GLI STRANIERI E L’ITALIA REALE: PERCHE’ IL LORO NUMERO E’ SOVRASTIMATO E PERCHE’ NON POSSIAMO FARNE A MENO
SONDAGGIO EUROBAROMETRO: PER IL 70% DEGLI ITALIANI ACQUISIRE LA CITTADINANZA E’ IMPORTANTE PER L’INTEGRAZIONE, MA LA POLITICA ALTERA LE PERCEZIONI
L’altro giorno ho avuto uno scambio di battute con l’addetta del banco del fresco del supermarket della località di mare dov’ero in vacanza. Il supermercato ha aperto giusto un paio di mesi fa, ma la signora era esausta. Solo nel suo reparto – salumi, formaggi e panetteria – mancavano quattro persone per riempire i turni. Proprio quel giorno il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, stava spiegando al meeting di Rimini che nei prossimi 15 anni il numero di persone in età di lavoro ridurrà di 5,5 milioni, anche ipotizzando un afflusso netto di 170 mila immigrati all’anno e che – a parità di tutto il resto – questo fossato demografico renderebbe l’economia italiana più piccola del 13% e ridurrebbe il reddito per abitante di circa un decimo.
Nel frattempo i politici duellavano dai rispettivi ombrelloni sull’opportunità di concedere la cittadinanza a chi va a scuola in Italia almeno fino a 13 o 14 anni di età.
Siamo in un Paese di universi paralleli, ma al banco del fresco del supermarket non ho potuto fare a meno di chiedermi: l’inverno demografico sta già essiccando l’albero della crescita e della vitalità economica in Italia o questa è solo un’ipotesi relegata al futuro? E davvero gli italiani non sono pronti ad aprirsi di più all’integrazione di chi arriva dall’estero?
Rimini, 21 agosto 2024
“Nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro e aumenteranno gli anziani, con effetti negativi su sistemi pensionistici, sistema sanitario, propensione a intraprendere e innovare, sostenibilità dei debiti pubblici. E’ essenziale rafforzare il capitale umano e aumentare l’occupazione di giovani e donne, in particolare nei paesi – tra cui l’Italia – dove i divari di partecipazione al mercato del lavoro per genere ed età sono ancora troppo ampi. Anche misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari costituiscono una risposta razionale sul piano economico, al di là di altre valutazioni di natura sociale o etica. L’ingresso di immigrati regolari andrà gestito all’interno dell’Unione Europea bilanciando le esigenze produttive ed equilibri sociali, assicurando un’integrazione” così il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, intervenendo al meeting di Rimini. Courtesy: Meeting di Rimini
I nativi stranieri
Non è vero che l’Italia sia così chiusa come a volte la si racconta. Piuttosto, l’Italia è complicata e contraddittoria. E qui parlo dei fatti sull’immigrazione, oltre che delle percezioni. Forse è per questo che così spesso entrambi, fatti e percezioni, vengono distorti e branditi come armi dai gladiatori della politica e del mercato del consenso. Vediamo meglio.
Negli ultimi sei anni il numero degli stranieri nel Paese è aumentato di 300 mila persone, secondo l’Istat, anche se dentro quel numero si nascondono tante correnti diverse.
In buona parte il numero degli stranieri è aumentato anche perché in Italia ogni anno vedono la luce fra 50 mila e 60 mila bambini nati qui, destinati a crescere e andare a scuola qui, eppure privi dei diritti di cittadinanza almeno per un altro paio di decenni.
Il numero degli stranieri in Italia – 5,3 milioni, circa il 9% della popolazione – non aumenterebbe, senza quel flusso continuo di bebè usciti dagli ospedali italiani che appaiono direttamente nelle statistiche con quell’etichetta: nativi stranieri.
Allo stesso tempo tante persone scompaiono dalla stessa categoria di “stranieri” perché l’Italia ha concesso quasi 800 mila cittadinanze negli ultimi cinque anni, malgrado un percorso burocratico che grazie al governo Lega-M5S nel 2018-2019 è diventato più lento, tortuoso, burocratico e incerto.
Quanto ai flussi degli stranieri che entrano o escono dal Paese, anche qui i saldi netti sono positivi: circa duecentomila in più in anni normali, oltre trecentomila in più l’anno scorso (probabilmente per il boom dell’edilizia trascinato dal Superbonus).
Il futuro è già qui
E’ poco, è troppo? Ed è socialmente accettabile, o è una dinamica destinata a scatenare una crisi di rigetto?
Di certo non è abbastanza, se guardiamo ai crudi numeri. Questi ci dicono che il problema dell’addetta del banco del fresco del mio supermarket è un problema di tutti. E sta già segando alla base l’albero della crescita.
Negli ultimi sei anni in Italia la popolazione in età da lavoro in (circa 39 milioni di persone) è scesa di 630 mila teste e il calo è concentrato per intero fra i potenziali lavoratori più giovani, quelli fra 16 e 40 anni (quelli fra i 41 e i 67 anni sono persino aumentati un po’). Il futuro che ci mostra il governatore Panetta dunque è già qui; sta già trasformando e logorando il Paese anno dopo anno, mese dopo mese.
