Ottobre 9th, 2011 Riccardo Fucile
BOSSI HA COSTRETTO AL RITIRO GLI ALTRI DUE CANDIDATI, UNO VICINO A MARONI (CHE AVEVA GIA’ VINTO IL CONGRESSO DI BRESCIA)…ESPLODE IL DISSENSO IN SALA, GIORNALISTI SPINTONATI
“Voto, voto, voto!”.
Dalla sala congressi dell’Ata Hotel di Varese si leva forte la richiesta dei militanti leghisti.
Vogliono votare il loro segretario provinciale.
Vogliono contare e contarsi.
Nonostante l’imposizione di un candidato unico (Maurilio Canton, incoronato da Bossi e imposto dai colonnelli), il rischio di una fitta pioggia di schede bianche sarebbe altissimo.
E per questo, visto che il candidato è uno solo, i vertici bossiani hanno pensato di evitare del tutto la votazione.
Sono circa 300 i delegati che si sono radunati nella sala, tra di loro anche il ministro Roberto Maroni.
I vertici del partito volevano e vorrebbero che dal congresso uscisse l’immagine di una realtà coesa.
Ma tutti gli indizi dicono il contrario. Oltre alle richieste di andare al voto (e quindi alla conta delle reali forze dei del cerchio magico) dalla sala si è sentito anche il rumore di un fischietto.
Poi si sono levati gli inviti alla calma.
Hanno preso la parola in molti, qualcuno ha anche azzardato interventi coraggiosi: “Io se fossi in Canton mi sentirei una merda. Non solo ha fatto fuori gli altri candidati, ma ora vuole anche essere eletto per acclamazione. Io non ci sto. Voglio il voto”.
E che l’atmosfera sia estremamente tesa lo si è capito anche dal trattamento riservato ai giornalisti, presenti in massa al congresso di Varese.
Prima sono stati allontanati dalle porte della sala, poi sono stati cacciati dall’atrio adiacente la sala, fino ad essere espulsi a spintoni dal piano interrato dell’albergo. T
utt’attorno agli accessi hanno iniziato a girare le ronde del servizio di sicurezza: “Abbiamo ricevuto l’ordine di non far avvicinare nessuno”.
Così ai giornalisti è stata preclusa la possibilità di carpire qualche anticipazione, qualche “fuori onda” utile per tastare il polso della situazione. Evidentemente c’è molto da nascondere.
Di tanto in tanto dal bunker del congresso esce qualche personaggio.
Il senatore Fabio Rizzi, l’eurodeputato Francesco Speroni, il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, il sindaco di Varese Attilio Fontana, poi altri borgomastri, assessori, consiglieri e semplici delegati.
Volti tesi e nervosismo.
Conciliaboli e riunioni carbonare.
Ma nessuno apre bocca. Nessuno si sbilancia sull’andamento dell’assemblea.
Prima dell’inizio del congresso è arrivato anche Umberto Bossi, ma pare che non abbia proferito verbo fino all’ultimo, rimanendo nell’anticamera, senza farsi vedere, forse nell’attesa di imporre l’acclamazione per il suo candidato, l’unico.
Fuori dalla sala un grande striscione che recita “Busto è con Bossi”.
Un altro elemento che fa pensare alle divisioni del Carroccio.
Busto infatti è la capitale dei sostenitori del cerchio magico, contrapposti ai maroniani, che ad oggi sono la vera maggioranza del partito.
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Ottobre 9th, 2011 Riccardo Fucile
SERBATOI IN ROSSO PER I MEZZI DESTINATI A TRASPORTARE I DETENUTI… LO STATO NON PAGA E NESSUNO FA PIU’ CREDITO…BLOCCATO PER 72 ORE IL FUNZIONAMENTO DELLA GIUSTIZIA AD AREZZO E SOLLICCIANO…META’ DEI MEZZI SONO INUTILIZZABILI DA TEMPO, C’E’ IL RISCHIO CHE QUALCHE DETENUTO DEBBA ESSERE LASCIATO LIBERO NELL’IMPOSSIBILITA’ DI DAR LUOGO AI PROCESSI PER DIRETTISSIMA
Auto della polizia a secco saltate 16 udienze
Sono finiti i soldi per il carburante e la giustizia rischia il disastro. Al tribunale di Arezzo è già assoluta emergenza e si è rischiato di dover liberare arrestati anche pericolosi per l’impossibilità di celebrare i processi con il rito direttissimo o di tenere le udienze di convalida. Ieri la paralisi dei mezzi del Nucleo traduzioni detenuti della polizia penitenziaria di Sollicciano ha cominciato a riflettersi anche sugli uffici giudiziari di Firenze.
Per ore è stato impossibile far arrivare in corte d’appello i detenuti che dovevano essere processati davanti alla seconda sezione penale.
“Siamo letteralmente allibiti”, commenta Francesco Falchi, vicesegretario regionale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria Sappe: «Si ha l’impressione di essere insolventi come la Grecia. Però a Roma si occupano di altro».
In luglio il Sappe aveva lanciato l’allarme: anche allora erano finiti i soldi per il carburante e la Q8, che ha una convenzione con il carcere di Sollicciano, aveva bloccato le card, le speciali carte di credito che consentono al Nucleo traduzioni di alimentare i mezzi per trasportare i detenuti.
Poi la situazione si era sbloccata, ma a distanza di tre mesi si è ripresentata più grave che mai.
Ieri il Nucleo è stato costretto ad annullare cinque servizi, in parte fuori sede, in parte a Firenze.
