CON IL REDDITO NON SI ABOLISCE LA POVERTÀ: “AUMENTERANNO LE DISEGUAGLIANZE”
SINDACATI, COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO E CARITAS BOCCIANO LA MISURA DI DI MAIO
La precarietà dei 6.000 navigator Anpal può innescare una vera e propria “guerra tra poveri” mentre il requisito dei 10 anni di residenza può paradossalmente “aumentare il disagio e la disuguaglianza nell’accesso al beneficio”.
I sindacati e le associazioni del Terzo settore che si occupano di povertà , chiamati in Senato a dire la loro sul Decretone che contiene le norme sul Reddito di Cittadinanza e su Quota 100, non si risparmiano con le critiche puntuali ai provvedimenti e, soprattutto sul primo, tirano fuori tutta una serie di timori e perplessità .
A non convincere Cgil, Cisl e Uil è soprattutto l’assunzione, con contratti di collaborazione, delle nuove figure professionali destinate a fare da tutor ai beneficiari del Reddito. “È una condizione che rischia di alimentare ulteriormente e con numeri abnormi il bacino di precari presenti in Anpal Servizi, innescando una vera e propria ‘guerra tra poveri’ “.
L’accusa è messa nero su bianco dai sindacati in un documento unitario depositato in commissione Lavoro del Senato, in cui si spiega che in questo modo vengono mettono in concorrenza i nuovi precari con i vecchi già presenti in Anpal Servizi da diversi anni. Dai numeri forniti dai sindacati, emerge, infatti, che lì oggi ci sono già 654 lavoratrici e i lavoratori con contratto a tempo determinato o di collaborazione (il 60% del totale), e “non è accettabile correre il rischio di disperdere anche la loro professionalità acquisita in anni di attività “.
Le tre sigle sindacali suggeriscono quindi al Governo, di prendere prima in seria considerazione la completa stabilizzazione di tutti i precari di Anpal Servizi.
Altra forte preoccupazione espressa dai rappresentanti sindacali è che le risorse previste dal Reddito di Cittadinanza non bastino a garantire il sostegno di tutti i cittadini che si trovano in condizioni di povertà assoluta.
Il Rdc, infatti, “è una misura che viene finanziata fino ad esaurimento delle risorse stanziate per l’anno di competenza (limite di tetto) ” spiegano i sindacati e se le domande dovessero superare la disponibilità delle risorse stanziate per l’anno in corso, può scattare la “tagliola” e in quel caso può essere ristabilita la compatibilità finanziaria “attraverso la rimodulazione del sussidio ovvero la sua riduzione in modo tale da coprire tutti i beneficiari in regola con i requisiti”.
Il problema, quindi, è che non tutti i poveri – specialmente quelli nelle peggiori condizioni – vengano tutelati dalla misura. Per come è attualmente strutturato il meccanismo di distribuzione del Reddito, i sindacati fanno notare che potrebbe essere penalizzante per i disabili e per le famiglie numerose “in particolare se con minori”. Ecco perchè Cgil, Cisl e Uil suggeriscono di riequilibrare il sistema prevedendo delle maggiorazioni nel beneficio in caso di presenza di disabili nel nucleo familiare.
La misura, poi, non incide e non contrasta adeguatamente la cosiddetta “povertà minorile”, che è in aumento, ma viene trattata marginalmente da questo provvedimento.
Per questo, le tre sigle chiedono che – come era previsto per il Rei – sia ripristinato l’obbligo e la previsione di interventi di sostegno sociale, per il diritto all’istruzione e all’educazione dei minori.
Elemento invece del tutto “inaccettabile” per i sindacati è il requisito della residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due consecutivi, per diventare beneficiari del Reddito. I rappresentati dei lavoratori parlano infatti chiaramente “di profili di incostituzionalità “, reputando questa previsione troppo vincolante nei confronti dei cittadini stranieri, iniqua verso l’intera platea di soggetti in condizione di bisogno, a partire dai senza dimora, ed escludente per i possibili “emigrati di ritorno”.
Su questo tema interviene a gamba tesa anche la Caritas, secondo la quale, la previsione di una residenza di 10 anni per i beneficiari del reddito “esclude certamente dalla misura le persone migranti regolarmente presenti sul nostro territorio e rischia di escludere le persone in condizione di grave marginalità , in particolare i soggetti senza dimora, a prescindere dalla loro cittadinanza”.
Per la Caritas si tratta di un vero e proprio paradosso, un provvedimento che si occupa di contrastare la povertà , infatti, “non può che essere inclusivo”, altrimenti “genera o implementa condizioni di disagio grave o di disuguaglianza nell’accesso”.
Della stessa opinione anche la Comunità di Sant’Egidio che propone di superare il limite dei 10 anni, proponendo che il tetto sulla residenza sia ridotto a non più di 5 anni e avverte: la ripartizione del beneficio “tra Rdc propriamente detto e contributo all’affitto produce un”evidente distorsione poichè finisce per penalizzare chi non ha casa, cioè proprio coloro che versano in povertà estrema”. Le persone senza fissa dimora, infatti, riceverebbero meno di chi comunque gode di un’abitazione, che sia di proprietà o in affitto.
L’obbligo di spendere l’intero ammontare del beneficio in un mese “è controproducente” – sempre secondo la Comunità di Sant’Egidio – a fronte dell’eventualità di dover affrontare spese che richiedono forme anche molto limitate di accantonamento (ad esempio la caparra per un affitto, delle cure mediche straordinarie, o comunque altri eventi improvvisi).
Anche i sindacati reputano questa misura “inutilmente penalizzante”. Si tratta di una decurtazione “che non tiene in alcun modo conto della capacità del nucleo familiare di operare una pianificazione delle spese fisse (non necessariamente mensili) che si affrontano”, dicono Cgil, Cisl e Uil, mentre il limite di prelievo di 100 euro può invece risultare “troppo contenuto nel caso in cui il beneficio sia elevato mentre può essere perfino esaustivo se il beneficio è contenuto. Sarebbe stato più opportuno fissare come massimo del prelievo una percentuale del beneficio”.
Ai rappresentanti dei lavoratori sembra poi che il Reddito di Cittadinanza attribuisca, nella lotta alla povertà , un ruolo prioritario all’avvio al lavoro, senza però considerare che già oggi “molti lavoratori sono poveri”.
Una misura di sostegno al reddito, pur importante – concludono – “non può essere quindi scollegata dal tema della qualità dello sviluppo economico, dalla qualità della offerta di lavoro, dagli investimenti necessari a superare le strutturali carenze e i divari territoriali, dagli investimenti sul sistema di istruzione e per l’apprendimento permanente, tutte tematiche su cui non ci sono state finora le scelte politiche necessarie”
C’è, insomma, un rischio concreto che il Reddito di cittadinanza “si riveli la strada sbagliata per rispondere alle esigenze dei poveri senza raggiungere peraltro gli obiettivi di incremento occupazionale”, fa notare l’Alleanza contro la Povertà .
Per Bin Italia (il network italiano del Basic Income), invece, l’effetto “scoraggiamento” del Reddito – legato all’importo del beneficio citato da Confindutria, che lo considera troppo alto rispetto agli stipendi medi del primo ingresso nel mondo del lavoro – “sarebbe invece una prima vittoria del Reddito, soprattutto se portasse finalmente al rifiuto di offerte di lavoro con compensi troppo bassi e, di conseguenza, a un aumento dei salari”.
(da agenzie)
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