“I PUTINIANI D’ITALIA” CHE “ALLARMANO” GLI APPARATI DI SICUREZZA
I GIÀ NOTI PETROCELLI E ORSINI, MA ANCHE LA FREELANCE LAURA RUGGERI, GIORGIO BIANCHI, CHE GESTISCE IL CANALE TELEGRAM “GIUBBE ROSSE”, ALBERTO FAZOLO E LO SCRITTORE MANLIO DINUCCI… MENZIONE SPECIALE PER LA REPORTER RUSSA MARIA DUBOVIKOVA
La rete è complessa e variegata. Coinvolge i social network, le tv, i giornali e ha come obiettivo principale il condizionamento dell’opinione pubblica. Si attiva nei momenti chiave del conflitto, attaccando i politici schierati con Kiev e sostenendo quelli che portano avanti le tesi favorevoli alla Russia.
La rete filo-Putin è ormai una realtà ben radicata in Italia, che allarma gli apparati di sicurezza perché tenta di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo. E lo fa potendo contare su parlamentari e manager, lobbisti e giornalisti. L’indagine avviata dal Copasir è entrata nella fase cruciale.
Il materiale raccolto dall’intelligence individua i canali usati per la propaganda, ricostruisce i contatti tra gruppi e singoli personaggi e soprattutto la scelta dei momenti in cui la rete, usando più piattaforme sociali insieme – da quelle più conosciute come Telegram, Twitter, Facebook, Tik Tok, Vk, Instagram, a quelle di nicchia come Gab, Parler, Bitchute, ExitNews – fa partire la controinformazione.
Agli inizi di maggio, quando l’esercito russo appare in difficoltà sul campo, l’argomento privilegiato è l’invio delle armi italiane all’Ucraina. La campagna di strumentalizzazione via social si concentra sull’immagine delle bolle di spedizione dei dispositivi militari, sottolineando la data dell’11 marzo: una settimana prima dell’approvazione del decreto in Parlamento che avverrà il 18 marzo.
A condurre gli attacchi è Maria Dubovikova, giornalista russa che vive a Mosca e ha oltre 40mila followers su Twitter con l’account @politblogme.
Nel mirino finisce Pietro Benassi, rappresentante diplomatico italiano presso l’Ue nonché ex consigliere diplomatico di Conte a Palazzo Chigi. Ma il vero bersaglio delle imboscate via social è Draghi, la cui maggioranza ha ben tre leader, Salvini, Berlusconi e Conte, che non si sono schierati senza se e senza ma con l’Ucraina, il Paese aggredito da Putin.
«Non in mio nome» è il motto rilanciato su decine di profili filorussi dell’estrema destra, che spesso si incrociano con negazionisti del Covid e no vax, per contestare a Palazzo Chigi di aver spedito le armi «senza il consenso del popolo italiano».
Le accuse ricorrenti a Draghi vanno dal «mandarci in guerra» mettendo a rischio la sicurezza della nazione «per l’ambizione di diventare segretario generale della Nato», all’«aver causato l’aumento del costo dei generi alimentari ed energetici e la chiusura di numerose aziende».
Il 3 maggio, quando Draghi critica duramente in conferenza stampa l’intervista rilasciata dal ministro degli esteri russo Sergej Lavrov a Rete4, su Twitter – che secondo il report fa spesso da «cassa di risonanza delle fake news» – si scatenano i post.
«Non tutela gli interessi italiani e ha un’impostazione dittatoriale», è l’accusa contro il premier, che rimbalza sui social in sintonia con la portavoce di Lavrov, Maria Zakharova, la quale accusa «i politici italiani di ingannare il loro pubblico».
Il bombardamento di messaggi anti governativi e filo-putiniani aumenta in corrispondenza dei passaggi politicamente decisivi.
Così è stato quando si è votato la prima volta sull’invio di armi e così sarà il 21 giugno, quando si voterà la risoluzione sulla guerra invocata dal M5S di Conte.
In questa scia si fa notare Giorgio Bianchi, definito dai report periodici che gli apparati di sicurezza inviano al governo «noto freelance italiano presente in territorio ucraino con finalità di attivismo politico-propagandistico filorusso».
Bianchi gestisce il canale Telegram Giubbe Rosse (@rossobruni), che conta almeno 100 mila appartenenti e ha preso di mira più volte il presidente del Copasir, Adolfo Urso.