Il budget già striminzito del Nucleo traduzioni di Sollicciano ha cominciato sempre più drammaticamente a scarseggiare quando ai già gravosi impegni per il sovraffollato carcere di Sollicciano si sono aggiunti quelli per tutti gli arrestati del tribunale di Arezzo.
Anche Prato ha gravissime difficoltà e spesso hanno bisogno di aiuto Pistoia e Livorno.
I consumi di carburante sono aumentati ma gli stanziamenti non altrettanto.
E ora Q8 ha chiuso le pompe. Intanto anche il tribunale di Arezzo ha finito i buoni benzina, sicchè un gip ha dovuto arrivare a sue spese a Sollicciano per le udienze di convalida di quattro arrestati.
Sulla carta il Nucleo traduzioni di Sollicciano ha a disposizione 31 mezzi di trasporto, di cui però solo 15 efficienti.
Efficienti è dire molto, perchè in realtà non più di dieci sono in grado di viaggiare tutti i giorni (se c’è il denaro per il carburante).
Tre o quattro sono euro zero, i blindati sono degli anni ’80 e ’90, alcuni regalati dai carabinieri anni e anni fa.
Quasi tutti hanno percorso centinaia di chilometri. La prima a fermarsi è stata un’auto usata per i trasporti dei collaboratori di giustizia. Ha percorso quasi 400 mila chilometri.
Di recente un furgone che trasportava quattro detenuti ad Arezzo ha dato pericolosi cenni di cedimento.
C’era il rischio che si fermasse in autostrada ed è stato necessario raggiungerlo con un altro mezzo e sostituirlo.
«Da dieci anni – scuote la testa Francesco Falchi – il dipartimento non assegna più un automezzo al carcere più importante della Toscana. E non c’è manutenzione. I mezzi hanno le gomme lisce, i freni inesistenti. Siamo lavoratori anche noi».
Il Sappe teme che, se non verrà posto rimedio al drammatico sovraffollamento di Sollicciano e a questa situazione intollerabile che rischia di paralizzare i processi, il futuro possa riservare tensioni e disordini. «Basta che qualcuno accenda una miccia».
Il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari Eugenio Sarno spiega che “sono saltate 16 udienze e tre visite in ospedale- Il blocco delle attività di 72 ore è stato causato dall’impossibilità di effettuare il pieno agli automezzi per mancanza di fondi. Quanto accaduto a Firenze è il più eloquente degli esempi di quanto può accadere su scala nazionale se non si provvede immediatamente a finanziare i capitoli di bilancio. Siamo di fronte ad un concreto rischio di paralisi dell’attività giudiziaria”.
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
DEI PADRI DELLA PATRIA SONO RIMASTI IN TRE: MARONI LA SCAMPO’ DI POCO
Miracolosamente sopravvissuto all’auto-espulsione, decisa quando sentenziò con solennità su La Padania del 26 luglio 1999 che «chi farà accordi con l’Ulivo e con Berlusconi sarà espulso dalla Lega», il Senatur è indeciso: cosa fare di ogni traditùr che emerge giorno dopo giorno?
In altri tempi, non ci avrebbe pensato un minuto: raus!
Ma le cose, oggi, si sono fatte più complicate…
Come la pensi Bossi si sa.
Lo ha ribadito mille volte: «La Lega è il partito più democratico di tutti».
Salvo precisare: «Io sono un segretario semplice, che si comporta semplicemente. Se uno pianta casino, vedo che non ha interesse per il federalismo e la Padania, lo mando via, non perdo tempo».
Tesi ribadita con un riferimento trasparente a Roberto Maroni, al sindaco di Verona Flavio Tosi e a quello di Varese Attilio Fontana, rei di avere posizioni non sempre allineate: «Ci metto due secondi a chiedere al Consiglio federale l’espulsione di chi si mette di traverso, anche se ci sono persone importanti».
Dialettica brezneviana in salsa verde.
Assai apprezzata da diversi «federali» sparsi per il territorio.
Come il segretario provinciale di Treviso Gianantonio Da Re che, appena Giancarlo Gentilini ha osato dire la sua («È inutile fare il sogno della Padania e della secessione: l’Italia è una, quando noi della Lega avremo il 50% più uno dei consensi ne riparleremo») ha intimato: «Se dice ancora una sola parola contro la Padania e la secessione è fuori del partito».
Epurazione sostenuta anche dal senatore Piergiorgio Stiffoni, il quale, famoso per una sparata su certi immigrati rimasti senza tetto a Treviso («peccato che il forno crematorio del cimitero di Santa Bona non sia ancora pronto») ha liquidato lo storico sindaco-sceriffo in due parole che sarebbero state bene in bocca a un funzionario di Lavrentiy Beria: «È un virus da estirpare».
È una storia lunga, quella delle epurazioni nel Carroccio.
Lo sa bene lo stesso ministro degli Interni, che nel 1994, illuso da un sondaggio di Famiglia Cristiana che lo dava più popolare del Senatur, osò ribellarsi alla decisione di buttare giù il governo Berlusconi: «Può uno come me assistere allo squagliamento del partito perchè il suo leader ha sbagliato tutto?».
Finì con una fischiata al congresso, una selva di insulti (fra i tanti, quello di Erminio Boso: «È uno scimmiotto ammaestrato ad Arcore»), uno striscione che diceva: «La Lega ce l’ha duro e i Maroni ce li ha sotto».
L’epilogo: dovendo scegliere tra tornare a fare il dipendente della Avon o andare a Canossa, «Bobo» si cosparse il capo di cenere: «Bossi ha sempre ragione». Cosa che gli tirò addosso le ironie di Irene Pivetti: «Pare un rieducato di Pol Pot».
Fu l’unico, a scamparla, Maroni.
