente del Consiglio. Saluti”.
I giovani di Futuro e libertà ironizzano sullo scambio di messaggi avvenuto ieri tra il premier Mario Monti e l’ex ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli sul cenone di Capodanno, del presidente del Consiglio, che, a detta del deputato leghista sarebbe stato inopportuno perchè tenuto a Palazzo Chigi.
La lettera è stata recapitata questa mattina a Calderoli, direttamente al parlamento della Padania, insieme a una confezione di cotechino e lenticchie.
Insomma, il cenone di capodanno della famiglia Monti a Palazzo Chigi continua a far discutere. L’ex ministro leghista Roberto Calderoli ha accusato infatti il premier di aver speso soldi degli italiani per festeggiare l’arrivo del 2012. “Corrisponde alla verità la notizia secondo cui la notte dell’ultimo dell’anno si siano tenuti dei festeggiamenti presso la Presidenza del Consiglio?”, ha scritto Calderoli chiedendo chiarimenti su “chi abbia sostenuto gli oneri della serata”. Perchè, “se il premier ha utilizzato un Palazzo istituzionale e il personale per una festa privata — è la conclusione dell’ex ministro — dovrebbe rassegnare immediatamente le dimissioni”.
Monti però non ha rinunciato a rispondere e non senza un tocco di humor ha così replicato. Festa? Si è trattato di “una semplice cena di natura privata, dalle ore 20.00 del 31 dicembre 2011 alle ore 00.15”.
La nota della presidenza è dettagliatissima: “Hanno partecipato — si legge — Mario Monti e la moglie, a titolo di residenti pro tempore nell’appartamento, nonchè, quali invitati, la figlia e il figlio, con i rispettivi coniugi, una sorella della signora Monti con il coniuge, quattro bambini, nipoti dei coniugi Monti, di età compresa tra un anno e mezzo e i sei anni”. “Tutti gli invitati alla cena risiedevano all’Hotel Nazionale — prosegue la nota di Palazzo Chigi — ovviamente a loro spese”.
E i costi della cena? “Gli acquisti sono stati effettuati dalla signora Monti a proprie spese presso alcuni negozi siti in Piazza Santa Emerenziana (tortellini e dolce) e in via Cola di Rienzo (cotechino e lenticchie)”. E per fugare ogni dubbio c’è anche un piccolo affresco di vita familiare del premier: “La cena è stata preparata e servita in tavola dalla signora Monti”.
Infine una precisazione non senza malizia: “Il presidente Monti — si legge — non si sente tuttavia di escludere che, in relazione al numero relativamente elevato degli invitati (10 ospiti), possano esservi stati per l’Amministrazione di Palazzo Chigi oneri lievemente superiori a quelli abituali per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente”.
La nota sottolinea che “il presidente Monti evita accuratamente di utilizzare mezzi dello Stato se non per ragioni strettamente legate all’esercizio delle sue funzioni. Pertanto, il Presidente per raggiungere il proprio domicilio a Milano — conclude — utilizza il treno”.
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Gennaio 5th, 2012 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA VANEGGIA DI UNA FESTA A PALAZZO CHIGI PER LA FINE DELL’ANNO, FORSE PENSAVA AI FESTINI DEL PRECEDENTE PREMIER… MONTI GLI RISPONDE IN DETTAGLIO E LO DISTRUGGE: “SOLO UNA CENA CON I SEGUENTI FAMILIARI NELLA MIA ABITAZIONE PRIVATA E A MIE SPESE”… UNA DOMANDA LA FACCIAMO NOI AL LEGHISTA: PERCHE’ A SUO TEMPO SI E’ RIFIUTATO DI SOTTOPORSI AL TEST ANTIDROGA PROMOSSO DA GIOVANARDI?
Quella specie di ministro al nulla per il quale era stato creato un ministero fantasma perchè potesse pavoneggiarsi tra roghi di presunte leggi che già non venivano applicate da anni e giri in bermuda alle feste di paese con relativa scorta pagata dai contribuenti italiani, stavolta l’ha fatta proprio fuori dal bulacco.
Se non fosse per i diversi usi cui può essere destinata la protuberanza in questione, si potrebbe dire che ha proprio sbattuto di naso, lui che di naso trinariciuto se ne intende.
