I REPORT DA BRIVIDI DELLE GRANDI BANCHE D’AFFARI IN CASO DI UNA VITTORIA DELLA MELONI
PER UBS LO SPREAD POTREBBE TORNARE SOPRA QUOTA 300, BARCLAYS STIMA CHE LE PROMESSE ELETTORALI DEL CENTRODESTRA COSTEREBBERO 30-70 MILIARDI DI NUOVO DEBITO E UN RINVIO DEL PNRR PORTEREBBE I CONTI FUORI CONTROLLO
Le banche d’affari stanno già facendo i conti con il nuovo governo che uscirà vincitore dalle elezioni di domenica prossima.
Partono da un assunto, la coalizione di destra viene vista come vincitrice, e dalla constatazione che la prospettiva di un cambio di maggioranza ha già prodotto un effetto negativo: ha fatto aumentare l’incertezza – aggravata dagli spettri di recessione – e di conseguenza fatto salire lo spread con i titoli tedeschi, rispetto ai 200 punti precedenti alle prime fibrillazioni del governo Draghi.
Ma nei report sull’Italia che in questi giorni distribuiscono ai clienti, i grandi nomi della finanza internazionale, che con le loro decisioni spostano migliaia di miliardi di dollari, delineano anche uno scenario peggiore: nel caso un governo Meloni dovesse allontanarsi in maniera decisa dall’agenda Draghi, lo spread potrebbe salire ben oltre i 300 punti base.
Per la svizzera Ubs l’aumento attuale dello spread, che da un mese ondeggia tra 225 e 240 punti base, è una reazione normale: potrebbe salire fino a quota 250-260 in attesa dell’insediamento del nuovo governo: «Solo se la recessione dovesse essere peggiore delle attese, o il debito dovesse aumentare per nuovi tagli alle tasse – scrive Matteo Ramenghi, capo degli investimenti – potrebbe allargarsi maggiormente».
Anche Goldman Sachs nella sua analisi scommette su una vittoria del centrodestra, ma avverte: bisognerà aspettare l’insediamento del governo per capire chi saranno i ministri chiave, e quali saranno le priorità dell’agenda economica e del budget per il 2023.
Barclays stima che se Fdl, la Lega e Forza Italia mantenessero le tante promesse fatte in campagna elettorale, potrebbe esserci bisogno di 30-70 miliardi di euro, che dovrebbero essere necessariamente finanziati a debito. «Stiamo parlando di un esborso pari all’1,5-3% del Pil – si legge – ci aspettiamo quindi un ulteriore deterioramento del rapporto deficit/pil dal 2023».
Le promesse di un taglio alle tasse in un contesto di inflazione-recessione preoccupano anche Société Générale, secondo cui l’incognita maggiore è capire se e come Giorgia Meloni proseguirà nel lavoro impostato dal governo Draghi. «Se il Pnrr fosse interamente implementato – scrive Yvan Mamalet, economista per l’Europa – potrebbe rilanciare la crescita del Pil dello 0,6% in dieci anni, ma anche ridurre il debito pubblico di 12 punti, una svolta che abbasserebbe la curva dello spread di 100 punti base».
SocGen calcola che i fondi del Next Generation Eu rappresentano l’1% del Pil entro il 2025, e Barclays teme che questo sarà il primo punto a essere disatteso dal futuro governo. Ogni rinvio del Pnrr e taglio delle tasse ridurrebbe la sostenibilità del debito tricolore. È lo scenario peggiore, che per le banche d’affari oltre a deprimere i corsi della Borsa di Milano potrebbe riportare lo spread oltre la soglia di 300 punti base. Valore toccato solo brevemente nel 2018, durante il governo gialloverde 5Stelle – Lega, e sfondato dieci anni fa, quando in piena crisi dell’eurozona il differenziale sfiorò i 600 punti base.
(da agenzie)
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