«Dovevo ancora risarcirlo per il bidone di vernice che una volta gli avevo rovesciato nella macchina nuova», avrebbe ridacchiato mesi dopo l’Umberto.
A tutti gli altri dissidenti è andata in maniera diversa.
Basti ricordare la lista di quanti, nello studio del notaio Giovanni Battista Anselmo di Bergamo, diedero vita nel 1989 alla Lega Nord: pochi anni dopo i superstiti sarebbero stati solo tre: Umberto Bossi, Francesco Speroni e Gipo Farassino.
Tutti gli altri, uno ad uno, erano stati espulsi o costretti ad andarsene.
È andata così fin dall’inizio, dai tempi della Liga veneta.
Espulso Achille Tramarin, il primo parlamentare a parlare in dialetto alla Camera. Espulso Graziano Girardi, che vendeva mutande e flanelle nei mercati ed era finito per primo a Palazzo Madama.
Espulso Franco Castellazzi, padrone di una discoteca con striptease maschili, presidente del movimento e primo capogruppo leghista alla Regione Lombardia: «Bossi diceva che me la facevo con Craxi, la Cia e il Kgb».
E poi espulsi, tra i fondatori, il ligure Bruno Ravera e gli emiliani Giorgio Conca e Carla Uccelli e il toscano Riccardo Fragassi e il piemontese Roberto Gremmo, liquidato a sentire Castellazzi «con una storia tutta inventata di film porno, fellatio e marocchini».
E poi espulsi il fondatore della Liga Franco Rocchetta e la moglie Marilena Marin, colpevoli di contestare la guerriglia bossiana contro il primo governo del Cavaliere: «Traditori! Cospiravano per fare il partito unico berlusconiano».
E ancora espulsi tutti i parlamentari contrari alla decisione del Senatur di abbattere l’esecutivo Berlusconi.
A partire da Luigi Negri, fratello della moglie di Calderoli, Sabina, la quale avrebbe raccontato in una irresistibile intervista a Claudio Sabelli Fioretti del cataclisma familiare di cui fece le spese, a Natale del 2004, anche un cappone (che restò sulla tavola senza che alcuno avesse voglia di mangiarlo) e della spietatezza del marito contro i parenti-serpenti che chiamava «I coniugi Ceausescu».
Una dedizione al capo che l’attuale ministro per la Semplificazione aveva totale: «Roberto espellerebbe anche me se glielo chiedesse Bossi».
Tra le vittime dell’epurazione, oltre alla moglie di Luigi Negri, Elena Gazzola, allora presidente leghista del Consiglio comunale milanese, finì perfino la loro cagnetta Gilda, rea di scodinzolare in modo anti-bossiano ed espulsa da Palazzo Marino con una insuperabile disposizione «ad-canem» dell’allora sindaco Marco Formentini, che a sua volta sarebbe stato successivamente convinto ad andarsene per passare al centrosinistra.
E via così.
Fuori, con un gran sbattere di porte, il primo ministro leghista al Bilancio, Mimmo Pagliarini.
Fuori il primo ministro all’Industria, Vito Gnutti, bollato da Bossi come «il nano della Val Sabbia».
Fuori il fedele autista Pino Babbini: «L’Umberto mi accusò d’avergli rubato una macchina fotografica, ma anche che gli insidiavo la moglie. Tutte balle. Qualcuno nella Lega non voleva che gli dicessi quello che non andava».
Fuori, prima di una successiva riconciliazione, l’ideologo Gianfranco Miglio, liquidato dal Senatur come «una scorreggia nello spazio».
E poi fuori Elisabetta Bertotti, la «miss Camera» che aveva osato dire che alle comunali di Trento il candidato leghista era così razzista che avrebbe votato il candidato dell’Ulivo. Fuori il primo capogruppo Luigi Petrini.
Fuori il segretario della Liga veneta Fabrizio Comencini.
E fuori Irene Pivetti, la prima presidente leghista di Montecitorio, che per aver ricordato come la secessione non fosse nello statuto nè fosse stata «decisa da alcun congresso» fu espulsa con un sovraccarico di insulti: «L’eretico sarei io? Ma digh de andà a da via el cu..».
E fuori ancora Domenico Comino, già capogruppo alla Camera, colpevole di avere teorizzato l’alleanza con la destra due mesi troppo presto rispetto al «contrordine, padani» del segretario.
Tutti fuori.
Inseguiti da invettive che ricordano l’espulsione di Baruch Spinoza dalla comunità ebraica di Amsterdam: «Che la collera e l’indignazione del Signore lo circondino e fumino per sempre sul suo capo».
E meno male che non esiste una Siberia padana coi campi di rieducazione…
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 6th, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER PROPONE (SCHERZANDO) IL NUOVE NOME DEL PDL, POI ALCUNI DEPUTATI LEGHISTI VOMITANO INSULTI DA OSTERIA CONTRO UNA COLLEGA…. MENTRE A BARLETTA SI RENDEVA OMAGGIO A CINQUE DONNE MORTE SUL LAVORO, LA BECERODESTRA DEI MANIACI SFIGATI DEI GIARDINETTI INSULTA TUTTE LE DONNE
Mentre il Paese reale è in balia della crisi e Moody’s declassa aziende (del calibro di Eni ed Enel) ed enti locali, Silvio Berlusconi annuncia, sorridendo, che il Pdl si chiamerà “forza gnocca” e la Lega zittisce la deputata Lucia Codurelli gridandole in aula a Montecitorio “fatti scopare che è meglio”.
La maggioranza trova così il tempo di rilassarsi, nonostante i giorni impegnativi che vedono il parlamento al lavoro per approvare la legge Bavaglio.