Sul far del pomeriggio, imbeccato da qualche maldestro “spacciatore” di palle, Calderoli cerca di conquistarsi uno spazio sui media con una interrogazione che riguarderebbe voci di un presunto party a palazzo Chigi per la fine dell’anno.
“Se corrispondesse al vero la notizia secondo cui la notte del 31 dicembre si sono tenuti festeggiamenti di natura privata per il nuovo anno a Palazzo Chigi – dice in un’interrogazione scritta al presidente del Consiglio – Monti dovrebbe rassegnare immediatamente le dimissioni e chiedere scusa al paese e ai cittadini”.
L’esponente leghista domanda informazioni su “chi ha sostenuto gli oneri diretti e indiretti della serata”.
E pone un’altra serie di domande: “Se la festa avesse le caratteristiche di manifestazione istituzionale o di natura privata; quanti fossero gli invitati alla festa e a che titolo vi abbiano partecipato; se l’iniziativa sia stata effettivamente disposta dal presidente; se tra gli invitati figurassero anche le persone care al presidente; chi abbia sostenuto gli oneri, con particolare riferimento alla sicurezza e agli straordinari del personale addetto, e se gli stessi sono stati già corrisposti”.
Il senatore del Carroccio domanda “se non si ritiene inopportuno e offensivo verso i cittadini organizzare, in un momento di crisi come l’attuale, una festa utilizzando strutture e personale pubblici”.
Basterebbe rispondergli: per proteggere un soggetto come lui per tanti anni, quanto hanno dovuto pagare di scorte i contribuenti italiani?
Come mai non ha posto queste domande quando qualcuno nelle sedi istituzionali faceva entrare troie in incognito, puttane professioniste, magnacci e futuri inquisiti, sputtanando l’Italia nel mondo?
Ma andiamo avanti.
La risposta di Palazzo Chigi è arrivata con una nota, ed è molto dettagliata.
«Il Presidente del Consiglio ha appreso da fonti di stampa che il Senatore Roberto Calderoli avrebbe presentato in data odierna un’interrogazione a risposta scritta con la quale chiede di dar conto delle modalità di svolgimento della cena del 31 dicembre 2011 del medesimo Presidente del Consiglio.
Il Presidente Monti precisa che non c’è stato alcun tipo di festeggiamento presso Palazzo Chigi, ma si è tenuta presso l’appartamento, residenza di servizio del Presidente del Consiglio, una semplice cena di natura privata, dalle ore 20.00 del 31 dicembre 2011 alle ore 00.15 del 1° gennaio 2012, alla quale hanno partecipato: Mario Monti e la moglie, a titolo di residenti pro tempore nell’appartamento suddetto, nonchè quali invitati la figlia e il figlio, con i rispettivi coniugi, una sorella della signora Monti con il coniuge, quattro bambini, nipoti dei coniugi Monti, di età compresa tra un anno e mezzo e i sei anni.
Tutti gli invitati alla cena, che hanno trascorso a Roma il periodo dal 27 dicembre al 2 gennaio, risiedevano all’Hotel Nazionale, ovviamente a loro spese.
Gli oneri della serata sono stati sostenuti personalmente da Mario Monti, che, come l’interrogante ricorderà , ha rinunciato alle remunerazioni previste per le posizioni di Presidente del Consiglio e di Ministro dell’economia e delle finanze.
Gli acquisti sono stati effettuati dalla signora Monti a proprie spese presso alcuni negozi siti in Piazza Santa Emerenziana (tortellini e dolce) e in via Cola di Rienzo (cotechino e lenticchie).
La cena è stata preparata e servita in tavola dalla signora Monti.
Non vi è perciò stato alcun onere diretto o indiretto per spese di personale.
Il Presidente Monti non si sente tuttavia di escludere che, in relazione al numero relativamente elevato degli invitati (10 ospiti), possano esservi stati per l’Amministrazione di Palazzo Chigi oneri lievemente superiori a quelli abituali per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente.
Nel dare risposta al Senatore Calderoli, il Presidente Monti esprime la propria gratitudine per la richiesta di chiarimenti, poichè anche a suo parere sarebbe “inopportuno e offensivo verso i cittadini organizzare una festa utilizzando strutture e personale pubblici”.
Come risulta dalle circostanze di fatto sopra indicate, non si è trattato di “una festa” organizzata “utilizzando strutture e personale pubblici”.