Quello degli ucraini bollati come «neonazisti» è un filone molto battuto dai sostenitori di Putin e spesso rilanciato da Alberto Fazoloù
Manlio Dinucci ha 84 anni, è un geografo e scrittore promotore del comitato «No Guerra No Nato». Un suo articolo che sostiene come «l’attacco anglo-americano a Russia e Ucraina era stato pianificato nel 2019» è diventato una sorta di manifesto «di mezzi di informazione statali russi e utenze che sostengono l’invasione dell’Ucraina».
Passaggi del suo libro La guerra – È in gioco la nostra vita , pubblicato dalla ByoBlu Edizioni – editrice di un canale digitale e tv più volte tacciato di «disinformazione» – sono stati citati da Putin nel discorso del 9 maggio per le celebrazioni del Giorno della vittoria.
Le tesi di Dinucci sono state riprese dallo stesso Bianchi, Alessandro Orsini – il docente licenziato dall’Università Luiss dopo il clamore suscitato dalle sue apparizioni televisive – e Maurizio Vezzosi: 32 anni, è un reporter freelance che racconta il conflitto dall’Ucraina e invita lettori e telespettatori «a informarsi non rimanendo alle notizie in superficie perché molti ucraini pensano che Zelensky sia responsabile della situazione, molti lo ritengono un “traditore”».
La rete si muove in pubblico, ma anche riservatamente. Agli inizi di maggio, quando il grillino anti governativo Vito Petrocelli si rifiuta di lasciare la presidenza della commissione Esteri nonostante gli ultimatum espliciti di Conte, gli attivisti filo Putin si mobilitano per una campagna di mail bombing verso indirizzi di posta elettronica del Senato.
In prima linea ci sono canali Telegram no vax e pro Russia come @robertonuzzocanale, @G4m3OV3R e @lantidiplomatico, un sito che raccoglie documentazione per sostenere la scelta di Petrocelli di restare inchiodato alla poltrona, contro le indicazioni del partito.
Su Antidiplomatico , che negli anni in cui Grillo guardava con simpatia a Putin era vicino alle posizioni di Manlio Di Stefano e Alessandro Di Battista, è attiva anche la freelance Laura Ru.
Si chiama Laura Ruggeri vive a Honk Kong e scrive su Strategic Culture Foundation , ritenuta dagli analisti «rivista online ricondotta al servizio di intelligence esterno russo Svr» e che, assieme a Russia Today , è artefice di una campagna massiccia contro le sanzioni.
La tesi della portavoce Zakharova – «l’Ue è la vera vittima delle misure contro la Russia» – viene periodicamente rilanciata dal «noto giornalista e diffusore di disinformazione» Cesare Sacchetti, che sul suo canale Telegram conta oltre 60mila iscritti: «L’Ue è costretta a tornare sui propri passi e a pagare il gas in rubli». Su questi temi si muovono, sottotraccia, anche personaggi vicini a quei partiti che si smarcano dalla linea di Draghi. Il putiniano di ferro Claudio Giordanengo, che nel 2019 si candidò per la Lega al comune di Saluzzo, sui social attacca Draghi, Speranza, Biden.
Questo il suo messaggio via chat del 2 giugno: «AVVISO AI TERRORISTI – Si informa che l’Ucraina sta vendendo vari stock di armi di ogni genere. Visitate i siti!! (Dark Net). Sottocosto missili anticarro Javelin originali Usa a 30 mila euro al pezzo. Ottimo affare, il prezzo originale è 250 mila dollari cadauno. Ma a loro che importa? Gli imbecilli occidentali glieli regalano».
E poiché la rete dei putiniani d’Italia va oltre i confini di partito e schieramento, Giordanengo rilancia gli attacchi a Draghi del fondatore di Italexit: «Gianluigi Paragone inchioda il premier sulla guerra: “Si muove come un socio di Biden”. Italia sottomessa sulla guerra”».
Per ingrossare l’esercito dei filo-putiniani d’Italia, ci sono movimenti che agiscono attraverso i siti in lingua russa. Su VKontakte (VK) troviamo la Rete dei Patrioti, che posta (in italiano) messaggi contro Salvini, forse con l’obiettivo di «rubare» proseliti alla Lega.
(da agenzie)
Leave a Reply