Novembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
VERGOGNOSA REINTRODUZIONE DELLA POSSIBILITA’ PER I PARLAMENTARI DI DISTRIBUIRE FONDI PER I PROPRI COLLEGI…LE OPPOSIZIONI: “VERGOGNA, PER GENOVA NEANCHE UN EURO”… LE MARCHETTE DELLA LEGA LADRONA
La commissione Bilancio del Senato ha approvato la legge di stabilità e il relativo maxi-emendamento del governo alla legge di stabilità .
La maggioranza ha votato a favore, il Pd si è astenuto, Idv ha votato contro mentre il terzo Polo non ha partecipato al voto.
Il testo sarà in aula domattina per essere licenziato in giornata.
Intanto, nelle pieghe del ddl Stabilità , arriva anche il rifinanziamento della ‘legge mancia’ in base alla quale i fondi sono decisi dai parlamentari per i loro collegi.
Lo prevede l’emendamento omnibus al ddl Stabilità presentato dal relatore, Massimo Garavaglia (Lega), che destina 150 milioni di euro per il 2012-2013 al “finanziamento di interventi urgenti finalizzati al riequilibrio socio-economico e allo sviluppo dei territori e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali” previste dalla legge di Stabilità del 2010.
L’emendamento rifinanzia di 100 milioni per il 2012 e di 50 milioni per il 2013 la legge dello scorso anno che stanziava 50 milioni per l’anno in corso.
A sua volta questa norma riprendeva una disposizione della Finanziaria del 2003 che fu rifinanziata nei tre anni successivi.
Il nome di questa legge è dovuto al meccanismo in base al quale i soldi stanziati verranno ripartiti: sarà una risoluzione bipartisan delle commissioni Bilancio di Camera e Senato a indicare le opere a cui andranno i fondi (“attività sportive, culturali e sociali” dice l’emendamento del relatore) e che in passato hanno riguardato molti piccoli interventi di qualche decina di migliaia di euro (associazioni, parrocchie, oratori, società sportive, ecc) specie nei piccoli comuni dei collegi di senatori e deputati.
Una norma che provoca le ire dell’opposizione: “A quanto pare finora nel ddl stabilità non c’è un euro per i danni dell’alluvione a Genova e in Liguria. A fronte di questa grave inadempienza appare ancora più incredibile lo scandaloso rifinanziamento con 150 milioni di euro della legge mancia, un chiaro atto da maggioranza e governo al capolinea”.
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Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile
UN MINISTERO “CHIUSO PER LIQUIDAZIONE”: CON I TAGLI OPERATI DA TREMONTI A MALAPENA SI RIESCONO A PAGARE GLI STIPENDI AL PERSONALE…NESSUN INTERVENTO A TUTELA DEL PATRIMONIO NATURALE, TUTTO VIENE LASCIATO NEL DEGRADO
Con quelle che si possono considerare le dimissioni virtuali del ministro Stefania Prestigiacomo, tra un’ondata di maltempo e l’altra che minaccia di nuovo Liguria e Toscana, l’emergenza ambientale del Malpaese esplode in tutta la sua gravità .
“«il Piano straordinario per il dissesto è ancora fermo al palo», ammette la stessa Prestigiacomo in commissione al Senato, aggiungendo che a tutt’oggi «non è stata assegnata alcuna risorsa» al suo ministero e che il decreto legge di agosto «ha cancellato tutti i fondi statali».
A questo punto, non resterebbe che appendere sulla porta dell’Ambiente un cartello con la scritta «Chiuso per liquidazione»: nè possono bastare gli stanziamenti d’emergenza annunciati ora per «mitigare l’elevatissimo rischio» che incombe sulla città di Genova, a salvare la coscienza del ministro e del governo a cui appartiene.
Sono proprio “lacrime di coccodrillo” — come dice il nuovo capo della Protezione civile, Franco Gabrielli – quelle che stiamo versando per le dieci vittime della recente alluvione in Lunigiana e nelle Cinque Terre, come le altre che abbiamo già versato o purtroppo dovremo ancora versare in futuro per analoghi disastri ambientali.
Morti e danni provocati non tanto dalla fatalità , ma innanzitutto dalla nostra incuria e irresponsabilità .
E cioè, dall’abbandono delle campagne e delle montagne; dalla cementificazione selvaggia e dagli abusi edilizi; dal dissesto idrogeologico; dalla “politica del condono” e così via.
A questo scempio sistematico, favorito nel tempo dai vari governi della Repubblica, il governo terminale di Silvio Berlusconi ha deciso di dare il colpo di grazia con i cosiddetti “tagli lineari” che hanno ridotto drasticamente i fondi per il prossimo triennio.
Oltre 228 milioni di euro in meno: più di 124 nel 2012, 45 e quasi 59 rispettivamente nei due anni successivi.
E ciò limita la dotazione del ministero a 421 milioni complessivi per l’anno prossimo, rispetto ai 545 previsti dalla stessa Legge di Stabilità .
Basti pensare che nel 2008 il bilancio del ministero era di un miliardo e 649 milioni.