D’altronde il Presidente Monti evita accuratamente di utilizzare mezzi dello Stato se non per ragioni strettamente legate all’esercizio delle sue funzioni, quali gli incontri con rappresentanti istituzionali o con membri di governo stranieri.
Pertanto, il Presidente, per raggiungere il proprio domicilio a Milano, utilizza il treno, a meno che non siano previsti la partenza o l’arrivo a Milano da un viaggio ufficiale».
Non contento della figura di merda che ha rimediato, il poveraccio Calderoli, che di buchi evidentemente se ne intende, replica dicendo che “la toppa è peggio del buco e che la nota di Monti conferma che c’è stata una festa privata, testimoniata dall’ampia partecipazione dei suoi parenti e congiunti, indipendentemente dal lavoro che sarebbe stato svolto dalla signora Monti in
cucina e nel servizio ai tavoli”.
Forse non gli è ancora chiaro un semplice concetto che gli traduciamo in un linguaggio più alla sua portata: ognuno a casa sua invita chi cazzo gli pare!
A differenza di altri, Monti non porta troie in aerei di Stato e paga il cotechino di tasca sua.
Piuttosto Calderoli risponda a una semplice domanda: perchè quando, a suo tempo, il ministro Giovanardi chiese a tutti i parlamentari di sottoporsi al test antidroga lui si rifiutò di aderire all’iniziativa e di sottoporsi all’esame?
Forse agli italiani interessa più questo.
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Gennaio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
NONOSTANTE 4 MILIONI DI FINANZIAMENTO PUBBLICO, IL GIORNALE VENDE SOLO TRA LE 8.000 E LE 10.000 COPIE E PERDE SOLDI A GETTO CONTINUO… CAMBIA IL DIRETTORE: FATTO FUORI IL MARONIANO BORIANI, ARRIVA LA PIAZZO, VICINA AL CERCHIO MAGICO
La lotta di potere interna alla Lega tra la vecchia guardia (cerchio magico) e la corrente di Maroni ha pesanti ripercussioni anche su La Padania, il quotidiano, l’organo ufficiale di partito è a rischio chiusura.
Da quattro anni il giornale è in stato di crisi, ci lavorano una decina di poligrafici e 30 giornalisti che nelle scorse settimane avevano attuato lo sciopero delle firme in segno di protesta per le decisioni annunciate dal Cda della testata e i cui membri sono, tanto per intenderci, i “cerchisti” Federico Bricolo, Roberto Cota, Marco Reguzzoni, Giancarlo Giorgetti, Stefano Stefani e Rosi Mauro.
A capo di tutti, responsabile dei media padani poi c’è Renzo (Trota) Bossi.
Il destino per i giornalisti, prima della protesta, sembrava segnato: il Cda era orientato alla mobilità , la riduzione della foliazione e il passaggio al web. Punto e basta.
Ora la speranza è appesa a eventuali contratti di solidarietà che, in caso venissero concessi, scatterebbero non prima di marzo.
Il quotidiano del Carroccio (che riceve quasi 4 milioni di euro di finanziamento pubblico) ormai vende meno di 10 mila copie, perde soldi, ed è oggetto del litigio politico interno al partito eppure, secondo lo stesso gruppo editoriale, non ha un euro di debito paga regolarmente stipendi e fornitori.
Ma piace sempre meno.
La tiratura, sulla quale è calcolato il contributo statale, è scesa da 62 a 55 mila copie, le vendite effettive oscillano tra le 8-10 mila copie di un giorno di metà settimana con un picco massimo di 25 mila.
Tornando ai giornalisti e poligrafici che ci lavorano, sabato 17 dicembre l’assemblea di redazione in un comunicato aveva chiesto al Consiglio di amministrazione dell’Editoriale Nord di smentire che il “Cda avrebbe preso decisioni indipendentemente da qualsiasi trattativa a tutela della difesa dei livelli occupazionali”.
La smentita, per la verità come raccontano da via Bellerio , non è mai arrivata.
Loro, i giornalisti, al momento hanno comunque deciso di sospendere la protesta in attesa dell’insediamento di lunedì del nuovo direttore Stefania Piazzo.
Al direttore uscente Leonardo Boriani, invece, era toccato presentare quel piano aziendale deciso senza alcuna concertazione.