La promessa fatta dal premier pochi giorni fa, di approvare entro metà ottobre un decreto legge per lo sviluppo così da far fronte alla crisi, è già stata dimenticata. La priorità per il Cavaliere e la sua maggioranza è limitare l’uso delle intercettazioni e soprattutto vietarne la pubblicazione.
A seguire nell’agenda governativa c’è in questi giorni la grana del ministro dell’economia, Giulio Tremonti (che il premier e buona parte dei ministri vorrebbero vedere con una letterina di dimissioni in mano) e la stretta con l’alleato di sempre, Umberto Bossi, che un giorno si dice pronto a sostenere qualunque proposta di Berlusconi e il giorno dopo dichiara che difficilmente il governo durerà fino alla scadenza naturale del 2013.
Ma questo è quanto accade nel Palazzo.
Fuori la crisi economica imperversa.
E mentre Moody’s, dopo il downgrade del debito sovrano, oggi ha declassato banche, aziende ed enti locali italiani (nel mirino dell’agenzia finiscono, tra le altre, Eni, Enel, Finmeccanica, le banche Unicredit e Intesa San Paolo, oltre a una serie di regioni, province e città ), il Presidente del Consiglio si concentra sul futuro del suo partito.
O meglio sul futuro nome: Forza gnocca.
Una proposta liquidata come battuta, ma che ha trovato critiche anche tra i fedelissimi del Pdl.
Il ministro della gioventù, Giorgia Meloni, è chiara: “Berlusconi fa battute ma in alcuni casi farebbe meglio a evitare”.
Più criptica Barbara Saltamartini, vice presidente del gruppo Pdl alla Camera e responsabile per il partito per le Pari Opportunità . “Conosciamo e apprezziamo tutti l’ironia e la grande simpatia del Presidente Berlusconi, ma a volte anche la battuta più riuscita può risultare fuori luogo e poco spiritosa come accaduto oggi parlando sull’ipotesi di individuare un nuovo nome per il nostro Partito. In questo momento non dobbiamo prestare il fianco a facili strumentalizzazioni”.
La traduzione diretta e sintetica del pensiero di Saltamartini la traccia la deputata del Pd Paola Concia: “”uesta ennesima trovata di Berlusconi non è affatto una boutade, ma esprime esattamente il suo vero pensiero sulle donne, ovvero il pensiero degno solo di un vecchio porco”.
La levata di scudi è un coro unico.
Da Nichi Vendola ad Antonio Di Pietro, dall’Udc allo sguardo sbigottito di Beppe Pisanu (che in serata ribadisce come l’attuale governo abbia superato da un pezzo il capolinea e preferisce non commentare: “Mi pare poco serio”) le critiche piovono ovviamente sul premier.
Ma è il popolo delle donne ad avere maggior diritto di voce.
Rosy Bindi risponde con ironia. “Con una battuta si dovrebbe dire che” forza gnocca “è l’unico partito che ha avuto, l’unico che non ha bisogno di fondare e l’unico che ha praticato. Ma rispondere con una battuta non ce lo possiamo permettere perchè non è più farsa ma tragedia”, ha detto il presidente del Pd. “Mi chiedo se — aggiunge Bindi — l’Italia ha ancora bisogno di qualcuno che mostri la sua indignazione davanti a Berlusconi. E’ offensivo per le donne ma attraverso le donne colpisce la credibilità della politica, delle istituzioni e dell’Italia”.
Opinione condivisa dall’Udc. Lorenzo Cesa: “Mentre l’Europa affronta il dramma della crisi economico-finanziaria, la Banca Centrale Europea chiede all’Italia di dare completa attuazione alle sue indicazioni e mentre gran parte degli italiani annaspano per arrivare a fine mese, il presidente del Consiglio manifesta ossessivamente le sue solite preoccupazioni: le intercettazioni e la prescrizione breve”, afferma il segretario dell’Udc.
“Ormai c’è un gigantesco abisso tra le cose da fare e quelle a cui pensano Berlusconi e Bossi: chiediamo a quanti nella maggioranza hanno ancora la testa sulle spalle e vogliono bene al proprio Paese di non farsi complici di questa deriva”.
Umberto Bossi e la Lega fanno la loro parte. Il leader del Carroccio a chi gli chiede di commentare il nome forza gnocca risponde “siete solo indiviosi” .
Ma alle parole del leader, sono seguite quelle dei deputati leghisti che hanno gridato a Lucia Codurelli “fatti scopare che è meglio”.
E’ accaduto a fine mattina.
Mentre l’aula era impegnata nella discussione della legge Bavaglio, a Montecitorio ha fatto il suo ingresso Berlusconi.
Dai banchi del Pdl e del governo in molti sono accorsi verso il premier formando un capannello.
I lavori della Camera sono stati sospesi.
E la deputata del Partito Democratico, Lucia Codurelli, si è rivolta al presidente Gianfranco Fini invocando il suo intervento: “Abbiamo assistito ad un vergognoso intrattenimento, con immancabile racconto di barzellette, da parte di Berlusconi ai suoi cortigiani, tutti presi a ridere e scherzare, noncuranti di tutto ciò che avviene attorno a noi”, si è lamentata Codurelli.
Ma dai banchi della Lega è arrivata la risposta: “Fatti scopare che è meglio”. Codurelli racconta così il penoso episodio: “ho espresso tutta la mia indignazione, gridando che ci hanno portato allo sfascio e che se ne devono andare: alle mie proteste ha risposto insultandomi un leghista, di cui aspetto di conoscere il nome. E’ il loro stile: arroganza e niente rispetto, sopratutto per quelle donne che non sono asservite ai capi”.
“E’ davvero mortificante sentire queste parole in un’aula parlamentare”.