Escluse le spese di funzionamento, il taglio di 124 milioni inciderà nel 2012 sui circa 180 milioni destinati ogni anno agli interventi sul territorio: ne restano disponibili, quindi, una sessantina scarsi.
Un obolo, una miseria.
«In sostanza — denuncia Gaetano Benedetto, responsabile delle Politiche ambientali per il Wwf — abbiamo un dicastero che sopravvive a se stesso, con i soldi a malapena sufficienti per pagare gli stipendi del personale, ma con una capacità operativa praticamente azzerata».
Ecco perchè l’associazione presieduta da Stefano Leoni ha predisposto un documento con le sue osservazioni e proposte di emendamento alla cosiddetta Legge di Stabilità che rischia di decretare la definitiva instabilità del territorio nazionale.
Al primo punto, si chiede al governo ancora in carica o a quello che verrà di mantenere per i prossimi due anni — come per il ministero dei Beni culturali — almeno gli stanziamenti originariamente previsti.
Secondo il Wwf, è necessario confermare inoltre l’accantonamento di 210 milioni di euro per interventi a favore della difesa del suolo che nel frattempo sono stati cancellati.
Poi, c’è il capitolo degli incentivi fiscali per il settore edile, in funzione del risparmio e dell’efficienza energetica: qui si tratta di ripristinare le agevolazioni del 55%(riqualificazioni) e del 36% (ristrutturazioni), recuperando i fondi dai 400 milioni previsti per l’autotrasporto. E infine, il Wwf sollecita la “stabilizzazione” del 5 per mille dell’Irpef, a sostegno delle associazioni senza scopo di lucro che svolgono funzioni di utilità e promozione sociale, insieme agli enti di ricerca scientifica o sanitaria e alle università .
Era un volontario Sandro Usai, l’eroe quarantenne travolto dall’acqua a Monterosso, dopo aver salvato la vita a due persone.
Il presidente della Repubblica ha già annunciato l’intenzione di conferirgli alla memoria la medaglia d’oro al valor civile.
Ma sono in tanti a lavorare in silenzio, e a rischiare la pelle ogni giorno, per difendere il nostro ambiente e la nostra salute.
Giovanni Valentini
(da “La Repubblica“)
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Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
DRAMMATICO VERTICE A PALAZZO GRAZIOLI: “MEGLIO FARE SUBITO UN PASSO INDIETRO”… MA IL PREMIER NON MOLLA LA POLTRONA, MARTEDI’ IL GIORNO DECISIVO…SPUNTA UN NUOVO ESECUTIVO
Alle otto di sera, nel salotto di palazzo Grazioli, la bandiera bianca viene alzata dall’ultimo uomo
da cui il Cavaliere si aspetterebbe il colpo: Gianni Letta.
“Silvio, i numeri sono questi, forse è arrivato il momento di farsene una ragione”. Berlusconi è stanco, fissa i suoi interlocutori.
Ha davanti a sè Denis Verdini, Letta, Angelino Alfano e Paolo Bonaiuti.
Li guarda senza davvero capire quello che gli stanno dicendo. È finita.
Ha passato la notte precedente a trattare con Obama e Sarkozy, ora gli stanno dicendo che la fine della sua stagione politica è stata decisa da Stracquadanio e Bertolini.
Ma è così.
Denis Verdini, l’uomo che ha garantito nell’ombra tutte le trattative con i parlamentari, stavolta ammette che i numeri non ci sono più.
Se si votasse domani sul rendiconto dello Stato i numeri si fermerebbero a 306 deputati.
Ma il coordinatore stavolta è anche più pessimista: oltre a quelli che sono già andati via c’è anche un’altra area di dissenso, un’area grigia di una quindicina di deputati pronti a staccarsi dalla maggioranza, portando così la conta finale a 300. Sarebbe la fine.
Sono ore drammatiche, il premier incassa questi numeri ma non ci sta. Si ribella, alza la voce. E prova a resistere.
“Non ci credo. Li chiamerò uno ad uno personalmente. È tutta gente mia, mi devono guardare negli occhi e dirmi che mi vogliono tradire. Io lo so che sono arrabbiati, è gente frustrata, si rompono le palle a pigiare tutti i giorni un pulsante, ma non hanno un disegno politico. Ci parlerò”.
Verdini e Alfano non condividono l’ottimismo del Cavaliere e stavolta non hanno paura a dirlo: “Ci abbiamo già parlato noi, è stato inutile”.
Berlusconi li ascolta, a volte sospira e sembra rendersi conto della gravità della situazione.
Per la prima volta le sue certezze traballano, inizia a prendere in considerazione l’impensabile.
“Io potrei anche lasciare il posto a qualcun altro, come dite voi. Se vedessi un nuovo governo potrei fare un passo indietro, il problema è che non lo vedo”. E tuttavia i suoi uomini insistono.
La pressione per allargare la maggioranza all’Udc è sempre più forte.
Nel governo, nella componente dei forzisti, ormai è un coro. E non resta molto tempo, le lancette corrono veloci.
Martedì si voterà il Rendiconto dello Stato, poi probabilmente partirà una mozione di sfiducia.
A quel punto sarà troppo tardi.