Quello, cioè, che aveva indotto i giornalisti a chiedere delucidazioni sulla frase del Cda che “potrebbe assumere decisioni pesanti che non escludono il ricorso a procedure di mobilità ”.
Lo stesso direttore Boriani, per la verità , durante gli scambi di auguri natalizi con la redazione non aveva risparmiato frecciate ai “cerchisti” e il loro peso nella politica di affossamento del giornale.
Nessun nome ma precisi riferimenti.
Lui, filomaroniano, è stato sostituito da Stefania Piazzo (area cerchio magico) caporedattore centrale e unica giornalista che durante le tre giornate di sciopero delle firme decise dal comitato di redazione aveva comunque firmato i suoi articoli.
Eli.Reg.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 1st, 2012 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO DI RITORNARE AD ESSERE PARTITO DI LOTTA NON E’ PIU’ CREDIBILE AGLI OCCHI DI ELETTORI DELUSI… IL PARTITO E’ ORMAI SPACCATO IN DUE, MA MARONI NON HA LA STOFFA DEL LEADER, MENTRE STANNO NASCENDO NUOVE SIGLE CONCORRENTI
Umberto Bossi è ormai una macchietta tragica e pericolosa.
Fasciata in un cardigan largo, sformato di colore verde, a mo’ di grottesca sindone padana. Adesso che la parabola dell’imbarazzante figlio Trota prevede anche presunte inchieste giudiziarie, e non solo più gaffe, il Senatùr è costretto a insultare il capo dello Stato per tenere insieme una Lega sempre più lacerata dalle guerre interne.
Un nervosismo evidente, plateale.
L’altra notte a Bergamo, alla festa del Carroccio (la “Berghem Frecc”), Bossi ha chiamato “terùn” Napolitano (“nomen omen”) e gli ha pure mostrato le corna, incoraggiato dal pubblico. Al premier Monti ha riservato un insulto ancora più greve e volgare.
I militanti hanno intonato “Monti vaffanculo” e lui ha chiosato, stile Calderoli (noto per le sue battute contro i gay): “Chissà che non gli piaccia a Monti”. Squallido.
Ovviamente nel repertorio della stanca Lega di lotta e opposizione c’è spazio di nuovo per la secessione.
Che però Bossi chiama “indipendenza”. Slogan, come al solito.
Sul palco di Bergamo, con il Senatùr non c’era nessuno del “cerchio magico” che lo ha blindato dai tempi dell’ictus.
Nè i capigruppo Reguzzoni e Bricolo, nè la “badante” nonchè vicepresidente del Senato Rosi Mauro.
Per loro, trasferta “vietata” dai due colonnelli più antichi del Capo, i due Roberti: Maroni e Calderoli.
Il primo, ex ministro dell’Interno, ha sorriso e applaudito agli insulti bossiani della “Berghem Frecc”.
Ma l’immagine del palco, Bossi con Maroni e Calderoli, è il segno più evidente della solitudine e dell’impotenza di un leader in declino.
Senza più poltrone di governo, senza più il controllo del partito, senza più il sostegno (almeno in apparenza) dell’ex amico “Silvio”.
Orfano forzato del cerchio magico, il Senatùr aveva accanto a sè la stessa persona che ha alimentato dubbi sullo scandalo che ha investito l’amato Trota, consigliere regionale in Lombardia.
Così Maroni: “Spero non sia vero, la Lega che conosco è fatta di persone oneste”.
Sospettato di fare festini a base di droga con Alessandro Uggeri, fidanzato di Monica Rizzi, assessore leghista al Pirellone, Renzo Bossi è il simbolo della deriva nordcoreana di un partito governato per due decenni in modo leninista.
Una satrapia guidata dalla zarina Manuela Bossi e che la stampa ha chiamato “cerchio magico”. Bossi ha liquidato la questione di netto, “è un modo per sporcare la gente”, e la Rizzi, che è la “badante” politica del Trota, ha minacciato di querelare il quotidiano che ha pubblicato l’articolo, La Repubblica.
In realtà , il sospetto è che dietro la notizia ci siano le guerre interne del Carroccio.
Come conferma al Fatto, il neoprocuratore capo di Brescia Fabio Salamone: “Non c’è alcuna inchiesta, anche se non escludo che ci sia un rapporto di amicizia tra Renzo Bossi e Uggeri. Si tratta di beghe di cortile nella Lega”.
Tutto questo però non ha frenato i malumori nel partito e nella base contro la gestione familista del Carroccio.