Il presidente dei democratici Dario Franceschini ha inviato una lettera al presidente della Camera invocandone l’intervendo.
Si tratta, ha scritto, di un “attacco volgare e offensivo”.
Per questo chiede “di intervenire, non solo a tutela di una parlamentare ma a tutela del decoro e prestigio dell’Aula parlamentare, e di investire gli organi competenti per accertare l’esatto evolversi dei fatti e adottare i provvedimenti del caso”.
Mentre Deborah Serracchiani si limita a bollare i leghisti come “cavernicoli”.
Ma pur sempre indispensabili al premier per approvare anche la legge Bavaglio.
Ci chiediamo per quanto tempo gli italiani di destra vera dovranno ancora sopportare questa becerodestra che rappresenta una vergogna internazionale per il nostro Paese.
Più vicina a una logica da vecchi porci, da sfigati maniaci dei giardinetti con problemi psichici e prossimi a un trattamento sanitario obbligatorio, da soggetti che non perdono occasione persino per insultare la donna in quanto donna.
La destra italiana pagherà per anni il berlusconismo e il leghismo, lo abbiamo detto in tempi non sospetti: la loro visione del mondo è affaristico-corruttiva, poltronista e razzista, puttaniera e priva di qualsiasi solidarietà sociale.
Stanno riconsegnando il Paese a una sinistra che tre anni fa era allo sfascio: era quasi impossibile riuscire a rianimarla.
Ma loro ci sono riusciti.
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Ottobre 6th, 2011 Riccardo Fucile
ACCUSATI DI AVER CRITICATO IL SEGRETARIO GOBBO ALLA SAGRA DI SCHIO, DUE ELETTI DELLA LEGA SONO STATI RIDOTTI DA MILITANTI A SEMPLICI SOSTENITORI
All’indomani della visita a sorpresa di Maroni al sindaco di Verona Flavio Tosi, nella Lega
Nord sponda Veneto continua il regolamento di conti.
Ormai è guerra aperta, per bande.
Gli ultimi due epurati, ma sarebbe più appropriato dire purgati, sono l’assessore all’urbanistica Umberto Zanella e il consigliere comunale Guglielmo Dal Ceredo del comune di Arzignano, la cui sezione negli ultimi tempi è stata prima commissariata e poi azzerata in seguito allo scandalo dell’evasione fiscale accertato dalla Guardia di finanza nel distretto della concia: 21 su 31 iscritti, sono stati raggiunti da un provvedimento disciplinare di declassamento, ridotti da militanti a semplici sostenitori.
Senza diritto di voto.
Provvedimento firmato da Gianpaolo Gobbo, uomo fedelissimo di Bossi, segretario nazionale del Veneto, impegnato in prima persona a mettere in atto quella che molti chiamano la “circolare Ceausescu”, circolare che limita, pena severissimi provvedimenti, le esternazioni dei sindaci su tutto quello che non è materia loro.
Negli ultimi giorni Gobbo oltre a Tosi ha dovuto tenere a freno anche lo sceriffo Gentilini, reo di aver messo in discussione, anche lui, due concetti cardine quali la Padania e la secessione.
Ed è proprio secondo molti la segreteria di Gobbo che dura ininterrottamente dal 98, il vero problema non solo ad Arzignano ma in tutto il Veneto.
Il destino e le sorti dei militanti di fede padana infatti, dipendono dall’esito della lotta tra gli uomini che mal sopportano la segreteria di Gobbo e chiedono un ricambio in favore di Tosi e quelli invece schierati come un sol uomo al suo fianco.
Alcuni con la memoria più lunga sottolineano però che non è cosa recente l’ambizione del sindaco di Verona alla carica di segretario.
Ricordano infatti che la sua corsa al congresso di Padova nel 2008 fu interrotta bruscamente da Bossi in persona, che dal palco acclamò Gobbo come segretario, poi eletto all’unanimità e Tosi come candidato alla presidenza del Veneto dove invece poi finì Zaia.
Da allora è guerra.
Il 29 luglio di quest’anno, ad esempio, è saltato un altro elemento di spicco, il senatore Alberto Filippi, 18 anni di militanza, il cui pensiero è “non metto in discussione Bossi, ma tutto il resto sì”.
L’accusa, che gli è costata la tessera della Lega, è di poca trasparenza in una compravendita di terreni e di essere coinvolto nel caso Ghiotto, un altro esempio eclatante di evasione fiscale: Filippi avrebbe sponsorizzato la squadra di calcio a 5 di Arzignano “Grifo calcio” di proprietà di Ghiotto.
Ora la partita decisiva in Veneto è fissata per il prossimo congresso che prima o poi si farà , dato che il mandato triennale di Gobbo è scaduto a luglio.
Intanto però le argomentazioni per purgare gli eretici si sono fatte un po’ piu spicciole. I fatti che riguardano le espulsioni di ieri dell’assessore Zanella e del consigliere Dal Ceredo risalgono al 19 agosto scorso.
Alla sagra padana di Schio. I due sono presenti assieme a tanti altri militanti alla festa del Carroccio.
Complice forse qualche birra di troppo, si lasciano andare a un acceso dibattito sotto al palco, sulla politica della Lega al governo, i toni forse sono un po’ troppo alti, la discussione è vivace ma a dire degli interessati non riguarda il discorso del segretario Giampaolo Gobbo in quel momento oratore sul palco.
Eppure qualche parola di troppo e non gradita deve essere stata riportata e riferita come episodio di aperta contestazione.
Ieri il provvedimento di espulsione non ancora ufficialmente comunicato ai due, ma l’accusa gravissima è quella di aver fischiato e pubblicamente Giampaolo Gobbo.