Così, nella lunga notte di palazzo Grazioli, viene elaborata una strategia per affrontare i prossimi passaggi.
Prendendo in considerazione i numeri ma anche l’insistenza del Cavaliere nel provare a resistere. Viene studiato un possibile atterraggio morbido.
Da oggi a lunedì Berlusconi farà le sue telefonate ai ribelli e le sue convocazioni.
Prima del voto alla Camera verrà fatto un ultimo controllo, un check nome per nome, tracciando il bilancio definitivo.
Sarà in quel momento che verrà presa la decisione finale perchè, se i numeri saranno ancora negativi, al Cavaliere hanno consigliato di andarsi a dimettere senza passare per un voto di sfiducia.
“Possiamo anche andare allo scontro – gli hanno spiegato Alfano e Letta – ma se perdiamo, e stavolta è probabile che perdiamo, la palla passa agli altri. A quel punto possiamo solo subire”.
Al contrario, se Berlusconi si decidesse a pilotare il passaggio con delle dimissioni volontarie, continuerebbe a essere il regista dell’operazione. Spianando così la strada a un nuovo governo, a maggioranza Pdl, a cui il Terzo polo non potrebbe dire di no.
Un governo guidato da Gianni Letta o Mario Monti.
A quel punto la vera incognita sarebbe la Lega. Anche di questo si è discusso a via del Plebiscito, ipotizzando che Roberto Maroni possa restare al Viminale.
La strada del voto anticipato, il mantra ripetuto fino a ieri da Berlusconi e dallo stato maggiore del Pdl fin dentro lo studio del capo dello Stato, non viene nemmeno preso in considerazione.
Serve alla propaganda, ma i sondaggi sono impietosi.
Per il Pdl andare alle urne in questa situazione sarebbe un naufragio rovinoso.
Al contrario, nel caso il Cavaliere accettasse di favorire il passaggio a un governo diverso, per il centrodestra si aprirebbero opportunità vantaggiose. “Con Gianni Letta a palazzo Chigi – hanno spiegato al premier – allarghiamo l’alleanza a Casini e possiamo decidere noi se andare al voto tra sei mesi o tra un anno. Quando ci conviene di più”.
Ma anche se Napolitano incaricasse Mario Monti per un governo di “salvezza nazionale”, con una dura agenda di sacrifici – quella tracciata ieri a Cannes con l’Ue e il Fondo monetario – per il Pdl e Berlusconi ci sarebbero vantaggi. “Avremmo tutto il tempo di riorganizzarci e preparare la candidatura di Alfano nel 2013”.
Inoltre si alleggerirebbe la responsabilità per il micidiali tagli che dovranno essere approvati.
E resterebbe solo Mario Monti come artefice della purga.
Altre strade, nonostante Berlusconi resista, non ci sono.
“Oggi siamo a 306, ma potremmo finire a 300”, gli hanno ripetuto in coro. L’unica incognita a questo punto resta la data dell’attacco che sarà scelta dall’opposizione.
C’è chi pensa martedì, chi punta alla settimana successiva.
Tra il Pd e l’Udc su questo punto non c’è identità di vedute. Bersani vorrebbe assestare subito il colpo, sul Rendiconto dello Stato (lasciando che ad approvarlo sia un nuovo governo).
Al contrario Pier Ferdinando Casini ormai è convinto che la partita sia già vinta.
E tanto vale far passare il Rendiconto con un’astensione, portando l’assalto finale qualche giorno più tardi.
Sempre che Berlusconi, come lo imploravano ieri i suoi, non decida di anticiparli e gettare la spugna da solo.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Novembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA CAUSA DEL DECLINO NON STA TANTO NELLE DIVERSE POSIZIONI TRA BOSSI E MARONI O NELLE DIATRIBE TRA CERCHIO MAGICO E MARONIANI, MA NELLA POLVERIZZAZIONE DELLE IDEE LEGHISTE IN ALMENO QUATTRO CORRENTI DI PENSIERO
Il vistoso arretramento della Lega, accreditata per la prima volta dall’inizio della legislatura di un peso elettorale inferiore all’8%, è probabilmente il dato più interessante della rilevazione di questo mese.
E’ impossibile, quindi, non scorgere nell’arretramento un indice specifico, relativo alle precarie condizioni in cui versa un partito attraversato da crisi di identità e lotte intestine giunte ben oltre il livello di guardia.
La frattura è stata finora giornalisticamente sintetizzata dal conflitto tra Bossi e Maroni, ma nella realtà la Lega attualmente appare divisa in quattro diverse correnti di opinione con specifici valori di consenso e probabilmente con un futuro prossimo diviso.
Gli estremisti, i barricaderi, il popolo padano dei prati verdi estivi, quelli che tifano senza se e senza ma per la secessione, quelli che di tanto in tanto possono apparire come dei gravi deragliamenti dal sentiero della responsabilità istituzionale e di governo.
Riflettono il sentimento genuino di una quota non irrilevante di elettori leghisti.
Questa è la corrente di opinione riferibile a Borghezio che traduce in formule semplici e di impatto una vocazione riottosa e reazionaria che nella base appare caratterizzata da una discreta consistenza.