Tra i quadri locali circolano da tempo allusioni esplicite all’esuberante stile di vita di Bossi junior, che l’apprensiva madre vorrebbe mandare deputato a Roma alle prossime politiche.
Si va dalle sue trasferte “universitarie” a Londra alle ironie sull’ufficio “multe” aperto solo per lui nella sede nazionale della Lega a Milano, in via Bellerio.
Per anni, infatti, il partito ha pagato le contravvenzioni prese dai suoi ministri a Roma e adesso che si è tornati all’opposizione, i funzionari si dedicano agli eccessi di velocità del rampollo “nordcoreano”.
Tra i militanti, l’unico argine al cupio dissolvi è rappresentato da Maroni, cofondatore della Lega.
L’ex fedelissimo Bobo avrebbe ormai la maggioranza del partito con lui e vorrebbe una successione per via democratica, con una stagione di congressi.
Ma la diga del “cerchio magico” ancora non cede e il risultato è una palude padana che Bossi cerca di movimentare con le sue uscite.
Così anche Maroni usa un doppio registro, a imitazione del Capo.
Da un lato sorride e applaude agli insulti in terra bergamasca, dall’altro vacilla sull’innocenza del Trota e attacca Reguzzoni per la campagna contro il discorso di fine d’anno del capo dello Stato.
Un teatrino che una fonte autorevole riassume in un’analisi macabra e spietata: “Se Maroni non si fa venire il coraggio, il rischio è che finchè Bossi vive tutto rimanga bloccato”.
Non solo.
Con le amministrative praticamente alle porte, nascono nuovi movimenti leghisti anti-bossiani. L’ultimo è l’Unione Padana di quattro ex parlamentari leghisti che sta avendo un boom di iscrizioni proprio in provincia di Bergamo.
L’8 gennaio 2012, poi, partirà un nuovo sito padano ma non leghista: L’Indipendenza.
Tra i fondatori tre storici leghisti oggi contro Bossi: Leonardo Facco, Gilberto Oneto e Luca Marchi.
Quest’ultimo fu il primo direttore della Padania, che debuttò nelle edicole l’8 gennaio del ’97. Tre lustri dopo, Marchi dice: “Bossi ha passato vent’anni a fare annunci ma non ha mai realizzato nulla”.
Fabrizio d’Esposito e Elisabetta Reguitti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 30th, 2011 Riccardo Fucile
“TERUN” AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, CORI DI “VAFFANCULO” AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, MINACCE DI SECESSIONE “CON LE BUONE O CON LE CATTIVE”: A BERGAMO VA IN SCENA L’OSTERIA DELLA FECCIA LEGHISTA
Insulti, fischi e grevi ironie. Alla “Berghem Frecc” va in scena il peggio della Lega non più di governo che cerca di rinverdire agli occhi dei militanti l’immagine della “Lega di lotta”.
Obiettivi dello stato maggiore del Carroccio il premier Mario Monti ma soprattutto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, colpevole di aver fatto nascere il governo dei professori e di aver spinto sulle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
A dare il “la” agli attacchi è stato in prima persona il leader leghista, Umberto Bossi, che ha chiesto ai militanti che gremivano il palazzetto di Albino di “mandare un saluto al presidente della Repubblica”: è partita una lunga serie di fischi, proseguita con un gruppo di leghisti che dal fondo ha scandito all’indirizzo del presidente del Consiglio lo slogan ‘Monti vaffa…’: “Magari gli piace”, ha osservato ridendo l’ex ministro delle Riforme dal palco.
“Il presidente della Repubblica – ha detto il Senatur dal palco – è venuto a riempirci di tricolori, sapendo che non piacciono alla gente del nord”.
Secondo Bossi, che ha fatto riferimento alle guerre per l’unità nazionale “tutti i giovani morti stavolta sparerebbero dall’altra parte”.
Quanto al governo di Mario Monti, il Senatur ha tenuto a sottolineare che “è stato voluto e messo lì dal presidente della Repubblica, non ce ne dimenticheremo”.
Da chi gli stava vicino sul palco è arrivata anche una voce che indicava le origini partenopee di Napolitano: “Non sapevo che l’era un terun”, ha chiosato il leader del Carroccio.
