GIORGIA MELONI TEME LA BOCCIATURA DI FITTO COME COMMISSARIO UE E SI “RACCOMANDA” A ELLY SCHLEIN
IL DEM PIERO DE LUCA: “MELONI SA CHE SU QUELLO C’È UN BRACCIO DI FERRO E RISCHIA DI PERDERLO, ANCHE PERCHÉ NON SI FIDA DEI SUOI ALLEATI”, CIOÈ DELLA LEGA
Per tre volte, in Aula, Giorgia Meloni si appella al Pd. Prima in Senato e poi alla Camera, la premier invoca «l’unità» delle forze politiche italiane in sostegno della nomina del suo ministro, Raffaele Fitto, a prossimo vicepresidente esecutivo della Commissione europea.
Perché, per le truppe di Schlein, quel voto su Fitto rappresenta un bivio politico: è meglio sostenere la nomina di un italiano e attirarsi le facili critiche di M5S e Avs o si preferisce prendere le distanze da un candidato della destra europea e lasciare a Meloni la facile accusa di essere anti-italiani?
Meloni vuole caricare di incertezze il voto. «Mi spaventa – dice – che il gruppo Socialista ci dica che non accetta che all’Italia venga riconosciuto un vicepresidente». Intorno alla premier però abbozzano un sorriso imbarazzato: «Beh, non è che siamo davvero preoccupati. Sappiamo che la nomina è abbastanza sicura. D’altronde, se non passa Fitto salta anche la commissaria dei Socialisti».
L’ordine delle audizioni dei candidati commissari, infatti – voluto dal Ppe con l’appoggio decisivo di Conservatori e Patrioti – prevede nel primo slot Fitto e la socialista Teresa Ribera nell’ultimo. Insomma, i destini dei due candidati sono legati: se cade Fitto, cade anche Ribera. La nomina, dunque, è sostanzialmente blindata.
L’insistenza di Meloni in Aula è «una cortina fumogena», commentano infatti nel Pd.
Per Schlein l’affondo della premier, semplicemente, non ha senso: «Ascolteremo Fitto in audizione e lo valuteremo come tutti gli altri commissari – spiega la segretaria Dem – così si regolerà tutto il gruppo socialista». Peraltro, sottolineano fonti del partito a Bruxelles, «il parere verrà espresso dal coordinatore dei Socialisti in commissione Affari regionali, lo spagnolo Marcos Sempere».
Servono i due terzi al primo tentativo, quando ad esprimersi sono solo i coordinatori dei gruppi, poi potrebbe bastare la maggioranza semplice con voto segreto e lì verrebbero chiamati in causa tutti i deputati, compresi Raffaele Topo e Antonio Decaro per il Pd.
«Prima o dopo, la nomina passerà, è un falso problema – spiega Piero De Luca, capogruppo in commissione Politiche europee alla Camera –. Il nodo è la vicepresidenza esecutiva: Meloni sa che su quello c’è un braccio di ferro e rischia di perderla, anche perché non si fida dei suoi alleati». Cioè della Lega.
La questione riguarda da vicino anche i Socialisti, perché «per noi è difficile digerire quel ruolo per Fitto, ha un valore simbolico, è un peso politico riconosciuto ai Conservatori, mentre non ha nulla a che vedere con il nostro interesse nazionale», spiega un europarlamentare dem. «La verità è che noi su Fitto finora non abbiamo detto nulla, né contro né a favore – continua il deputato – ma speriamo che von der Leyen gli tolga la vicepresidenza. Anche se non crediamo che lo farà, perché vuole tenersi aperto un dialogo con Ecr e con il governo italiano».
Dunque, c’è il rischio che i Socialisti si spacchino. «L’ala governista, tipo gli spagnoli, voterà a favore, mentre altri, come i francesi, saranno tentati di votare contro per punire lo sgarbo di von der Leyen. Noi saremo in mezzo».
Non una posizione comoda. «E, se le cose si metteranno in questo modo, nella nostra delegazione qualche fibrillazione sarà inevitabile». Meloni è cosciente che per il Pd la vicepresidenza a Fitto complicherà i rapporti all’interno del centrosinistra, così come quelli nella famiglia dei Socialisti europei. E proprio per questo la premier insiste, vuole da Schlein «chiarezza», certezze, unità, «nel nome dell’interesse nazionale».
(da la Stampa)
Leave a Reply