Si tratta di una componente sottostimata dalla rappresentazione giornalistica in quanto è più presente nell’elettorato che non nel ceto politico leghista.
La consistenza elettorale: 1,5%.
Gli autentici, i sempreverdi.
All’interno del ri-posizionamento delle varie componenti si colloca un’area grigia che pur conservando e coltivando le parole d’ordine delle origini assume un profilo più misurato, riuscendo a coniugare buona parte del verbo leghista tradizionale – solo leggermente e opportunamente depurato – con le responsabilità di governo.
L’area di riferimento è quella di Salvini: mixa esternazioni anti italiane, fortemente nordiste, con un codice di comunicazione che svolge una funzione di decompressione delle pulsioni della base.
Pur nutrendo una forte insofferenza verso la gestione berlusconiana del potere riconosce nella guida di Umberto Bossi un punto di riferimento difficilmente prescindibile. La consistenza elettorale: 1,5%.
I progressisti, i malpancisti verdi.
L’esperienza di governo ha favorito nel corso degli anni la maturazione all’interno dell’elettorato leghista di una componente che si potrebbe definire “progressista”.
In quest’area la metamorfosi lessicale del messaggio tradizionale è stata il sintomo di una revisione dei contenuti e si è accompagnata a una ridefinizione della stessa ragion d’essere del movimento.
L’intento secessionista ha fatto spazio al disegno federalista senza mettere in discussione l’Unità d’Italia, la politica nordista è diventata più un modello da esportare al Sud che non un modo per delineare un confine con il Meridione.
Nè con Berlusconi nè con Bossi, sembra essere lo slogan politico, addirittura lasciando intendere che sono possibili anche aperture ed alleanze con il PD.
Quest’area si riconosce nel ministro Maroni ed in una significativa squadra di sindaci. La consistenza elettorale: 3%.
I devoti, gli adepti del cerchio magico.
Se per i maroniani la diarchia Bossi-Berlusconi è vissuta come un retaggio del passato, per questa area il binomio Bossi-Lega possiede un carattere imprescindibile.
Bossi for ever, che sia il padre o il figlio poco importa.
Le sorti del movimento sono vincolate agli attuali equilibri della coalizione di maggioranza, e solo dal leader riconosciuto può arrivare un’eventuale indicazione di svolta.
La guida berlusconiana e il costante e progressivo ampliamento delle vicissitudini del premier è tollerata, ma si continua a ritenere che la presenza al governo giustifichi il senso di disagio. Questo segmento confida nel fatto che il raggiungimento del fine ultimo, l’approvazione del federalismo fiscale, saprà compensare i sacrifici fatti in questi anni e riscattare i magri risultati riscossi dagli enti locali nel corso della legislatura.
La consistenza elettorale: 1,7%.
Uno scenario così frammentato pone evidentemente qualche interrogativo sulle prospettive del movimento leghista, innanzitutto rispetto ai margini di vitalità di una profilo identitario incerto, in larga parte ancorato a una leadership e a un orizzonte politico in fase di esaurimento.
In questo senso, la divisione della base del partito tra bossiani e maroniani si dimostra artificiosa e fin troppo generosa: la stessa idea di leghismo si nutre oggi di ragioni e suggestioni estremamente composite, sulla cui compatibilità solo il tempo e la rimozione di feticci ormai logori consentirà di esprimersi.
Il leghismo osservato senza le lenti del passato appare oggi qualcosa di polverizzato e incerto. In definitiva, qualcosa da re-inventare.
Antonio Noto
(direttore IPR Marketing)
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL SINDACATO SAP, DI AREA CENTRODESTRA: “NON SI COMPROMETTA LA SICUREZZA DEI CITTADINI”…. CRITICHE A LA RUSSA: “ANNUNCIA RISORSE CHE ERANO GIA’ PREVISTE”
“Caro presidente della Repubblica, mi appello a lei affinchè i tagli alle risorse delle Forze
dell’Ordine fatti da questo governo non colpiscano la sicurezza dei cittadini”.
È questo il testo di 50mila cartoline indirizzate a Giorgio Napolitano che i poliziotti del Sap (il sindacato di polizia di area centrodestra) stanno facendo firmare ad altrettanti cittadini.
Nei prossimi giorni la buca delle lettere del Quirinale sarà dunque intasata da queste cartoline-appello.
“Siamo allo stremo”, spiega il segretario del Sap, Nicola Tanzi.
“Riteniamo – aggiunge – che il presidente della Repubblica sia l’unica autorità istituzionale e anche morale che possa esercitare tutta la moral suasion possibile nei confronti della classe politica e del Parlamento sui tagli alle Forze dell’Ordine che riducono drasticamente la sicurezza dei cittadini”.
Non è certo servito a placare la rabbia delle forze dell’ordine l’annuncio dell’altro ieri del ministro della Difesa di un ripensamento sui tagli.
“Non ci saranno – ha proclamato Ignazio La Russa – tagli al compartimento Difesa e Sicurezza per quanto riguarda gli avanzamenti di carriera”.
Ma l’entusiasmo di La Russa è stroncato dai sindacati di polizia, secondo i quali “le risorse previste sono insufficienti e soprattutto non si tratta di nuovi stanziamenti, ma di fondi che erano già a disposizione del nostro comparto per la riqualificazione delle carriere”.