Ai due non è concessa difesa.
Zanella dichiara amareggiato e sorpreso al Corriere del Veneto “in quell’occasione c’è stato un confronto con degli altri sostenitori, tutto qui.
Non sono pienamente d’accordo con la politica di Calderoli, Bossi e Gobbo.” E poi aggiunge quasi serafico “io non voto per Gobbo”.
E c’è chi dice che al congresso, se mai si farà , saranno molti quelli che non voteranno per lui.
Se fino ad allora non saranno stati anche loro declassati a semplici sostenitori, senza diritto di voto.
Nicola Busetto
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 6th, 2011 Riccardo Fucile
LA FORTUNATA MOGLIE DEL VICESINDACO DI BRESCIA TRA CONCORSI E ASPETTATIVE
A Fabio Rolfi (neosegretario provinciale della Lega a Brescia e vicesindaco della città ) le auto blu non piacciono.
Così quel giorno a Milano a sistemare la moglie ci andò in treno.
Si apre il nuovo capitolo di famigliopoli leghista in salsa bresciana che racconta molto del “nuovo che avanza” anche in casa del Carroccio.
Il “maroniano” Rolfi al congresso provinciale ha sbaragliato (255 preferenze su 434 votanti) l’avversario protetto dalla “casta” di Lady Bossi.
Un film già visto per la verità un paio di settimane prima, quando il duo (Trota) Renzo-Monica Rizzi era stato sbeffeggiato con la nomina del nuovo segretario in Valle Camonica.
Cambiano le facce, ma non le abitudini.
E se il Senatur piazza i figli (dopo Renzo in arrivo anche Roberto Libertà ) in politica, gli altri seguono l’esempio con le mogli, parenti e affini.
Sempre di famigliopoli si parla.
Protagonista questa volta Silvia Raineri in Rolfi, balzata agli onori della cronaca nazionale per una vicenda di collocazione parentale alla Provincia di Brescia.
A un concorso pubblico, indetto dall’ente guidato dal leghista Daniele Molgora, la moglie di Rolfi ottiene il miglior risultato allo scritto e il peggiore all’orale , riuscendo ad arrivare quarta tra centinaia di persone che ambivano a quei fantastici otto posti. Una storia —che coinvolge anche altre signore vicine alla Lega — che non è passata del tutto inosservata ed è ancora in fase di accertamento, tanto che la famiglia Rolfi ha deciso di guardare altrove.
Ecco dunque che la signora ci riprova, con un concorso all’Asl di Milano dove trova una collocazione lavorativa come impiegata amministrativa a tempo indeterminato nella direzione generale.
Silvia Raineri infatti, nonostante si fosse piazzata solo diciottesima al concorso, dal 16 dicembre 2010 viene assunta a tempo indeterminato proprio per quell’unico posto disponibile nell’azienda sanitaria del capoluogo lombardo.
Fin qui quasi nulla di strano se non fosse che il giorno dopo la neo assunta ottiene l’aspettativa.
Per cosa? Per un contratto a termine (dal 17 dicembre 2010 al 16 dicembre 2011) niente meno che in Regione Lombardia.
Così, l’Asl di Milano adotta una delibera (la numero 2226 del 31 dicembre 2010 e pubblicata dal sito Tempo Moderno) in cui viene concessa l’aspettativa non retribuita dal servizio a tempo indeterminato per assumere quello a tempo determinato al Pirellone.
Ma rimane tutto in famiglia visto che la signora Raineri sembra destinata alla segretaria del consigliere leghista di Bergamo, Daniele Belotti.
Insomma i casi sono due: o la signora Raineri- Rolfi è una donna fortunata (vince un concorso a tempo indeterminato in un’Asl a Milano e all’indomani ottiene l’aspettati – va per lavorare in regione Lombardia) oppure Fabio Rolfi (34 anni) neo segretario della Lega (e vice del sindaco pidiellino Paroli) di strada ne ha fatta da quando, giovane militante, appiccicava furtivamente (e abusivamente) i manifesti contro Roma ladrona.
Diplomato in agraria, ha sempre vissuto solo di politica.
Figlio di un piccolo imprenditore, Rolfi è entrato in Lega come protetto dell’ex assessore regionale alla Sanità Alessandro Cè.
Finita la stagione dei gazebo e delle lotte come presidente di circoscrizione (di minoranza durante la giunta di centrosinistra) ha capito che con la politica si guadagna.
Ecco allora il suo primo incarico nel 2005, sempre in Provincia, come “consulente informatico a 22 mila euro lordi” pochi mesi retribuiti grazie all’appoggio dell’allora vicepresidente (altro leghista epurato, Massimo Gelmini).
Vicesindaco con delega alla Sicurezza è l’autore di tutte le delibere più originali: vietato sedersi sui monumenti (unica multata un’anziana signora marocchina), giocare a cricket nel parco e organizzare pic-nic sull’erba pubblica.
Lo si ricorda anche per aver fatto tagliare la corrente nel campo rom dove, tra l’altro, c’era un bambino la cui vita dipendeva da apparecchiature elettriche.
Fabio Rolfi ha un chiodo fisso: gli stranieri. Quando ancora non contava si spese per la raccolta di firme contro l’ampliamento della moschea.
Oggi? Preferisce occuparsi delle questioni immobiliari affidate a un suo fedelissimo architetto, nominato presidente della società controllata Brixia Sviluppo.
Peccato che sull’operato della società la Procura di Brescia abbia aperto un fascicolo, così come è stata presentata un’inter rogazione parlamentare rispetto all’acquisizione di immobili da parte del Comune “al fine di verificare la legittimità del contratto d’acquisto”.