Bossi ne ha avuto anche per l’ex premier Silvio Berlusconi, definito “fedele alleato” di Monti nel realizzare “quello che dice la sinistra”.
Una bacchettata anche per l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, indicato da più parti come in rotta con il Pdl e sempre più vicino al Carroccio.
Secondo Bossi, Tremonti avrebbe sbagliato a introdurre l’8 per mille per la Chiesa, “perchè poi ci si dimentica la vera missione dei preti. Roma è piena di furbacchioni – ha aggiunto – non solo la politica ma anche il Vaticano”.
Quindi un nuovo riferimento alla secessione, anche se Bossi ora preferisce chiamarla “indipendenza”: “Noi dobbiamo andare a Milano a confermare che con le buone o le meno buone che Padania sarà : adesso ci siamo rotti le balle”. ha detto il Senatur riferendosi alla manifestazione contro il governo indetta dal Carroccio per il 22 gennaio nel capoluogo lombardo.
Chissà se la magistratura leggerà i resoconti giornalistici della serata da osteria e riterrà finalmente di intervenire con le dovute denunce per vilipendio o farà finta di nulla.
E se saranno felici certi elettori di “presunta destra”, sempre pronti ad allearsi con una feccia che in altre parti d’Europa nessuno ha mai osato portare al governo: giusto Berlusconi poteva farlo, in cambio dell’impunità garantitegli dalle leggi ad personam che i leghisti erano sempre pronti a sottoscrivere.
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Dicembre 29th, 2011 Riccardo Fucile
E MINACCIA: “OLIO DI RICINO PER CHI PROTESTA”…DAL 2008 I COMITATI SI BATTONO CONTRO LA NUOVA COSTRUZIONE COMMERCIALE, ESTESA COME 100 CAMPI DI CALCIO
“Per quelli di sotto ci vorrebbe l’olio di ricino”. Il sindaco leghista di Dolo, Maddalena
Gottardo, alla fine è sbottata.
Ma la battuta viene dal profondo e rivela l’animo della Lega di oggi: che cerca di reinventarsi come partito di lotta vicino al popolo e al territorio, ma resta salda sulla poltrona e approva a marce forzate contestatissimi progetti.
Un partito che non ama dissensi.
Perchè i destinatari dell’olio di ricino sono migliaia di veneti che le hanno tentate tutte per bloccare il progetto di Veneto City.
Niente anti-politica, anzi, il contrario: un esempio di dissenso acceso, ma democratico e fantasioso.
Sempre nelle regole: 11 mila firme raccolte, ricorsi in ogni sede, partecipazione al consiglio comunale, manifestazioni sotto il Comune al suono delle vuvuzelas.
Parliamo di un mega centro commerciale-direzionale che occuperà 715 mila metri quadrati — l’equivalente di 105 campi di calcio — con una volumetria di 2 milioni di metri cubi.
È dal 2008 che tra Venezia e Padova i comitati si battono contro Veneto City.
Ma nelle ultime settimane la battaglia è diventata serrata, perchè il destino della campagna veneta si gioca in queste ore.
Per cambiare definitivamente il paesaggio di Dolo bastavano tre firme: quelle dei Comuni di Dolo (Lega) e Pianiga (Pdl) e quella del Governatore Luca Zaia (Lega).
I comitati non hanno una tessera politica.
In tanti contavano sul fatto che Zaia e i leghisti in campagna elettorale avevano professato attaccamento al Veneto, alle sue tradizioni, alla terra.
Ma quando si è arrivati ai fatti, ecco l’amara sorpresa.
Raccontano Adone Doni e Mattia Donadel, portavoci del Cat ( Comitati Ambiente e Territorio): “La maggioranza del Comune di Dolo ha convocato sedute straordinarie a raffica, perfino la Vigilia e il giorno di Natale, per votare prima del 31”.
E i comitati hanno “assediato” il Comune. Hanno cercato di entrare in consiglio. Ma il 20 dicembre il sindaco emette un’ordinanza: “Visto che nelle ultime sedute si è verificata una massiccia affluenza di pubblico e manifestanti presso la sala consiliare si ordina di chiudere al pubblico gli uffici comunali”.
Racconta Doni: “Sono rimasti solo 40 posti, ma quando abbiamo provato a entrare li abbiamo trovati già occupati da militanti leghisti”.
Così sono partiti esposti al Prefetto e alla Procura. Alla fine il sindaco leghista ha firmato (come quello di Pianiga). Per la gioia dei sostenitori di Veneto City.