“È tutto un bluff”.
E così, dopo la raccolta di soldi in bidoni della benzina organizzata il 18 ottobre dal Sap (hanno “elemosinato” fondi anche dai parlamentari), dopo la protesta di piazza dei sindacati di centrosinistra (fra gli altri, Anfp, Siulp, Siap) mentre Maroni relazionava al Senato sugli scontri a Roma coi black bloc, dopo la clamorosa protesta dei carabinieri e quella del Cocer Esercito che ha chiesto le dimissioni dell’esecutivo, e infine dopo quella di mercoledì della Dia, gli agenti del sindacato autonomo di polizia organizzano ora una nuova clamorosa protesta coinvolgendo ancora i cittadini.
In particolare, stanno predisponendo gazebo e stand in tutte le città italiane per raccogliere le firme di adesione sulle 50mila cartoline.
“Mi appello al presidente della Repubblica – recita l’appello – perchè la sicurezza appartiene a tutti. E invece i tagli economici delle ultime due manovre (660 milioni, ndr), produrranno insicurezza per i cittadini”.
Dal 2008, da quando sono al governo, il ministro dell’Interno Maroni e l’ex Guardasigilli Alfano hanno ripetuto come uno spot che “questo è il governo che più di ogni altro combatte la mafia”, parlando di “antimafia dei fatti contro l’antimafia delle chiacchiere”.
Berlusconi addirittura il 15 agosto di due anni fa disse al titolare leghista del Viminale “passerai alla storia per aver sconfitto la mafia”.
I fatti, tuttavia, sono ben altri: la criminalità organizzata, come sostenuto dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Giuseppe Pisanu, c’è.
È sempre più forte.
E, scrivono i poliziotti del Sap, “è più pericolosa quando è silente, come in questo momento”. “E proprio ora – denunciano quelli del Sap – lo Stato depotenzia le forze dell’ordine bloccando le assunzioni, riducendo le risorse. E costringendoci a lavorare senza finanziamenti finnziamenti adeguati, dimenticando che, invece, la criminalità organizzata dispone oggi di mezzi economici importanti. E di tecnologia avanzata”.
Alberto Custodero
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 29th, 2011 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE AL TURISMO DI MANTOVA SI SCAGLIA CONTRO LA CELEBRAZIONE DEL POETA PERCHE’ “SE N’E’ ANDATO A ROMA, POI IN CALABRIA E A NAPOLI, UN TRADITORE INSOMMA”…E SENTENZIA: “MEGLIO IL PADANO TEOFILO FOLENGO”
“Cara Mantova, bentornata in Lombardia”.
Così esultava Roberto Formigoni l’anno scorso per la città lombarda espugnata dal centrodestra.
Non calcolava la Tunisia. Proprio il viaggio in Tunisia fatto dal sindaco del Pdl Nicola Sodano per negoziare il prestito del raro mosaico di Virgilio tra le Muse per la grande mostra virgiliana aperta a Palazzo Te il 15 ottobre ha scatenato la Lega, alleata di giunta sempre più inquieta: cultura sprecona, costi eccessivi.
In più, la provocazione dell’assessore al Turismo, Vincenzo Chizzini: era meglio celebrare il poeta Teofilo Folengo, perchè Virgilio, testuali parole, “se n’è andato a Roma, in Calabria, infine a Napoli, dove è sepolto. Ci ha traditi”.
Ma non bastava Virgilio terrone.
Il parlamentare bossiano Gianni Fava ha bollato l’inaugurazione con gli ospiti tunisini (console, ministro, sindaco di Cartagine), presente la connazionale Afef Jnifen con Marco Tronchetti Provera, come “ricettacolo di soubrette a fine carriera”.
L’estrema rozzezza dei toni ha fatto infuriare il mite sindaco Sodano, inasprendo i rapporti già tesi.
Al punto che la parte oltranzista della Lega minaccia di ritirare i suoi assessori.
Chissà se il presidente Napolitano, già pesantemente offeso dal capogruppo leghista l’anno scorso, verrà a omaggiare Virgilio il 7 dicembre.
Meglio la prima della Scala.
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Ottobre 26th, 2011 Riccardo Fucile
DAVANTI ALLA CAMERA MANIFESTAZIONE IERI DEGLI “IN-DIA-GNADOS”: “IL GOVERNO UCCIDE IL PROGETTO DI FALCONE E BORSELLINO”… ANCHE GLI UOMINI DELL’ANTIMAFIA PROTESTANO CONTRO UN GOVERNO CHE NON LI METTE NELLE CONDIZIONI DI LAVORARE
«A causa della nota carenza di fondi destinati alla manutenzione dei veicoli», ai poliziotti della Piana di Gioia Tauro è stato ordinato di lavarsi le auto.
E di provvedere alla manutenzione, controllando i livelli dell’olio e dell’acqua, lo stato della batteria.
E la pressione delle ruote.
Ma i tagli del governo alla Sicurezza colpiscono anche gli stipendi degli investigatori della Dia, l’organismo antimafia interforze voluto da Giovanni Falcone.