Come a dire: maroniani? Il nuovo che avanza.
E nelle altre parrocchie leghiste cosa succede?
Ieri, pur di guadagnarsi un titolo sui giornali, il viceministro ai Trasporti Roberto Castelli ha dichiarato: “Napolitano che dice il popolo padano non esiste mi offende e mi fa paura. Si vede che per lui non esisto e sono un ectoplasma”.
Bocche cucite invece a Varese, dopo che è dovuto intervenire il Senatur per risolvere le beghe congressuali di domenica prossima.
Aria pesante invece in Veneto dove scoppia il caso Tosi (spalleggiato dall’ex sindaco-sceriffo di Treviso Gentilini) che ha dichiarato: “Secessione? Solo filosofia, i problemi sono ben altri”.
Insomma sempre più fratelli coltelli quelli della Lega e magari fosse solo questione di “cerchio magico” e “maroniani”.
Elisabetta Reguitti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 5th, 2011 Riccardo Fucile
SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE IL CONTROLLO SULLA REGOLARITA’ DEGLI ISCRITTI SPETTA SOLO AL GIUDICE CIVILE…. SCONGIURATO COSI’ IL RISCHIO DI ANNULLAMENTO DEL VOTO: CI VORRANNO ANNI PRIMA CHE UN GIUDICE CIVILE SI ESPRIMA SULLA FIRME FALSE…I RADICALI: “D’ORA IN POI SARA’ IMPOSSIBILE OTTENERE GIUSTIZIA CONTRO UNA QUALSIASI TRUFFA ELETTORALE”
La Corte Costituzionale ha deciso: spetta solo al giudice civile il controllo sulla veridicità delle firme per la presentazione di liste e candidati alle elezioni. I
l che, considerando che i tempi della giustizia civile in Italia superano di gran lunga la durata di una legislatura, significa solo una cosa: Roberto Formigoni e Roberto Cota, rispettivamente governatori di Lombardia e Piemonte, non rischiano più l’annullamento del voto di maggio 2010, quando sono stati eletti alla guida delle due giunte regionali.
Amara sconfitta, invece, per i Radicali, che avevano raccolto le prove della presunta combine e che ora minacciano di rivolgersi agli organi di giustizia internazionali per ricorrere contro la decisione della Cassazione.
Per ora, tuttavia, i Radicali hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a cui chiedono di intevenire.
Per Marco Cappato, già candidato premier alle regionali ‘incriminate’ (ma poi escluso), la questione “non riguarda soltanto le elezioni regionali del Piemonte, nè soltanto quelle della Lombardia, dove noi Radicali abbiamo portato le prove della gigantesca truffa elettorale compiuta nella presentazione delle liste di Roberto Formigoni, con un migliaio di persone che hanno confermato in Procura della Repubblica di non aver mai firmato quelle liste”.
Per l’esponente dei Radicali — che si rivolge direttamente al capo dello Stato, “la conseguenza della sentenza di oggi significa, per il futuro del Repubblica italiana da Lei presieduta, che d’ora in poi sarà ufficialmente impossibile per chiunque ottenere giustizia contro una qualsiasi, anche se gravissima, truffa elettorale in tempo utile prima della fine del mandato di chi è stato eletto grazie a quella truffa, ad ogni livello locale o nazionale che sia”.
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Ottobre 5th, 2011 Riccardo Fucile
ENNESIMA BRUTTA FIGURA DELLA LEGA: IN UN MESE SVELATO IL BLUFF…NESSUN MINISTERO AL NORD, SOLO IL SOLITO SPOT PER I GONZI
I ministeri leghisti di Monza aprono le porte a una delegazione del Partito Democratico e magicamente da sedi distaccate, annunciate in pompa magna dai Padani (presunti) secessionisti, si trasformano in “sedi di rappresentanza”.
A declassare il rating degli uffici è lo stesso padre del trasferimento dei ministeri al Nord: Roberto Calderoli.
Ieri lo ha confessato: “Sono solo sedi di rappresentanza”.
Appena tre mesi fa ad ogni comizio e incontro pubblico il ministro per la Semplificazione rilasciava dichiarazioni entusiaste su quelli che definiva i ministeri al Nord.
“Il 23 luglio il mio ministero e quello di Bossi apriranno a Monza. Che piaccia o non piaccia a Roma” disse lo scorso 11 luglio nel corso di un incontro pubblico in provincia di Varese quando, lanciando l’affondo sulla devolution dei dicasteri, aveva assicurato ai militanti che la Lega non si sarebbe fermata di fronte alla levata di scudi che era seguita alla proposta leghista di “trasferire al Nord i ministeri”.
Proposta che era stata sostenuta anche da una raccolta firme lanciata a ridosso del tradizionale raduno di Pontida del 19 giugno scorso.
Alcuni hanno creduto al progetto.
Altri hanno iniziato a fare i conti di quanto sarebbe costato portare a termine il trasloco.
Ma sono bastate poche settimane e il 23 luglio, giorno dell’inaugurazione, il trasferimento dei ministeri era già stato declassato a semplice apertura di non meglio identificate sedi distaccate.
Trasferimenti o distaccamenti, poco importa, i promotori dell’iniziativa erano comunque felici e potevano dire di aver aperto i loro ministeri del nord.
Alla festa organizzata alla Villa Reale di Monza si sono presentati in pompa magna Umberto Bossi, Roberto Calderoli, Giulio Tremonti e Michela Vittoria Brambilla. Quattro ministri in tre stanze “che allo Stato non costano niente”, come aveva detto Bossi il giorno del taglio del nastro, ricordando che a nord “sono tutti contenti”, lasciando intendere che non gli importasse un gran chè delle polemiche sollevate da Gianni Alemanno e Renata Polverini.
