CHIESTI TRE ANNI DI CONDANNA PER SCAJOLA, ORA LO SA
LA VICENDA DELL’APPARTAMENTO AL COLOSSEO COMPRATO A “SUA INSAPUTA”… STESSA SORTE PER ANEMONE
Tre anni di carcere non sono pochi, peggio ancora se si sommano a una multa da 2 milioni di euro.
Rischia di costare cara la casa con vista Colosseo a Claudio Scajola e anche all’imprenditore Diego Anemone che “silenziosamente”, al momento dell’acquisto, avrebbe aggiunto di tasca sua 1,1 milioni lasciando all’ex ministro soltanto l’onere di 600 mila euro.
Dopo due anni di dibattimento la pubblica accusa non ha cambiato idea sulla casa acquistata da Scajola “a sua insaputa” e la richiesta di condanna suggella un sistema di favori fatti e ricevuti, che ha visto protagonisti politici, imprenditori, alti funzionari dei Lavori pubblici coinvolti nel più ampio scandalo del G8, che finì per travolgere anche il ministro dell’Interno.
Scajola nel maggio 2010 fu costretto a dimettersi e Berlusconi ad assumere l’interim. Resta quella frase pronunciata nel corso di una memorabile conferenza stampa quando, ancora ministro, Scajola arrivò a sostenere che se davvero l’appartamento in via di Fagutale, 200 metri quadri con affaccio sul Colosseo, costava 1,7 di euro qualcuno doveva averla pagata “a sua insaputa”.
Un colpo da maestro, una gag da comica finale, sembra incredibile ma non ha mai cambiato versione e, sia pure con parole diverse, anche in aula ha continuato a sostenere che il prezzo non poteva superare i 600 mila euro, considerate le condizioni fatiscenti.
Infatti Anemone ha poi speso 100 mila euro per ristrutturarla.
A nulla è valsa la testimonianza delle sorelle Papa, ovvero le proprietarie, che hanno esibito il compromesso in cui si citava la cifra reale, ovvero 1,7 milioni di euro, e neppure quanto affermato dall’architetto Angelo Zampolini, presente all’atto di fronte al notaio, fu lui a versare gli assegni circolari per conto di Anemone.
Niente da fare, per l’ex ministro la casa valeva 600 mila euro e tanto l’ha pagata, una perizia confermerebbe il suo valore, sostiene, ma le agenzie immobiliari lo smentiscono.
“Ho provato a venderla, ma non ci sono riuscito, appena scoprono di che casa si tratta tutti fuggono”, ha lamentato in una delle ultime udienze e ancora ieri il suo avvocato Elisabetta Busuito ha affermato che “ le prove documentali e testimoniali hanno rivelato l’inesattezza delle indagini condotte dalla Finanza, ogni correlazione tra movimenti bancari del gruppo Anemone e assegni circolari si configura come pura illazione e non c’è alcun riscontro per il reato di finanziamento illecito”.
In poche parole manca il do ut des tra Anemone e l’ex ministro.
Dura la requisitoria dei pm Ilaria Calò e Roberto Felici che hanno ricostruito quel “sistema gelatinoso”, che caratterizzava i Grandi appalti, all’interno del quale la corruzione invadeva ogni relazione personale e politica: “Anemone è un personaggio chiave di quel sistema, ha fatto fortuna grazie ai suoi rapporti con Balducci”.
Tutti e due furono arrestati, tutti e due sono tuttora imputati in altri processi sia Roma che a Perugia dove è nata l’inchiesta.
“Quando si parla di sistema è evidente che lo scambio di favori assume un rilievo politico, in questo caso è stato offerto un bene personale in cambio della copertura politica”, dicono i pm. Ma Scajola non demorde: “Se fossi stato un farabutto mi sarei comportato in modo diverso. Qualche giornalista ha detto che tutto è stato fatto per ottenere la mia benevolenza. Non lo so, forse Anemone e Balducci mi hanno aiutato a risolvere un problema”.
Quello della casa in via Fagutale, ma “a sua insaputa”.
Rita di Giovacchino
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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