Che ieri sono scesi in piazza protestando davanti a Montecitorio, dichiarandosi anche loro, provocatoriamente, «in-Dia-gnados».
«State uccidendo la Dia, il sogno di Falcone e Borsellino», si legge in uno striscione srotolato davanti alla Camera dai sindacati di polizia.
«Il governo arresta la Dia», c’è scritto in un altro. «L’Esecutivo ha fatto della lotta alla mafia – dice Enzo Letizia, leader dei Funzionari – quasi uno spot pubblicitario, parlando di antimafia dei fatti. Nei fatti, però, ha lasciato la polizia allo sbando, senza fondi per benzina, strutture adeguate, addestramento. E ora di fatto disarma anche la Dia».
La proteste degli investigatori antimafia è l’ultima in ordine di tempo che s’aggiunge a quelle di piazza dei giorni scorsi dei poliziotti.
A quella clamorosa del Cocer carabinieri (ai quali pare siano state tagliate mille linee fax).
E a quella dell’Esercito, il cui Cocer ha chiesto le dimissioni del governo. V
a detto che la Dia è un organismo investigativo molto particolare,
difficilmente condizionabile dal potere politico in quanto composto dalle tre forze dell’Ordine, polizia, carabinieri e finanza.
Grazie al loro lavoro sono stati sequestrati alle mafie beni per 6 miliardi e confiscati altri per 1,2 miliardi.
Ma la scure dei tagli s’è abbattuta anche su questo fiore all’occhiello della lotta alla criminalità .
«Dai 28 milioni di euro stanziati per la Dia nel 2001 – denunciano tutti i sindacati di polizia – siamo passati ai 15 di oggi. Il personale è stato ridotto a 1.300 unità rispetto alle 1.500 previste. E ora con l’ultima legge di stabilità è stato data un’ulteriore sforbiciata ai bilanci di 7 milioni di euro che prende dalle tasche degli investigatori dai 300 ai 600 euro al mese».
Si tratta del trattamento economico aggiuntivo «messo a disposizione del Dipartimento – sostengono i sindacati in una lettera al ministro dell’Interno, Roberto Maroni – senza concertazione alcuna, dal direttore di nuova nomina». Di qui la richiesta di rimuovere dal suo incarico il dirigente Alfonso D’Alfonso.«È venuto meno il rapporto di fiducia tra vertice e struttura – tuona Flavio Tuzi, il segretario dell’associazione ispettori di polizia Anip – chiediamo al ministro dell’Interno e al capo della Polizia l’immediata rimozione del direttore generale».
«È una punizione»,dicono i poliziotti, a chi invece «meriterebbe un premio». Da bravi investigatori, gli agenti della Dia sono andati a spulciare le pieghe del bilancio della Sicurezza, scoprendo – e suggerendo – possibili risparmi che il governo potrebbe fare prima di prendersela coi loro salari.
«Una nota dolente del bilancio della Sicurezza – dicono – è il costo dell’immobile che ospita a Roma, in zona Anagnina, gli uffici centrali della Dia, della direzione centrale Antidroga, della polizia Criminale, il cui canone di locazione, esorbitante, ammonta a circa 17 milioni annui».
Il riferimento è alla cittadella anticrimine del costruttore romano Renato Bocchi, sulla via Tuscolana, dove s’è trasferito 10 anni fa, fra le proteste sindacali, una gran parte del Viminale.
Ma «l’assurdità », per dirla con Giuseppe Brugnano, segretario regionale calabrese del sindacato indipendente Coisp, s’è raggiunta con l’ordine di servizio firmato dalla dottoressa Giuseppa Pirrello, dirigente della Sezione di Reggio Calabria del Dipartimento della polizia stradale, diretto ai poliziotti autisti della sottosezione di Palmi, Villa San Giovanni, Siderno e Brancaleone, di lavare le macchine da sè.
Chi non lo fa, armato del «materiale idoneo» in dotazione dei commissariati («shampoo, spugna, scopa, panno, bidone aspiratutto»), rischia il procedimento disciplinare.
«Abbiamo chiesto al Dipartimento – spiega Brugnano – il ritiro di questa direttiva umiliante per il personale che non ha precedenti. Ci hanno promesso che sarà annullata».
Ma ai poliziotti anti ‘ndrangheta di Palmi arriva un’altra brutta notizia.
«La Direzione centrale dei servizi tecnico logistici – scrive ancora la dottoressa Pirrello – non assicura l’invio e l’assegnazione di stivali invernali per la prossima vestizione invernale».
La polizia di Roberto Maroni è senza soldi.
Senza benzina. E senza scarpe.
La criminalità organizzata ha un volume d’affari quantificato in 311 miliardi di euro nei 27 Paesi dell’Ue, classifica nella quale l’Italia è seconda, con 81 miliardi, ma ai proclami del Governo in tema di lotta al crimine organizzato hanno fanno riscontro una serie di tagli indiscriminati che hanno colpito le forze dell’ordine e gravemente compromesso la funzionalità dell’attività di contrasto al crimine, dando agli operatori di Polizia una sensazione di isolamento mai avuta prima.