Dopo l’inaugurazione, per tornare a parlare dei ministeri del nord si è dovuto attendere il primo settembre, giorno dell’annunciata apertura. In quell’occasione alla Villa Reale dei ministri non s’è vista nemmeno l’ombra.
Si è presentata invece una delegazione di agguerritissimi imprenditori padovani, infuriati per il contenuto della manovra fiscale e i provvedimenti eccessivamente penalizzanti per la categoria.
Dalla prima protesta passano una dozzina di giorni e finalmente la sede distaccata dei ministeri ospita una vera riunione.
Ma al di là del nome altisonante più che in una sede istituzionale pareva di essere in una struttura di partito.
A quella riunione hanno partecipato il ministro Roberto Calderoli, il ministro Umberto Bossi e uno stuolo di presidenti di provincia: tutti rigorosamente leghisti. Unica eccezione, il ministro Giulio Tremonti, che dopo aver fatto capolino in Villa ha smentito di aver mai partecipato ad alcuna riunione.
Su questo strano incontro di partito la procura di Monza ha anche aperto un fascicolo per indagare la reale natura degli uffici ministeriali di Villa Reale.
Ieri nella sede dei ministeri trasferiti, anzi no, distaccati, il ministro Calderoli ha incontrato alcuni esponenti del Partito democratico brianzolo.
Alla riunione hanno partecipato il capogruppo Domenico Guerriero, il vicepresidente del consiglio provinciale Vittorio Pozzati, il segretario provinciale Gigi Ponti e il consigliere Adriano Poletti.
All’uscita Guerriero ha riferito del colloquio avuto con il ministro, dichiarando che Calderoli ha ammesso che quelle monzesi “sono sedi di rappresentanza e non decentrate”.
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Ottobre 5th, 2011 Riccardo Fucile
RITORNA ALLA LUCE IL PATTO DAL NOTAIO CON CUI IL PREMIER SI E’ ASSICURATO L’APPOGGIO A VITA DEL SENATUR… SI PARLA DI DECINE DI MILIARDI DI LIRE
L’ex direttore della Padania è intervenuto nel programma di Lucia Annunziata, In
mezz’ora, confermando la tesi secondo cui la fedeltà del Carroccio al premier dipenderebbe da una fidejussione di due miliardi di lire stipulata dal Cavaliere nel 2000 per coprire tutti i debiti contratti nel tempo dal partito di Bossi
Ne aveva parlato Gilberto Oneto in una puntata de L’Infedele, ora l’indiscrezione è stata confermata e ripetuta anche dall’ex direttore de La Padania Gigi Moncalvo nel corso del programma di Lucia Annunziata, In mezz’ora.
Moncalvo, direttore del quotidiano del Carroccio dal 2002 al 2004, ha spiegato le origini del patto di ferro che lega Silvio Berlusconi a Umberto Bossi e che avrebbe spinto la Lega, fra l’altro, a votare per il salvataggio di Marco Milanese e Saverio Romano, il ministro indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo il giornalista, che cita tra le altre fonti la ex giornalista di Radio Padania Rosanna Sapori e il giornalista di Famiglia Cristiana Guglielmo Sasimini, ci sarebbe un “vero e proprio contratto stipulato davanti a un notaio”.
L’accordo, datato gennaio 2000, sarebbe stato firmato un anno prima delle politiche del 2001 in cui Bossi e Berlusconi erano alleati.
Nel giugno del 2000 infatti, come aveva documentato Mario Calabresi su Repubblica, Giovanni Dell’Elce,, allora amministratore nazionale di Forza Italia e oggi deputato del Pdl, scrisse alla Banca di Roma per comunicare una fideiussione di “due miliardi di vecchie lire a favore della Lega”.
Moncalvo ha aggiunto che “Berlusconi aveva fatto un intervento economico pesante a favore della casse della Lega” che allora versava in uno stato finanziario critico: la sede del partito era stata pignorata e i giornalisti non ricevevano più lo stipendio.
A quel punto Berlusconi avrebbe rinunciato “a un serie di cause civili per gli slogan e le paginate” de La Padania in cui il premier “veniva accusato di essere mafioso” in cambio della cessione della titolarità del simbolo del Carroccio.
Una compravendita che Moncalvo definisce “tipica della mentalità di Berlusconi”.
A fare da mediatore nell’acquisto, di cui Umberto Bossi, la moglie Manuela Marrone e Giuseppe Leoni avrebbero disposto del 33% ciascuno, sarebbe stato Aldo Brancher, il ministro con la più breve carica nella storia della Repubblica.
Oltre alla titolarità del simbolo, il patto prevedeva anche la formazione di un think tank per la formulazione di una riforma costituzionale per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.
E se fosse passata col referendum, Napolitano, aggiunge Moncalvo, sarebbe stato “costretto a dimettersi”.
Dall’altra parte Berlusconi, “convinto di essere eletto dal plebiscito popolare”, sarebbe andato al Quirinale.
A fare parte del think tank, aggiunge l’ex direttore de La Padania, anche “Tremonti, Calderoli e La Russa” mentre “Follini e Fini combatterono fino in fondo” affinchè la riforma non passasse.
Di fatto il piano ha subito un arresto l’11 marzo 2004, in corrispondenza della “fermata ai box di Bossi per motivi di salute”.
Dunque, ha osservato Lucia Annunziata, Bossi e Berlusconi “si confermano legati a una partita finchè morte politica non ci separi”.
Il modo per mettere a tacere queste voci?
Secondo Moncalvo uno solo: che il Senatùr faccia cadere il governo.
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