Ma di che cosa si tratta esattamente?
Nei documenti ufficiali si parla di un polo destinato a riunire “i servizi per l’impresa, l’università e il commercio”. Tutto e niente.
Le stime parlano di 30-40 mila visitatori al giorno e 70 mila veicoli.
Il progetto prevede torri di 80 metri.
E già l’aspetto urbanistico ha attirato critiche, come quelle del prestigioso Giornale dell’Architettura: si parla di “esiti paradossali”, si ricorda “un’affermazione di Zaia alla Ponzio Pilato che «le variazioni urbanistiche passano in Regione a livello notarile se hanno l’ok dei consigli comunali e della Provincia»”, si sottolinea “la necessità di rifondare il rapporto tra uomo e natura nel Veneto”; ma il Giornale rammenta anche che “l’ultimo passo è stato demandato ai sindaci di due comuni che sommano circa 30 mila abitanti, di fronte a un intervento attorno al quale gravita tutto il Veneto. Le 11 mila firme raccolte dai comitati non hanno inciso sull’iter”. La Difesa del Popolo, giornale della diocesi di Padova, ha dedicato al progetto un’allarmata copertina: “In Riviera la città di cemento a(r)mato”, dove si ricorda che anche “le associazioni di commercianti e agricoltori sono contrarie ma tutto procede”
Per capire davvero il progetto bisogna guardare a quello che ci sta dietro.
Veneto City ha tanti santi in paradiso, raccoglie i signori dell’impresa del Nord-Est: da Stefanel (attraverso la Finpiave) a imprenditori che amavano definirsi “progressisti” come Benetton (ma ultimamente si sono lanciati in operazioni contestate come Capo Malfatano in Sardegna).
Fino alla Mantovani che ha il monopolio delle grandi opere in Veneto.
E la politica? Il centrodestra di Giancarlo Galan, che in questi ambienti ha tanti amici, ha sostenuto l’opera.
Il centrosinistra all’inizio sembrava, tanto per cambiare, confuso: “Veneto City deve essere un’opportunità , non un pericolo”, disse Antonio Gaspari, allora sindaco di Dolo (Margherita). Davide Zoggia (Pd), all’epoca presidente della Provincia di Venezia, in pubblico diceva: “Veneto City potrebbe essere costruita altrove”.
Ma in una lettera riservata definiva il progetto “di sicuro interesse per l’assetto e lo sviluppo economico di Venezia”.
Oggi il Pd, all’opposizione, si dichiara contrario.
Per valutare l’impatto di Veneto City bisogna venire qui.
Muoversi tra Fiesso d’Artico, Dolo e Mira: “Mi ci perdo anch’io che ci abito da una vita”, racconta Vittorio Pampagnin (ex sindaco di Fiesso, con un passato nel centrosinistra), mentre con l’auto vaga tra bretelle e tangenziali che hanno strozzato interi paesi.
Siamo nella Riviera del Brenta, la terra dove Tiziano attingeva i colori per i suoi quadri.
Nella campagna veneta cara ad Andrea Zanzotto.
Qui dove una volta il paesaggio era segnato dai campanili e oggi svettano ciminiere e capannoni. L’era Galan ha lasciato un’eredità pesante: dal 2001 al 2006 sono state realizzate case per 788 mila persone (la popolazione è aumentata di 248 mila abitanti).
Nel 2002 si sono costruiti 38 milioni di metri cubi di capannoni.
In Veneto la superficie urbanizzata è aumentata del 324% rispetto al 1950.
Ben oltre le necessità , come dimostrano migliaia di cartelli “vendesi” appesi a case nuove e mai abitate.
Adesso arriva Veneto City. L’ultima parola spetta oggi a Zaia, il governatore contadino.
Che chiarirà definitivamente da che parte sta.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia, LegaNord | Commenta »
Dicembre 29th, 2011 Riccardo Fucile
IL FIDANZATO DELL’ASSESSORE REGIONALE MONICA RIZZI, SPONSOR DEL FIGLIO DEL SENATUR, RISCHIA DI METTERE NEI GUAI IL TROTA… UN’INDAGINE DELLA PROCURA SU UN GIRO DI AFFARI IMMOBILIARI
Un’amicizia “spericolata” rischia di portare nei guai giudiziari Renzo Bossi, figlio del leader
della Lega.