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Ottobre 26th, 2011 Riccardo Fucile
ALLA FACCIA DEGLI SPRECHI E DELLO STATO ASSISTENZIALE: TRA LO STIPENDIO DEL SENATUR, QUELLO DEL TROTA E LA PENSIONE DELLA BABY PENSIONATA MANUELA MARRONE, ROMA LADRONA CACCIA OLTRE 300.000 EURO L’ANNO PER LA FAMIGLIA DEL CAPO DELLA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA
La notizia è di quelle a cui ci ha abituato questo Paese, afflitto dalla maledizione dei paradossi, degli sprechi, e delle ingiustizie sancite per decreto e controfirmate con i sigilli di ceralacca.
La notizia è questa: la moglie del nemico giurato di Roma, la moglie del guerrigliero indomito che si batte contro lo Stato padrone e che fa un vanto di denunciare gli sprechi dello Stato assistenzialista, è una baby pensionata.
Proprio così, avete letto bene.
La moglie di Umberto Bossi, Manuela Marrone, riceve un trattamento previdenziale dal lontano 1992, da quando, cioè, alla tenera età di 39 anni, decideva di ritirarsi dall’insegnamento. Liberissima di farlo, ovviamente, dal punto di vista legale: un po’ meno da quello dell’opportunità politica, se è vero che suo marito tuona un giorno sì e l’altro pure contro i parassiti di Roma.
E si sarebbe tentati quasi di non crederci, a questa storia, a questo ennesimo simbolo di incoerenza tra vizi privati e pubbliche virtù, se a raccontarcela non fosse un giornalista a cui tutto si può rimproverare ma non certo l’ostilità preconcetta alla Lega Nord e al suo leader.
Eppure, nello scrivere il suo ultimo libro inchiesta (Sanguisughe, Mondadori, 18 euro), Mario Giordano deve essersi fatto una discreta collezione di nemici, se è vero che l’indice dei nomi di questo libro contiene personaggi noti e ignoti, di destra e di sinistra, gran commis e piccoli furbi, una vera e propria pletora di persone che a un certo punto della loro vita, anche se molto giovani, hanno deciso di vivere alle spalle della collettività e di chi lavora, approfittando dei tanti spifferi legislativi che il Palazzo ha generosamente concesso in questi anni.
La signora Marrone in Bossi è — in Italia — non un caso isolato, ma una delle 495.000 persone, come racconta il direttore dell’agenzia NewsMediaset, “che ricevono da anni la pensione senza avere i capelli grigi e senza avere compiuto i sessant’anni di età ”.
Nel 1992, quando la Marrone aveva 39 anni, Bossi attaccava “la palude romana” e chiedeva di cambiare. “Come no? — chiosa Giordano — Il cambiamento, certo. E intanto la baby pensione, però”.
Manuela Marrone, seconda moglie di Bossi, siciliana d’appartenenza attraverso il nonno Calogero “che arrivò a Varese come impiegato dell’anagrafe e finì deportato nei lager nazisti, dopo aver aiutato molti ebrei a scappare”, custodì Bossi nella convalescenza dopo l’ictus e favorì l’ascesa del figlio Renzo.
“Fra le attività che ha seguito con più passione — annota Giordano — la scuola elementare Bosina, da lei medesima fondata nel 1998, ‘la scuola della tua terra’, che educa i bambini attraverso la scoperta delle radici culturali, anche con racconti popolari, leggende, fiabe, filastrocche legate alle tradizioni locali. E sarà un caso che nelle pieghe della Finanziaria 2010, fra tanti tagli e sacrifici, sono stati trovati i soldi per dare un bel finanziamento (800 mila euro) proprio alla Bosina?”.
Tutto sembrerebbe fuorchè un caso.
La signora Bossi, d’altronde, ha molto tempo libero perchè riceve un vitalizio regolarmente. “Aveva diritto a prendere i suoi 766,37 euro al 12 di ogni mese, ha diritto a percepire l’assegno, che in effetti incassa regolarmente da 18 anni, da quando suo figlio Renzo, il Trota, andava in triciclo, anzichè andare in carrozza al consiglio regionale”
(Già , perchè se tra pensione, parlamento e Regione, se non ci fosse lo Stato assistenzialista, il reddito di casa Bossi passerebbe da oltre trecentomila euro a zero).
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Ottobre 26th, 2011 Riccardo Fucile
AI VACCARI PADANI BRUCIA CHE FINI IERI SERA A BALLARO’ ABBIA RIVELATO CHE LA MOGLIE DI BOSSI E’ ANDATA IN PENSIONE A 39 ANNI E CHE LA SUA SCUOLA PRIVATA E’ FINANZIATA CON 800.000 EURO DALLO STATO… SI PULISCONO IL CULO COL TRICOLORE E PARLANO DI LEGALITA’: IN UN PAESE CIVILE SAREBBERO DA TEMPO INCRIMINATI PER RAZZISMO
Bagarre nell’aula della Camera dove sono venuti alle mani deputati di Lega e Fli. 