Poiché siamo appena tornati dalle vacanze, evito di approfondire le conseguenze di una situazione del genere per la sostenibilità del debito pubblico. Ma c’era da aspettarselo, in una società che ormai considera ovvio sussidiare ogni pecora o ogni capra di ogni allevatore almeno dieci volte di più di ogni bebè, ogni mese. Lo considera così ovvio che neanche mette conto di parlarne. Così ovvio che non ci pensiamo, perché tutto è sempre talmente complicato e le necessità e le rivendicazioni e gli strati di governo sono sempre infiniti, dall’Unione europea in giù.
Il peso delle percezioni
Eppure proprio questa sorta di dissociazione cognitiva – diamo per scontato che una capra debba essere sostenuta finanziariamente dieci volte più di un figlio – ci dice qualcosa. Ci dice che tutto è nelle nostre percezioni. Esse sono e saranno decisive. E le percezioni sugli immigrati che ormai dobbiamo attrarre ed integrare, magari anche selezionandoli e di certo formandoli, sono diverse da come si racconta. Detto in breve – prima di mostrarvelo in numeri – gli italiani sembrano essere un po’ ignoranti, chiusi e retrivi, in teoria; eppure molto realistici e privi di pregiudizi nella pratica.
Cosa voglio dire?
Ben il 57% degli italiani sovrastima il numero degli stranieri nel Paese e solo il 20% ne ha un’idea approssimativamente corretta. Né è il solo esempio di una certa ignoranza diffusa.
Dallo stesso sondaggio di Eurobarometro (raccolto sul campo alla fine del 2021) viene fuori che oltre metà degli italiani ritiene più numerosi nel Paese gli immigrati “illegali” rispetto a quello con documenti in regola. Naturalmente è vero l’opposto: gli irregolari sono al massimo – ma proprio al massimo – appena un decimo del totale dei residenti stranieri. Questo ci dice che nella parola “immigrazione” sono entrati in questi anni talmente tanti significati e realtà diverse che la confusione ormai è grande. Non stupisce che più persone ritengano l’immigrazione “un problema” piuttosto che “un’opportunità”.
Stranieri per amici o vicini? Perché no?
Ma questa era, appunto, la teoria. Nella pratica, gli stessi italiani del sondaggio di Eurobarometro rivelano anche un Paese diverso. Due Paesi che coabitano in uno, probabilmente spesso nelle stesse persone.
Otto italiani su dieci si dichiarano a proprio agio all’idea di avere un immigrato come amico, vicino o collega.
Sette su dieci dicono lo stesso dell’idea di avere un immigrato come proprio dottore o capo al lavoro.
Più di sei su dieci lo ribadiscono anche riguardo all’idea di avere un immigrato (o immigrata) nella propria famiglia e intanto già uno su dieci riferisce che questa situazione per lei o lui è già realtà. E quasi sei su dieci contano degli immigrati fra i propri amici.
Il racconto distorto fatto dalla politica
Insomma da un lato c’è il grande racconto confuso e distorto che la politica fa di fenomeni diversi; dall’altro c’è l’esperienza quotidiana delle persone. Non per niente la quota di coloro che vedono un’integrazione di successo “nella propria città o nel proprio quartiere” è più alta di quella di chi ritiene che l’integrazione sia di successo in Italia.
Non giudicano l’integrazione riuscita da quello che sentono dire dall’alto, ma la giudicano un po’ più riuscita per quello che vedono dal basso. Da un lato ci sono le paure, il senso di minaccia.
Dall’altro sette italiani su dieci pensano che acquisire la cittadinanza sia importante per l’integrazione (governanti, leggetevi il sondaggio di Eurobarometro…).
Perché in fondo quel che gli italiani chiedono, come tutti gli europei, sono politiche di integrazione concrete, capacità di individuare, attrarre e assimilare competenze e attitudini giuste dal resto del mondo; chiedono una società che, evolvendo, ritrovi un suo equilibrio. Le fole del piccolo mondo antico le lasciano volentieri al generale Roberto Vannacci.
I ghetti e come evitarli
In questo la domanda più urgente, temo, è come evitare che l’aumento dell’immigrazione diventi segregazione. Per “Eco”, la rivista diretta da Tito Boeri, ho mostrato come nelle scuole materne pubbliche di comuni della grande Milano, come Baranzate o Corsico, la quota di bambini stranieri vari fra il 60% e il 90% degli alunni; e questi bambini già a quattro o cinque anni tendono a dare risultati un po’ peggiori rispetto ai loro coetanei italiani in semplici test che misurano la fiducia negli altri, la capacità di autocontrollo, la capacità di capire il punto di vista degli altri. Rischiamo di gettare le basi dei ghetti e delle baby gang “straniere” di domani, anche se a sinistra parlarne è un po’ sconveniente.
Servono scuole di lingua speciali per questi bambini nativi stranieri, servono scuole di lingua e cultura per i loro genitori e soprattutto per le loro giovani madri casalinghe e isolate fra le loro quattro mura. Non vivremo mai nell’Italia ideale. Ma per un’Italia accettabile, serve un po’ di lavoro e di chiarezza di idee. Oltre che, possibilmente, meno ideologia da tutte le parti.
(da Il Corriere della Sera)
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