Il legame è quello con Alessandro Uggeri, fidanzato dell’assessore regionale Monica Rizzi, che aiutò Bossi jr nella campagna elettorale delle regionali 2010.
Un’amicizia stretta al punto che il “Trota” – come il padre ribattezzò anni fa Renzo – trovò ospitalità nella villa di Uggeri nelle settimane in cui combatteva per raccogliere preferenze.
In quella villa erano però state segnalati festini con escort e cocaina.
Le verifiche investigative hanno trovato conferma ai sospetti.
E a quelle serate sexy risultava presente anche Bossi jr. Il consigliere regionale leghista non è formalmente indagato, ma l’inchiesta comunque lo riguarda.
È un altro “scivolone” in un curriculum movimentato. in origine furono dei falsi (non suoi) e una gita spericolata con una moto a quattro ruote nei boschi di Ponte di Legno.
I fatti si svolgono a Brescia, la circoscrizione nella quale Bossi jr è stato eletto con 13mila preferenze, e qualche polemica.
Secondo i magistrati ad agevolarlo nella corsa al Pirellone sarebbero stati dei dossier fabbricati per eliminare dalle liste del Carroccio due avversari scomodi: un “aiuto” confezionato da un maresciallo delle Fiamme Gialle su mandato della Rizzi, bresciana, assessore regionale allo Sport e amica del Trota.
Per questa vicenda la Rizzi è indagata con l’accusa di trattamento illecito di dati protetti (il fascicolo è in mano al pm Fabio Salamone).
Una nuova grana che si aggiunge a quella relativa alla finta laurea in psicologia e alla presunta qualifica di psicoterapeuta infantile (l’assessore ha ammesso di avere millantato).
Ma torniamo a Bossi e alla campagna elettorale del 2010.
La Rizzi viene incaricata dal Senatur in persona di spianare la strada al figlio.
Lei, che conosce Renzo da quando è piccolo, affronta l’impegno come una missione.
Il candidato Bossi jr viene alloggiato in un villone di Roè Volciano, sulle colline vicine a Salò.
Il proprietario di casa è appunto Uggeri: è con lui che a Ponte di Legno scorrazzano in quad in una riserva naturale distruggendo il campo di un contadino e imbattendosi in una guardia forestale (parte un colpo di pistola, dinamica ancora da accertare, indagano i carabinieri di Breno).
Uggeri è un tipo brillante. La sua villa, già teatro di feste in stile Billionaire con fuochi d’artificio e elicotteri in giardino, diventa il quartier generale di Bossi jr. Uggeri gli fa da bodyguard, autista, confidente.
Assieme a Valerio Merola, in arte Merolone – rà s dei locali nella zona del Garda – diventa il suo compagno di scorribande notturne.
Ma i carabinieri di Brescia e la Guardia di Finanza stanno tenendo d’occhio Uggeri per una presunta frode fiscale: l’uomo – secondo gli investigatori – apre e chiude società a un ritmo vorticoso.
Un sistema che gli consente di evadere il fisco e realizzare profitti.
Ed è nel corso di queste indagini che alcuni testimoni mettono i militari sulla pista dei festini con cocaina e prostitute.
Gli accertamenti sono alle battute finali. E confermerebbero che nella sua avventura bresciana il “Trota” si è affidato alle persone sbagliate. Incaricati di aiutarlo a fare incetta di voti, Uggeri & Co avrebbero utilizzato il giovane Bossi come cartina di tornasole.
Forse anche come biglietto da visita per i loro affari. In ambienti investigativi si racconta che in almeno una delle sue società Uggeri avrebbe coinvolto il figlio del leader della Lega.
Altre indiscrezioni riguardano alcuni episodi imbarazzanti che sarebbero accaduti nei mesi scorsi: episodi “pubblici” con protagonisti Uggeri e lo stesso Bossi, nelle loro serate tra feste e locali.
Su questo punto, però, non ci sono conferme.
L’indagine è ancora coperta da uno stretto riserbo: ma il deposito degli atti è imminente.
Le ipotesi di reato più pesanti (droga, prostituzione), riguarderebbero Uggeri e un suo socio.
Paolo Berizzi
(da “La Repubblica”)
argomento: Bossi, Costume, LegaNord, Politica, radici e valori | Commenta »