La vicepresidente Rosy Bindi ha sospeso la seduta e ha chiesto scusa ai ragazzi che assistevano ai lavori parlamentari dagli spalti dedicati agli ospit
La bagarre in Aula è esplosa dopo l’intervento di Marco Reguzzoni che ha attaccato duramente il presidente Gianfranco Fini, accompagnato da un coro di “dimissioni, dimissioni” rivolto al leader di Futuro e Libertà .
Subito dopo il capogruppo della Lega ha preso la parola Italo Bocchino per difendere il leader di Fli, ma è stato più volte interrotto.
La presidente di turno Rosy Bindi ha richiamato più volte i deputati all’ordine, in particolare Fabio Granata, e sono intervenuti i commessi. Bindi ha deciso di sospendere i lavori fino alle 12.30, poi la ripresa per un minuto per scusarsi con i ragazzi che assistevano alla seduta per “lo spettacolo non certo edificante che è stato offerto loro”.
Ma nonostante l’interruzione dei lavori sono volati insulti e le tensioni.
Durante gli interventi due deputati di Fli e Lega sono venuti alle mani.
I commessi si sono frapposti, ma sono comunque volate le botte, in particolare tra Claudio Barbaro di Fli e Fabio Rainieri.
Il duro attacco di Reguzzoni nei confronti di Fini è dovuto alle dichiarazioni che il presidente della Camera ha espresso durante la trasmissione Ballarò su RaiTre ieri sera.
Secondo Fini la ferma contrarietà della Lega all’innalzamento dell’età pensionabile, sarebbe dovuta al fatto che Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi, gode di una baby pensione che le è venuta riconosciuta ad appena 39 anni.
Da qui il duro attacco dai banchi del Carroccio al presidente della Camera.
Mentre Reguzzoni parlava si è alzato Claudio Barbaro, si è diretto verso i banchi della Lega ed è stato affrontato da Fabio Raineri.
“E’ la solita porcilaia fascista”, ha detto un deputato leghista uscendo dall’aula. “C’è stata una piccola collutazione con Raineri — ha poi spiegato Reguzzoni — ma noi siamo rimasti al nostro posto, è stato quello di Fli ad alzarsi e a venire verso di noi. A quel punto ha fatto bene la Bindi a interrompere la seduta”.
La seduta è ripresa alle 12.30 presieduta da Gianfranco Fini.
Al suo arrivo è stato accolto dal coro “dimissioni, dimissioni!” dei deputati della Lega. Una fila di commessi si frappone tra i deputati della Lega e quelli di Fli.
Mentre Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl, ha annunciato la volontà del gruppo di “investire la massima autorità dello Stato di una situazione di difficoltà drammatica dell’istituzione parlamentare determinata dal comportamento” del presidente Gianfranco Fini.
“E’ inutile e fuori luogo pensare di coinvolgere il Capo dello Stato su un problema che riguarda il presidente della Camera, i gruppi e l’aula: si può criticare quanto si vuole, ma il presidente della Camera, qualsiasi sia la maggioranza che lo ha eletto, non è sfiduciabile nè politicamente nè formalmente”, è intervenuto il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, intervenendo in aula dopo le parole del capogruppo della Lega contro Gianfranco Fini.
“Non è la prima volta che un presidente della Camera è un leader politico — ha detto Franceschini — e il presidente della Camera va valutato per il modo in cui presiede i lavori dell’aula: da quando Fli si e’ collocato all’opposizione, ha continuato a presiedere dando delusioni e soddisfazioni alternativamente alla maggioranza e all’opposizione. Tutto il resto fa parte del dibattito politico”.
Anche Massimo Donadi dell’Idv è intervenuto in difesa di Fini. ”Stendiamo un velo pietoso sulle contestazioni leghiste. In un paese normale la critica al presidente della Camera, terza carica dello Stato, che partecipa ad un dibattito televisivo politico sarebbe stata legittima, ma in questa situazione è semplicemente assurda”, ha detto il capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera.
Commento
Ricordiamo alla feccia padagna quanto segue:
1) Di porcilaie l’esperto è notoriamente l’on Rainieri, tenutario di stalle ed evasore di quote latte, non a caso condannato più volte dalla magistratura
2) Nessun italiano può ricevere lezioni di legalità e rispetto delle istituzioni da parte di soggetti che si puliscono il culo col tricolore, invocano la secessione e difendono truffatori.
3) In un paese civile una parte della classe dirigente leghista sarebbe da tempo in galera per violazione della legge Mancino per incitamento all’odio razziale.
4) La Lega ladrona ha fatto finanziare dal governo la scuola privata Bosina della moglie di Bossi con 800.000 euro: altro che Roma ladrona, si fottono i soldi dei contribuenti per i loro affari di famiglia.
5) Se poi qualcuno ricorda la frase “andremo a prendere i fascisti casa per casa” (cui è seguita una condanna penale) di Bossi, rammentiamo che non abbiamo mai visto nessuno sull’uscio di casa.
In ogni caso sapremmo come accoglierli.
Più difficile sarebbe cercare loro, divisi come sono tra case di cura e ville milionarie da mantenuti del sistema.
argomento: Bossi, Costume, Fini, Futuro e Libertà, governo, LegaNord, Politica, radici e valori, rapine | 1 Commento »